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Autore: lyssa    13/04/2015    2 recensioni
«Stanno arrivando» la voce di Koschei è talmente fredda ed affilata da coglierlo di sorpresa. «Sono qui, sono venuti a prendermi» Aggiunge ed adesso il tono si incrina, carico dello stesso dolore presente nell’urlo precedente e Theta sente il viscerale ed improvviso bisogno di stringerlo a sé ancora più forte, in un irrazionale tentativo di assorbire parte della sua sofferenza, perché non è giusto che Koschei soffra in quel modo.
[theta/koschei | accademy era | hurt/comfort | slash se volete vedercelo]
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Doctor - Altro, Master - Altro
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Can you hear them?
(In my dreams they're calling)
They're coming
(And every waking moment)
They're in the signal
(I hear the vortex calling)

They're in my head

The sound of Drums - Chameleon Circuit 

 






Immersa nell’oscurità e nel silenzio più completo, la camera da letto sembra essere un universo a se stante. È un piccolo angolo di Gallifrey isolato dal resto del pianeta, un microcosmo esistente in una bolla in cui il tempo non scorre e non vi sono secondi a segnare il battito dei due cuori che all’unisono continuano a pulsare nel suo petto. L’unica prova dell’esistenza di qualcosa all’esterno alle quattro mura è un flebile raggio di luce aranciata che filtra attraverso le tende pesanti e permette agli occhi di Theta di riconoscere la sagoma del letto situato accanto al suo. 

«Kosch…» sussurra piano, la voce flebile e delicata che si spegne senza ricevere risposta alcuna. 

Probabilmente Koschei sta dormendo. Theta sa che dovrebbe imitarlo, le giornate all’accademia non sono leggere e qualche ora di sonno avrebbe solo effetti benefici sul suo organismo, ma ha sempre considerato dormire un inutile spreco di tempo. Perché abbandonarsi al sonno quando c’è così tanto da vedere e scoprire? Perché distendersi nel letto quando invece potrebbero correre insieme per l’erba scarlatta che adorna i campi come un gioiello? Perché dormire quando potrebbero sgattaiolare fuori dalla loro camera mano nella mano e con una risata sulle labbra? Perché sognare quando si può vivere direttamente?

Potrebbero fare così tanto se solo Koschei non dormisse, pensa Theta, un piccolo broncio infantile che prende vita sulle sue labbra. Una parte di lui vorrebbe alzarsi e fare un giro da solo, in modo da sfogare l’energia che sembra non abbandonarlo mai e gli impedisce di stare fermo nello stesso posto per più di cinque minuti di seguito, ma sa che non sarebbe la stessa cosa. Ha bisogno della compagnia di Koschei. Vuole la compagnia di Koschei. La solitudine, anche passeggera e momentanea, lo fa diventare malinconico. Quasi triste. 

Sospira pesantemente e si rigira nel letto, arrendendosi al fatto che almeno per quella notte dovrà cercare di dormire, per quanto noiosa l’idea appaia ai suoi occhi. Qualcuno gli direbbe che fare cose che non si ha voglia di fare è parte del crescere e diventare adulti. Al solo pensiero Theta storce le labbra in una smorfia. 
***

È difficile dire quanto tempo sia passato da quando ha chiuso gli occhi. Potrebbero essere ore come minuti, Theta ha smesso di contare i propri respiri ed il battito dei propri cuori – chiunque abbia detto che contare aiuta la conciliazione del sonno è un bugiardo – dopo essere arrivato solo a centotredici. Nella mente ora non più occupata a scandire il tempo iniziano a formarsi immagini di universi lontani. Pianeti sconosciuti, specie che non ha ancora avuto il piacere di incontrare e galassie inesplorate prendono vita dietro le palpebre chiuse per poi muoversi dipinte con colori vivaci. Anziché aiutarlo ad addormentarsi, il corso dei pensieri ha l’effetto opposto e stimola l’interesse e la curiosità che sono sempre stati intrinsechi della sua persona, rendendo impossibile prendere sonno. 

Theta ha gli occhi chiusi e rivolge le spalle al letto di Koschei quando lo sente per la prima volta. È un rumore basso e prolungato, un mugolio che cattura immediatamente la sua attenzione e lo fa voltare all’improvviso. È necessario un ulteriore gemito ed una manciata di parole sussurrate ed incomprensibili per far scattare Theta in piedi e farlo avvicinare al letto dell’altro. Koschei sta provando a dirgli qualcosa ma le parole che fuoriescono dalle sue labbra sono troppo basse e sussurrate per poter essere pienamente comprese, non importa quanto Theta cerchi di stare attento. 

«Kosch…?» domanda piano, nella voce una punta di preoccupazione che non si premura di nascondere.

Passano una manciata di secondi prima della risposta. 

L’urlo che fuoriesce dalle labbra di Koschei fa perdere un battito ad entrambi i suoi cuori. Incrina qualcosa nel suo petto che Theta non riesce a definire – non che abbia davvero importanza dare un nome a ciò che prova in quel momento – e lo rende immobile, incapace di agire. Non ha la minima idea di cosa fare. Non si muove e rimane lì, il battito cardiaco talmente accelerato da risuonare a livello delle tempie con una forza quasi dolorosa e si limita a fissare l’amico, che ora ha iniziato ad agitarsi nel letto, con occhi sbarrati e pupille dilatate. Vedere Koschei in quelle condizioni e non riuscire né a capirne il motivo né ad aiutarlo è a dir poco straziante. Saperlo sofferente è fisicamente doloroso, gli stringe il petto in una morsa talmente salda che rende l’atto del respirare un’impresa titanica e fa sì che la vista si faccia un poco offuscata ed appannata, rendendo impossibile focalizzarsi su qualunque cosa che non sia Koschei. Vuole farlo stare meglio, vuole guarirlo e mettere fine al dolore, ma non sa da dove iniziare, perché questa volta non si tratta di un bulletto che può essere facilmente fermato.  

In mezzo a gemiti sofferenti e parole sbiascicate Theta riesce a sentire il proprio nome. Forse è proprio quello a farlo tornare in sé. Non si può certo dire che abbia riacquistato il controllo – al contrario, è spaesato esattamente come pochi secondi prima – ma ora riesce ad agire e quantomeno a provare. 

Prima che Koschei possa chiamarlo o gridare nuovamente, Theta si intrufola sotto alle coperte altrui. Il letto è singolo e fatto per accogliere una sola persona, ma non gli interessa. Circonda il corpo di Koschei con le braccia e lo tira verso di sé. Non è sicuro che il contatto fisico possa aiutare l’altro, ma provare non costa nulla. Inoltre fa sentire meglio lui, per quanto il pensiero possa suonare incredibilmente egoista in un momento simile. 

«Sono qui» dice solamente, sentendosi un po’ stupido perché sa che se l’altro sta dormendo non può sentirlo «Sono qui» ripete, questa volta a voce più alta, senza tuttavia aspettarsi di essere davvero ascoltato. 

Nonostante il pigiama, riesce a sentire il calore di Koschei sulla propria pelle. Per qualche motivo la cosa lo spinge a cercare ancora più contatto. Si avvicina piano fino a quando le loro fronti non si toccano e muove poi la mano destra per poggiarla sulla guancia altrui. La pelle di Koschei è morbida e calda sotto i suoi polpastrelli, Theta si ritrova a carezzarla con il pollice senza rendersene davvero conto, in un movimento meccanico ed inconsapevole. 

«Va tutto bene, sono qui.» 

Koschei si sveglia – forse per le sue parole o forse per una pura e semplice coincidenza – ed i cuori di Theta aumentano leggermente la frequenza del loro battito. 

«Qualunque cosa fosse, ora è tutto finito.» 

Koschei sembra non ascoltarlo. Ad essere più precisi sembra che non sia lì: i suoi occhi blu lo guardano ma non lo vedono veramente e di fronte a quelle pozze scure Theta si sente invisibile ed insignificante, come se non esistesse. Fa male essere guardati in quel modo dal proprio migliore amico, fa quasi più male del sentirlo urlare sofferente e Theta si ritrova a deglutire a vuoto, cercando di mandare giù il groppo che sente alla gola. 

«Stanno arrivando» la voce di Koschei è talmente fredda ed affilata da coglierlo di sorpresa. «Sono qui, sono venuti a prendermi» Aggiunge ed adesso il tono si incrina, carico dello stesso dolore presente nell’urlo precedente e Theta sente il viscerale ed improvviso bisogno di stringerlo a sé ancora più forte, in un irrazionale tentativo di assorbire parte della sua sofferenza, perché non è giusto che Koschei soffra in quel modo. 

«Nessuno sta venendo a prenderti.» Scandisce lentamente ogni parola in modo da non suonare accondiscendente, ma Koschei si allontana brusco – per quanto il letto singolo glielo permetta – e Theta rimane semplicemente senza parole, incapace di reagire, di stringerlo nuovamente a se. 

«Invece sì!» Gli risponde Koschei in un ringhio, sollevandosi e mettendosi seduto. «Stanno arrivando e non posso fare nulla per impedirlo!» continua a voce più alta. Si riavvicina poi di scatto, sovrastandolo e c’è un piccolo ed insignificante istante, effimero quanto un battito di ciglia, in cui Theta pensa che Koschei voglia colpirlo. Non succede. Ovviamente. Si sente idiota per aver anche solo immaginato una cosa del genere: sa che non gli farebbe mai del male, non importa se i suoi occhi sembrano riflettere un misto di rabbia, paura e dolore talmente profondi da inghiottire qualunque cosa.

«Non li senti? Non senti questo rumore?» chiede avvicinando maggiormente il volto a quello dell’altro, tant’è che ora i loro nasi sono a pochi centimetri di distanza e che Theta riesce a sentire il respiro caldo di Koschei sulla propria pelle. 

«È solamente un incubo. È tutto finito…»

«No!» Esclama Koschei a pieni polmoni. Si avvicina ulteriormente e appoggia la fronte sulla sua. Il movimento è simile a quello compiuto da Theta solo pochi secondi prima, ma è più brusco e Koschei applica una pressione non indifferente, privo di ogni delicatezza. «Dimmi che li senti.» Quello che gli esce dalle labbra è quasi un ringhio. «Dimmi che non sto impazzendo.» ripete e Theta non ha la minima idea di quello di cui Koschei sta parlando, perché a parte le loro voci ed i loro respiri non c’è nient’altro a rompere la quiete notturna. 

«Kosch…»

«Dimmelo.» Qualcosa nella sua voce cambia. Non si tratta più di un ordine. «Ti prego.» sussurra, la voce che si abbassa improvvisamente e che si incrina al termine della parola, in una supplica disperata e permeata di un dolore che Theta non riesce a comprendere od immaginare. È proprio quella sofferenza – la stessa sofferenza che vede riflessa nelle iridi altrui e che ora sovrasta la rabbia – a farlo rimanere in silenzio, perché non vuole mentirgli, non vuole dirgli qualcosa che non è vero solo per dargli un contentino. Koschei non se lo merita.

Di fronte alla mancanza di una risposta, Koschei lentamente si allontana. I suoi occhi sembrano bagnati. Theta si dice che è un effetto causato dalla luce, ma sa che non è così. Non ha mai visto Koschei piangere, anche quando erano bambini nei suoi occhi azzurrissimi Theta ha sempre visto un onore ed un controllo che ha sempre ammirato. Se è arrivato ad essere vicino alle lacrime non può essere colpa di incubo, deve esserci qualcos’altro sotto.
Improvvisamente, sente il bisogno di abbracciarlo. Theta sposta la mano destra sulla sua nuca e lentamente lo spinge contro di sé, costringendolo così ad appoggiarsi al suo petto mentre la mancina va ad accarezzargli piano i capelli neri, ora scompigliati a causa del sonno. Gli piacciono di più quando non sono ordinati, pensa distratto. Di fronte a quel contatto Koschei trattiene il respiro e si irrigidisce – Theta lo sente con chiarezza – ma presto le sue membra si rilassano e l’alzarsi e l’abbassarsi del suo petto si adegua a quello di Koschei che ad occhi chiusi ascolta il battito dei cuori del compagno. 

«Questa notte rimango qui.»

L’affermazione di Theta non riceve risposta. Non ce ne è bisogno di parlare ora: le parole finirebbero per rendere tutto più complicato, rischierebbero di farli allontanare ed è meglio comunicare con i gesti. Theta continua a carezzargli piano i capelli ed ogni tocco è un messaggio rassicurante, un “non capisco ma sono comunque qui, sarò sempre qui e non devi preoccuparti, perché cercherò di fare tutto il possibile per aiutarti” che sa venire recepito da Koschei. 

Rimangono in quella posizione per tutta la notte, insonni.
 





Note dell'autrice:

Prima prova nel fandom di Doctor Who ed oltretutto con una fanfiction ambientata ai tempi dell'accademia, di cui - ahimè - non sappiamo tanto. Non sono sicura di aver reso bene i personaggi per il semplice fatto che non ho episodi su cui basarmi... Non penso di essere andata però troppo fuori dai loro caratteri, per cui non voglio mettere l'avvertimento OOC. E nulla, ringrazio chiunque sia arrivato fino a qui e abbia speso cinque minuti per leggere questa piccola oneshot di cui non sono troppo soddisfatta ma che volevo postare in quanto dedicata ad una persona a cui voglio tanto tanto bene, anche se è una scemina -?- 
   
 
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