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Autore: Elwing Lamath    05/05/2015    1 recensioni
In una terra di draghi e in un’era di magia, il destino di una grande regno poggia sulle spalle di un giovane re (e del suo cavaliere idiota). Il suo nome: Merlin.
Un’antica profezia pesa sulle spalle di Arthur e Merlin, riusciranno a sconfiggerla o saranno costretti a seguire le orme che il destino ha già tracciato per loro?
Dal testo: “Questa è l’antica lingua dei draghi. Solo i loro Signori sono in grado di leggerla. Qui è scritto: ‘Si posino su di me le mani di coloro che porteranno equilibrio. Il bianco e il nero. La luce e il buio. Le due facce della medaglia si facciano avanti’. Dobbiamo poggiarvi le mani, Arthur.”
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Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aithusa, Merlino, Principe Artù, Un po' tutti | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU, Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Autore (Forume e EFP): Elwing_L - Elwing Lamath

Titolo: La danza dei draghi
Citazione scelta: 10) 
Fandom: Merlin
Coppia: Merlin/Arthur
Rating: Arancione
Genere: Fantasy, Avventura, Romantico
Avvertimenti: Nessuno
NdA: Il titolo della storia è un chiaro omaggio all'ultimo libro pubblicato delle "Cronache del ghiaccio e del Fuoco" di G.R.R. Martin (titolo originale: "A dance of dragons"). Alcuni nomi non presenti nel fandom originale sono tratti dal Silmarillion di J.R.R Tolkien, utilizzati però in maniera totalmente scollegata da quel mondo (è un mio vizio quello di attingere da lì per i nomi, lo so).
La narrazione non segue la successione temporale dei fatti, ma sono presenti diversi flashback che si alternano alla linea del presente.
Più caratteristiche del mondo originale di Merlin sono stati alterati in questa storia, alcuni ruoli sono ribaltati, altri semplicemente cambiati. 
Aggiungo infine che la storia è ovviamente già completa, sarà suddivisa in 3 capitoli e pubblicata (più o meno) con frequenza settimanale.
Spero che vi piaccai questo ribaltamento dell'universo Merliniano, io mi sono divertita tanto a scriverlo. Come al solito, vi invito a commentare!
Al prossimo capitolo, un bacio,
Elwing...
 

Δ  La danza dei draghi  Δ

 

Capitolo I


Il vessillo reale sventolava in alto sul torrione maggiore, il drago bianco rampante in campo blu zaffiro sembrava ruggire al vento, come a voler difendere il regno col suo occhio sempre vigile.

I primi rumori per le strade annunciavano che Camelot stava iniziando a svegliarsi in quella pallida aurora primaverile, già dolcemente dimentica del gelo invernale, ma non ancora pienamente matura.

Altrettanto non si sarebbe potuto dire del suo re, che ancora dormiva placidamente nel suo grande letto a baldacchino, ornato di eleganti tende di broccato blu zaffiro, tirate in modo da schermare buona parte del sole mattutino, fatta eccezione per un’unica lama di luce chiara.

La mente del sovrano, ancora annebbiata dal sonno, percepì appena il clangore metallico del chiavistello che ruotava, lo scricchiolio della pesante porta in legno, e una serie di passi decisi che si avvicinavano al baldacchino senza curarsi troppo di fare rumore sulla pietra grigia del pavimento. Conosceva troppo bene la cadenza di quella camminata, tanto da riconoscerla persino nel sonno. Sapeva troppo bene anche quello che sarebbe successo da lì ad una frazione di secondo, non appena i passi si fermarono.

Lo spiraglio di luce diventò immediatamente uno squarcio tanto forte da ferirgli le palpebre, o almeno, quella fu la sensazione. Il frusciare delle tende che venivano scostate fu accompagnato da quello delle coperte e da un mugolio di protesta del re che tentò di seppellire la testa sotto il cuscino.

“Sorgi e splendi!” esclamò ad un volume volutamente indecente la voce del suo disturbatore.

“Mmm… lasciami in pace!” disse il sovrano in un brontolio attutito dalla piuma d’oca.

“Risposta sbagliata.” Ribatté l’altro sollevando anche la coperta, lasciandolo esposto al freddo.

“Non puoi tornare dopo il tuo allenamento e lasciarmi dormire ancora un po’?” si lamentò ancora il re, determinato a non disseppellire la testa da sotto il guanciale.

“Ho già finito l’allenamento!” sbuffò. “Avanti, Merlin, alzati!”

Finalmente, il giovane si decise a tirarsi su, mettendosi a sedere.

Arthur non riuscì a trattenere un sorriso divertito alla vista della chioma corvina tutta scompigliata dal sonno e dal broncio ancora assonnato con cui il re si ostinava a squadrarlo.

“Buongiorno anche a te, comunque.” Ghignò il biondo.

“Buongiorno un cavolo.” Rispose Merlin massaggiandosi pigramente la nuca con una mano. “Dove sei stato ieri sera? Ti aspettavo.” Disse con un velo di delusione.

“Ho dovuto sostituire Gwen nel suo turno sulle mura. Problemi con suo padre, ha detto che non sta molto bene.”

“Capisco… Ma dopo? Perché dopo non sei venuto da me?” insistette con un sorriso furbo.

“Perché!?” si accigliò Arthur. “Io sono venuto, Altezza.” Disse ironico. “Ma si dà il caso che quando sono entrato eravate già ampiamente addormentati!”

“Potevi unirti a noi.”

“Già, ma i vostri nobili deretani occupavano tutto lo spazio disponibile, nonostante il tuo letto sia tutt’altro che piccolo.”

“Non è colpa mia! Sai come le piace dormire!”

Arthur si lasciò sfuggire una risata. “Come Vi piace dormire! Io mi ritrovo sempre schiacciato in un angolino!”

Anche Merlin rise allora, guardando poi un punto alle spalle di Arthur. Ma prima che il biondo se ne accorgesse, il re riportò l’attenzione sul suo interlocutore.

“A proposito, lei dov’è?” chiese Arthur occhieggiando la porzione di stanza davanti a lui.

“Ah, non ne ho idea!” rispose Merlin scuotendo la testa, mordendosi l’interno del labbro per cercare di non ridere.

Arthur non fece in tempo a reagire, una volta riconosciuto quel ghigno furbo che comparve sul volto di Merlin, che con un ruggito basso, una furia bianca invase il suo campo visivo. Con una forza incredibile lo sbatté a terra, schienandolo col suo peso e bloccandolo sul pavimento.

Quando Arthur riaprì gli occhi, si ritrovò le sue lunghe zanne bianche a due centimetri dal volto, il respiro bollente dell’animale che gli scompigliava i capelli. Ad un ringhio vittorioso seguì un verso molto meno inquietante, che precedette immediatamente una generosa leccata sulla guancia. Merlin rideva di gusto.

“Aithusa!” esclamò Arthur. La sua voce uscì mezza come un rimprovero e mezza come una risata.

Il cucciolo di drago scodinzolò soddisfatto, continuando a leccare festoso il volto di Arthur come se fosse stato un grosso cane. Anche Arthur si unì alla risata di Merlin, mentre a fatica riuscì a scrollarsi di dosso Aithusa e a rimettersi in piedi.

“Diventi sempre più pesante, piccola birba!” disse il cavaliere accarezzando la testa del drago, che seguì la sua mano nel contatto facendo le fusa.

“Cresce a vista d’occhio.” Commentò Merlin seguendo con lo sguardo Arthur mentre si avvicinava e si sedeva sul letto al suo fianco. “Ogni giorno mi sembra più grande.” Un velo di preoccupazione attraversò i suoi occhi.

“Sai che il ritmo di sviluppo dei draghi non è costante. Può essere influenzato da tanti fattori.” Osservò Arthur sostenendo quel suo sguardo di un blu impossibile.

“E tu sai anche che la crescita di un drago accelera notevolmente quando si avvicinano grandi calamità o forti squilibri nel mondo magico... E Aithusa si sta sviluppando al doppio della velocità di altri draghi che ho visto nascere…”

Il cavaliere gli prese delicatamente il mento tra le dita, in modo da essere sicuro di avere la sua completa attenzione: “Ascoltami. Ti stai fasciando la testa inutilmente. Non è successo niente che possa far pensare a qualche pericolo. Il regno prospera e grazie a te, tutti i draghi sono in pace ora. Devi smetterla di affannarti. Non aggiungere altre preoccupazioni a una mente che è già preoccupata. Intesi?” Concluse con un sorriso.

Merlin annuì sorridendo di rimando, protendendosi in avanti fino a unire le labbra con quelle del cavaliere, che lo accolse in un bacio caldo e avvolgente, il miglior buongiorno che conoscessero.

Quando Arthur si separò languidamente dalle sue labbra, sussurrò: “Sire Emrys, dobbiamo andare, la vostra giornata vi attende.”

“Dì ancora il mio nome, come lo sai dire tu.” Soffiò il moro sulla sua bocca.

“Emrys.”

“No, l’altro nome.”

Arthur lo fece attendere, sorridendo mollemente, respirando i primi sorrisi ancora pigri del re e bevendoli con gli occhi. “Merlin.” sussurrò infine, riagganciando poi le loro bocche.

 

*****

“Arthur, finalmente!” Esclamò Morgana con voce trepidante non appena vide il cavaliere entrare nella sala del trono. “Quali notizie dal nord?”

“Nessuna, mia Signora.” Rispose il biondo con un breve inchino davanti al trono, stringendo i denti e cercando di trattenere la propria frustrazione.

“Nessuna?” Gli fece eco lei con voce rotta.

Arthur allora sollevò lo sguardo su Morgana col suo pancione al settimo mese di gravidanza e su Leon, in piedi accanto al trono sul quale era seduta la sua consorte. Un trono che lei stava reggendo con grande forza e risolutezza, nonostante il dolore e la gravità della situazione in cui si trovavano. Il cavaliere avrebbe voluto poterle risparmiare quell’ennesimo infruttuoso resoconto, che non avrebbe fatto altro che portare altro sconforto al suo cuore, come a quello di tutta Camelot. Tuttavia non poteva, lei ora era la reggente e in quanto tale, doveva sopportare tutti gli oneri che vengono col regnare.

“Purtroppo le pattuglie hanno perso ogni traccia da ormai due settimane. L’ultimo avvistamento, come sapete, risale a un mese fa. Io stesso mi sono spinto ben oltre il confine settentrionale insieme a Gwaine, Percival ed Elyan, ma non abbiamo trovato nulla.” Riassunse brevemente, sentendo un nodo formarglisi alla gola.

Vide la donna prendere un sospiro profondo e quando la mano di Leon andò a posarsi delicatamente sulla sua spalla, vide i suoi splendidi occhi ghiacciati tremare liquidamente. Ma Morgana non avrebbe pianto, non ancora e soprattutto, non davanti alla corte. Anche lei era il sangue del drago, proprio come Merlin, e i draghi non piangono.

Si riscosse, recuperando quel suo contegno che avrebbe portato chiunque a dire che era nata per essere regina. “E i draghi?” chiese.

“Kilgharrah e Maglor stanno pattugliando la costa e i confini meridionali. Sirion il Grigio sembra essere sparito, nessuno lo ha più visto da una settimana. A Est invece ho inviato Lancelot e Guinevere, sono i nostri migliori cavalieri, se c’è qualche notizia, loro lo scopriranno.”

“Aithusa?” domandò ancora Morgana con un altro bagliore di speranza negli occhi.

“È tornata a Camelot con me, Signora. Ha pattugliato i cieli settentrionali mentre io e i cavalieri perlustravamo le terre.” La informò Arthur.

Morgana annuì. “Continuate a cercare. Il re è là fuori da qualche parte. Raddoppia gli sforzi dei tuoi cavalieri, capitano.” Ordinò decisa la donna alzandosi in piedi nel suo elegante abito di seta viola che le avvolgeva morbidamente il pancione.

“Sai bene che non mi arrenderò fino a che non l’avrò riportato a casa.” Rispose Arthur con voce meno formale, parlando direttamente a Morgana, più che alla reggente di Camelot.

Lei si sciolse in un sorriso triste: “Lo so, Arthur. Se c’è qualcuno che può trovare mio fratello, quello sei tu.” Disse congedandolo.

Quando il cavaliere uscì dalla sala del trono, si diresse al padiglione dei draghi adiacente al castello, l’edificio dove venivano ospitate le grandi creature fedeli a re Myddryn Emrys e alla sua casata. Lì Arthur sperava di trovare Gaius, il gran maestro dei draghi che aveva messo le sue doti di abile conoscitore di quegli animali al servizio prima di re Balinor e poi di Merlin.

“Gaius?...” Chiamò il cavaliere non appena entrò nella grande sala centrale, dalla quale si snodava poi a raggera un complesso sistema di gallerie, sempre più buie. “Gaius?”

“Gaius non c’è.” Echeggiò profonda alle sue spalle una voce ben conosciuta. Arthur si voltò verso di lei.

“Non c’è praticamente nessuno in effetti, tranne Narya e i cuccioli. Sono tutti usciti a cercare Merlin, con o senza permesso.” Continuò Aithusa abbassando il lungo collo bianco verso Arthur.

Negli ultimi due anni era cresciuta più velocemente di qualsiasi drago conosciuto, anche Gaius aveva ammesso di non aver mai visto nulla di simile, passando dalla stazza di un grosso cane a quella di un drago ormai adulto. Negli ultimi tempi, cercando di nascondere la sua preoccupazione, Merlin prendeva in giro Kilgharrah, dicendo che la sua protetta rischiava di diventare più grande di lui. Quasi ironicamente, da quando Merlin era scomparso quattro mesi prima, Aithusa aveva veramente superato Kilgharrah in stazza, diventando così il più grande drago di Camelot.

Arthur scrutò gli occhi dorati del drago, ritrovandovi la stessa tristezza che sentiva nel proprio cuore. Allungò una mano verso la sua grande testa e la creatura, proprio come quando era solo un cucciolo, si piegò cercando il contatto della sua carezza.

“Dovresti andare anche tu.” Disse Arthur morbidamente, come un invito più che come un ordine. “Copriresti molte più leghe volando da sola, senza dover rimanere appresso a noi, che con i cavalli siamo molto più lenti.”

“Non mi muovo senza di te, Arthur. Te l’ho già spiegato, nulla in questo momento mi staccherà da te. Continueremo le ricerche insieme.”

“Mi sembra di sentir parlare Merlin. Sei testarda quanto tuo padre.”

Aithusa sorrise. “Merlin è un buon padre di draghi, ci ha insegnato bene… In ogni caso, se vorrai cercare il tuo re più velocemente, dovrai farlo insieme a me.”

“Ti ho già detto di no.” Rispose bruscamente Arthur, irrigidendosi di colpo e facendo un passo indietro.

“Il giorno in cui non potrai evitarlo arriverà.” Disse lei elevando l’elegante collo in tutta la sua altezza.

Il cavaliere alzò la voce: “Io non ti cavalcherò, Aithusa, lo sai bene. Cavalcare i draghi è un privilegio dei soli Signori dei Draghi e io non lo sono. Non prevaricherò Merlin, anche con il tuo consenso. Lui è il tuo signore ed è l’unico ad avere questo diritto.”

“Ti sbagli Arthur.” Disse il drago con voce calma. “Non è più questo ciò che riserva il futuro. Te lo abbiamo già detto, ci sono forze ora all’opera, che nessuno può ribaltare. La scacchiera è stata preparata da tempo immemore, la prima mossa l’avete fatta in quel giorno maledetto, Kilgharrah vi aveva avvertito. Ora tocca a te muovere una pedina.”

“Dovete piantarla!” si infervorò il cavaliere. “Tu, Kigharrah e le vostre stupide profezie. Sono mesi che mi state tirando scemo con questi indovinelli, ora ne ho basta! Non farò niente di tutto ciò, mi sembrava di aver già chiarito la questione. Continueremo le ricerche come abbiamo fatto finora. Ritroverò Merlin e lo riporterò a casa con me. Fine della storia.”

“Ancora non capisci. Non è così semplice.”

Arthur stava per replicare, quando una voce femminile proveniente dall’ingresso lo distrasse.

“Arthur?” chiamò la voce.

Il biondo la riconobbe immediatamente e un sorriso conquistò il suo viso ancora prima di voltarsi e correrle incontro.

“Madre!” esclamò con grande tenerezza mentre la abbracciò.

La donna ricambiò la sua stretta avvolgendolo con le sue braccia sottili. Quando si staccarono gli prese il volto tra le mani, sorridendogli commossa e scrutandolo a fondo con gli stessi suoi occhi, frammenti di azzurro direttamente rubati al cielo.

“Lady Ygraine.” La salutò Aithusa con un inchino quando la donna distolse lo sguardo dal figlio e lo posò su di lei. “Prendo congedo. Vorrete un po’ di tempo da soli, immagino.” Disse garbatamente il drago.

Ygraine rispose con un cenno del capo e un sorriso all’indirizzo della grande creatura, che con un altro inchino si diresse verso l’uscita senza aggiungere un’altra parola.

“Come avete fatto a trovarmi madre? Non entrate spesso qui.” Chiese Arthur.

“Non è stato difficile.” Disse lei con un sorriso, scostandogli una ciocca di capelli biondi dalla fronte, un gesto famigliare sin dall’infanzia. “Mi è bastato seguire Aithusa. Siete più inseparabili che mai ora, ti segue ovunque tu vada.”

“È perché ha bisogno di Merlin. Probabilmente io glie lo ricordo.” Osservò lui tristemente.

“Oh, è molto più di questo… Ricordo ancora quando tu e Merlin partiste per quella missione che sembrava impossibile per chiunque: recuperare un uovo che si pensava sterile da una tomba perduta. Il giovanissimo re Emrys e il suo primo cavaliere tornarono a Camelot splendenti di una nuova luce nelle loro armature. E sulla spalla del re, l’ultimo drago bianco vivente. Tutti gli sguardi erano su Aithusa e sul suo Signore, ma ti ricordi lei cosa fece? Si librò in aria con le sue piccole ali, planando sulle vostre teste e atterrando sul tuo braccio. E là, davanti a tutto il suo regno, il re sorrise. Merlin sorrise nel vedere che il suo drago ti aveva scelto… L’avete cresciuta insieme, Aithusa è legata a te tanto quanto lo è a Merlin.”

Gli occhi di Arthur erano diventati lucidi nel rievocare quel ricordo. Lui era sempre stato un uomo d’armi, temprato alla disciplina militare e al continuo esercizio del coraggio da suo padre, che lo aveva preceduto come primo cavaliere sotto il regno di Balinor, e aveva perciò imparato a costruire attorno a sé uno scudo che gli impedisse di esporre le sue emozioni al mondo. Due sole persone erano in grado di oltrepassare quella corazza. Una era Merlin, l’altra, lady Ygraine.

“Mi manca da morire.” Sussurrò infine, senza che vi fosse bisogno di specificare a chi si stesse riferendo. “È come se parte della mia vita mi fosse stata strappata via.”

Sua madre, pur nella sua delicatezza, non era mai stata donna da indorare la pillola: “Lo credo bene figliolo.” Disse con un sorriso dolce. “Hai condiviso con lui tutta la vita. Da quando Merlin imparò a camminare, diventaste inseparabili.”

 

*****

Non aveva ancora compiuto quattro anni in quel giorno lontano, ma Arthur lo ricordava con estrema nitidezza. Una delle sue prime memorie probabilmente, insieme alle melodie che sua mamma gli cantava mentre gli faceva il bagno dopo aver trascorso un’intera giornata a giocare con Leon nella polvere, o ai riflessi dei riccioli scuri della piccola Gwen sotto il sole mentre si rincorrevano per le vie della città bassa.

Quella mattina i corni avevano squillato alti sulle mura del palazzo, seguiti immediatamente dai ruggiti tonanti dei draghi, che salutavano la nascita del loro futuro signore.

Non che Arthur avesse mai avuto paura dei draghi, chiaro, ma preferì comunque rimanere chiuso negli appartamenti di sua madre per tutto il giorno, giusto per precauzione. Fino a sera, quando l’erede al trono di re Balinor fu presentato alla corte e il primo cavaliere, Uther Pendragon, decise di portare con sé suo figlio.

Uno ad uno, i dignitari fecero il loro ingresso nelle stanze della regina, per porre i loro omaggi ai sovrani di Camelot. Arthur si sarebbe quasi aspettato di trovare un cucciolo di drago fumante nella culla reale e quando entrò nella stanza insieme a suo padre, fu deluso nel ritrovarsi davanti uno sgorbietto rosso in volto e con la testa ricoperta di foltissimi capelli neri.

Rimase in silenzio a osservarlo dormire placidamente nella sua culla, fino a che Uther non lo affiancò e posandogli una mano sulla spalla disse: “Ecco Arthur, lui un giorno sarà il tuo re. Sa saprai dimostrarti all’altezza, anche tu potrai servirlo come cavaliere, proprio come io servo re Balinor.”

Il piccolo sgranò gli occhi prima all’indirizzo di Uther e poi voltandosi a guardare il re, perché ciò che desiderava di più al mondo era diventare cavaliere proprio come suo padre.

“Davvero?” chiese emozionato.

Balinor gli sorrise: “Ma certo.”

Arthur annuì con decisione. “E come si chiama?” chiese con quell’innocente curiosità che solo i bambini possono avere.

“Non essere impudente!” lo ammonì severo suo padre. “Chiedi immediatamente perdono, Arthur. Solo i sovrani decidono quando rendere pubblico il nome dell’erede.” Il piccolo si sentì quasi fulminato dallo sguardo di Uther.

“Nessuna offesa.” Disse con un sorriso la regina Hunit. Lei era sempre tanto dolce con Arthur e lui era sciolto in sua presenza quasi quanto fosse una seconda madre.

Fece cenno ad Arthur di avvicinarsi, e quando il bambino fu davanti alla poltrona sulla quale era seduta, gli prese delicatamente le mani tra le sue e si protese in avanti, come per confidargli un segreto.

“Il suo nome è Myddryn Emrys.” Gli occhi le brillarono. “Ma tu potrai chiamarlo Merlin, perché questo sarà il nome con cui lo conosceranno solo le persone di famiglia. E tu potrai essere uno di famiglia se lo vorrai, Arthur.” Il bambino le annuì con un sorriso. “Molto bene.” Proseguì lei. “Allora mi devi promettere una cosa: che ti prenderai cura di Merlin, che gli starai accanto anche quando sarete grandi, che lo proteggerai.”

Arthur prese quelle parole un po’ come il suo primo giuramento di cavalierato. Annuì seriamente e con il tono più solenne che aveva nel suo repertorio rispose: “Lo farò, mia Regina.”

Da quel momento in poi Arthur diventò l’ombra del piccolo Merlin. Lo visitava quando era con la balia senza particolare ragione, come a voler controllare che quella donna a lui estranea non facesse nulla di dannoso al principino. Lo scortava portandosi dietro la sua inseparabile spada di legno quando nei soleggiati pomeriggi estivi passeggiava in braccio alla regina insieme a lady Ygraine. Squadrava male chiunque sospettasse essere causa di un pianto dell’erede al trono.

 

*****

Quando Merlin aveva solo quattro anni, Hunith morì dando alla luce la sua secondogenita, Morgana. Arthur si credeva già un uomo fatto dall’altezza dei suoi sette anni, ma ci mise un attimo a capire cosa fosse accaduto quando il principino piombò di corsa dentro casa sua quel giorno. Merlin era sempre stato molto più sveglio e più maturo di qualsiasi altro bambino Arthur conoscesse e in qualche modo a lui sconosciuto, aveva subito capito tutto.

Si fiondò tra le braccia di Arthur in lacrime, prima che il più grande avesse modo di aprir bocca. Arthur ricambiò l’abbraccio in maniera istintiva, stringendolo con tutta la sua forza. Proteggere quel piccoletto tutt’ossa era già diventato naturale quanto respirare.

“Cos’è successo, Merlin?” gli chiese preoccupato.

“La mamma!” disse tra i singhiozzi attutiti dalla casacca di Arthur. “La mamma non c’è più. Avrò una sorellina, ma non vedrò mai più la mia mamma!”

Fu allora che Arthur capì. Fu come se anche il suo cuore fosse stato sbattuto a terra e calpestato, insieme a quello di Merlin.

Calmarlo fu impossibile, per cui Arthur lo condusse nella sua cameretta, adiacente alle stanze di lady Ygraine, lo mise a letto e si distese accanto a lui sotto le coperte. Il piccolo principe lo abbracciò nuovamente e lo tenne stretto a sé tra i singhiozzi.

“Shhh… Merlin, va tutto bene… Ci sono qua io, Merlin…” gli sussurrava piano Arthur. E sentire il suo nome pronunciato in quel modo sembrava lenire il dolore, sembrava come essere a casa, come essere al sicuro. Sempre da quel momento in poi, per Merlin il suono del suo stesso nome pronunciato dalla voce di Arthur divenne sinonimo di casa, sinonimo d’amore.

Rimasero così a lungo, in silenzio, fino a quando Merlin non si addormentò piangendo.

A sera, Arthur cacciò via un paio di domestici che volevano riportare il principe nelle sue stanze, la balia di Merlin e lo stesso Balinor, opponendosi con la minacciosa caparbietà propria di un mastino, sostenendo che non c’era nessuna necessità di svegliarlo e che Merlin stava benissimo dov’era. Alla fine, persino il re cedette.

Merlin rimase per tre giorni nel letto di Arthur, senza muoversi se non quando fosse strettamente necessario e il suo futuro cavaliere, d’altro canto, non si allontanò mai da lui per più di dieci minuti di fila.

Fu da quel momento che per tutti divenne chiaro che sarebbe stato impossibile per chiunque dividerli.

 


  
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