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Autore: Amaya Lee    28/04/2015    2 recensioni
[ KuroKen / PWP / nota AU - Kenma e Kuroo hanno più di un anno di differenza ]
Se il "per sempre" fosse un oggetto, sarebbe una candela che brucia.
Salgono insieme sul primo taxi che trovano, stretti l'uno all'altro sulla destra dell'abitacolo fumoso. Kuroo, sfregando il pollice sul tessuto leggero che cela la spalla del più giovane, indica al tassista il nome di un motel vicino. L'uomo al volante si volta e Kenma chiude gli occhi, premendo la tempia sulla maglietta di cotone del maggiore. Odora di una città diversa, di persone nuove.
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Kozune Kenma, Tetsurou Kuroo
Note: AU | Avvertimenti: PWP
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NA: la smetterò mai di scrivere KuroKen? Ah, eterna incognita. Io spero solo che alla gente non dispiaccia, poi vabbè. Scusate se la os stavolta è un po' senza senso ma è quello che succede quando si attaccano pezzetti di idee insieme - scommetto che a tutti gli autori è capitato almeno una volta... sì, me ne voglio convincere, okay. Semplicemente amo la Dickinson e un Kuroo che conosce la poesia di Baudelaire, per quanto possiate pensare che sia ooc, mi manda fuori di testa, cercate di capirmi. Comunque seriamente, ora, non lascierò in pace questa ship megantastica per un po', e il motivo è che spero di contribuire con dei prompt al kuroken month annunciato su tumblr per il mese di giugno, che è un po' distante ma, ehi, ci si prova? non mi aspetto chissà che per questa os, sinceramente, però se una recensione avete il tempo di lasciarla, non sarò certo io a fermarvi! grazie in qualsiasi caso, see you guys
 





– Candela







 

(Se il “per sempre” fosse un oggetto, sarebbe una candela che brucia.)

 

Sono insieme da quanto? Non si può contare sulle dita di una mano come si fa con gli anni; perché il tempo è tutt'altra cosa.
Erano uniti per sempre già da prima di ritrovarsi nello stesso letto.

Sono insieme ora; forse soltanto questo conta, dal momento che le memorie sono un buon cimelio ma non una buona fuga, e di fughe non ne hanno bisogno.

Si sentono uniti quando il mento di Kuroo è poggiato comodamente sul capo di Kenma, e quest'ultimo si acciambella come d'abitudine tra le gambe del maggiore. Non c'è reazione più semplice e segreta di quella che avviene tra loro, tra anime meravigliosamente incorporee, vicine.

Tra uomini che non si sono mai cercati, prima di trovarsi.

Poi è strano, in un certo senso, come lasciarsi sia doloroso sulla pelle.

 

 

(È considerato bello ciò che è fuori dalla propria portata. È bello perché non può essere raggiunto.)

 

Kenma ha capito da un po' di non amare eccessivamente le cose belle.

Lui non ha il gusto di Kuroo per la “bellezza”; quella che trasudano le mostre d'arte e le scogliere a strapiombo, o i bagnasciuga durante l'aurora; e ancora una poesia composta di pura e concentrata emozione, o la pretenziosa melodia di una canzone d'amore.

A Kenma piacciono di più le filastrocche per bambini, il giardino ghiaioso in cui ogni tanto, nelle torride estati, alza qualche palla, l'odore di spray antibatterico della siepe. E gli piaceva vedere Kuroo che, con la t-shirt sudata e i capelli un casino, passava di fronte a casa sua facendo jogging.

Lui si sedeva dietro la finestra, la testa tra le mani, e lo seguiva con gli occhi senza essere visto.

Kuroo, allora, lo conosceva da poco tempo.

Sono passati da vicini di casa a migliori amici, non si ricorda nemmeno il come.

Sono passati da migliori amici ad amanti un anno fa, e il come stavolta non è importante.

Kuroo gli dice spesso che è bellissimo, con quella sua stupida ed innamorata sincerità che Kenma reputa un po' irresponsabile. Ma se Kuroo gli dice qualcosa lo intende.

Nessuno sa di loro. Kenma preferisce così.

Niente relazioni esplicite, solamente il tenersi per mano quando nessuno vede. Lui non chiede di più, non pretenderà mai di più.

Se questo non è bello, almeno ha il potere di farlo sentire bene; come se mitridatizzandosi per anni ad un veleno, si sia innamorato – assuefatto dello stesso.

 

 

Un sospiro involontario scivola dalle sue labbra, sbiadendo nell'ambiente equatoriale della gigantesca stazione ferroviaria. Chiedendo un passaggio a Kageyama, che si è fatto la patente da pochi mesi, l'ha raggiunta con cinque minuti di ritardo.

L'autunno protende le sue braccia ambrate e strappa le chiome fulgide dai cipressi, soffiando sulla faccia di Kenma l'odore della terra e del tabacco che ingiallisce i denti dei vecchi passanti.

Kenma prende due rampe di scale mobili e cammina veloce, con addosso gli anonimi e sbiaditi pantaloncini di jeans e una blusa color cenere.

Raggiunge il binario e comincia a spostare gli occhi sulla gente che gli storma intorno, chi dirigendosi da una parte, chi da quella opposta, e non incrocia lo sguardo di nessuno.

Ha il fiato un po' corto. Poco male.

Sente la rigidezza sulle sue spalle sciogliersi tutta d'un colpo quando scorge qualcuno aprirsi la strada verso di lui.

Kuroo, e quindi quelli come lui, è intrigante ad un primo sguardo, interessante ad un secondo e assolutamente insopportabile al terzo. La sua essenza superficiale risiede nell'incapacità di lasciare che l'attenzione altrui gli scivoli addosso; non lo sopporta. La personalità di Kuroo è ben altro.

Kenma rilascia un altro sospiro, l'ultimo. Poi si fa avvolgere dalle braccia toniche che non ne vedevano l'ora, lasciate scoperte da una t-shirt del college.

Non si dicono nulla, per il momento. Kenma nasconde il viso nel petto del maggiore, sbuffando di sollievo; Kuroo gli accarezza i capelli, facendo compiere al pollice teneri cerchi sul collo illibato.

«Ciao» gli sussurra nell'orecchio, senza alcun tono particolare. A volte Kuroo è così; incolore, e nella sua sobrietà indecifrabile. Perché con Kenma, alla fine, non ha senso indossare maschere.

«Ciao» risponde Kenma, mentre la sua mano scivola lentamente a raggiungere il retro del collo del compagno. Lo riscuote mestamente, gli fa chinare il capo, e le labbra sottilmente deformate da una smorfia temeraria indugiano un momento su quelle più chiare e puerili.

Poi Kuroo termina la propria religiosa contemplazione e si sporge un po', fino a che la propria bocca cattura quella dell'altro nel bacio più casto e nostalgico che due esseri umani siano capaci di scambiarsi.

 

 

Salgono insieme sul primo taxi che trovano, stretti l'uno all'altro sulla destra dell'abitacolo fumoso. Kuroo, sfregando il pollice sul tessuto leggero che cela la spalla del più giovane, indica al tassista il nome di un motel vicino. Dice al compagno di non voler disturbare i propri genitori semplicemente per una notte, visto che il mattino dopo dovrà ripartire. Il lavoro ha corroso drasticamente il tempo che potrebbe dedicare ad altro, ma a Kuroo sta bene così. L'uomo al volante si volta e Kenma chiude gli occhi, premendo la tempia sulla maglietta di cotone del maggiore. Odora di una città diversa, di persone nuove.

Kuroo ha un solo bagaglio a mano, che non si disturba di aprire o sistemare quando raggiungono il motel – un edificio grezzo e dotato d'illuminazione fioca, arredato con il minimo indispensabile. La carta da parati si piega su se stessa agli angoli, assumendo una gradazione aranciata per via dell'abat-jour.

«Non sei stufo di questo sole?»

«No» spilla Kenma, muovendo qualche passo sulla moquette. Il suo sguardo ben lungi dal distaccato si è fermato sul letto a piazza singola, e grazie al cielo Kuroo è occupato a controllare se c'è una presa per il cellulare in bagno.

«In ufficio devo tenere in continuazione le tapparelle abbassate. È una rottura.» Il neo-laureato esce dal bagno con passo concitato, e immediatamente un brivido percorre la sua schiena quando scopre che il colletto della blusa non è più al suo posto, esponendo in bella vista il tenero collo di Kenma, la pelle che sembra così spaventosamente vergine, tanto è il tempo da cui non viene marcata.

A Kuroo piace quell'innocente ritaglio di panorama, e il nebuloso appagamento che si concretizza alla bocca del suo stomaco.

Non ha mai voluto lasciare segni su Kenma. Nemmeno una volta.

È sempre stato l'altro, senza dire una parola, a premersi impietosamente le mani di Kuroo addosso. Lui preferisce un approccio delicato.

Ma Kenma non è dello stesso avviso; Kenma pretende di essere marchiato.

«Lo voglio adesso» dice, con la sua voce sommessa che si sente così poco.
Kuroo fa un passo avanti, occhieggiandolo con scrupolosità. «Non... non avere fretta.»

«No. Subito» ribadisce perentoriamente il più giovane, sbottonandosi lentamente, con un impeto inversamente proporzionale all'inderogabilità delle sue intenzioni.

«Anch'io voglio fare l'amore con te. Solo, però, non voglio che sia una botta e via» replica lui, passandosi una mano tra i capelli corvini.
Lo sguardo di Kenma allora si addolcisce; le dita longilinee, consapevolmente abili e languide solo talvolta, lo spogliano dall'indumento d'intralcio, facendolo cadere sul pavimento. «Non è mai stato una botta e via.»

Le gambe lattee e il ventre gracile, ornato dalla gentile “v” che scorre all'ingiù, divisi dagli shorts malmessi compongono un quadro a pastelli, saturo dell'essenza morbosa de les fleurs du mal, ma più tenue, più personale, e Kuroo non si spiega perché nella sua testa prendono forma certi paragoni.

Ha perciò deciso di fissare ostinatamente la blusa annegare nel grigio scuro della moquette, spostando il peso da un piede all'altro. Alza lo sguardo solamente quando il la sua unica, pallida tentazione gli si avvicina. È debole di fronte a lui. Non potrebbe farci molto nel caso in cui Kenma avesse soltanto fretta di scopare, ma anche la remota ipotesi fa un male senza senso.

Se smettesse di esserci amore, Kuroo diverrebbe isterico.

«Perché hai– esitazioni?» riesce a domandare Kenma in un fil di voce, quando ormai la sua fronte è premuta teneramente sulla spalla dell'altro.

Kuroo capisce. «Non ho rimorsi.» Gli sfiora il mento con due dita, e il viso di Kenma immediatamente fronteggia il suo. «Ma sono stato via tre settimane. Mi sei mancato. Tipo, da morire. Ho voglia di parlarti e di fare troppe cose per una notte sola, ora che ti ho tutto per me.»

«Ora che mi hai tutto per te» ripete Kenma tra sé e sé, un sussurro. Poi sfrega il naso contro la maglietta di Kuroo. «Questo sole in realtà mi da un po' fastidio.»

Kuroo ride un po', avvolgendo l'esile schiena di Kenma con le braccia.

E ci sono così tante cose che Kenma vorrebbe dirgli, bisbigliandole, singhiozzandole, gridandole a perdifiato come se la torre di silenzi che si è costruito potesse crollare sotto il loro peso; ma per ora il calore di Kuroo lo accoglie e lui si sente bene, perciò ancora una volta riduce ciò che è troppo da travolgerlo in un solo confortevole gesto, che non può far male a nessuno.

 

 

(Il sempre è fatto di attimi;

non è un tempo diverso se non per l'infinito –

e per la latitudine di casa.) [Emily Dickinson]

 

 

Le ginocchia di Kenma sono qualcosa di prodigioso. La morbidissima curva, la prominenza appena accennata della rotula, le cicatrici ruvide delle ferite da bambino; e poi il proseguimento levigato della gamba, che in questo momento si tende sussultando di tanto in tanto. Ma più di tutto, è quasi irreale la forma sublime della coscia, dove l'occhio risale, ampio ed impaziente.

Quando la vista viene coperta da una mano pallida, Kuroo si sente tremare.

«Dio. Oh– Dio.»

Raramente Kenma ha bisogno di gemere, e ancor più di rado Kuroo ha il piacere di sentirlo proferire parola – figuriamoci invocare qualcuno che non sia lui.
Di solito è lui quello che si lascia andare in quel modo.

Dopo, non ci sono più rumori che non siano il vischioso prodotto delle labbra del maggiore o gli ansimi tremolanti di Kenma.

Una piccola mano si aggrappa alle ciocche nero inchiostro violentemente, per non perdere completamente il controllo; e al contempo riescono a lasciare carezze che lo appagano con destrezza.

Kuroo non può vedere, ma stringe ancora una volta tra lingua e palato ciò che li divide e quasi sorride nell'udire un sospiro più pesante dei precedenti.

Così si ritrae e carezza gentilmente le ginocchia del ragazzo dinnanzi a lui, seduto sul bordo del letto. Il respiro di entrambi si sta regolarizzando, ma non è così che funziona.

Kuroo adora queste pause più di quanto adori il sesso stesso. Kenma le trova frustranti, e fa in modo che durino il meno possibile.

«Kuro» si lamenta, senza alzare il tono di voce; e l'interpellato è travolto da un'onda di adorazione assoluta ed incomparabile. Devozione per la poetica bellezza che è Kenma.

Suo.

Soltanto suo.

«Pronto al resto, micino?»
Kenma gli riserva un'occhiata affilata, che è d'ambra pura e luccicante. «Me lo chiedi tutte le volte.»

L'altro decide che quella risposta gli basta; si alza e fa scivolare la mani a cingere quei fianchi bianchi e scoperti, oramai pesanti. Kenma afferra le sue clavicole.

«Graffiami» sussurra.

«Non posso.»

«E mordimi, anche.»

«Mi pregherai di lasciarti andare.»

«Non l'ho mai fatto e non succederà mai. Voglio che mi fai urlare.» L'espressione di Kenma è ciò che di più vicino mai Kuroo vedrà in egual misura all'implorante e all'imperativo.

«Ti manco quando me ne vado, Kenma?»

Lui rimane immobile, come se non avesse sentito la domanda. Forse sta cercando un “sì”, ma forse non è quello il problema. Poi Kenma riduce le labbra ad una linea piatta, tracciando una linea avanti e indietro con il pollice sulla spalla del più grande. «Lascia un segno, qualsiasi cosa che mi ricordi...»

A volte i perché sono semplici, banali.

«E non trattenerti» aggiunge, quando Kuroo si china per distenderlo supino sopra il materasso. «Non farlo mai.»

Uniscono gli sguardi per un lungo momento – il confine della loro privata follia.

Kuroo non può – non vuole – trovare altra soluzione se non obbedire.

 

 

Non ha intermezzi il per sempre; si svincola da volubili affievolimenti perché, si sa, lui stesso è tutto fuorché volubile. Non è neppure un'energia fissa. Non è tempo.

È molto diverso dal tempo, perché non esiste modo per misurarlo, né di dividerlo o confinarlo.

L'epilogo di un per sempre avviene esattamente come l'estinzione di una candela, nel momento in cui la cera si consuma tutta.

 

«Devo andare, micino. Mi mancherai.» Un bacio, uno sfioramento di labbra sulla guancia.

 

Per sempre non è il caos della metafisica o un periodo infinitamente lungo. É l'attimo che si rinnova, che è rinnovato.

Per sempre è lo sguardo che Kuroo ricerca negli occhi dell'altro – quel melanconico sorriso d'incoraggiamento –, voltandosi, prima di chiudere la porta per un po' – non un giorno, né un mese.

Il “per sempre” non è una promessa che si fa.
Si mantiene senza mai metterla per iscritto, o darle una voce, ma, forse senza neanche accorgersene, un giorno quella esiste. E incolla insieme i pezzi sparsi di due vite.

Può crescere su ciò che non è mai stato fertile, un suolo semplice, e persino quello troppo stanco e guastato dall'uso.

Che poi, il “per sempre” non è letterale per nessuno, ma è una cosa complicata.

Per loro, è una candela che brucia.

 

(Quando Kenma chiude gli occhi e comincia a contare a ritroso, per il prossimo attimo di “per sempre”, senza sapere di già possederlo nell'odore rimastogli addosso.)

 

  
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