Fumetti/Cartoni americani > I Pinguini di Madagascar
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Autore: Koome_94    12/04/2015    4 recensioni
Hans è un giovane musicista, arrivato in città dalla sua vecchia Copenaghen in cerca di una fortuna che pare evitarlo come la peste. Rimasto in fretta senza un soldo in canna, ha finito per doversi adeguare alla vita di strada, strimpellando la sua chitarra nelle piazze per guadagnarsi il pane quotidiano.
Private suona il violino e studia al conservatorio, barcamenandosi fra mille sacrifici per pagarsi la retta esorbitante. Ma la musica è tutta la sua vita, e nonostante i professori non apprezzino le sue umili origini e i compagni si prendano spesso gioco di lui, non è disposto a cedere terreno.
Sarà il caso a far incontrare questi due individui così distanti, eppure così affini, e a far fiorire fra di loro un'amicizia solida e ricca di complicità.
E in tutto questo che ruolo avranno il freddo e distaccato Francis Blowhole, rampollo di una ricca famiglia americana destinato a guidare una delle più grandi multinazionali del mondo, e Skipper, il severo e testardo insegnante del conservatorio che tanto disprezza il mondo degli artisti di strada?
Non vi resta che leggere per scoprirlo!
[Human!AU]
Genere: Angst, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Altri, Blowhole, Hans, Skipper, Soldato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Rebel Beat






















Capitolo 1~











A Settembre faceva già freddo.
Non un freddo cane, di quelli dove il vento ferisce la faccia e le mani si congelano rendendo le dita pari a candelotti di ghiaccio, ma la temperatura era già sufficientemente bassa perchè non potesse più dormire all’aperto.
Un bel casino, giacchè era rimasto senza giaccone pesante. Avrebbe dovuto procurarsene uno al più presto.
A pensarci bene era strano, perchè nella sua vecchia Copenaghen d’inverno faceva sempre un freddo terribile, molto più freddo che in quella città misera e triste dove era capitato, eppure adesso gli spifferi lo facevano rabbrividire, e l’umidità gli si insinuava nelle ossa provocandogli terribili mal di schiena e torcicolli.
- Stai invecchiando, mio caro Hans! Ormai sei proprio un rottame... – era solito ripetersi quando, la mattina, la spina dorsale gli si distendeva con un sinistro scricchiolio e il sottile mal di testa che non lo lasciava mai bussava fastidioso alle porte della sua coscienza.
Anche quel giorno non era andata in modo poi così diverso.
Si era alzato presto, il viso ghiacciato riscaldato dai primi raggi del sole. Con i rimasugli dei soldi raggranellati il giorno precedente si era comprato un caffè caldo che si era portato fino alla piazza dove solitamente incominciava la sua giornata di lavoro.
I palazzoni dalle grandi vetrate a specchio lo avevano accolto come ogni volta con il loro scintillio, mentre gli usceri lo salutavano con un cenno del capo. C’era stato un tempo in cui, stizziti, avevano tentato di cacciarlo, ma ormai si erano abituati alla sua presenza, fino ad arrivare ad accettarla con piacere.
Gli alberelli rachitici che qualche urbanista aveva fatto piantare a perimetro della piazza stavano ormai perdendo le loro foglie, ricoprendo il pavé di un tappeto rossiccio e dorato che ad Hans ricordava tanto la vecchia trapunta di lana di sua nonna.
Ah, quanto gli avrebbe fatto comodo averla ora...
Certo era che, se non si fosse dato una mossa, non avrebbe avuto i soldi nemmeno per permettersi una sciarpa dai cinesi, e fu con questo pensiero che posò a terra l’ingombrante custodia nera che portava sempre sulle spalle e fece scorrere la cerniera inceppata in più punti, permettendo alla sua vecchia chitarra ammaccata di tornare a scaldarsi alla luce del sole.
- E anche oggi ci risiamo, vecchia mia... – ridacchiò, imbracciando lo strumento e iniziando ad accordarlo, mentre i passanti più abitudinari rallentavano il passo in attesa della prima canzone.
Quando ogni cosa fu pronta, posizionò le dita di modo da far risuonare nell’aria un sol limpido e pulito, attaccando con il primo giro di una canzonetta country che la gente sembrava apprezzare ogni volta.
Non ricordava come o quando avesse iniziato a cantare. Era una cosa che gli era sempre piaciuta e che aveva sempre fatto volentieri.
Per lui la musica era sempre stata una compagna fidata, una guida verso porti sicuri, e con la sua chitarra fra le mani e una melodia a danzare nell’aria non si era mai sentito solo.
E dire che ne avrebbe avuto motivo eccome!
Da quando era arrivato in città ogni cosa era andata storta.
Lavoro non ce n’era, amici non ne aveva, e anche i soldi avevano finito per abbandonarlo piuttosto in fretta, più in fretta di quanto non avesse calcolato alla partenza.
Si era fatto fregare nel modo più stupido, e adesso era costretto a rimanersene lì, la sua chitarra come unica compagnia e il suo inguaribile ottimismo a proteggerlo dagli epiteti che la gente gli scagliava: amava definirsi un artista di strada, ma sapeva benissimo che chiunque lo avrebbe descritto come un barbone.
E in effetti era quello che era, costretto a passare le notti all’adiaccio dove meglio capitava. Ma non sarebbe durato in eterno, sperava. Forse, un giorno o l’altro, la fortuna avrebbe preso a girare dal verso giusto.
I primi centesimi giunsero da una ragazzina che portava sulle spalle uno zaino della Eastpack colorato e pieno di piccoli pelouches assicurati alla cerniera tramite un moschettone appariscente.
Gli rivolse un sorriso timido, che Hans ricambiò con un inchino e una strizzata d’occhio.
La ragazzina, probabilmente alle prese con il suo primo anno di superiori, arrossì in modo adorabile e fuggì via, lanciando di tanto in tanto qualche occhiata alle sue spalle come a controllare che il musicista fosse ancora lì.
Hans sospirò e sorrise, cambiando il giro degli accordi per il ritornello: non si sarebbe mai abituato all’idea di fare quell’effetto alle più giovani.
Fra l’altro, in tutta onestà, non era nemmeno poi così bello! Anzi, forse sarebbe stato più corretto dire che di bellezza i suoi genitori non gliene avevano concessa nemmeno un po’.
Aveva ereditato la bassa statura di sua madre, il naso ricurvo di suo padre e gli zigomi sporgenti che gli risaltavano le guance da un parente non ben definito e morto prima che potesse conoscerlo e imputargli quella colpa.
Le uniche cose che gli andassero a genio del suo riflesso erano il sorriso sfacciato e gli occhi ambrati dal taglio vagamente esotico che aveva preso da sua nonna, quella della trapunta.
In famiglia si diceva che Nonna Lottie fosse stata un bel peperino in gioventù, e anche questo Hans doveva averlo preso da lei, altrimenti come spiegarsi il carattere frizzante e a volte eccessivo che, con le sue battute sagaci e spesso fuori posto e la sua ostinazione a non demordere dagli impegni prefissi lo aveva portato a lasciare il suo paese in cerca di fortuna?
Concluse la canzone con un arpeggio delicato e ringraziò il vecchietto che, generosamente, gli aveva piazzato nella custodia della chitarra una banconota da cinque dollari, controllando con una rapida occhiata il grande orologio digitale che svettava su un pannello luminoso in cima a uno dei tanti grattacieli.
Le otto meno cinque.
Perfetto, si disse nel percepire uno strano fremito sotto le suole delle scarpe, era in orario come al solito.
Nemmeno il tempo di pensarlo, e uno sciame di persone si riversò al di fuori della fermata della metro, mentre Hans organizzava mentalmente le persone dividendole secondo il colore dei loro abiti.
Divise verdi e blu, liceali in ritardo per la prima campana, magliette colorate e zainetti tutti uguali, un gruppo organizzato di turisti particolamente mattinieri, completi scuri muniti di cappotto lungo, pallosissimi borsisti e impiegati dal naso all’insù.
E poi, fra la miriade di persone di cui non gli importava nulla, lo vide.
Grigio.
Come sempre, del resto. Mai che si concedesse qualche colore, qualche tinta più allegra. Sembrava che circondarsi di tristezza lo appagasse in qualche modo, come se il contatto con la plebaglia della piazza lo avesse schifato e i suoi vestiti impeccabilmente stirati e dalle innumerevoli tonalità dell’acciaio lo avessero preservato come delle mura di cinta.
Lucifero –lo aveva soprannominato così perchè era bello come un angelo, ma a una visione più accorta ci si rendeva conto che aveva proprio la faccia da stronzo- aveva un impiego dall’ignota importanza nell’alto grattacielo della Warren & Sons, una multinazionale che si occupava di chissà cosa.
Arrivava sempre con la metropolitana delle otto meno cinque e in un minuto netto attraversava la piazza senza alzare lo sguardo su nessuno, finchè non raggiungeva il punto dove Hans se ne stava tranquillo a suonare. Solo allora si decideva a levare l’occhio –ne aveva uno solo, la palpebra destra era attraversata da un’orrenda e sottile cicatrice che si allungava fino alla guancia- su di lui e a rivolgergli uno sguardo intenso al limite del disprezzo, per poi superarlo in un fruscio di stoffa e svanire oltre le porte a vetri dell’imponente edificio.
Ovviamente non gli aveva mai dato un centesimo.
Ovviamente Hans aveva finito per trovarlo l’individuo più interessante di tutta la piazza.
Anche quella mattina, i capelli color della luna stretti nella sua severa coda laterale, il giovane Lucifero fendette la piazza scansando con gesti fluidi ed eleganti i grumi di turisti e i ragazzini che correvano angosciati dal ritardo.
Il volto di Hans fu solcato da un ghigno che gli scoprì i denti in modo inquietante e le sue dita si disposero in fretta a comporre l’accordo.
Si schiarì appena la voce, e la prima strofa di Stay the Night si alzò nell’aria frizzantina come una farfalla dal volo ondeggiante.
Sfrontato come suo solito, puntò gli occhi dritti in quello dello sconosciuto, che aveva preso a fissarlo intensamente già a diversi metri di distanza.
Non avrebbe saputo dire perchè dei tanti individui che incrociava regolarmente ogni giorno avesse scelto proprio lui, ma era successo, e quello strano rapporto fatto di occhiate in tralice e accordi scelti con cura era diventato un appuntamento irrinunciabile nelle lunghe giornate di Hans.
Quel tizio lo incuriosiva: lo incuriosiva il suo modo di camminare, il suo portamento fiero, il suo volto severo, lo incuriosiva il modo in cui lo guardava dritto negli occhi con la stessa violenza di un pugno alla bocca dello stomaco e il modo in cui sapeva andarsene senza aver detto una parola, incurante delle esplosioni che gli suscitava nell’anima la sua sola vista.
Lo incuriosiva, e sentiva ogni giorno più forte la necessità di parlargli, di scoprire qualcosa in più su di lui.
Era proprio per questo che, rinunciando ormai definitivamente a quel briciolo di ragionevolezza che gli era rimasto, aveva preso a importunarlo senza pudore, scegliendo per quando passava canzoni esplicitamente rivolte a lui.
Quel giorno, ad esempio, era toccato al vecchio singolo di James Blunt.
“If there’s no quiet corner
To get to know each other
Then there’s no hurry, I’m a patient man
As you’ll discover”
Attaccò nuovamente il ritornello, facendo bene attenzione affinchè Lucifero notasse l’occhiolino che gli aveva rivolto.
Come da pronostico, lo vide irrigidirsi e aggrottare le sopracciglia, per poi sillabare qualcosa di terribilmente simile a un “fottiti” a fior di labbra e proseguire dritto verso la sua meta, lo sguardo di nuovo puntato al suolo.
Il ghigno sul volto del musicista si allargò, se possibile, ancora di più, mentre cantava in un sussurro l’ultima strofa del ritornello, gli occhi attraversati da puro divertimento quando, passandogli troppo vicino, lo sconsociuto udì il “there’s nowhere else to go, I hope that you’ll stay the night” rivolto a lui e lui soltanto e avvampò, accelerando il passo e stringendo i pugni lungo i fianchi finchè non ebbe raggiunto il portone del grattacielo della Warren & Sons.
Hans concluse il brano trattenendo a stento una risata e si lasciò andare ad un lungo sospiro liberatorio. Quel tipo era veramente assurdo...
Lasciando andare gli ultimi strascichi di pensieri a lui dedicati, si concentrò alla scelta del prossimo brano, e fu in quel momento che si accorse di lui.
Non l’aveva visto arrivare, segno che doveva essere successo mentre era intento a cantare la serenata a Lucifero. A dirla tutta non era nemmeno il solito orario in cui lo incontrava, anzi, era in anticipo di almeno dieci minuti!
Senza nemmeno volere, gli rivolse un’occhiata stupita che venne ricambiata con un sorriso gentile.
Quel ragazzino era davvero un’incognita.
In quei lunghi mesi trascorsi a suonare in quella piazza Hans aveva imparato a conoscere il suo pubblico.
La gente andava e veniva, ma lui era sempre stato un buon osservatore, e non gli ci era voluto molto per distinguere i semplici passanti dai frequentatori abituali dell’isolato.
Poteva dire per certo, quindi, che non aveva mai visto quel tipo fino a una settimana prima.
Era apparso un lunedì mattina, stretta nella mano destra la maniglia della custodia di quello che doveva essere un violino e uno zainetto leggero sulle spalle.
All’inizio si era limitato a rallentare il passo e a guardarlo con curiosità per poi tirare dirtto come se fosse stato in un terribile ritardo.
Il secondo giorno si era seduto su una panchina e aveva ascoltato un brano intero. Anche quella volta aveva finito con lo scappare di corsa, ma non prima di aver fatto scivolare qualche moneta nella custodia della chitarra.
La scena si era ripetuta anche nei giorni a seguire, e il ragazzino aveva preso a battere il tempo con la punta del piede, ondeggiando appena al ritmo della musica e cantando a fior di labbra assieme a lui.
Hans cercò di non farsi deconcentrare e suonò altri sei brani, ma proprio non riuscì a trattenere una leggerissima esclamazione quando, attaccando il primo ritornello della decima canzone della giornata e l’ultimo che avrebbe dedicato alla piazza prima di spostarsi verso una zona più turistica, si accorse che lo sconosciuto era ancora lì, seduto sulla sua panchina, con la custodia del violino posata sulle ginocchia e gli occhi azzurri attraversati da un lampo di soddisfazione per aver riconosciuto la canzone.
- Grazie a tutti, Signore e Signori! Spero di aver allietato la vostra mattinata! Una piccola offerta è sempre gradita, qualche centesimo sarà più che sufficiente! Buona giornata, signora! Grazie mille, Gentilissimo, buona giornata! Grazie! – prese a salmodiare come ogni mattina in quella che era ormai diventata la sua routine, senza fare davvero troppo caso a quello che stava dicendo. Non aveva più guardato in direzione del ragazzino, il suo sguardo limpido lo metteva in qualche modo in soggezione.
Assurdo, perchè lui vergogna ormai non l’aveva più di niente!
Si accucciò e prese a valutare rapidamente l’incasso di quell’oretta di esibizione.
Non male, doveva aver messo insieme una quindicina di dollari, tutto grazie al vecchietto che gli aveva mollato la banconota.
Siano lodati i pensionati, erano sempre loro a sganciare di più, probabilmente inteneriti dalla vista di un ragazzo che poteva tranquillamente essere loro nipote.
Prese a raggranellare i centesimi per infilarli nella scatoletta dove li accumulava, quando una voce gli fece alzare la testa così di scatto che si udì un crock alquanto sinistro provenire dal suo collo.
- Sì? – si ritrovò a domandare a metà fra l’irritato e lo spaventato, con un tono di voce ad ogni modo troppo acuto.
- Oh, scusa... Non volevo disturbarti... – eccolo lì, finalmente il misterioso ragazzino si era deciso a parlare.
Hans fece spallucce e si alzò in piedi, rivolgendogli un sorriso luminoso.
- Nessun problema, non ho fretta! – lo tranquillizzò, passandosi una mano fra i capelli scuri.
Il ragazzino arrosì e abbassò lo sguardo sui suoi piedi.
- Volevo... Volevo solo farti i complimenti... Insomma, sei molto bravo, e... –
Hans inarcò un sopracciglio. Non gli era mai capitato che qualcuno gli parlasse in quel modo.
Solitamente gli dicevano “niente male”, ma se ne andavano senza avergli lasciato nemmeno uno spicciolo, oppure gli davano i soldi senza commentare e filavano via senza nemmeno alzare lo sguardo su di lui.
“Molto bravo”, da che ricordasse, non glielo aveva mai detto nessuno.
- Sai, anche io suono in  strada... – confessò finalmente lo sconosciuto, decidendosi a tornare a guardarlo in faccia.
Hans tese le labbra e lo squadrò attentamente.
- Sei giovane... Non ci vai a scuola? – ma immediatamente si pentì di quella domanda assolutamente senza senso.
Vide il ragazzino drizzare la schiena e stringere più forte il suo violino.
- Guarda che ho già vent’anni! – pigolò, vagamente stizzito.
Vi fu un momento di silenzio durante il quale pensò di essersi fregato, dando del nanerottolo a un tizio che aveva solamente tre anni meno di lui ma bastò che tornassero a guardarsi negli occhi per scoppiare a ridere entrambi.
- Scusa, è che sembri più giovane! Comunque io mi chiamo Hans, piacere! – esclamò stringendogli la mano con vigore.
L’altro ricambiò la stretta e sorrise.
- Nessun problema, me lo dicono tutti... Io sono Private! Sì, è un nome orribile, quindi per favore chiamami Priv! – aggiunse all’occhiata stranita di Hans.
- Priv ti si addice decisamente di più! – gli concesse mentre le labbra gli si tendevano sempre più verso l’alto risaltando le sue guance paffute.
- Quindi adesso stai andando ad esibirti? – si informò, curioso come una faina.
Priv scosse la testa, sulle sue guance dalle linee morbide nuovamente il lieve rossore che lo aveva colto nel rivolgersi a lui per la prima volta.
- No, a dire il vero sono uno studente del conservatorio, è lì che sto andando... – confessò.
Per una frazione di secondo lo sguardo di Hans si fece duro.
Il conservatorio... Sapeva benissimo cosa pensavano quelli del conservatorio della gente come lui. Li guardavano dall’alto in basso, come se fossero stati dei ladri, degli approfittatori, come se il fatto di suonare nelle piazze e nelle strade della città li avesse automaticamente resi stupratori della musica.
Hans odiava quella gente.
Sapeva per certo che, pur riconoscendo il talento di un artista di strada, non avrebbero donato nemmeno un centesimo.
Eppure quel ragazzino era diverso, era rimasto ad ascoltarlo con piacere e gli aveva fatto i complimenti.
E poi non aveva forse detto che anche lui suonava in giro?
Stava per replicare, quando uno strano trillo lo interruppe.
Priv raspò nelle tasche del suo giubbotto smanicato facendone emergere un cellulare vecchio modello graffiato su un angolo.
Lesse rapidamente il messaggio che aveva ricevuto e si accigliò appena.
- Maledizione, l’aula è già piena... – sussurrò fra sé e sé.
Solo a quel punto alzò di nuovo lo sguardo su Hans, negli occhi un’espressione vagamente dispiaciuta.
- Scusa, era una mia compagna di corso, devo affrettarmi o l’aula sarà al completo e il prof mi sbatterà fuori un’altra volta... – borbottò.
Poi un’idea attraversò la sua coscienza, illuminandogli il visetto tondo.
- Senti, facciamo così! Se non hai da fare possiamo vederci per le cinque al caffè là all’angolo! – propose con un grande sorriso indicando l’insegna di un piccolo bar alla fine della strada da cui era arrivato.
Hans rimase interdetto da quella proposta.
Perchè mai quel ragazzino doveva voler trascorrere del tempo con lui?
La domanda lo colse così alla sprovvista che non si accorse nemmeno di aver risposto affermativamente.
- Allora a più tardi! – gli gridò Priv, sbracciando per salutarlo mentre già correva verso la sua meta.
- A... a più tardi... – replicò Hans, confuso, ma il giovane era già scomparso fra il traffico cittadino.
Sospirò ancora, poi tornò ad occuparsi della sua chitarra. Chiusa la cerniera fino in fondo, si caricò la custodia sulle spalle e si incamminò verso il centro città.
Avrebbe avuto senso presentarsi a quella specie di appuntamento?
Fece spallucce e prese a fischiettare, eccessivamente allegro.
Dopotutto non avrebbe potuto saperlo, se non ci fosse andato.
E poi con i cinque dollari del vecchietto poteva anche concedersi un’oretta di permesso...



























 
Note:

Salve a tutti!
Eccoci qua con una nuova fanfiction partorita dalle nostre menti malate! xD
Se qualcuno di voi se lo stesse chiedendo, no, non abbiamo abbandonato "Until the End", semplicemente siamo state colte dall'ispirazione e, prima che questa sparisse esattamente come era arrivata, abbiamo deciso di buttare giù questa piccola idea. V.V
Beh, in realtà non c'è moltissimo da dire su questo primo capitolo, dal momento che la storia deve ancora delinearsi... Però scrivere dal pov di Hans è un'espreienza fantastica ed è stato schifosamente divertente! xD
In ogni caso, con il prossimo capitolo scopriremo qualcosina di più su Priv e sul nostro danese preferito, e saranno introdotti anche altri personaggi~
Speriamo di aver stuzzicato la vostra curiosità e che questa piccola introduzione sia stata di vostro gradimento! <3
Un bacione,
Koome
   
 
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