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Autore: kristyblue    24/04/2015    2 recensioni
[Labyrinth/The Santa Clause crossover + altri]
Comincia tutto con una sfida, una scommessa fatta quasi per scherzo. Ma quando la figlia del Re dei Goblin e della Campionessa del Labirinto affronta Jack Brina, istrionico signore dei ghiacci, per decidere a chi spetti il trono di Jareth, la situazione degenera rapidamente in uno scontro che rischia di travolgere l'esistenza stessa del Labirinto e delle Creature Fantastiche di tutto il mondo. Ancora una volta Sarah e Jareth dovranno affrontare imprevisti e pericoli alla luce del sentimento di giocosa rivalità che li unisce, e contemporaneamente destreggiarsi nel non facile ruolo di genitori di una figlia ormai cresciuta, che ha ereditato la testardaggine di Sarah, l'astuzia di Jareth e la refrattarietà di entrambi a farsi comandare a bacchetta... Un crossover fra Labyrinth e la saga di Santa Clause con Tim Allen (sopratutto il terzo film, "Santa Clause è nei guai", anche se lo precede cronologicamente - è ambientata poco dopo che Scott Calvin è diventato Babbo Natale, quindi subito dopo il primo film), "contaminato" però anche con altri film come "Polar Express", "SOS Befana" e i romanzi della serie di Artemis Fowl.
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jareth, Nuovo personaggio, Sarah, Toby
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Questo capitolo partecipa alla challenge "La sfida dei duecento prompt" di kamy.
Prompt 12- Angoscia


Al termine del ballo, dopo che anche l’ultimo ospite si era congedato, Sarah rimase a lungo ad aggirarsi per il castello come una sonnambula.

Jareth doveva aver intuito il suo stato d’animo, e si era prudentemente tenuto alla larga. In quanto a Trisha, lei di certo aveva altro per la mente. Meglio così; in quel momento Sarah non se la sentiva di vedersi intorno nessuno dei due. Aveva bisogno di stare da sola. Calmarsi. Rimettere ordine nel groviglio turbinoso dei suoi pensieri e delle sue emozioni.

Le sembrava di impazzire. Una parte di lei avrebbe voluto urlare, piangere, colpire qualcosa, ma nello stesso tempo si sentiva anche svuotata e priva di forze. E si odiava per quelle sue stupide debolezze da essere umano! Perché non riusciva ad affrontare la situazione con distacco? Dov’era finito il suo sangue freddo, ora che ne aveva bisogno? Detestava sentirsi così angosciata e indifesa, mentre lavita della sua famiglia era sul punto di disintegrarsi.

Concentrati, Sarah! Rifletti! Dev’esserci un modo per uscire da questo… questo ginepraio!

Le parole di Jareth continuavano a risuonarle nella mente, implacabili.

“Il Labirinto sceglie da sé il successore del suo sovrano. Il destino del sovrano che viene sconfitto è nelle mani del vincitore.”

Sconfitto… al solo pensiero le si serrò lo stomaco.

Come poteva il Labirinto chiederle di scegliere fra suo fratello e suo marito? Fra sua figlia e suo fratello? Fra suo marito e sua figlia?

Perché era di quello che si trattava; a Sarah era bastata un’occhiata all’espressione di Jareth per capirlo.

In tutti quegli anni si era illusa che fuggire fosse la soluzione ai suoi problemi. Aveva fantasticato di vivere con la sua famiglia nell’Underground, al riparo dalle leggi che governavano il destino dei mortali. Jareth glielo aveva lasciato credere, ma in cuor suo doveva aver sempre saputo come stavano le cose. Perché non glielo aveva mai detto? Forse non voleva metterla di fronte alla verità prima che non fosse assolutamente necessario… ma conoscendo suo marito, era più probabile che avesse solo voluto evitare delle inutili discussioni. In un altro momento Sarah se la sarebbe presa, ma ora non aveva neppure la forza di arrabbiarsi con lui.

Si sentiva… tradita. Ecco la parola giusta. Il Labirinto l’aveva ingannata, e adesso le presentava il conto dei suoi sogni.

No, dannazione! Non era per questo che aveva rinunciato alla sua vecchia vita da mortale! Doveva esserci un modo per risolvere tutta la faccenda. Toby e Charlotte avrebbero potuto vivere in qualche altro luogo dell’Underground che non fosse per forza la città di Goblin… un posto abbastanza lontano dall’influenza del Labirinto, insomma. E per quanto riguardava Jareth e Trisha, poteva escogitare qualcosa per tenerli alla larga l’uno dall’altra. Magari non avrebbe funzionato per sempre, ma almeno per un po’ sì.

Stai solo rimandando l’inevitabile, Sarah…

Da quando la voce dei suoi pensieri assomigliava così tanto a quella di suo marito? Si chiese se Jareth non la stesse osservando da una sfera, e se quel sussurro non provenisse davvero da lui. Poteva quasi vederlo sorridere mestamente, scuotendo la testa in quella modo accondiscendente che le aveva sempre dato ai nervi.

Più di ogni altra cosa, era stata l’amarezza nel suo sguardo a coglierla di sorpresa. Le aveva riportato alla mente il loro scontro nella Stanza di Escher, quando Jareth le si era parato di fronte e l’aveva tentata di nuovo, per l’ultima volta. Aveva recitato il suo ruolo fino in fondo, ma stancamente, senza ostentare più alcuna baldanza, ormai rassegnato alla sconfitta.

Quella sera, dopo molti anni, Sarah aveva visto nei suoi occhi la stessa espressione, e si era sentita mancare il terreno sotto i piedi.

Lo sa. Sa che qualunque cosa io faccia, non sarà abbastanza. Sa che non riuscirò a impedire a lui e a Trisha di battersi. Sa che Toby…No, maledizione, no! No! Non m’importa se è così che vanno le cose, da queste parti! Io non lo accetto. Non lo accetterò mai!

Alla fine, stremata e in preda all’angoscia, se ne tornò nelle sue stanze. Didymus, che come al solito montava la guardia, le si fece incontro sollecito. Era piccolo, e assomigliava a una via di mezzo fra uno scoiattolo e una volpe che camminasse eretta sulle zampe posteriori.

“Milady, c’è qualcosa che vi turba?”, chiese, con i folti baffoni frementi.

Sarah si sforzò di sorridere.

“Non riesco a nasconderti niente, vero, Didymus?”

“Ohibò! Deve trattarsi di faccenda alquanto grave, lo intuisco dallo sconforto nei vostri occhi! Desiderate che informi il vostro regal consorte?”

“No. Lui non… posso parlare con te, invece?”

Il minuscolo cavaliere si esibì in un inchino assurdamente profondo.

“Sempre al vostro servizio, Milady!”

“Senti… che cosa sai della successione dinastica, qui nell’Underground?”, chiese Sarah, inginocchiandosi accanto a lui. “Prima, al ballo, Jareth mi ha accennato qualcosa. Ma come funziona, esattamente?”

Ebbe l’impressione di scorgere qualcosa di molto simile alla compassione balenare nei piccoli occhi brillanti di Sir Didymus. Subito dopo però il cavaliere si raddrizzò l’armatura, arruffò la coda e, dopo essersi schiarito la voce, esordì in tono d’importanza;

“Ordunque… la tradizione stabilisce che qualora un contestante si palesi al sovrano in carica, ambedue siano tenuti a misurarsi a singolar tenzone, non all’arma bianca come è d’uopo fra cavalieri, ma avallandosi delle rispettive abilità magiche. Giostrare in siffatta maniera richiede un’impressionante velocità di riflessi, onde evitare che lo sfidante faccia appello alla magia del Labirinto prima dell’attuale reggente.”

“Cosa vuol dire?”, mormorò Sarah. “Il Labirinto può scegliere da che parte stare?”

“No, Milady. Il Labirinto non interferisce nella tenzone; si limita a rispondere in egual misura a entrambi i contestanti. Per codesta ragione ciascuno sfidante è tenuto a primeggiare in astuzia e imporre la sua volontà al tessuto magico del Labirinto, onde evitare che l’avversario faccia altrettanto.”

Sarah deglutì nervosamente. Era fin troppo facile immaginarsi Jareth e Trisha alle prese con il combattimento descritto da Didymus. E se lei avesse dovuto schierarsi…

“Non c’è un modo per evitarlo?”, implorò. “Cosa succede se uno sfidante rifiuta di battersi?”
 
Didymus scosse il capo, dispiaciuto.

“La magia insita nel Labirinto, la stessa essenza che scorre nelle vene degli sfidanti, continuerebbe inesorabilmente a sospingerli verso il conflitto.” I suoi baffi tremarono leggermente. “Di certo ricorderete, milady, la determinazione che provaste  quando la nostra compagnia di fratelli d’arme assaltò la fortezza del vostro regal consorte.”

“Certo che mi ricordo. Non potevo lasciare che mio fratello…” Sarah si voltò a guardarlo, socchiudendo gli occhi verde pallido. “Mi stai dicendo che per Trisha è la stessa cosa? Che nostra figlia non avrà mai pace, finché io e suo padre regniamo sulla Città di Goblin?”

A disagio, Didymus cincischiò con l’enorme piuma che decorava il suo berretto da moschettiere.

“Non volevo insinuare che la vostra regal erede…”

Sarah rifletté per un attimo. “E se io non volessi più… voglio dire… se mi facessi da parte? Un sovrano può abdicare?”

“Non credo che una simile eventualità si sia mai verificata, Milady”, rispose Didymus, battendo le palpebre, sorpreso. “Non dacché ho memoria…”

“Be’… vuol dire che lancerò una moda”, ironizzò lei. “E poi a me non importa niente di queste storie di dinastie e successioni. Mi accontento anche di vivere come una qualunque suddita. Se Trisha vuole regnare al posto mio, per quanto mi riguarda può accomodarsi. E almeno così lei e Jareth non…”

Negli occhi di Didymus scorse di nuovo quell’espressione compassionevole. Malgrado tutto, la infastidì.

“Che c’è, Didymus? Ho detto qualcosa che non va?”

“Oh, Milady, io non vorrei che voi poteste rimpiangere la vostra scelta…”

“Non la rimpiangerò, stai tranquillo. Te l’ho detto, non mi importa di regnare sul Labirinto… o sulla città di Goblin… o su tutto quanto l’Underground. La mia famiglia e i miei amici vengono prima di tutto”, concluse Sarah, dandogli un buffetto affettuoso sulla testa. Poi si alzò stancamente da terra.

“Avete intenzione di ritirarvi nei vostri alloggi, Milady?”

“No, non sono stanca.” Aveva ancora troppa adrenalina in circolo, ora che l’angoscia aveva un po’ allentato la presa. “Penso che farò un salto da mio fratello, nell’Aboveground. Se vedi Trisha, mentre sono via, puoi dirle che le voglio parlare?”

“Ogni suo desiderio è un ordine, Milady”, rispose Didymus, scattando sull’attenti.

“Grazie. Non so come farei, senza di te.” Stavolta lei riuscì a sorridergli con più convinzione. Entrò nella sua stanza, andò alla finestra e la spalancò. Il labirinto, alle pendici del castello, era avvolto nella solita immutabile foschia dorata, uguale a sé stessa in in qualunque momento del giorno e della notte… non che nell’Underground ci fosse una vera distinzione fra il giorno e la notte, naturalmente.

Non le sarebbe mancato, vivere al Castello. Aveva suo fratello, sua cognata, i suoi amici, la sua bambina (come si sarebbe infuriata, Trisha, a sentirsi chiamare così!). Aveva Jareth. Non le serviva nient’altro.

Ma mentre lasciava che il vento la sospingesse fuori dalle mura del Castello, in un turbine di piume candide, per un attimo avvertì ancora un vago senso di inquietudine, l’ombra di una minaccia senza nome, in agguato negli angoli più remoti della sua mente.  
  
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