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Autore: CamXene    03/05/2015    1 recensioni
Il maestro delle ombre è una figura davvero misteriosa, nessuno può dire con certezza cosa o chi fosse prima di abbandonarsi alle tenebre. Ho provato a mettermi nei suoi panni e a capire la sua frustrazione.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Syndra, Zed
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta
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La pioggia inizia a cadere, è così bello il suono che produce: un lieve ticchettio, soffice e soffuso. Sono qui a meditare, medito sulla mia vita, su quello che ne è stato, sulle mie scelte... La pioggia produce uno strano suono sulla mia maschera ma è rilassante, mi permette di riflettere al meglio. Sono solo, non ho nessuno, anzi ho solo me stesso, me e la mia ombra; prima o poi impazzirò. Sono stato abbandonato, a quanto mi hanno raccontato, sotto un melo: pioveva e le mie urla si mescolavano all'imperversare della tempesta; fu lì che mi trovò il mio maestro. Crebbi lontano dal mondo reale, vivevo nella convinzione che i miei genitori sarebbero tornati nonostante il maestro si fosse sempre dimostrato gentile con me; guardavo il melo sotto cui ero stato abbandonato dalla mia stanza, lo osservavo ogni giorno sperando nel loro ritorno, tuttavia più il tempo passava più qualcosa dentro di me si incrinava, pian piano una morsa nera avvolse il mio cuore. Il maestro provava con anima e corpo a farmi distrarre, a farmi mangiare, a farmi vivere e un giorno abbandonai il melo e lo seguii: mi insegnò valori importanti quali l'onore, l'umiltà e l'amore... Oggi questi suonano per me come gusci vuoti, privi di alcun senso e miseri nell'intento di instradarmi verso la luce; non ha mai capito chi ero davvero. Mi volto a guardare il tempio, si staglia alto e scuro contro il cielo nuvoloso e con un nodo alla gola mi ricorda alla mente momenti lontani e burrascosi: erano passati anni dall'ultima volta che avevo varcato quella soglia. Il maestro era un uomo saggio e acuto, vide subito che nei miei occhi risplendeva qualcosa di forte, qualcosa che voleva farsi sentire, oltre quel velo di delusione e sofferenza. Mi insegnò la sottile arte del combattimento ninja, figure abili e sfuggenti, inafferrabili come una coltre di fumo, astuti e cauti che come predatori aspettano il momento giusto; ero bravo e praticare queste arti mi faceva stare bene, mi sentivo per la prima volta padrone della mia vita e del mio corpo. Continua a piovere, per un attimo avevo ricordato un mattino soleggiato passato ad allenarmi con lui, era estate credo e faceva davvero caldo: ricordo ancora le goccioline di sudore mescolati al rosso e al viola di sangue e lividi, le sue parole incoraggianti e la sua mano rugosa protesa verso di me per farmi riprovare; stringo le nocche umide con uno scricchiolio. Insieme al mio maestro incontrai un abile avversario, suo figlio Shen: abbiamo circa la stessa età, entrambi lo stesso maestro e lo stesso padre ma non siamo mai stati fratelli, sempre rivali. Eravamo soliti avere piccoli incontri che finivano sempre pari, io sapevo di essere più forte di Shen e desideravo ardentemente dimostrarlo al mio maestro; volevo che fosse fiero della sua creazione, di quello che stavo diventando. Purtroppo però lui sembrava preferire suo figlio a me, diceva sempre che i suoi movimenti erano più lineari e puliti, che la sua strategia era migliore e mi ripeteva sempre che dovevo prendere esempio da lui. Non lo ascoltavo, su questo punto non gli ho mai dato retta: ero fisicamente più forte, più temprato e mi allenavo giorno e notte per poter essere elogiato anche solo una volta; l'invidia iniziò a logorarmi dall'interno, come una bestia famelica iniziò a divorare tutto ciò che avevo dentro lasciando salire nuovamente a galla quell'odio e quella sofferenza che avevo provato per molto tempo a reprimere. Mi ricordo ancora molto bene quel giorno, un giorno che cambiò radicalmente la mia intera esistenza: faceva freddo ed era mattina, mi svegliai guardando il melo avvolto dalla fosca bruma mattutina, ero stranamente di buon umore e il silenzio e la quiete del villaggio ancora dormiente mi rilassava. Ben presto anche gli altri abitanti del tempio si destarono e fu allora che, più fiducioso del solito, sfidai il mio fratellastro: lui ne fu sorpreso ma accettò; il maestro mi guardava interrogativo, dal canto mio, lo trapassavo con uno sguardo intenso e profondo: volevo sorprenderlo. Il combattimento iniziò e come al solito eravamo alla pari, tutto questo finché io con una rapida schivata e un movimento del braccio non lo misi al tappeto portando una mano alla sua gola: era finita, avevo vinto, avevo dimostrato la mia schiacciante superiorità, mi voltai verso il maestro giusto per vederlo arrivare verso di me con espressione accigliata e mentre sorridevo raggiante, mi diede un forte schiaffo sulla guancia; ricordo ancora il suono di quel forte schiocco, fu in quel momento che io andai in frantumi come uno specchio. Avevo le lacrime agli occhi, portai una mano verso la guancia dolente e gli chiesi perché, perché lo avesse fatto, in che cosa avevo sbagliato questa volta; mi diede dello stolto, mi disse che gli avevo dimostrato che i suoi insegnamenti si erano dimostrati vani, che non avevo appreso nulla dell'arte del guerriero e che probabilmente non l'avrei mai fatto. Mi tolgo la maschera e porto una mano sulla guancia, riesco ancora a sentire l'eco delle sue parole spinose e di quello schiaffo che mi aveva inferto una ferita molto più profonda di quello che sembrava. Chiudo gli occhi, nonostante siano passati svariati anni mi fa ancora male... Nonostante il maestro si fosse scusato per quel gesto avventato e avesse provato a confortarmi, le sue parole non mi toccavano né riuscivano a raggiungermi; ero stanco degli elogi rivolti a Shen, stanco di essere sempre il secondo, quello meno bravo, quello debole... Dovevo stare solo, lontano da tutti: fu per questo che uscii per camminare un po', in via del tutto casuale, arrivai a fermarmi sotto il melo; l'avrei voluto abbattere ma non lo feci, la tentazione era alta ma mi limitai a prendere una mela ed a battere un pugno frustrato sul tronco levigato tuttavia volevo evadere, scappare via; fuggii nella foresta che circondava il tempio, con mio sommo stupore vidi che dietro di esso vi era una botola ricoperta di muschio, catene e per gran parte occultata da folti cespugli. Il rancore fu improvvisamente sostituito da una folle curiosità, con foga strappai le piante e ruppi le catene aprendo il passaggio: delle scale scendevano ripide nelle profondità del tempio; avevo più e più volte esplorato con Shen i dintorni del tempio ma questa botola era nuova per me. Decisi di scendere e, una volta sul fondo, seguii una luce azzurrognola alla fine di un lungo corridoio di giada con venature rosso fuoco, oltre un arco alla fine del passaggio vi era una piccola stanza con una vasca di acqua turchese: al centro di essa era posto una sorta di piedistallo, la luce invece proveniva da due fiaccole ai lati della stanza. Mi guardai attorno allarmato, doveva essere un luogo ancora frequentato e, a giudicare dall'ingresso sigillato, sembrava che l'accesso a questa stanza fosse proibito; la mente e il buon senso mi dicevano di scappare ma dentro di me volevo vedere cosa c'era sul piedistallo, feci il giro della vasca tendendo l'orecchio per sentire eventuali rumori: era in realtà un leggio, su di esso vi era un libro al cui interno non vi erano pagine bensì una scatola: la superficie era liscia e di legno scuro ma la cosa al suo interno sembrava essere viva, come se pulsasse. Ero spaventato ma curioso, trattenni in respiro e la aprii, improvvisamente una forza misteriosa e oscura s'impossessò della mia mente e del mio corpo, e la mia ombra iniziò a tremare e a muoversi; era così strano, la sentivo legata a me come se fosse stata la proiezione dei miei arti. Piove sempre più forte così come i miei ricordi... Tornai al tempio intriso di una nuova forza, un potere immenso che mi aveva donato anche la conoscenza di svariate tecniche, l'indomani le avrei mostrate in un combattimento, il combattimento decisivo. Mi alzo e mi sgranchisco le gambe, ricordo bene cosa accadde; inizio a camminare mentre la pioggia imperversa incessante. Sfidai nuovamente Shen e lo sconfissi, stavolta però utilizzai alcune delle tecniche che avevo appreso; lo lasciai a terra in una nuvola di polvere e con un taglio sul labbro, mi ergevo trionfante, mi sentivo bene e realizzato; anche se ancora una volta il maestro non condivise il mio successo. Mi additò come un demone che si era lasciato soggiogare dalle arti proibite, un debole che pur di assaporare la vittoria si era sospinto oltre la linea dell'equilibrio. Lui non ha mai capito chi ero davvero, non ha mai colto la mia frustrazione e l'angoscia che divampava dentro di me come un devastante incendio che consuma avidamente tutto l'ossigeno che trova: mi ripudiò, mi scacciò come si fa con un mostro, mi distrusse con parole taglienti e affilate che mi trapassarono da parte a parte. Non ha capito di aver distrutto i sogni e le speranze di un orfano che è cresciuto per tutta la sua vita all'ombra di sé stesso, di avermi gettato con le sue mani in pasto alle ombre, di avermi lasciato marcire nella desolazione e nelle mie paure. Ora sono qui, sono tornato... Pronto a fargli sentire la mia frustrazione
   
 
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