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Autore: whitemushroom    15/04/2015    3 recensioni
La mano destra suona la melodia: deve essere agile e squillante, non deve pensare. Deve giocare con i tasti e con le note, essere libera. La fantasia è tutto, restare imprigionata sullo spartito è la sorte peggiore per una melodia. È la mano che interpreta, che divora le ottave e che d’istinto prende ed abbandona il pentagramma per raccontare i segreti dell’anima del pianista.
La sinistra si occupa dell’accompagnamento. È secondaria, bisogna ammetterlo.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Elliot Nightray, Leo Baskerville
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Broken Clock'
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Caprice

La mano destra suona la melodia: deve essere agile e squillante, non deve pensare. Deve giocare con i tasti e con le note, essere libera. La fantasia è tutto, restare imprigionata sullo spartito è la sorte peggiore per una melodia. È la mano che interpreta, che divora le ottave e che d’istinto prende ed abbandona il pentagramma per raccontare i segreti dell’anima del pianista.
La sinistra si occupa dell’accompagnamento. È secondaria, bisogna ammetterlo. Gli spettatori canticchiano la melodia ma non sanno quanto sia complesso accordare il basso con il ritmo principale, che il segreto di un musicista sia sempre lì, nel far sì che quelle due mani lavorino insieme senza mai cadere in fallo, senza lasciare che un solo battito del metronomo si frapponga tra la nota dell’una e quella dell’altra.
È Elliot la melodia. Si lancia sui tasti senza nemmeno guardare lo spartito. L’hanno provata migliaia di volte, ma stasera vuole suonarla alla perfezione. Ne hanno discusso tutta la notte e non ci sono storie, Elliot la vuole più veloce ed in chiave di sol. Così inizia e sceglie, prova, la canticchia tra sé e sé e va avanti senza curarsi di altro perché sa che lui lo seguirà.
Ha letto tanti libri, ma non conosce una parola per esprimere quello che prova nel momento in cui si accorda alle sue dita e si lancia all’inseguimento del compagno sui tasti bianchi e neri, immaginando dove le dita dell’altro andranno per poi anticiparle e spostare l’ottava ancora più in alto per rendere il suono ancora più bello, proprio come colui che siede alla sua destra lo sta sognando ad occhi aperti.
I pedali sono di Elliot, non potrebbe essere altrimenti. È lui ad avere il comando in ogni cosa, dal pianoforte allo studio, dalle litigate a … un po’ a tutto il resto. Qualcosa deve averlo innervosito, perché preme i tasti con più forza del solito e la melodia rallenta come un cavallo a cui siano state tirate all’improvviso le briglie.
Non è un problema, perché rallenta anche lui. È certo di poter udire il cuore del suo compagno battere più forte, quasi come un martelletto su delle corde troppo tese.
Ha imparato a fare suo quel battito. Ne conosce il pulsare del sangue quasi come il ritmo di Statice: lo conosce quando le loro mani per un istante si scambiano, entrando una nella parte della tastiera dell’altro e poi ritornano al loro posto senza sfiorarsi. Lo conosce quando Elliot la notte urla divorato dai suoi sogni di sangue e gli stringe le dita fino a farle diventare livide pur di aggrapparsi a qualcosa che lo porti via da quel posto dove non arrivano le note di Lacie.
Gli altri ignorano i suoi incubi.
Forse Lord Vincent ne sa qualcosa, ma non è una persona a cui rivolgere la parola. Riesce a sentire il suo occhio, quello che dicono porti sfortuna, fisso su loro due quasi in attesa di un passo falso, di tasto che scivoli. Non lo ha mai visto da vicino, si rifiuta di guardarlo ma vorrebbe che quell’iride screziata di scarlatto fosse rivolta verso qualcun altro, chiunque altro. Magari su Lady Bernice.
Ascolta rapita la musica del suo ultimo erede, ma la sua mano si trova tra quelle dell’ultimo uomo che lui ed Elliot vorrebbero quella sera, il viscido reverendo che parla, parla ed avvelena, parla e con la sua sola presenza insudicia quel salone proprio il giorno in cui avrebbero potuto festeggiare il compleanno di Lord Claude.
Elliot sposta il capriccio in mi bemolle. Avrebbe dovuto immaginarlo, lo fa sempre quando sta per perdere il controllo, ma la presenza del reverendo Yura gli ha fatto correre un brivido lungo la schiena e la mano del suo compagno suona per un istante da sola, la nota troppo pulita, troppo semplice.
Una melodia senza accompagnamento non è altro che un motivetto infantile, come un bambino viziato lasciato libero di correre.
Ma un accompagnamento senza melodia … non ha motivo di esistere. È quello che sembra ricordargli Lady Vanessa ogni volta che poggia lo sguardo su di lui, quando anche per errore i loro vestiti si toccano scendendo le scale. Lo straccione che siede alla sinistra del suo prezioso fratello dovrebbe sparire, smettere di insozzare lo sgabello su cui avrebbe potuto sedersi un altro ragazzo, un giovane blasonato che avrebbe offerto tutte le proprie ricchezze pur di essere il servo personale del futuro erede del casato dei Nightray. Dovrebbe tornare nel suo pulcioso orfanotrofio e non farsi vedere mai più, perché se ha ricevuto l’onore di sfiorare i tasti del pianoforte della più nobile di tutte le famiglie granducali è solo per un capriccio del suo bizzarro, nervoso e collerico fratellino. E, come tutti i capricci, l’unico futuro a cui può anelare è quello di svanire, cancellato dal tempo e da tanti altri, nuovi desideri.
Forse è quel pensiero che gli congela le dita e fa esplodere il metronomo proprio nella sua testa; è come un rintocco di campana fortissimo seguito da un silenzio confuso, un vuoto in cui preme i tasti ma quelli non emettono alcun suono.
È ancora in tempo per ritirarsi da quell’oceano bianco e nero. Alzarsi, gettare a terra lo sgabello, correre e nascondersi. Scappare. Aprire un libro e tuffarsi tra le pagine, perché le righe d’inchiostro non ti deridono, non ti giudicano, non ti tagliano i capelli. Ti accolgono nel silenzio di cui hai bisogno per dimenticare.
Ma il silenzio non arriva. C’è solo una nota, un mi bemolle teso fino allo spasmo.
Non è in un angolo della sua mente ma è lì, nell’aria, tangibile: nessuna nota può durare così a lungo, nemmeno una Massima, e le Massime non le usano più. Nessuna nota può aspettare.
A meno che non sia il pedale a prolungarle la vita.
Prima ancora di rendersi conto di cosa stia succedendo la mano sinistra di Elliot ha afferrato la sua destra e l’ha lanciata sulla tastiera; vi atterra con meno grazia del solito, ma l’accordo recupera la melodia appena in tempo e il suo compagno libera il mi bemolle, scosta il piede dal pedale e riprende fiato.
E non c’è bisogno di aggiungere altro.
Riprendono in corsa, come se niente sia accaduto. Non è più il capriccio che hanno provato per ore ed ore, ma la cosa non ha molta importanza. Elliot non gira lo spartito e procede d’istinto, quella chiave di sol che gli ronzava nella testa è tornata e procede in quello che ormai è un Vivo, forse un Vivissimo dove soltanto lui può inseguirlo. Quando sono in sincronia non c’è nessuno che possa fermarli.
Non c’è nessuno che possa davvero ferirli. Lady Vanessa, Lady Bernice, Lord Vincent e persino il reverendo possono sparire o guardarli con invidia, disgusto, amore, in effetti non ha molta importanza. Loro accelerano e poi rallentano, poi accelerano quando il ritmo pare giusto, pare bello e lì riprendono la melodia e l’accompagnamento tirando la musica come un burattinaio con la marionetta perché racconti ciò che loro vogliono, ciò che loro sentono. E stasera sentono che, qualunque cosa accada, loro rimarranno sempre insieme. Piangeranno insieme, rideranno insieme, studieranno insieme, odieranno insieme, combatteranno insieme, suoneranno insieme finché quel pianoforte esisterà, finché gli anni non trascorreranno ed i tasti d’avorio si coloreranno d’ambra, o le corde si consumeranno per le troppe ore trascorse ad esercitarsi.
Raggiungono il finale con il cuore a mille. Elliot sceglie le note con cura e conclude con un’ultima pressione né violenta né insicura, perfetta come al solito mentre lui rimane immobile sui tasti per concentrare ogni istante e rendere la loro musica irripetibile e lasciarla cristallizzare nel salone.
Sa che gli applausi non sono per lui, non lo sono mai per la mano sinistra. Né gli interessano, a dirla tutta. Rimane lì, sullo sgabello rimediato ed un po’ traballante che gli compete, sapendo che adesso tutto ciò che gli viene richiesto è di non esistere, di non entrare in quel gruppo di persone straordinarie. Si limita a chiudere lo spartito e ad osservare il pentagramma pieno di note inutili, sorridendo tra sé perché finirà tutto scarabocchiato entro stanotte, segnato da tutti i miglioramenti che hanno apportato.
Di solito detesta guardare il mondo. Non si sarebbe lasciato crescere i capelli in quel modo, altrimenti; ma oltre il mogano del leggio, la coda scura del pianoforte e l’asta che la sorregge c’è uno spettacolo che vale la pena osservare. Una figura vestita di bianco che tutti si contendono, che emerge dai mantelli color della notte dei Nightray come una luce tra le ombre che la desiderano, gli stringono la mano, due servitori gliela baciano persino. Quella persona è un mondo a parte, che illumina ogni cosa pur di nascondere ciò che gli brucia nel petto, per inghiottire gli incubi e le incertezze che gli invadono il cuore. È così splendente che tutti si lasciano ingannare da quella luce.
Persino lui stesso.
Ed in fondo va bene così, perché non esiste al mondo una persona così geniale e così idiota, così egoista e capricciosa ed allo stesso tempo così pura di cuore come il giovane musicista che adesso si volta verso di lui, invitandolo con un gesto a stargli accanto prima che i parenti riprendano l’assedio o il reverendo gli rivolga la parola un istante di più.
Leo sarebbe disposto a dare la vita per Elliot.
Se solo servisse per cancellare quegli incubi rossi, Leo non avrebbe paura a vendere l’anima ad Abyss e cambiare il passato. Ma forse l’anima l’ha già venduta, e questi suoi pensieri sono solo paure infondate.
Lui ed Elliot resteranno insieme per sempre.



N.d.W: a causa delle leggendarie sviste linguistiche, ho scelto "Elliot" invece di "Eliot" e "Leo" invece di "Reo" perché ad orecchio mi sembrano le traduzioni migliori. Tanto i fan non si metteranno mai d'accordo ...
Spero sia comprensibile, avendo suonato il pianoforte per tanti anni forse ho usato dei dettgli non proprio comprensibili ...
  
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