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Autore: j a r t    19/04/2015    1 recensioni
Il Dottore ha una nuova compagna: Ginevra Sullivan.
Dal prologo:
"Il suo obiettivo, però, catturava abilmente ogni oggetto: ora un albero, ora le nuvole, ora una vecchia cabina blu della polizia."
Genere: Avventura, Science-fiction, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Doctor - 10, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve! È la prima volta che scrivo in questa sezione, ma non mi sento né demoralizzata né a disagio. Strano, non è il mio solito. Ora passo alle cose importanti: questa storia ha come protagonisti il decimo Dottore e Ginevra (Gwen) Sullivan, una compagna che ho inventato appositamente per lui. 
Per seguire questa storia, immaginate di prendere tutto ciò che sapete sul Dottore e di inserirlo in un nuovo contesto, una nuova storia che parta quasi da zero. Un po' come prendere dei biscotti dalla busta e metterli in un nuovo barattolo. Questo vale a dire altre esperienze, altre avventure e altri personaggi.
Figo, no?
In ogni caso, se vi va di leggere, spero vi vada di lasciarmi anche una piccola recensione. Ma anche piccola piccola, piccola così. È sempre bello leggere le opinioni e le critiche dei lettori!
Questo è solo il prologo, ma alla fine, da qualche parte, bisogna pur cominciare.


 
***


Ginevra Sullivan camminava da sola per West Street, ancora inondata dalle foglie rossastre d’autunno. Il vento le scompigliava i capelli castani e fini, lisci come fili che andavano a formare una preziosa coperta di seta. Ma né le foglie scivolose né il vento potevano fermare l’obiettivo della sua macchina fotografica, che prontamente si spostava da parte a parte per cogliere ogni attimo di quella natura dalle mille tonalità.
Scattava e scattava senza sosta, nonostante molte delle foto risultassero mosse o coperte da capelli e foglie: le sua dita premevano compulsivamente il tasto di quella Minolta - modello appena uscito - e lei stessa, china sulla macchina fotografica, si voltava a destra e a sinistra, senza prestare minimamente attenzione al terreno che calpestava o alle cose contro cui andava a sbattere.
Il suo obiettivo, però, catturava abilmente ogni oggetto: ora un albero, ora le nuvole, ora una vecchia cabina blu della polizia.
Gwen si bloccò di scatto, corrugò la fronte ed abbassò la macchina fotografica per osservare quell’imponente cabina blu che non aveva mai visto in vita sua. Eppure lei ci passava ogni giorno per quella strada! Ma da dove saltava fuori quella cabina?
Si spostò di lato senza distogliere lo sguardo dall’oggetto, poi tornò a scattare qualche foto alla cabina per essere sicura che fosse davvero lì presente.
Mentre ne catturava ogni particolare, sentì un cigolio e poi un fruscio; in fretta scostò l’obiettivo ed osservò un uomo in soprabito che - non essendosi ancora accorto di lei - usciva con nonchalance dalla cabina e la richiudeva a chiave.
Quando l’uomo si voltò per allontanarsi, vide Gwen e si bloccò. I due si guardarono per qualche minuto.
«Che cosa... stai facendo?» le domandò sottovoce.
«Foto.»
«Alla mia cabina?»
L’uomo alzò un sopracciglio.
«È la tua cabina? Tu non sei un poliziotto.»
«Uhm, infatti» rispose lui un po’ confuso «ma è comunque la mia cabina
Gwen si appoggiò alla cabina in questione e guardò scettica l’uomo.
«E che te ne fai di una cabina della polizia se non sei un poliziotto?»
La domanda risuonò nel vuoto. L’uomo si girò verso la cabina blu e la fissò per un po’, quasi a cercare conferma della scritta “POLICE” che vi era sopra.
«Perché devo darti spiegazioni?» aggiunse lui.
«Allora lasciami fare le foto in pace.»
Detto ciò, Gwen ritornò a guardare attraverso l’obiettivo della macchina fotografica. Scattò un altro paio di foto, poi sentì qualcuno avvicinarsi.
Si staccò dall’obiettivo: era di nuovo lui!
«Cos’altro c’è ancora?» domandò seccata.
«Non puoi fare foto alla mia cabina!»
«Perché?» continuò lei irritata.
L’uomo in soprabito non sembrò trovare un’immediata risposta, perlopiù restò a bocca aperta finché entrambi non sentirono un forte rombo. La terra sotto i loro piedi cominciò a tremare sempre più forte. Si guardarono negli occhi con espressione interrogativa, poi Gwen sentì cedere l’asfalto e non ebbe tempo di fare altre domande: si sentì precipitare nel vuoto e vide l’uomo allontanarsi sempre di più da lei.
Finché lui non l’afferrò per un braccio con tutta la forza che possedeva.
«Sta’ tranquilla, ti tengo!» urlò lui, ma Gwen aveva una gran paura di precipitare nel vuoto, in quel grosso burrone che sembrava essersi aperto da solo in mezzo alla strada.
«Tirami su!» urlò semplicemente guardando in basso e vedendo soltanto il nero.
La sua testa cominciò a girare vorticosamente: non sentiva più la presa dell’uomo, semplicemente vedeva immagini confuse e sentiva rumori indistinti. Ma tra tutti i suoni che percepiva, i più familiari erano quelle voci che non la abbandonavano da quando era piccola: sussurri, ecco cos’erano, sussurri di parole senza senso. Talvolta sentivapresenze di persone, di esseri sovrannaturali che per qualche ragione ancora sconosciuta si rivolgevano a lei. Gwen, però, non aveva mai saputo come aiutarli.
Adesso sentiva ancora le voci sussurrare, entrare nella sua testa e far rimbombare parole e frasi. Una fra tutte era una richiesta d’aiuto.
Gwen chiuse gli occhi, stanca, e quando li riaprì vide un cielo limpido. Tutto era calmo e silente, il suo corpo era sull’asfalto freddo. Si tirò su tenendo la testa fra le mani: non aveva idea di cosa fosse successo, ma sapeva che non era più appesa nel vuoto, bensì era al sicuro sulla terraferma.
Si girò guardandosi attorno e vide di nuovo quell’uomo sorridente dai capelli castani scompigliati. Gwen corrugò la fronte. Era stato lui a salvarla?
«Tu...»
«Ben svegliata!»
«Sei stato tu a salvarmi?» domandò confusa.
«Sì, esatto! Oh, non c’è bisogno che mi ringrazi. Anche perché le nostre strade si dividono qui. Io ho molto da fare, scusami.»
Come se non fosse accaduto niente di anomalo - e come se non si fosse aperto dal nulla un varco buio e vuoto nel bel mezzo di West Street - l’uomo si allontanò verso la cabina blu e inserì la chiave nella serratura per aprire la porta.
«Aspetta...»
Quello di Gwen fu un sussurro - quasi una supplica - ma l’uomo lo percepì e si fermò, voltandosi di nuovo a guardarla interrogativo.
«Io ho molto da fare...» si giustificò.
«Voglio solo sapere il tuo nome. Ho il diritto di sapere chi mi ha salvato la vita.»
L’uomo ci pensò un po’ su.
«Io sono il Dottore.»
«Il Dottore e poi?»
«Il Dottore e basta.»
  
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