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Autore: Shian Tieus    26/12/2008    3 recensioni
Dopo la Grande Crisi Energetica, il mondo tenta lentamente di risolleversi dalle proprie ceneri. Uno scenziato potrebbe aver scoperto l'MSI, una macchina in grado di porre fine all'insaziabile fame di energia che attanaglia il globo. La sua morte improvvisa getta il Dipartimento di Fisica dell'Università di Città del Messico nel caos. Un giovane collaboratore dello scenziato tenta quindi di raccogliere informazioni. NOTA: il font fa storie con le scritte in greco antico. Mi scuso per l'inconveniente.
Genere: Generale, Science-fiction, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Racconti Postatomici'
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I'm an educated fool
So I don't know what it is I'm supposed to do
About this awkward situation
That's been forced down right upon me

(Iron Maiden – The Educated Fool)


Lo studio era sito in un gazebo a vetri nel giardino della villetta, una posizione che di giorno lo inondava della luce tropicale gialla e tagliente, stemperata dalle smerigliature dei vetri, che la tramutavano in una soave carezza del cielo autunnale.

Ma ora, di notte, l’aspetto era tutto fuorché luminoso, anche con la mezzaluna alta e grande nel cielo.

I rami di ciliegio ormai spogli, fuori dalla finestra, si agitavano disordinatamente alla brezza calda proveniente da nord, dal vicino deserto, e il loro profilo, incerto sul vetro opaco, li faceva somigliare a spettri informi.

E di certo non bastava l’unica lampadina, appesa al centro del soffitto conico, a rischiarare l’ambiente, anzi, essa gettava ancor più inquietanti ombre sul pavimento e sui vetri, proiettate dai numerosi oggetti d’artigianato, maschere africane e vasi in vetro soffiato che, appoggiati a una libreria che girava ad anello attorno alla scrivania, avrebbero altrimenti reso l’ambiente piacevole.

Nonostante l’ora tarda rendesse lo studio decisamente tetro, e malgrado Devon non fosse propriamente un esperto, si rendeva conto che gazebo era stato arredato con estrema cura: la scrivania in stile coloniale era orientata a sud, per prendere più luce possibile durante il giorno, e la libreria pur in stile moderno, era stata fatta su misura per adattarsi all’ambiente. Su di essa, oltre ai numerosi soprammobili, anche un numero (Decisamente eccessivo, a parere di Devon) di libri. Libri cartacei, si intende… di quelli che non venivano più stampati almeno da una quarantina d’anni.

Devon capì immediatamente, senza che la padrona di casa glie lo dicesse, che una delle due poltroncine in paglia di fronte alla scrivania era riservata agli ospiti, e si avvicinò. Preferì però, per educazione, aspettare che la signora si accomodasse dall’altro lato dello scrittoio, prima di prendere posto.

A dire il vero, “accomodasse” non era proprio il termine più corretto… Alice Pezzia era “accomodata” su una sedia a rotelle da almeno venti anni ormai, per quello che ne sapeva.

Arrivò dopo nemmeno un minuto che lui la stava attendendo.

Il tempo, con la signora Pezzia, non era stato clemente. Dimostrava ogni minuto dei suoi novantaquattro anni, anche perché probabilmente non aveva i soldi per un ringiovanimento cellulare. La luce fioca e spettrale del neon a basso consumo sopra di lei faceva risaltare ancor più il bianco quasi malato della sua pelle intervallato dai solchi ormai profondi ed indelebili della ragnatela di rughe che le attraversava il volto. La sua cute, anche se cadente, non si era però indurita con l’età, e neppure i suoi tratti somatici, rimasti minuti e delicati nonostante l’incedere inclemente del tempo. I capelli, pur radi e candidi come la neve, erano curati, a dispetto dell’ora tarda della visita che si era trovata a ricevere.

Si era vestita con cura, come faceva ogni volta che riceveva visite, ed indossava un sobrio abito blu a collo alto e con le maniche lunghe, da cui spuntava un paio di mani sottili e rugose, ma prive di calli e nodi, segno che la donna non aveva mai conosciuto il lavoro manuale.

Le mani saltarono immediatamente all’occhio di Devon, che da ragazzo, invece, aveva dovuto fare il muratore per pagarsi gli studi, e quasi si sentì a disagio quando la donna staccò la mano dai comandi della sedia a rotelle per porgerla a lui, in segno di saluto.

Lui a malapena la sfiorò per l’infondato timore di farle male: la sua mole imponente (era alto più di due metri) e la tonalità della sua pelle, talmente nera da sembrare quasi bluastra, accentuavano ancor di più il contrasto, ma l’anziana non sembrò notarlo quando gli strinse la mano.

-Dottor Shoen, è un piacere conoscerla. Io sono la dottoressa Pezzia. Mi scuso per averla fatta attendere.- Iniziò lei con voce gentile. Il suo sorriso, però, era leggermente tirato.

-Dovrei essere io a scusarmi: mi aspettavate perlomeno un ora fa… ma il veicolo che avevo noleggiato non si è presentato all’appuntamento.-

In effetti Alice, ormai convinta che il giovane non venisse, stava per coricarsi, quando la sua cameriera la aveva avvertita che l’uomo era alla porta, ma preferì non farglielo pesare.

-Si figuri… prego, si accomodi- Tagliò corto, mentre si dirigeva dall’altro lato della scrivania.

Devon si lasciò cadere sulla sedia: non lo dava a vedere, ma il viaggio lo aveva sfinito.

Nel frattempo, Alice inforcò gli occhiali sul naso per vedere meglio il suo interlocutore.

Era giovane: non dimostrava più di trentacinque anni, ed era vestito elegantemente con una giacca scura, molto sobria. Aveva la pelle talmente scura che, con la scarsa luce che illuminava l’ambiente, la donna non riusciva bene a distinguerne i tratti: quello che riuscì a notare era il grosso naso schiacciato e gli occhi chiari, infossati, ma enormi e penetranti. L’uomo si era inoltre accuratamente rasato sia la barba che il cranio.

Guardò distrattamente l’orologio: le nove e mezza! Dannazione, se era tardi: l’indomani si sarebbe dovuta alzare alle quattro, per scoprire i generatori fotovoltaici prima che sorgesse il sole. Decise di saltare i convenevoli e venire subito al dunque.

-A cosa devo la sua visita, Dottor Shoen, a un’ora così tarda e per di più con così poco preavviso? Deve essere qualcosa di importante…-

-Mi chiami pure Devon.- cominciò lui, per stemperare l’ambiente, poi trasse un profondo respiro e disse con relativa fretta –sono venuto per parlare con lei del Dott. Antonio Mancinelli-

Alice sospirò portandosi una mano alla fronte. Quando Devon l’aveva chiamata dal dipartimento di Fisica delle Energie dell’Università di Città del Messico, aveva subito capito che l’argomento di conversazione sarebbe stato il suo compianto amico (Lei era dottoressa in Etnologia: perché, altrimenti, avrebbe dovuto essere interpellata?), ma il suo naturale ottimismo l’aveva portata a sperare fino all’ultimo che così non fosse.

-E cosa siete venuti a dirmi che io già non sappia? Se volete anche solo una mezza riga degli appunti che mi ha lasciato nel testamento, posso dirvi che non è nulla che vi riguardi.- la domanda, piuttosto acida, le era venuta spontanea, ma la perdita era recente, e lei era convinta che se quel giovanotto aveva sorvolato l'oceano, avrebbe potuto anche sopportare qualche frecciatina.

Devon, dal canto suo, incassò il colpo senza proferir parola: l’irritazione della donna era più che comprensibile.

-A dire il vero, speriamo che lei possa dirci qualcosa… e, no, non riguarda quegli appunti, o perlomeno così credo.-

Ecco, questo era inaspettato. Cosa mai volevano dei fisici da una scrittrice, una figura “socialmente improduttiva”, come era definita nella costituzione dell’Unione Centroamericana? Preferì rimanere in silenzio ed aspettare che l’uomo continuasse.

-La situazione è piuttosto complicata: il dottore, prima della sua infelice dipartita, stava conducendo una ricerca, e non riusciamo ad accedere ai suoi dati per proseguire gli esperimenti…-

La voce di Alice interruppe perentoriamente quella dell’uomo, tagliente e dura.

-Dio santo! È morto da meno di una settimana e subito vi attaccate come avvoltoi al suo lavoro?-

Devon era in evidente imbarazzo.

-Fosse per me, aspetterei… ma abbiamo ricevuto pressioni dall’alto… sa com’è, era una ricerca di notevole importanza.-

-Qualunque sia la sua importanza, penso che possa attendere perlomeno il giorno dei fumerali.- Alice incrociò le braccia e fissò l’uomo, torva.

-Lei non capisce… si tratta di importanti sviluppi per la costruzione di…- non fece in tempo a finire la frase: Alice lo anticipò.

-…di un MSI, lo so.-

Devon apparve decisamente sorpreso: pochi erano al corrente di quella ricerca. Interdetto, rimase in silenzio per qualche secondo. Alice non perse l’occasione per disorientarlo ancora di più.

-Un Motore a Singolarità Indotta, che funziona tramite un Riduttore di Probabilità, permetterebbe di controllare completamente lo spin di miliardi di particelle elementari, il che su larga scala significa ottenere un’efficienza nella gestione dell’energia superiore al 90%, quasi raddoppiando l’efficienza degli attuali propulsori a Singolarità Controllata, che si fermano al 50%, in quanto i loro Induttori di Probabilità non possono, a causa della legge di Barros, controllare completamente gli spin delle particelle.- Fece una lunga pausa. Vedendo che Devon, stupito, non aveva la forza di proferir parola, continuò.

-La legge di Barros stabilisce che, a prescindere dall’accuratezza degli strumenti utilizzati, è impossibile controllare lo spin di due particelle elementari adiacenti… mi ricorda il principio di Indeterminazione di Heisenberg, di un secolo e mezzo fa, che sanciva l’impossibilità di conoscere, in un dato istante, sia la posizione sia la velocità di una particella elementare.

Un MSI non risolve il problema, ma lo aggira. Esso infatti non controlla lo spin di una particella, come invece fa un MSC, ma lo suggerisce, se mi passa il termine poco scientifico. Attraverso numerosi affinamenti tecnici si riesce ad alzare la probabilità che questo suggerimento vada a buon fine fino al 70-80%, il che si traduce, all’atto pratico, in motori praticamente privi di dissipamento energetico.

I dettagli tecnici li lascio a voi addetti ai lavori. Non conosco la fisica quantistica- terminò poi, con la massima naturalezza.

La sintesi, anche se incredibilmente dilettantistica, era, in linea di massima, corretta.

Devon rimase, letteralmente, a bocca aperta. I suoi denti bianchissimi risaltarono per qualche secondo nella luce lattiginosa del neon, poi riprese, balbettando, a parlare.

-Ma… ma… ma lei come fa a sapere queste cose?- La ricerca non era coperta da segreto, ma comunque una sana discrezione era uso, nell’ambiente.

-Ero la migliore amica dello scienziato a capo del progetto… vuole che non ci scambiassimo quattro chiacchiere riguardo il lavoro?- l’anziana si lasciò scappare una mezza risata.

Devon si riprese: in effetti, non era una cosa così assurda, a pensarci bene. Era stato stupido, a non rendersene conto prima. Qualche giorno dopo avrebbe realizzato che, con ogni probabilità, se ne era reso conto, ma si era inconsciamente rifiutato di accettare che una profana riuscisse a capire quelle cose. Era invece subito andato a pensare a ipotesi improbabili quali spionaggio, fughe di informazioni o tradimenti.

-Allora si renderà conto che si tratta di una cosa della massima importanza… e noi abbiamo bisogno del suo aiuto-

Alice, nuovamente, sospirò, e riprese a parlare con voce stanca.

-Lei è giovane e forse non mi capirà, ma non credo che vi aiuterò proprio perché si tratta di una cosa della massima importanza. A meno che io non abbia delle garanzie, è ovvio-

-Il Dipartimento la pagherà bene, questo è sicuro-

Alice rispose disillusa, quasi con dolcezza.

-E come vorreste pagarmi? In dollari messicani? Con l’incertezza economica che c’è di questi tempi una valuta vale l’altra: tutte possono ridursi al valore di una manciata di sabbia nel giro di qualche giorno. I soldi non servono a nulla in un mondo in cui l’unica necessità è un disperato, quasi animale, bisogno di energia…-

Devon sembrava non capire. Alice decise quindi di continuare.

-Da quando le foreste non bastano più a soddisfare il fabbisogno di ossigeno dell’umanità, quasi tutta l’energia che ricaviamo dalle centrali eoliche e da quelle a pannelli solari è sprecata per far funzionare i sintetizzatori artificiali di ossigeno: ogni ricerca ed utilizzo dell’energia atomica è stata vietata dall’ONU dopo il 2053 e l’attacco nucleare a Bombay, e gli idrocarburi sono finiti da una sessantina d’anni.

Questa carenza di energia ha modificato il nostro modo di vivere: lei è giovane e forse non mi crederà, ma sessant’anni fa, verso il 2040, quando i sintetizzatori d’ossigeno ancora erano lungi dall’essere creati, il petrolio era agli sgoccioli e le centrali atomiche ancora funzionavano, l’energia era a buon mercato: pensi, c’erano locali aperti tutta la notte, con luci accese e migliaia di watt sprecati in musica e colori. Sono cambiate anche le nostre abitudini di vita: alzarsi alle quattro per scoprire i pannelli solari era una cosa impensabile fino a mezzo secolo fa, come anche andare a dormire subito dopo il tramonto… Anche costruire il proprio studio come questo, in un gazebo in giardino, era pura follia!

La ricchezza ha cominciato a spostarsi verso i tropici e verso l’equatore, dove l’energia solare era più facilmente reperibile: lo sa che la Confederazione Africana e in particolare lo Stato in cui ci troviamo ora, il Sudan, era uno dei più poveri del globo? Io stessa sono stata costretta a trasferirmi qui dall’Italia.-

-Appunto!- la interruppe Devon –si rende conto dei benefici che l’MSI apporterebbe alla qualità della vita del genere umano?-

La donna, a quanto pare infastidita dall’interruzione, riprese a parlare con un tono che faceva capire che era probabilmente meglio non interromperla di nuovo.

-…tralasciando per un momento il fatto che non capisco come una scrittrice possa aiutarvi per questioni inerenti la fisica quantistica, il punto è che lei è probabilmente troppo giovane per capire il mio punto di vista:

I Motori a Singolarità Controllata vennero creati una trentina di anni fa… lei era troppo piccolo per ricordarselo, ma forse, lavorando nell’ambiente, ha sentito come andò a finire la questione-

Devon assentì e rispose

-Il progetto venne passato all’esercito per la sperimentazione: i primi motori non erano abbastanza affidabili per cominciare la vendita al pubblico-

-Questa, perlomeno, è la versione ufficiale- intervenne la donna –Non mi sembrarono così inaffidabili, quando li usarono per mandare avanti i loro carri armati nella Guerra del Deserto in Australia, o quando vennero montati sugli aerei durante il bombardamento contro i civili di Shangai. Antonio stesso, che all’epoca lavorava all'MSC, mi aveva assicurato che erano perfettamente messi a punto, quando il progetto venne ceduto all’esercito. Lui si indignò talmente tanto che era fra i tumulti di Panama, quando l’esercito represse la manifestazione. Si prese anche un proiettile in una gamba: ha zoppicato per il resto della sua vita.-

Devon apparve sorpreso a sentire quella storia; il Dott. Mancinelli non gli aveva mai spiegato il perché della sua zoppia. Lui lo aveva conosciuto durante il dottorato, solo nove anni prima, già ottantacinquenne, e faceva fatica a immaginarselo sessantenne in mezzo a quella manifestazione la cui repressione aveva provocato più di trecento morti ed un numero imprecisato di feriti.

-Spero si renda conto che se il Dipartimento avesse presentato al pubblico gli MSC a tempo debito, la crisi energetica oggi non sarebbe così grave... In ogni modo, mi dica cosa vuole, Devon, e poi deciderò se aiutarla. Tenga conto che lo faccio solo perché so che Antonio la teneva in grande stima e lo considerava uno dei suoi migliori assistenti (e infatti, nel suo testamento ha consigliato lei come prossimo direttore della Ricerca). Inoltre, mi sembra un ragazzo abbastanza sveglio da non cedere l’ennesima ricerca a quei bastardi sterminatori per poche migliaia di dollari di finanziamenti. Anche se, come al solito, l’ultima parola spetterà al Dipartimento.-

Devon evitò commenti, anche se era d’accordo con l’anziana su questo punto. Passò invece subito al dunque.

-Lei sa dove venivano registrati i dati degli esperimenti del Dottore ed i suoi appunti?-

Alice dovette pensarci un po’… era un dettaglio di importanza decisamente marginale.

-Su un computer. Un notebook grigio di quelli forniti dal governo, la marca mi pare fosse MexTech… ma questo pensavo lo sapeste…-

Devon fece cenno di si con la testa.

-Esatto, il suo computer contenente tutte le sue ricerche ora è in mano al Dipartimento-

-Allora avete tutto quello che volete… perché, allora, vi hanno mandato da me?-

Il giovane ricercatore sospirò.

-La questione non è così semplice. Avete mai sentito parlare del PPD? Immagino di no…- guardò per un attimo la donna, che infatti non aveva l’aria di sapere di cosa si trattasse, quindi continuò.

-il Programma di Protezione Dati è un sistema per proteggere i dati di un’equipe di ricerca: come dice lei, dottoressa, l’energia è ormai l’unica ricchezza di questo mondo, e molti non si farebbero scrupoli pur di mettere le mani sugli esperimenti per l’MSI. Questo programma è di semplice funzionamento: in pratica, il computer del Responsabile di ogni ricerca è protetto da due password numeriche, una decisa dal Dipartimento, l’altra dal Responsabile, nel nostro caso, il Dott. Mancinelli. Il Responsabile non conosce la password del Dipartimento e viceversa. In questo modo i laptop contenenti i dati e gli appunti possono essere usati solo all’interno del dipartimento o con il consenso del dipartimento stesso. Allo stesso modo, un funzionario del dipartimento, anche se corrotto, non potrà avere accesso ai dati degli esperimenti senza il consenso del Responsabile-

Alice cominciava a capire.

-Quindi, ora non avete più accesso alle ricerche dell’MSI. Ma non mi sembra un problema: lei era il Vice-responsabile, e penso che sappia quali fossero gli esiti della ricerca e anche gli altri assistenti, magari non avranno una visione generale, ma coordinando gli sforzi dovreste riuscire a ricostruire la ricerca senza troppi sforzi.-

Ancora una volta, Devon si sentì molto imbarazzato.

-A dire il vero, la ricerca non stava dando gli esiti sperati: il Dottore era l’unico a vedere miglioramenti… miglioramenti che la maggior parte di noi non riusciva nemmeno ad intuire. Io stesso a volte mi meravigliavo della grande importanza che lui dava a dei dati considerati marginali dal computer. A malapena riuscivo a stargli dietro.

La svolta è arrivata lunedì scorso: mi ha chiamato in tarda serata dicendomi di aver fatto un enorme passo avanti, ed aveva concluso che la costruzione dell’MSI era ormai questione di giorni. Mi disse che aveva già segnato tutto sul computer e che me ne avrebbe parlato l’indomani a lavoro. Cosa che, come lei ben sa, non è potuta avvenire.- Abbassò lo sguardo, sperando che il ricordo dell’improvvisa morte dell’amico non avesse turbato l’anziana.

Non sembrava, anzi, alla donna scappò quasi una risata.

-E pensare che mi diceva sempre che senza i suoi assistenti sarebbe stato perduto! A sentire voi si direbbe il contrario!-

-La verità è che la mente era lui: e escludendo me, gli altri assistenti si limitavano a seguire meticolosamente i suoi ordini-

-Capisco… e non potete provare a forzare il computer? Avrete degli hacker al dipartimento…-

Devon aggrottò la fronte: -Il Programma è a prova di bomba… ed è stato progettato per fondere automaticamente le Celle di Memoria in caso di tentata intrusione. La violazione forzata è un rischio che non vogliamo correre, se non in caso di estrema necessità.-

-Continuo a non capire cosa c’entro io con tutta questa storia- si limitò semplicemente a constatare.

Devon si infilò un mano in tasca e tirò fuori un foglietto spiegazzato di carta sintetica.

-Sopra al computer del dottore abbiamo trovato questo- e lo porse alla scrittrice

-Riteniamo fosse un metodo del Dottore per tenere a mente la sua password, senza correre il rischio di doverla scrivere direttamente. Una sorta di enigma.

Sopra al foglio c’era scritta solo una frase: “Per accendermi, dovrai cercare prima di diventare perfetto”. Era scritto in italiano.

-Quello che temiamo è che sia un cosa del tutto soggettiva, e quindi indecifrabile per noi del dipartimento. Il fatto che fosse scritto in italiano non fa che confermare questa ipotesi. Crediamo che la profonda amicizia che la legava al Dottore possa aiutarci… Inoltre, lei è di origini italiane, e quindi probabilmente riuscirà a cogliere sfumature che forse a noi sfuggono.-

Alice rigirò il foglio un paio di volte, e accennò a una risata triste.

-Tutto il Dipartimento di Fisica delle Energie messo in scacco da un foglietto di carta! Non mi meraviglierei che fosse morto per fare un dispetto a quegli “idioti accademici”, come ci chiamava lui… sarebbe nel suo stile.-

A quella reazione, Devon rimase piuttosto perplesso.

-Come, scusi?-

-Mi ha sentito benissimo, Devon. Deve sapere che, a parte lei e un’esigua minoranza di altri scienziati, Antonio reputava l’intero Dipartimento un ammasso di menti accademiche senza il minimo pensiero critico… “educated fool”, degli “idioti colti”, diceva, citando una canzone della fine del secolo scorso. A me gli Iron Maiden non erano mai piaciuti, preferivo l’indie-rock, ma lui li adorava.-

Devon capiva poco e nulla di musica classica, e quella digressione gli diede fastidio. Provò a riportare la conversazione all’argomento principale.

-Non capisco cosa voglia dire… e non credo che…-

Stavolta fu lei ad interromperlo

-Quello che voglio dire è che Antonio credeva che la scienza contemporanea si fosse distaccata troppo dal processo creativo, e se ne lamentava spesso con me: gli scienziati, eccetto sporadiche eccezioni, si sono da lungo tempo trasformati nelle appendici dei computer che usano: sono dei tecnici che sanno a memoria la teoria, ma che non fanno il minimo sforzo intellettivo per applicarla, limitandosi ad inserire dei dati in un computer ed aspettando che esso gli dia le risposte.

Lei stesso, poco fa, ha detto “mi meravigliavo dell’importanza che dava a dei dati considerati marginali dal computer”: una frase del genere non fa che confermare questa impressione. L’analisi deve essere competenza dell’uomo, della mente creativa, non del computer, che altro pregio non ha se non la velocità delle operazioni di calcolo.-

Devon si sentì colpito nell’orgoglio e non poté fare a meno di rispondere

-E immagino che lei, una scrittrice, sappia benissimo, invece, come si fa il lavoro dello scienziato!-

Lei sorrise. Si aspettava una reazione del genere.

-Queste sono le parole del mio compianto amico, non le mie. Il fatto che io le condivida non ha la minima importanza. Lei era venuto qui a parlare di Antonio, o sbaglio? E lui non era certo l'ultimo degli assistenti: Antonio, come è stato scritto su tutti i giornali e tutte le riviste scientifiche il giorno della sua morte, era probabilmente “lo scienziato più geniale che il nostro secolo abbia visto”. E come non ammetterlo? Se si eccettuano le sue scoperte, la fisica è praticamente ferma da quaranta anni e più. Ci penserei due volte prima di bollare le sue polemiche sulla sterilità della ricerca accademica come un semplice capriccio di un vecchio nostalgico.-

Devon non seppe cosa rispondere. Rimase in silenzio ed attese che la donna continuasse.

-Lo sa da chi andava Antonio quando aveva bisogno di un consiglio sulle sue ricerche? Veniva da me, o andava da Giorgio o da qualcuno dei suoi altri amici. E nessuno di noi capisce nulla di fisica. Ci spiegava il problema in linee molto generali e sentiva le nostre opinioni. Quando scoprì le equazioni ondulari del gravitone, che ora hanno il suo nome e che gli fruttarono il nobel, mi fece una lunga telefonata per ringraziarmi, dicendo che io gli avevo dato l’idea, anche se, probabilmente, se avessi visto quella massa di numeri e lettere non avrei neppure saputo da che parte tenere il foglio.

Ripeteva sempre che, pur essendo noi (e mi riferisco a me ed ai suoi amici) degli emeriti ignoranti in materia, avevamo una scaltrezza ed una saggezza che mancavano ai suoi colleghi dell’università.

“Meglio un ignorante saggio che un idiota colto”, era solito dire.-

Lasciò il tempo al suo interlocutore per digerire il concetto, dopodiché decise di dargli il colpo di grazia.

-Il fatto che al dipartimento non siate riusciti a risolvere un rebus di così disarmante semplicità non è che l’ennesima prova-

Devon si alzò di scatto dalla poltroncina in paglia e quasi urlò per lo sgomento.

-Vuol dire che è riuscita a risolverlo?-

-Non proprio… ma penso di essere sulla strada giusta. Lei invece ha qualche idea?-

Devon si risedette.

-No… no… ho provato ha inserire la frase in un programma di decodifica, ma non ho ottenuto risultati-

Alice gli porse il foglio

-Ennesima riprova della vostra fiducia mal riposta nelle macchine. Provi a usare la testa, invece.-

Deciso a non farsi umiliare di nuovo da una semplice scrittrice, Devon prese il foglietto e cominciò a fissarlo, ragionandoci sopra. Con le dita si massaggiava le tempie. Dopo un paio di minuti, cominciò a parlare.

-Forse “perfetto” si riferisce alla chimica, ai gas perfetti, appunto. E questo spiegherebbe anche la frase “cercare di diventare”, in quanto i gas perfetti sono la miglior approssimazione di un gas ideale…-

-Va bene, continui- lo esortò Alice, senza che la sua voce tradisse alcuna emozione.

Devon riprese a parlare, incerto.

-L’equazione di stato dei gas ideali è pv = nRt… le lettere a questo punto potrebbero acquisire il significato degli elementi sulla tavola periodica, e ad ogni elemento è assegnato un numero atomico… P è il fosforo, V il vanadio, N è l’azoto… la sequenza a questo punto è 15-23-7… ma non esistono elementi indicati con la R o con la T!-

-Sicuro di aver pensato a tutto? Forse c’è una soluzione più semplice-

Devon ci pensò ancora un po’, poi batté le mani e con aria di vittoria disse:

-Ci sono! È scritto in italiano: ogni lettera dell’equazione di stato potrebbe essere il numero associato a una lettera dell’alfabeto italiano… 1 = a, 2 = b e così via…-

Alice sorrise –Complimenti. Splendido ragionamento. Lo vede che sa usare la testa, quando vuole? Ora capisco perché Antonio lo apprezzava.-

-Vuol dire che sono riuscito a risolverlo?- disse Devon, quasi stupito di aver risolto l’enigma con così tanta facilità.

-Non ho detto questo. Ho detto che ha ragionato bene. Ma sfortunatamente ha fatto un errore madornale-

-Quale?-

Alice si sistemò gli occhiali sul naso, e, con estrema calma, riprese a parlare.

-Lei prima ha affermato che, probabilmente, il biglietto era un promemoria soggettivo, non un indizio oggettivo a terzi. Questo è fondamentale da tenere a mente lei non l’ha fatto, ed infatti è incappato in due sbagli:

Punto primo; Antonio odiava la chimica. Non la sopportava proprio; perché tenere un promemoria che parli di chimica, se non la si sopporta?-

-Uh…- grugnì Devon, deluso

-Punto secondo: se lei dovesse scrivere un promemoria per se stesso, in che lingua lo scriverebbe? Nella sua lingua madre, è ovvio… Antonio era italiano, ed è normale quindi che scrivesse in italiano, non voleva indicare nulla: lei ha trovato un indizio dove in realtà non c’era-

Anche qui, Devon, rimase in silenzio.

-Mi dica, lei ha studiato il greco antico?- chiese poi d’improvviso l’anziana.

-No… e non vedo cosa c’entri con la conversazione, in tutta sincerità- cominciava a pensare che quella donna lo stesse prendendo in giro.

-Prenda quella foto, dietro di lei.- disse alice, indicando una cornice su uno degli scaffali.

Devon si alzò e portò la cornice alla luce. Era una foto vecchissima: la cornice era di legno, non era uno schermo LCD, e la foto al suo interno era stampata su carta fotografica.

Era il primo piano di un ragazzo e una ragazza, sicuramente al di sotto dei venti anni. Lui aveva lunghi capelli biondi e lisci, lei li aveva castani, a caschetto. Entrambi sorridevano verso l’obbiettivo.

Ci mise molto a riconoscerli, e nel mentre diede un’occhiata interrogativa all’anziana. Poi il taglio degli occhi del ragazzo lo illuminò: erano loro due! Il Dottor Mancinelli e la Dottoressa Pezzia! Quella foto doveva avere almeno settantacinque anni!-

-Io e Antonio andavamo a scuola insieme. Facevamo il liceo classico in un paese vicino Roma. E abbiamo entrambi studiato il greco antico.

La prima cosa che avreste dovuto fare al dipartimento, una volta capito che il promemoria era totalmente soggettivo, era studiare la vita, gli hobbies e le passioni di Antonio. Cose che i vostri programmi di decodifica non possono fare.

Se così aveste fatto, vi sareste resi conto che Antonio aveva un debole per la letteratura antica e per i giochi di parole. Aveva un debole in particolare per la letteratura ellenista, proprio perché piena di finezze letterarie e giochi di parole. E che conosceva, anche se dilettantisticamente, il greco antico.

Una volta scoperto questo, l’enigma sarebbe stato risolto in breve tempo.-

-Non la seguo- ammise candidamente lo scienziato.

-Le sarà tutto chiaro a suo tempo. Mi potrebbe cortesemente passare quel grosso tomo alla sua destra? Quello rilegato di blu… poi si avvicini, le devo far vedere qualcosa.- aggiunse, cambiandosi paio di occhiali ed inforcando sul naso quelli da lettura

Il tomo era estremamente pesante e sicuramente altrettanto vecchio. Doveva avere l’età della fotografia, se non di più. Sulla copertina c’era una scritta in italiano che Devon non capì.

-Questo è un vocabolario di greco. Il “Rocci”, dal nome dell’autore. Era (ed è tuttora) piuttosto diffuso fra gli studenti di greco antico: è rimasto pressoché immutato da duecento anni, ma d’altronde, il Greco non ha bisogno di essere aggiornato, o sbaglio? Io e Antonio avevamo questo stesso dizionario ai tempi del liceo-

Detto questo, Alice cominciò a sfogliare con calma le pagine del vocabolario, e nel frattempo cominciò finalmente a spiegare la sua decodifica.

La prima cosa che mi è venuta in mente, leggendo la nota, è stata la parola “PRIMA”. Secondo me era messa al posto sbagliato.

Ad Antonio piaceva la letteratura e piaceva scrivere… quindi perché scrivere “dovrai cercare prima di diventare perfetto” quando suonerebbe meglio “dovrai prima cercare di diventare perfetto”? Qui ho scoperto il gioco di parole. La frase non va interpretata, come invece sembrerebbe, ma va letta così come è, dividendo opportunamente: “per accendermi, dovrai cercare/ prima di / perfetto”. “diventare perfetto” diventa quindi un complemento di luogo: non è qualcosa a cui ambire, ma, propriamente, il luogo in cui cercare.

A questo punto, sapendo che Antonio conosceva il greco, l’enigma è pressoché risolto. Il perfetto è infatti un tempo verbale greco, e “diventare”, ghighnomai, è anch’esso un verbo estremamente comune, e molto conosciuto dagli studenti, a causa di alcune particolarità nella sua coniugazione.-

Finalmente le dita della dottoressa si fermarono su una pagina.

-Il perfetto di ghighnomai è ghegona ma, come vede,- e puntò un dito al centro della pagina. Devon non conosceva né il greco né tanto meno l’italiano, e quindi non vide un bel niente, ma preferì non interrompere Alice: il ragionamento filava -sul vocabolario non è presente: infatti tutti gli studenti lo conoscono a memoria, ed esso è riportato solamente sotto la voce ghighnomai, alla sigla “pf”, “perfetto”.-

Sfogliò ancora le pagine, con una calma che il giovane quasi ritenne esasperante, fino ad arrivare alla pagina che presumibilmente conteneva il verbo ghighnomai.

-Come vede, avevo ragione, ecco qui il nostro ghegona . A questo punto, il messaggio è ancor più chiaro: “Dovrai cercare prima di 'diventare' perfetto”. Anche un bambino lo capirebbe.

La parola immediatamente prima di ghegona è eghenethen, preceduta dalla sigla “a. in forma p.” aoristo in forma passiva. Ora, se la mia supposizione è esatta ci basterà cercare il nostro eghenethen e...- e lasciò la frase in sospeso, mentre le mani incartapecorite si muovevano con lenta sicurezza fra le pagine del vecchio tomo.

Si fermò finalmente, ed indicò un parola nella seconda colonna della pagina di sinistra. Con aria di assoluta indifferenza, disse finalmente.

-Ecco la vostra password.-

D’istinto, Devon si sporse per osservare meglio la parola indicata dall’anziana. La scarsa illuminazione e le pagine ingiallite di certo non facilitarono la cosa, e, si rese conto solo in un secondo momento che, comunque, tutti i propri sforzi erano vani, non conoscendo greco né italiano e, soprattutto, non avendo mai consultato un vocabolario cartaceo. Soprattutto, si rese conto che lì c’era solo un ammasso incomprensibile di lettere. E lui cercava numeri.

-Ci deve essere un errore, dottoressa- disse, quasi imbarazzato dal fatto che l’anziana avesse commesso uno sbaglio così grossolano –La password è numerica.-

Alice rispose con aria delusa, quasi scocciata.

-Suvvia, giovanotto… le ho detto che mi sembra sveglio, non mi faccia rimangiare le mie stesse parole!-

Devon ci mise ancora mezzo minuto per notare il numero della pagina. Si diede una pacca sulla fronte, stupito della sua stessa incapacità.

Imprecò in spagnolo, la sua lingua madre. Alice non capì, o fece finta di non capire.

532.

-Dios! Que ajilipollado que soy! Ma come ha fatto?-

Alice sorrise. Il taglio della bocca era a metà fra il gentile e lo spavaldo.

-Ho usato la testa ragazzo mio. E questa è una cosa che nessun decodificatore può fare-

Dopodiché gli puntò un dito contro, la sua faccia si fece poi immediatamente più dura –Badi bene: l’ho aiutata solo perché Antonio la aveva in grande stima. Non mi faccia pentire di questa scelta-

Devon era semplicemente troppo stupito per rispondere. Quella vecchia, una personalità “socialmente improduttiva”, stando alla definizione della Costituzione, aveva risolto in cinque minuti quello che il miglior Dipartimento di Fisica del Globo non era riuscito a risolvere in cinque giorni. E l’aveva fatto con un’aria di sufficienza mostruosa.

Cadde un silenzio tombale. Fuori dallo studio, persino il vento sembrava essesi fermato per un istante, a sottolineare il momento.

-Le… le faremo avere un pagamento quanto prima – riuscì solo a dire, dopo attimi interminabili.

-Come le ripeto, i soldi non mi interessano: se proprio volete darmi qualcosa, gradirei un paio di generatori eolici WPE240. Da quello che mi dicono sono gli unici affidabili, ma li producono solo in Messico: e qui, fra dogana, trasporto e speculazioni, arrivano a prezzi esorbitanti.

Come sente, qui il vento non manca: sarebbero estremamente comodi: accesi tutto il giorno, eviterebbero a me e alla mia domestica di alzarci alle quattro per scoprire i generatori fotovoltaici.-

Devon accese il palmare e segnò le richieste della donna. Picchettò nervosamente con le dita sullo schermo, spazientito, come se potesse in quel modo acceleare la procedura di attenzione.

-Certamente. Non mancheremo.- disse, nel frattempo, e finalmente aggiunse -Grazie. Grazie mille-

In seguito, la ringraziò ancora per qualche decina di volte: riusciva a stento a contenere l’eccitazione. A breve avrebbero potuto riprendere le ricerche.

Si trattenne ancora qualche minuto, per non risultare scortese, parlando del più e del meno, anche se gli argomenti di conversazione in comune erano effettivamente pochi, e i suoi tentativi di iniziare un dialogo erano notevolmente ostacolati da questa incomunicabilità. Inoltre, non vedeva l’ora di andarsene per poter dare la notizia ai suoi superiori.

Quando finalmente si alzò congedandosi e stringendo nuovamente con delicatezza la mano della donna, non poté trattenere la curiosità, e le chiese:

-Se non sono inopportuno, potrei chiederle di togliermi una curiosità?-

Alice fece spallucce:

-Dipende dalla curiosità…-

-Quella gran quantità di documenti salvati sui dischi che il Dottore le ha lasciato in eredità… di che si tratta?-

Era una domanda che tutti si ponevano al dipartimento fin dal giorno della lettura del testamento: e il commento della donna all’inizio della sua conversazione non aveva fatto che aumentare la sua curiosità. Probabilmente si trattava di dati personali, e la domanda forse non era discreta, ma non aveva saputo trattenersi.

Alice, dal canto suo, non parve turbata. Rispose quasi subito.

-Oh… quelli? Sono racconti-

Devon apparve stupito. Mai aveva sentito parlare il suo superiore di racconti. Era solito fare citazioni letterarie, certo, ma tutti erano convinti che fosse solo un vezzo un po’ sofisticato di uno scienziato di altri tempi.

-Racconti?-

-Si, certo. Molti… circa un centinaio. Più sei romanzi e un numero imprecisato di poesie. Anche qualche file musicale, ma quelli avranno almeno sessanta anni e per questo non credo siano validi: la letteratura è sempre più o meno la stessa, ma la musica segue le mode.-

Devon sembrava non capire, così Alice continuò.

-Vede, durante la grande Crisi Energetica, io e Antonio ci eravamo appena trasferiti in Messico. E per fortuna: l’Italia diventò un inferno nel giro di qualche mese. Ma non è questo il punto.

Lei saprà che dopo la Crisi, il governo dell’Unione Centroamericana redasse la Nuova Costituzione. Fra gli altri articoli, era particolare il numero ventitré: esso sanciva che ogni individuo socialmente improduttivo avrebbe dovuto pagare delle tasse esorbitanti. Come lei saprà, un individuo socialmente improduttivo è una persona che non contribuisce, direttamente o indirettamente, alla produzione o alla conservazione dell’energia o comunque del bene comune. Questa categoria include letterati, musicisti, artisti, psicologi, disoccupati, alcuni professori, commercianti di beni di lusso e un altro imprecisato numero di professioni. Molti, per questo, emigrarono. Così feci io e mi trasferii in Africa.

All’epoca, Antonio, che pur aveva già redatto un discreto numero di scritti, non pubblicati a causa delle grandi incertezze economiche del periodo, preferì (come d’altronde avrebbe fatto qualsiasi persona di buon senso) il certo all’incerto, continuando a lavorare per il Dipartimento, che lo aveva appena assunto, e rinunciando momentaneamente alla pubblicazione dei suoi lavori.

Ma la crisi è stata risolta solo parzialmente: il ventitreesimo articolo è tuttora in vigore, e, anche se il suo lavoro al dipartimento gli avrebbe evitato il pagamento delle tasse straordinarie, non gli è stato possibile pubblicare i suoi lavori in vita: avrebbe perso di credibilità, a causa della costante “propaganda di produttività” che il governo centroamericano continua a fare.

Non per questo si è perso d’animo. Ha continuato a scrivere, e mi ha chiesto personalmente di curare la pubblicazione dei suoi lavori dopo la morte.- sorrise, amara –è stato fortunato che questa vecchia pellaccia sia stata più resistente della sua.- si guardò le mani, pensierosa -L’unica altra persona a cui aveva chiesto questo favore, il suo amico Giorgio, è morto tre anni fa.-

Devon non commentò. Quella sera aveva scoperto talmente tante cose impensabili riguardo al suo mentore che, chissà perché, questa cosa non lo stupiva affatto.

Sorrise un'altra volta, mormorando -capisco-, e ringraziò per l'ennesima cortesia.

Diede un ultimo saluto all'anziana, e la fissò ancora qualche istante, per cercare di capire se nascondesse ancora qualcosa dietro quegli occhiali. Senza esito.

Quando uscì dal gazebo, il vento caldo del nord, che aveva ricominciato ad ululare, lo investì in pieno. La cravatta gli svolazzò per qualche istante dietro la spalla, a mo di bandiera, e fu costretto a percorrere la strada fino al cancello con il braccio destro all'altezza degli occhi, a causa di una fastidiosa nuvola di polvere portata chissà da dove.

Mentre usciva dal cancello della villetta vide dietro i vetri del gazebo Alice che spingeva la sua sedia a rotelle verso l’uscita. Poi la luce all’interno della costruzione si spense, e non distinse più la sagoma dalle ombre della notte. Probabilmente ora si stava dirigendo verso la costruzione principale per andare a dormire.

L’autista aspettava Devon giusto fuori dal cancello. Stava sonnecchiando quando il giovane bussò ai vetri dell’auto elettrica. Quello si svegliò e mise in moto il silenziosissimo motore, mentre lo scienziato si accomodava sul sedile posteriore.

Il viaggio verso l’aeroporto sarebbe durato ancora un’ora. Forse due, se si fossero fermati a fare rifornimento, e gli avvenimenti della serata erano stati inaspettati: ancora l’eccitazione si faceva sentire, e si rese conto che sarebbe stato impossibile cercare di sfruttare il viaggio verso l’aeroporto per recuperare ore di sonno.

Accese il palmare e cominciò, sfruttando la connessione via satellite, a navigare a caso su internet. Era sul sito della Autoamerica, guardando le foto di una splendida spider verde bottiglia, quando su una colonna laterale, vide la pubblicità di un sito per la vendita online di libri. Non esitò ad aprire il link.

D’istinto, andò a cercare fra gli autori il nome di Alice Pezzia. Ad esso erano associati un discreto numero di romanzi, di cui solo due, sfortunatamente, tradotti in lingua spagnola.

Di questi due, aprì la scheda di uno a caso. Subito gli comparve davanti la copertina (anche se “copertina” era un termine inesatto: i libri non venivano più stampati da decenni) e una breve recensione. Il titolo del libro era “Lettere dalla Bocca del Lupo”.

A giudicare dall’immagine (Un paesino rurale vicino ad una baia: in primo piano c’era una di quelle vecchissime automobili dalla forma improbabile) doveva essere un romanzo storico, ambientato verso la prima metà del novecento, tuttavia Devon non lesse la recensione, e non guardò neppure il numero di stelline, in fondo, che indicava se l’acquisto era consigliato o meno dal recensore.

Semplicemente, pensò: “perché no?”, e spostò il cursore verso il pulsante che confermava l’acquisto ed il pagamento online.

Dopodiché, iniziò il download.

  
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