Anime & Manga > Capitan Harlock
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Autore: mamie    19/04/2015    13 recensioni
A volte ritornano ;-). Questa flashfic è fatta di quattro drabble pure, quattro istantanee per un episodio abusato, ma che fa sempre ballare il mio cuore: Namino Shizuka. Il momento in cui Harlock abbandona dolcemente allo spazio, avvolto nella bandiera pirata, il corpo della donna che lo ha amato tanto da voler morire per sua mano.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harlock
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SENZA PESO
 
È leggero quel corpo che tieni tra le braccia. Leggero come la stoffa sottile della bandiera in cui l'hai avvolto. È solo un guscio vuoto, che brucerà consumandosi in un attimo, lasciando nient’altro che cenere dispersa nello spazio. Eppure ne ricordi il peso e il calore, il profumo di fiori e il gusto salato delle labbra. Dolorosamente, la memoria ti riporta a qualcosa che avevi chiuso così profondamente nel tuo cuore che non pensavi potesse mai tornare: un altro corpo che lentamente si raffredda fra le tue braccia, le tue labbra che cercano invano il suo ultimo alito di vita.
 
Ti porti le dita alla fronte e la saluti col rispetto che si deve al nemico coraggioso. Quante volte hai fatto quel gesto… quanti ne hai perduti per strada, nemici che avrebbero potuto essere altro, in un altro mondo, in un altro tempo; amici che il tuo affetto non è bastato a salvare, compagni di battaglie che non avresti mai voluto perdere, perché la guerra è un gioco dove non basta essere abili per sopravvivere e il tempo non ha pietà e non perdona nessuno, no, nemmeno un’anima giovane e innamorata. E tu hai deciso di giocare secondo le regole.
 
Le regole di un pirata, naturalmente. Le regole di chi ha sempre mal tollerato l’ingiustizia mascherata da ordine e il servilismo mascherato da obbedienza. Lei sarà solo un altro rimpianto, un’altra cicatrice, un altro ricordo da assaporare insieme al vino. Lei sarà solo l’eco di un dolore che ti è rimasto dentro a sciabordare come la risacca di una spiaggia perduta. Un giorno pagherai anche questo conto, perché tutti i conti si pagano, soprattutto quelli che non ci possiamo permettere. Adesso rientri nella gravità artificiale della tua nave, a cercare il conforto di qualcuno che, anche lui, non c’è più.
 
E con il peso che torni a sentire sulle spalle e sulla nuca (no, non è l’impianto  gravitazionale, ma qualcosa di più pesante, qualcosa che sale dalle profondità del buio per schiacciarti) stringi le tue mani vuote che vuote resteranno. Perché questa è la sorte dei marinai, di non trovare un porto che li accolga per sempre. Per te ci sono solo le stelle, fari sparpagliati dentro il buio o voci di sirene che ti attirano nel loro abbraccio mortale. E altro non aspetti che perderti, e trovare un nulla che ti accolga, senza peso e, finalmente, senza più dolore.
  
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