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Autore: Bellamy    30/04/2015    2 recensioni
La battaglia tra i Cullen e i Volturi termina in maniera inaspettata: i Cullen perdono, Edward e Bella si uniscono alla Guardia di Aro e Renesmee perde la memoria. I pochi mesi di vita vissuta da Nessie vengono spazzati via.
Dopo quasi un secolo, Aro invita Renesmee a Volterra.
Genere: Malinconico, Suspence, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Nuovo personaggio, Renesmee Cullen, Volturi | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Breaking Dawn
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Sbagliai l’ennesima nota e lo stridore acuto del violino echeggiò per la casa fino a vibrarsi per tutto il bosco, rizzandomi i peli delle braccia. 
Guardai l’orologio poggiato nel comodino accanto al letto: segnava le cinque del mattino passate. Fra due ore dovevo alzarmi per andare a scuola. Il primo giorno di scuola. 
Ero sola in casa, tutti erano andati a caccia. Non potevo seguirli, io al buio non potevo vedere, non vedevo come loro, vedevo come gli umani. Le mie iridi erano color del cioccolato. E poi quella sera mi ero arresa al giorno del cibo umano. 
Non dormii quella notte, feci sempre quel sogno. Quel sogno che mi tormentava la vita a cui non sapevo darmi risposta o a cui nessuno cercava di darmi almeno una minima plausibile spiegazione.  
Al solo pensarci mi venivano i brividi di freddo, sentivo il gelo ghiacciarmi la carne delle braccia e la neve fredda che bruciava tra le dita. 
Era un sogno ricorrente ormai, le figure nere che incombevano su di me con le loro mani affilate come artigli pronti a toccarmi, a sfiorarmi, a sventrarmi. 
Quasi ogni notte quell'incubo apriva il mio sonno.  
Abbandonai il violino ai piedi del letto con un sospiro profondo e mi stesi verso il comodino per prendere foglio e penna.
 
Neve.
Montagne.
Pelliccia (Animali?)
Una radura?
Uomini e donne con mantelli scuri, parlavano.
Non era sera, il sole era coperto dalle nuvole.
Non ero sola.

 
Guardai per un attimo quel foglietto stropicciato rendendomi conto che non avevo scritto niente di nuovo rispetto ai foglietti precedenti. Provai anche a disegnare quello che mi ricordavo, era un sogno sbiadito, a spezzone, senza un filo logico. Riuscivo a fare solamente bozzetti che non rispecchiavano ciò che sognavo.
Lo misi accanto ai suoi compagni nella lavagna di sughero appesa al muro accanto alla porta, poi li coprii mettendoci sopra un poster di un paesaggio.
Sapevo che era un atto disperato quello ma per me era quasi un enigma, più che un enigma. Sembrava una scena di quei telefilm polizieschi che trasmettevano in tv ed io ero un detective che non dormiva giorno e notte per risolvere il caso della sua vita.
I detective della tv avevano sempre degli aiutanti con loro.
Forse nessuno mi poteva veramente aiutare, se non solamente il mio subconscio.
Forse era solo un sogno senza un significato specifico, forse un messaggio per me per il futuro.
Forse solo il ritorno di quella memoria che avevo perso.
Era una parte di me, probabilmente era solo questo. Dovevo mettermi l’anima in pace.
  
Presi in mano il mio medaglione sdraiandomi di nuovo nel letto e provai: il primo, il secondo, il terzo tentativo, non riuscivo ad aprirlo. Non sapevo cosa conteneva dentro, era sempre stato con me, sempre stato con me da quando mi risvegliai.  
E non avevo intenzione di usare la forza per aprirlo, ne chiesi agli zii o ai nonni di provare loro ad aprirlo, non volevo che con una minima pressione si rompesse. Non me lo sarei mai perdonata.  
Non sapevo chi me lo avesse donato o se era veramente di mia proprietà. Mi sentivo a disagio se non lo indossavo, se non sentivo la sua pesantezza su di me.
I miei famigliari non avevano mai avuto l'idea di parlarne, non sapevo se era un loro regalo o meno. Niente. 
Accarezzai la bordatura in oro e le linee curve delle piante rampicanti che abbracciavano il medaglione, poteva contenere di tutto. Poteva aiutarmi a completare il puzzle. 
Sospirai e mi misi sotto le coperte calde tirandomele fino alla testa. Non avevo voglia di rovinarmi l’umore, già ci stava pensando il primo giorno di scuola. Non volevo andarci.  
Era la seconda volta nella mia vita che frequentavo la scuola, sempre la media e questo mi stava annoiando un po’.  
Così decisi di prendere la via per il fatidico liceo.
Prima che iniziassi la scuola fu la mia famiglia ad insegnarmi tutto, avevo anche il vantaggio che dopo tre settimane di vita sapevo già leggere e scrivere, così mi avevano detto, e con dei multi laureati in casa, sapevo già un po’ di cose in più rispetto alla mia classe.  
Di questo ne ero certa al cento per cento. 
Non sopportavo che la gente mi fissasse per tutto il giorno parendo ai loro occhi la ragazzina strana con i capelli infinitamente lunghi. Si tenevano a distanza da me, come se avessero paura. Erano intimiditi da me.  
Non mi sentivo vicina ai miei coetanei, loro erano un mondo a parte, io un altro.
La mia crescita si fermò quando compii quattro anni. Le ricerche di Carlisle dicevano che la crescita di un mezzo vampiro finiva intorno ai sette anni.
Questa precocità era troppo strana, non riuscimmo a darci una spiegazione.  
Fui costretta da Carlisle ed Esme per avvicinarmi meglio alla razza umana. Non ne sentivo il bisogno anche se dovevo ammettere che gli umani un po’ mi affascinavano, in qualche modo. 
Ero un ibrido ma non mi sentivo molto umana. 
Feci poche apparizioni in pubblico: per i cittadini di Forks, ero la figlia naturale dei nonni Esme e Carlisle, mentre gli zii facevano la parte dei figli addottati prima che io arrivassi al mondo –per le pettegole di Forks era un miracolo. Loro frequentavano l'ultimo anno di college invece. Tutto ben calcolato. 
I due anni precedenti io interpretavo la parte della sorella minore di Alice, i nostri genitori erano morti in un incidente stradale e così i nostri amati zii Esme e Carlisle ci presero con loro.
 
Spensi la sveglia prima che suonasse e saltai fuori dal letto, furono le due ore più riposanti che io avessi mai fatto. C’era silenzio in casa, si sentiva lo scorrere del fiume vicino, ma sapevo che non ero sola.  
Era proprio come vivere da soli quando si abitava in una casa infestata di vampiri, era fin troppo silenziosi, a volte mi chiedevo se mi avessero abbandonata o meno. 
In mezz’ora fui pronta e mentre le prime gocce di pioggia bagnavano le finestre, scesi le scale e mi trascinai in cucina, dove trovai tutti: Esme era intenta a prepararmi la colazione; Carlisle stava leggendo il giornale; Emmett stava facendo qualcosa al portatile e Rosalie era seduta al bancone, teneva in mano un cellulare, l’espressione concentrata. Mancavano Alice e Jasper. 
“Buongiorno.” Sussurrai salutandoli con un gesto di mano tenendomi a distanza per un attimo, analizzando la situazione. Sembrava tutto tranquillo.  
Mi arrampicai nello sgabello del bancone accanto a Zia Rose che mi sorrise accarezzandomi i capelli, Esme mi mise davanti la solita abbandonate colazione regalandomi uno dei suoi calorosi sorrisi. 
“Primo giorno di scuola oggi! Il liceo! Stai diventando grande!” sbraitò Emmett ridendo. 
Lo guardai per un attimo prima di tirargli la forchetta che lui prontamente prese “Anche io ti voglio bene, Nessie.” 
Risi e continuai a mangiare senza iniziare di nuovo il discorso della scuola, sapevo che Carlisle era irremovibile su questo e non volevo riaprire la discussione. Era stata già troppo animata in precedenza.
La mia risata era l’unica cosa che si sentiva in cucina, l’aria che girava in quel momento era diversa da quella giocosa.
“E’ successo qualcosa?” bofonchiai.
Mi rispose Carlisle posando il giornale nel bancone “Il Clan di Denali ci ha informato di una presenza negativa nelle loro vicinanze. Temono che potrebbero arrivare fino a noi.”
“Chi sono?”  
“Vampiri neonati.” Sospirò lui.
Non era la prima volta che sentivamo notizie riguardo ai neonati. Si facevano sentire spesso, al contrario non si faceva sentire spesso il creatore senza freni. Nessuno sapeva chi fosse.
Li vidi i vampiri neonati: erano spietati, presi dalla fame accecante, senza sosta, senza ragione né autocontrollo. I primi passi di una natura a cui la famiglia Cullen aveva voltato le spalle. 
Carlisle mi raccontò che una volta tutta la nostra famiglia partecipò ad una battaglia contro i vampiri neonati per salvare la stessa Forks e la vinsero. Capii che per loro ogni minaccia non era impossibile e questo mi rendeva in un certo senso forte ma soprattutto orgogliosa.
“In questo momento dove sono?” domandai.
Di solito non m’interessavo di queste cose, guardavo come spettatore e ascoltavo se presenziavo alle discussioni. La mia famiglia non amava molto rendermi partecipe, preferivano non dirmi niente, proteggermi come se fossi una bambina. Alla fine sapevo tutto.
Alice e Jasper fecero la loro apparizione in cucina. Alice metteva in atto passi di danza roteando per tutta la cucina con in mano i miei libri per la scuola che appoggiò al bancone continuando poi a danzare e a vorticare, i piedi non toccavano terra. Aveva lo sguardo perso, gli occhi vuoti, la fronte aggrottata. Sembrava un fantasma tormentato che non dava tregua a chi viveva nella casa. 
Si avvicinò a me e mi diede un bacio nella fronte canticchiando con voce acuta "Buon primo giorno di scuola Nessie! Non posso vedere il tuo futuro ma sono sicura che andrà tutto bene!"
Cercai di afferrarle la mano per ringraziarla ma fu troppo veloce: continuò a volteggiare lasciando tutti noi di stucco.
Jasper era appoggiato sullo stipite della porta, concentrato a guardare ogni movimento di Alice, era perplesso. Forse lui sapeva cosa avesse.  
Alice sparì con dei passi di danza improvvisati.  
Non capii. Non mi ero accorta di tenere ancora la forchetta sospesa in mano. Guardai Rosalie, stava fissando Emmett che a sua volta fissava Carlisle. Le appoggiai una mano nel suo braccio. 
"Che succede?" domandai. 
Rosalie scosse la testa mentre scambiò un'occhiata con Esme. Cadde un silenzio di tomba.
“Che succede?” ripetei.
Quelle espressioni non mi erano familiari, avevamo vissuto sempre una vita tranquilla, conoscevamo i nostri limiti e in questi trovavamo la nostra armonia che non minacciava noi, gli umani o gli altri clan di vampiri. 
Come se uno specchio, liscio e perfetto, si frantumasse in milioni di piccoli cristalli.
Sentii poi la tranquillità pervadere ogni fibra del mio corpo fino al cervello e capii che fu lo stesso dalle espressioni tranquille di tutti. 
Mi voltai verso Jasper, mi fece l'occhiolino e ci lasciò. Anche lui sembrava confuso solo che non lo diede a vedere. 
Carlisle si alzò "Andiamo Renesmee, farai tardi." 
  
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