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Autore: Cyber Witch    27/04/2015    2 recensioni
Non avrebbe cambiato molto la vita di qualcuno sapere che, da qualche parte, esisteva Maud Bauer, nata diciassette anni prima nella grande Amarantopoli e nominata dopo un personaggio di un libro che la madre aveva letto al terzo mese di gravidanza.
E se ti chiedessi di dirmi il significato di forse?
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Videogioco
- Questa storia fa parte della serie 'L'essenziale è invisibile agli occhi '
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Quel giorno in cui Dio decise di prendersi una vacanza
– la storia di una persona poco importante –










 
 
La vita di Maud non era mai stata una meraviglia, ma non se ne lamentava. Era una persona piuttosto mediocre, non aveva buone qualità e se ne aveva venivano tutte cancellate dal caratteraccio con il quale era nata. Un suo conoscente le aveva detto che il carattere si poteva cambiare, ma Maud non gli credeva. O meglio, pensava che il cambio fosse possibile, ma non totale e, di sicuro, se anche fosse cambiata non sarebbe riuscita a cancellare il suo carattere tutt’altro che amabile.
Maud era una ragazza giovane, non la più sveglia di tutte né la più simpatica.
Maud era una di quelle persone che non importava se la incontravi o no. Non avrebbe cambiato molto la vita di qualcuno sapere che, da qualche parte, esisteva Maud Bauer, nata diciassette anni prima nella grande Amarantopoli e nominata dopo un personaggio di un libro che la madre aveva letto al terzo mese di gravidanza.
Una volta la nonna le aveva detto che Dio donava a tutti un talento particolare, Maud ci aveva sperato, aveva davvero sperato che il suo talento potesse essere qualcosa come il canto od il disegno.
Ora, Maud, pensava che il suo talento fosse quello rischiare di morire senza farlo davvero.
Amarantopoli era nota per le sue tradizioni ed i suoi fantasmi. Maud avrebbe desiderato diventare uno di loro.
La vita di Maud non era mai stata particolarmente felice, ma nemmeno troppo triste. Attimi di felicità venivano alternati ad altri terribilmente tristi, il caratteraccio di Maud, però, registrava solo quelli brutti.
La morte della sorella in un incendio.
Il fratello in coma etilico.
I genitori che minacciavano di divorziare, ma che non lo facevano mai.
La prima volta che aveva rischiato di rompersi il collo.
Il primo pestaggio da parte dei bulli.
Maud pensava che fossero cose che tutti avrebbero affrontato nella vita, non se ne faceva un problema così grande.
Certo, delle volte le veniva voglia di piangere e, seduta sull’ultimo sedile dell’autobus, le lacrime scendevano silenziose, per poi venir subito asciugate da un sorriso.
Il problema di Maud era che, nonostante fosse triste, sorrideva. Poteva non sembrare un problema, ma per la ragazza era frustrante. Anche quel giorno, quel giorno nel quale tutto le crollò sotto i piedi, sorrideva.
Stava camminando tranquillamente per le vie di Amarantopoli, le nuvole bianche coprivano il sole ed era una giornata fresca di inizio ottobre. Le foglie rosse erano ammucchiate ai lati dei marciapiedi e vedeva i bambini che tornavano da scuola saltarci sopra con gli zaini sulle spalle.
Avvolta nel suo cappotto verde camminava verso il bar che era solita frequentare il mercoledì pomeriggio, dove prendeva un tè al gelsomino, pagava e se ne andava.
Nessuno l’accompagnava, solamente un piccolo Natu, che Maud aveva rinominato Hilbert, la seguiva.
O per meglio dire, Hilbert si faceva portare in braccio da Maud fino al bar, dove poi si appollaiava sulla sedia davanti a quella della ragazza e dormiva.
Quel pomeriggio era tutto normale, come al solito. Maud aveva Hilbert in braccio, gli stivali scamosciati e i jeans attillati, il sorriso sul volto, anche se non sapeva perché, e il naso che quasi congelava.
Maud era sempre stata timorosa, aveva paura di tutto e stava attenta ad ogni cosa, sistemando i bicchieri al centro della tavola per evitare che cadessero e mettendo tanto nastro adesivo quando doveva aggiustare qualcosa.
Per questo quando Maud attraversò la strada senza guardare le sembrò quasi giusto che quella macchina non si fosse fermata.
Sì, era proprio giusto. Maud non pensava potesse andare diversamente. Se non guardavi a destra e a sinistra prima di traversare allora venivi investito, non riusciva proprio a trovare qualcosa di sbagliato in quel ragionamento.
Ma Maud aveva quel talento, quello strano talento di trovare la morte ma non seguirla mai.
Fu anche per quello che Maud non si stupì del fatto che Hilbert avesse quasi compresso come una lattina con un attacco Psichico  il muso della macchina e non si stupì nemmeno di veder scendere il conducente scusandosi con la ragazza per come stava correndo.
Maud sorrise, dopotutto lo faceva sempre, non aveva senso non farlo anche in quel momento, e scosse la testa.
Va tutto bene gli aveva detto, mentre in realtà non andava per niente bene e il cuore di Maud ancora batteva all’impazzata.
Hilbert era fra le sue braccia, la sua solita espressione neutra e apatica, nessun movimento che avesse potuto lasciare intendere qualche turbamento.
Era tutto normale, un classico mercoledì pomeriggio di inizio ottobre.
Quando raggiunse il bar si sedette al solito tavolo, togliendosi il cappotto verde e ravvivandosi i capelli castani con la mano sinistra.
Decise che era meglio legarli in una coda e così fece, Hilbert  aveva trovato posto sulla sedia davanti alla sua.
Il tè al gelsomino giunse come al solito, in una tazza di ceramica semplice e bianca.
Lo bevve, godendosi il tepore del bar sulle sue guance arrossate.
Hilbert aprì gli occhi, osservandosi attorno in maniera circospetta, come se stesse aspettando qualcosa. Poi tornò a dormicchiare, spiumandosi prima di accoccolarsi di nuovo sulla sedia.
Maud pagò, infilandosi il resto in monete nelle tasche. Il Natu svolacchiò per quel poco che riusciva, tornando fra le braccia della ragazza.
«Andiamo da Joshua, in ospedale» lo avvertì, uscendo dal bar.
L’ospedale di Amarantopoli era al centro della città, non molto distante dal Centro Pokémon.
Lo raggiunsero in fretta, era una struttura vecchia, gli interni erano ancora gli stessi di quando era stato costruito, nonostante i macchinari che avevano fossero all’avanguardia.
Joshua era un suo amico e lavorava come infermiere, solo prelievi del sangue e cambi di coperte niente di più, ma era il miglior lavoro che avesse potuto trovare.
Maud entrò nell’edificio, percorrendo un lungo corridoio che dava sul giardino interno, pieno di aceri dalle foglie rosse.
Arrivò fino ad una saletta d’attesa, dove poche persone leggevano annoiate qualche giornale di gossip.
Si sistemò meglio Hilbert in braccio ed entrò nella sala dove l’amico era seduto a bere del caffè assieme ad una collega.
«Ciao Maud» salutò il ragazzo, buttando via il bicchierino di plastica.
Anche la sua collega la salutò, continuando a bere il suo caffè.
«Oggi sono quasi stata investita» avvertì, sedendosi con il Pokémon in grembo.
Joshua si voltò, leggermente preoccupato.
«Ah sì?»
«Già, sono arrivati gli esiti?» domandò, come se avesse appena detto di essere andata a fare la spesa e non che una macchina quasi l’aveva travolta.
«Ecco, a proposito...» il ragazzo iniziò tentennando, facendo capire subito che qualcosa non andava bene.
«Capisco» Maud non disse altro, sorridendo. Sorrideva sempre, perché avrebbe dovuto smettere di farlo anche ora?
«Maud...»
Va tutto benedisse anche quella volta, mentre in realtà non andava bene per niente ed una terribile amarezza aveva iniziato a prendere posto nel suo cuore.
«Vuoi vederli...?» chiese il ragazzo.
«Non ci capirei comunque molto, grazie»
Maud rimase ancora un po’ in ospedale, parlando con Joshua del più e del meno, dimentica di ciò che aveva appena sentito.
Il suo piccolo mondo fatto di sorrisi e lacrime si stava pian piano sgretolando, probabilmente era quello che doveva pagare per trovare sempre la morte, ma non seguirla mai. Gli esiti degli esami erano per sua madre, quella che sembrava mononucleosi non lo era e Maud non capiva cosa stesse succedendo, come mai tutto così all’improvviso.
La nonna le aveva detto che una volta che la morte chiamava non si poteva ingannarla, eppure Maud faceva quello dal giorno in cui era nata.
Sopravviveva e anche se alla fine la cercava poi in qualche modo la rifuggiva sempre, la morte.
Vi sembrava quasi allergica. O forse, pensava, la morte l’aveva trovata da tempo, stava solamente aspettando il momento giusto per farsi vedere.
Forse sarebbe morta dalle troppe risate, una morte stupida. Forse l’avrebbe uccisa Hilbert, non lo sapeva, poteva solo fare supposizioni.
Forse forse forse forse forse.
Ma mai qualcosa di certo.
La vita di Maud era tutto un forse.
Alla ragazza piaceva, questo, perché quella parola non aveva significato. Nessuno sapeva cosa forse fosse.
Bene? Male? Nessuno.
“Solo Dio!” avrebbe detto la nonna, ma la nonna non c’era e con Dio non aveva mai parlato.
Quando uscì dall’ospedale erano le sei di sera, aveva freddo.
Hilbert si era accoccolato fra le sue braccia, brontolando un po’.
«Cosa c’è, piccolino?» domandò la ragazza, abbassando lo sguardo verso il Natu.
Il Pokémon non disse niente, semplicemente rabbrividì, osservando il cielo plumbeo.
Guardò Maud, gli occhietti neri resi piccoli dal sonno ed il becco serrato.
Una piccola palla verde fatta di misteri e grasso superfluo, pensava Maud.
La castana scrollò le spalle, camminando verso casa.
Era un appartamento vicino al Teatro di Danza, di sera riusciva a sentire gli strumenti tradizionali suonare e le giovani geishe cantare e ballare.
Aprì la porta, la richiuse e salì le scale. Gli stivali che battevano contro il marmo della scalinata.
Il condominio era silenzioso, nessun figlio del vicino che gridava e nessuno fratello che dormiva sul divano, ubriaco.
Nessun padre che si arrabbiava con il fratello ubriaco, nessuna madre che piangeva perché il padre urlava.
Nessuna sorellina morta, nessuna voglia di scomparire.
Solo lei e Hilbert. Probabilmente c’era anche la nonna.
Quando si chiuse la porta dietro posò Hilbert per terra. Il Pokémon zampettò fino alla stanza vicina, dove il rumore della televisione proveniva.
Sì, anche la nonna c’era.
Maud si tolse il cappotto e gli stivali, entrando in salotto, dove la nonna stava guardando un programma di attualità.
«Ciao» salutò, sedendosi al fianco dell’anziana.
«Tesoro, è successo qualcosa oggi?»
«Uhm... mi hanno quasi investita e... – ci pensò un po’ – la mamma forse non torna ancora a casa»
«Capisco. Dove ti hanno quasi investita?»
«Davanti al bar»
«Non devi sfidare la sorte, tesoro»
Maud scrollò le spalle, portandosi le gambe al petto.
«Non lo faccio, nonna. Sembra quasi che la morte ce l’abbia con me»
«Dio dona un particolare talento–
«A tutti noi, lo so, lo so» concluse la ragazza, osservandosi le dita dei piedi.
Hilbert era sparito in cucina.
«Nonna?»
«Dimmi, tesoro»
«Qual è il tuo talento particolare?»
«Quello di dare buoni consigli, Maud»
«Ed in questo momento che consiglio mi daresti?»
«Quello di non smettere di sorridere, mai»
Maud chiuse gli occhi, muovendo le dita dei piedi, rinchiuse nella stoffa delle calze grigie.
«Dio può togliere questo talento speciale, secondo te?»
«Magari può succedere qualcosa che lo scombussola, ma non penso che Dio voglia togliere quel talento»
«E se Dio si stufasse?»
«Allora prenderebbe una vacanza e tutto per un po’ seguirebbe le leggi del caos»
«Non le segue già?»
La nonna rise, voltandosi verso la nipote.
I capelli canuti erano riccioluti e aveva un maglione di lana color crema, le mani raggrinzite posate in grembo.
«Ti sembra forse che la macchina che ti stava quasi per investire oggi fosse passata per caso?»
Maud scrollò le spalle, fuori il sole iniziava a tramontare.
Forse, pensò.
«Nonna»
«Sì?»
«Chi è Dio?»
«Perché non glielo chiedi proprio tu?»
«E come faccio?»
L’anziana scrollò le spalle, dondolandosi un po’ sulla poltrona.
«Magari Dio è qualcuno che conosci»
«Nonna, tu sei Dio?» Maud non si aspettava una risposta, in realtà. Aveva posto quella domanda per pura curiosità e le sembrava sensato, pensando che la nonna fosse terribilmente vecchia e sapesse tutte quelle cose.
«Potrei porti la stessa domanda»
«Io non sono Dio» disse, sicura, alzando lo sguardo serio verso la donna.
La nonna sorrise, spegnendo la televisione e voltandosi verso la ragazza.
Hilbert tornò in salotto, avvicinandosi a Maud, che lo prese in braccio per posizionarlo sulle sue gambe, accarezzandogli il piumaggio verde.
«Maud?» la nonna chiamò la ragazza, rompendo il silenzio che s’era creato fra le due.
La castana alzò lo sguardo dal Pokémon, osservando la vecchia.
Aggrottò le sopracciglia, guardando l’anziana sorriderle gentilmente.
«Hai mai sentito di un Dio che muore?»
Oh.



















 

.:.Cyber-spazio.:.

Ho inserito tematiche delicate poiché il racconto a tratti è drammatico, niente di che, ma comunque ha come tema princpale Dio e per sicurezza l'ho inserito.
Se qualcuno di voi non gradisce questa scelta mi dispiace, ma non penso proprio che Dio si offenda perché l'ho citato in una fanfiction, considerando che scrivono cose ben peggiori su di lui.
Detto questo vi saluto.
Un inchino,
Cy.
  
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