Fanfic su artisti musicali > One Direction
Segui la storia  |       
Autore: Peep    05/05/2015    3 recensioni
«Io... Voglio davvero ricordarmi di te, Harry. Se è così importante, voglio ricordarti.»
~
Dopo essere stato coinvolto in un incidente stradale, Louis, risvegliatosi da un breve coma, si ritrova con ricordi molto sbiaditi e nessuna delle persone che gli è intorno sembra avere nulla di familiare. Col tempo, però, pezzi frammentari della sua memoria cominciano a ricomporsi e tutto diventa più nitido.
Tutto tranne il ragazzo dagli occhi verdi che gli è costantemente accanto e che continua a ribadire di essere il suo fidanzato.
Harry, dal canto suo, tenta in tutti i modi di aiutare Louis a ricordare, ma sembra non esserci nulla da fare.
A quanto pare, l’unico metodo utile, è rifare tutto daccapo, a partire dal loro primo incontro.
~
larry au | amnesiac!louis | ziam (side)
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Un po' tutti
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 



Johannah Darling ha sempre avuto una vita che, nel complesso, le piace.

Ha sposato Troy quando ancora non sapeva che farsene, di un marito ― “troppo presto, l’aveva avvertita sua madre. E Jay l’aveva mandata al diavolo: si era sposata ugualmente.

Rimase incinta prima che potesse rendersene conto, partorì un bambino che assomigliava tutto a suo padre. Lo chiamò Louis. Lo baciò sulla fronte e si disse che forse quello era un segno del destino, il coronamento del loro sogno d’amore, che lei e Troy sarebbero rimasti insieme per sempre.

Alla fine, invece, il suo prezioso matrimonio le si sgretolò tra le mani. Cadde a pezzi davanti ai suoi occhi, Troy scappò, e Johannah pianse.

E pianse, e pianse ancora, e un giorno smise. Il suo bambino le sorrise, e Johannah non pianse più.
 

Allora ci fu Mark.

Jay lo conobbe su un treno per Nottingham, lui aveva gli occhi belli, giocava con Louis e l’aveva invitata ad uscire dopo tre quarti d’ora di viaggio. Ebbero un primo appuntamento nel più squallido dei bar, un primo bacio sotto la pioggia, e lui l’aveva fatta sentire una ragazzina. Si amarono forte, si sposarono presto, Jay sapeva che Mark era giusto, e probabilmente aveva ragione.

Si trasferirono a Londra, ebbero delle bambine: Charlotte, Félicité e le due gemelle, Phoebe e Daisy. Jay si sentì in colpa quando lo pensò, ma Louis sarebbe stato per sempre il suo prediletto.

I suoi figli crebbero in fretta, nell’ambiente che Johannah desiderava per loro, e senza che né lei né Mark gli facessero mancare nulla.
 
Louis, da parte sua, era sempre stato un ragazzino allegro, non si faceva mai prendere sul serio, ma quando aveva quindici anni, successe: Louis invitò sua madre a sedersi in cucina con lui. Sudava, era un fascio di nervi, intrecciava le dita e si mordeva le labbra, ripeteva “devo dirti una cosa”, e poi stava zitto. Poi si massaggiò la fronte, sputò fuori “sonogay” e trattenne il respiro. Diventò paonazzo, scoppiò addirittura a piangere. Johannah lo abbracciò, Louis si lasciò sfuggire un “mi vuoi bene lo stesso?”, mentre singhiozzava sulla sua spalla. Lei sospirò, assunse un’aria di disappunto: “E me lo chiedi? Certo che sì, tesoro. Certo che sì.”
 
Jay conobbe Harry a Natale. Louis lo presentò alla famiglia come il suo migliore amico, poi mangiarono insieme, lui fece i complimenti a Johannah per l’ottimo tacchino ripieno e lo straordinario Christmas Pudding. Le chiese se un giorno gli avrebbe insegnato a cucinarlo come faceva lei. Jay sorrise e disse di sì.

Il giorno in cui, invece, Louis confessò a tutti i Tomlinson che Harry era il suo fidanzato ― parola che fece venire i brividi alla povera Johannah, che di colpo si rese conto di quanto grande stesse diventando suo figlio ― nessuno seppe bene che dire, se non “che bello!” e “mi fa piacere”, ma le gemelle gioirono e dissero che se ciò significava che Harry sarebbe venuto a casa più spesso, allora sarebbe stato perfetto.
 

Johannah Darling, nel complesso, ama la sua vita. Ama suo marito, le sue figlie piccole che crescono a vista d’occhio, e ama la splendida persona che è diventato Louis.

Quando capitò l’incidente, però, il mondo le cadde nuovamente addosso. Il coma del figlio l’atterrì, ma ancora di più l’atterrì il suo risveglio, la sua amnesia e tutti i pezzi della vita di Louis che erano da ricomporre.

Quando seppe anche di Harry e di quanto avesse sofferto, le venne da piangere. Immaginò quanto dovesse sentirsi impotente e distrutto, e quando lo vide lo abbracciò come fosse stato figlio suo.
 

E adesso, invece, eccolo lì, Harry, indaffarato e attivo come non mai, mentre ride con Louis e prende lentamente i frammenti della vita di entrambi, e tenta con fatica di ricomporli.

Di nuovo, a Jay verrebbe voglia di piangere.

Quando Harry e Louis si preparano per andare via, attira in cucina Harry con una scusa, e mentre armeggia con un contenitore di plastica, lo guarda negli occhi e «Mi dispiace» Dice, in un sussurro, ma abbastanza forte perché arrivi alle orecchie del ragazzo di fronte a lei.

«Per… cosa, Jay?» Harry sembra sinceramente perplesso.

«So che stai soffrendo.» Dice Johannah, e sospira. «Non devi prenderti cura tu di Louis, Harry, se questo ti fa male. Non sentirti obbligato.»

Harry sorride, prende in mano il contenitore che le porge la donna e «Louis è la persona che amo e con la quale voglio passare il resto della mia vita» Conviene, quasi sovrappensiero. «Se non mi prendessi cura di lui come devo, mi sentirei uno straccio. Quindi va bene così, davvero. Aiutarlo mi rende felice.» Sorride ancora, di un sorriso pieno di dolore, poi si allontana, diretto alla porta della cucina.

«Harry.» Lo richiama però Johannah.

«Che cosa?» Chiede lui gentilmente.

La donna pausa, scuote la testa. «Quelle sono polpette.» Sorride. «Vi conviene mangiarle stasera, altrimenti non saranno più buone.»

«Sì. Grazie.»

Harry annuisce ed esce definitivamente dalla stanza.

Johannah appoggia la spalla allo stipite della porta, osserva suo figlio uscire da casa sua, Harry portare il braccio intorno alle sue spalle ed imbracciare i suoi borsoni e sorridergli e amarlo.

Ripensa alle parole di Harry e un po’ sorride, un po’ s’intristisce.

La persona che amo e con la quale voglio passare il resto della mia vita. L’aveva pensato anche lei di Troy, l’aveva pensato tante volte. E ci aveva creduto, eccome se l’aveva fatto.

Eppure era finita come era finita.
 

 
È un venerdì sera, fuori piove, i lampi illuminano parte della casa, la finestra socchiusa del salotto cigola, l’acqua calda scorre e riempie la vasca da bagno. Louis vi è dentro con le ginocchia al petto, l’acqua gli scivola sulla pelle liscia, una spugna gli accarezza la schiena. È un po’ imbarazzato, rabbrividisce spesso e stringe gli occhi.

Harry è accovacciato davanti alla vasca. Si è tirato su le maniche del maglione, stringe una spugna soffice in una mano, strofina la schiena di Louis mentre quest’ultimo trema vagamente ad ogni sfioramento.

Harry pensa è un bel momento, puro e innocente, come il corpo nudo e ormai pallido di Louis, e impreca mentalmente quando si rende conto dell’inopportuna erezione che cresce sotto il tessuto dei suoi pantaloni, ma non dice niente. Fa finta di nulla, le sue attenzioni rimangono tutte per Louis. 

Tacciono entrambi per tutto il tempo.

Louis l’ha lasciato fare, quando Harry l’ha invitato ad entrare nella vasca. Ha annuito quando gli ha detto che un buon bagno non gli avrebbe fatto altro che bene, e semplicemente Louis si è imbarazzato quando Harry gli è venuto vicino e si è offerto di aiutarlo. Poi però gli ha detto di sì, e “grazie”.

E ora Harry accarezza Louis, la spugna morbida disegna sulla sua pelle i baci che non può più regalargli, e Louis rabbrividisce, e il tocco di Harry non lo riconosce più, e gli fa paura.

Harry parla un po’ a vanvera, per distrarre sia Louis che se stesso. «Tua madre mi ha lasciato le polpette, sai? Possiamo mangiarle stasera, posso farle con la pasta... E Liam ha detto che domani verrà verso le tre, ha detto che porterà i muffin, quelli al burro di arachidi, li porta dalla pasticceria di Dahlia...»

Sorride un po’ debolmente, sta per passare la spugna sulla nuca di Louis, ma nota la sua cicatrice, i segni dei punti che gli devono aver dato, esita a lungo, e non appena una goccia vi cade sopra, Louis sobbalza, si ritrae e si rannicchia come un bambino spaventato, gli occhi sbarrati, neri di terrore, le mani sulle orecchie, come se potesse sentire ancora il rumore dello schianto.

Harry sbianca come un lenzuolo, si sposta i capelli dalla faccia nervoso e preoccupato, colpevole, e non gli chiede scusa un centinaio di volte soltanto perché sa che non farebbe che peggiorare la situazione. Gli prende la mano, lentamente, lo guarda, in lacrime, e resta così a lungo, tirando su col naso, con i ricci molli sugli occhi.

Glielo dice una volta soltanto: «Scusami, Louis.»

Louis scuote il capo dopo un po’, forza un sorriso, carezza la mano di Harry e posa un bacio sulle sue nocche, come faceva qualche volta prima di addormentarsi. Gli dice «Non importa,» e che sta bene, lo rassicura come può. Gli sussurra che può continuare da solo. Gli chiede per favore di riscaldare le polpette, anche se in realtà non ha fame.

Harry tira ancora su col naso. «Okay...» Si alza lentamente, spingendosi i pugni sugli occhi per scacciare le lacrime. «Scusa, Lou. Se hai bisogno, chiamami.»

Louis fa sì con la testa, Harry gli indica gli asciugamani con una mano, e poi se ne va, si chiude la porta alle spalle.

L’acqua torna a scorrere, Harry versa le polpette di carne col sugo in una pentola, accende il fornello. Si passa una mano sul volto segnato dalle notti insonni, e decide di chiamare Liam.

Ciao... Hey, sì, sto bene... Sì, è tornato a casa da poco, sta facendo un bagno... Eh? No, nulla, è successo un po’ un casino stasera... Niente di grave... Sì, stiamo bene, tranquillo... Sei con Zayn? Salutamelo... Niente... Volevo ringraziare te e gli altri per esserci stati accanto mentre Louis era ricoverato... Sì, lo so... Vi voglio bene, ragazzi... Okay, okay...Grazie, va bene... Ci vediamo domani? Okay... Ciao, saluta ancora Zayn... Buonanotte.

Sbuffa, mette giù il telefono, e si muove nella cucina vuota e silenziosa: prende i piatti dalla credenza, i bicchieri e le posate, posiziona le polpette nei piatti come se fosse chissà quale composizione, diviene stranamente consapevole dei suoi più spontanei gesti, per questo ha un’espressione stranita quando finalmente mette la pentola vuota nell’acquaio. Si guarda le mani come fosse la prima volta che le vede, le guarda accigliato e alla fine sospira.

Se alzasse gli occhi, probabilmente si renderebbe conto di Louis, in piedi nel suo pigiama – che consiste di una maglietta dei Foo Fighters di qualche taglia troppo grossa per lui e dei pantaloni della tuta grigi.

Forse si accorgerebbe del suo sguardo che lo segue per la cucina da quando ha messo giù il telefono, delle sue mani tremule e piccole, intersecate con fare lievemente ansioso, mentre i capelli ancora bagnati gli si appiccicano al viso. Si accorgerebbe di Louis che si siede quietamente su un delle sedie in cucina e resta a guardarlo fino a quando Harry non solleva il volto: solo allora se ne accorge, e il suo volto sembra ammorbidirsi, da com’era contratto e serio, in un sorriso molle. Gli pone sul tavolo due piatti: uno, con la carne e un po’ di verdura, e un altro, più piccolo, con tante pastiglie di colori diversi, disposte a formare uno smiley. Louis lo guarda e gli viene solo da vomitare.

«Grazie, Harry...»
 


Quella notte, come molte altre prima e probabilmente molte altre a venire, Harry giace sul divano sapendo che non chiuderà occhio. Louis resta sveglio ancora un po’, seduto davanti al pianoforte, muove le dita incerte su di esso e suona do mi sol si, le stesse note di continuo, finché è fin troppo stanco.

«Buonanotte.»

«Buonanotte, Louis...»
 

Harry si alza alle due e un quarto di notte, sale in soffitta e si arrampica sul tetto dalla mansarda. Si accende una sigaretta sotto la luna giudice che lo guarda, dura eppure compassionevole in quel suo biancore silenzioso, ed Harry alza gli occhi esasperato. «Cosa cazzo devo fare! Cosa cazzo devo fare!»

Si graffia il dorso delle mani con le unghie in un riflesso condizionato, si preme i palmi sugli occhi mentre tra le dita che tremano stringe ancora la sua Marlboro. Sputa una bestemmia sottovoce, finisce la sigaretta, prima di tornare in casa. E finge di dormire, sul vecchio divano di pelle, per il resto della notte.

Il mattino dopo Louis si alza, gli occhi rossastri ancora cerchiati di scuro, sorride ad Harry e finge di non averlo sentito durante la notte. 




 





Salve a tutti, agli eventuali vecchi lettori e a chi è nuovo!
Come qualcuno avrà notato, non ho più pubblicato per un luuuungo tempo: mi sono presa una pausa per motivi personali e problemi che ora ho risolto - o che mi sono messa al lavoro per risolvere - ma sono finalmente tornata, con il quarto capitolo di questa a long a cui, alla fine, tengo molto. Sono felice di presentarvelo, così, nudo e crudo, forse un po' diverso dai miei precedenti scritti e un po' imperfetto poiché io sono un po' arrugginita (è davvero tanto che non scrivo!), ma spero vi piaccia comunque.
EFP mi è mancato, mi è mancato molto scrivere, e mi siete mancati voi lettori.
Confido in voi, fatemi sapere che ne pensate, e scusate ancora per la mia scomparsa un po' improvvisa. Vi voglio bene!

P.
 
(un patato) 

 
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: Peep