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Autore: SalvamiDaiMostri    08/05/2015    0 recensioni
Johnlock dai toni estremamente drammatici a causa di una particolare condizione di Sherlock: mai avrebbe pensato che le stronzate del suo passato avrebbero inciso così profondamente sulla sua vita adulta e compromesso fino a tal punto la sua felicità. E a pagarne le conseguenze è John. E questo Sherlock sa che è terribilmente ingiusto, oltre che pericoloso.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sin da quando aveva sentito John entrare dal portone d’ingresso, Sherlock aveva dedotto il suo turbamento per lo più in base al ritmo del suo passo e ai suoi amari sospiri. Quella mattina lo aveva visto piuttosto sereno, perciò doveva trattarsi di un evento accaduto durante la giornata, ma abbastanza recentemente da non ritenere necessario riferirglielo prima via sms.
Oppure abbastanza grave da dover essere discusso di persona.
Quando il medico entrò nella sala principale, trovò Sherlock seduto sulla propria poltrona in un’espressione corrucciata e interrogativa, con le mani giunte sotto al mento:
“Non analizzarmi.” disse scocciato.
“Quindi? Dimmi...” John sospirò di nuovo, posò a terra la ventiquattrore e camminando verso lui si sfilò la giacca, la poggiò sul tavolo e si chinò su Sherlock per dargli un bacio distratto sulle labbra. Sherlock attendeva risposte. John si diresse alla sua poltrona e ci si lasciò cadere sopra. “Ebbene..?” sollecitò ancora.
“Mentre ero in taxi, mi ha chiamato Harry.” il suo sguardo si rattristò. Sherlock era sorpreso: non se lo aspettava. “Sai che sono mesi che non la sento... L’ultima volta è stato il Natale dello scandalo a Belgravia. E’ stata in prigione nell’ultimo mese, mi ha detto. Casini che mi spiegherà poi meglio, dice.” raccontava agitando la mano destra, come per dare forma ondulata al suo nervosismo; poi se la portò alla fronte “Ora entrerà in una clinica per alcolisti, dice che vuole cambiare... Questa sarebbe la quarta volta che prova a disintossicarsi, che dice di essere convinta di farcela e che mi fa mille promesse...” ruggì tra i denti, poi fece una breve pausa. Sherlock lo guardava perplesso. “Ma questa volta mi ha chiesto di raggiungerla.” disse poi tutto d’un fiato. Sherlock annuì. “Vuole che io la aiuti, che le stia vicino...”
“Immagino che andrai da lei.” John lo guardava e sospirò col naso “Le vuoi bene, e lei ti ha chiesto aiuto: l’uomo che siede davanti a me non le negherà mai il suo sostegno.”
“Ma-”
“Certo, forse sarà inutile, non lo nego, ma vale la pena tentar-”
“No, non è questo.” Sherlock, interrogativo, alzò un sopracciglio: “E’ che si trova ad Edimburgo.” il compagno sgranò gli occhi: così lontano? John, in Scozia? “Non so nemmeno come ci sia finita lassù...” ci fu un breve silenzio.
“Non importa.” chiuse gli occhi e fece spallucce: “Ci andrai comunque.”
“Ma si tratterà di settimane... Prima di tutto bisogna vedere se ce la faccio con il lavoro e poi... non voglio che tu resti solo.”
“Sahra gestiva l’ambulatorio anche senza di te, prima che tornassi a Londra: farà benissimo a meno di te per qualche settimana. Per quanto mi riguarda, sono rimasto solo molto tempo nella mia vita: me la caverò anche senza il mio blogger qualche settimana.” rispose sorridendo, John rispose con un sorriso a sua volta “Non preoccuparti.”
“Grazie, Sherlock...”
 


Sherlock guardò il treno partire e improvvisamente si sentì vuoto.
Semplicemente e irrimediabilmente vuoto e solo.
Solo. Dopo così tanto tempo, John non sarebbe più stato al suo fianco.
 
E l’indomani era mercoledì. E avrebbe fatto colazione solo.
 


Harry lo aspettava accanto a un monumento della stazione. Quando scorse John, scoppiò in lacrime: Restò immobile e fu lui a camminarle incontro, terribilmente afflitto. Quando le arrivò davanti fece cadere la borsa e la abbracciò accarezzandole la testa. Lei, senza smettere di piangere e singhiozzare, lo abbracciò con tutta la forza che aveva, lasciando cedere le gambe.
 
Quante volte era già successo.
 
Vedere sua sorella in quelle condizionifacevasorgere in John un dolore antico, quella stessa sofferenza che lo aveva spinto ad arruolarsi ed andare incontro alla guerra, piuttosto che affrontare Harry e ciò che lei comportava.
Avrebbe voluto fuggire di nuovo. Prendere il prossimo treno per Londra e correre fino a Baker st, salire quelle scale scricchiolanti e affondare il viso nel pigiama di Sherlock che, se ne rende conto solo ora, quella sera non vedrà.
 
Ma non lo farà.
 
Non scapperà, non questa volta.
John ci era andato in guerra, e non era servito a niente: rischiare la vita non era servito, patire la fame e il freddo e il caldo non era servito, vedere centinaia di persone morire non era servito. Miseria e distruzione erano rimaste intaccate. Non aveva cambiato il mondo. E si era fatto sparare. Ed era stato tutto inutile: al suo ritorno, la realtà faceva ancora schifo. Non si era sentito più utile di quando era partito. Nè orgoglioso nè fiero di ciò che era e che aveva fatto. La sua vita non aveva acquistato un senso, e la voglia di sparire una volta per tutte da quello schema tedioso che gli rendeva il solo atto di esistere letteralmente doloroso non si era affievolita nemmeno un po’.
 
Ma a Londra aveva ritrovato la gioia di vivere, in Sherlock.
E con essa, la forza per non fuggire.
 
Quella nuova forza che Sherlock gli aveva donato lo avrebbe aiutato a restare con Harry e a sostenerla finchè ne avesse avuto bisogno.


 Sherlock prese il caffé solo, al tavolo della cucina. Come se fosse un qualunque altro volgare giorno della settimana.
Aveva dormito poco e malissimo: il letto era talmente vuoto senza John. Era praticamente da un anno che non dormiva da solo e non ci era più abituato. La stanza era silenziosa senza il suo respiro... I sospiri di Sherlock avevano scandito le ore nella stanza buia, come una conversazione a senso unico: era stata una tortura.
 


John e Harry sedevano nella caffetteria della clinica davanti a due discreti cappuccini e un piatto di biscottini al burro. Erano trascorsi quattro giorni da quando si erano incontrati: lei risiedeva nella clinica, mentre John in un ostello convenzionato con essa, poco distante. Nelle ore d’aria che Harry aveva da programma, i due fratelli passeggiavano per l’incantevole città o semplicemente chiacchieravano in qualche posto tranquillo dell’edificio. Dopo tutto quel tempo che avevano trascorso separatamente, fratello e sorella avevano molte cose da raccontarsi.
 
“Stai scherzando.”
“Nope.”
“Non ci credo. Tu?? No, non ci credo.”
“Non crederci, ma è così.”
“Te lo scopi?!?!”
“E non urlare dai... e poi, che modi sono?”
“Ma da quando??”
“Sarà quasi un anno...”
“Sono scioccata. A papà viene un infarto se lo viene a sapere. Insomma, avevo letto dei pettegolezzi su certe reviste, ma mai avrei pensato che fossero fondati!”
“Non dirlo a me. Tra l’altro, sono cominciati molto prima che noi avessimo effettivamente una relazione...”
“E quindi state insieme...”
“Già.”
“Tu e zigomi d’acciaio...”
“Già...” rispose ridendo
“Da quasi un anno...”
“Sì..”
“E ne sei innamorato?”
John pensò qualche istante alla risposta da darle: pensò a quanto era dannatamente felice insieme a Sherlock. Era profondamente convinto di non poter essere più felice di quanto fosse insieme a lui. Viveva per lui, solo per lui. E nulla avrebbe potuto ormai mutare tale sua condizione.
“Decisamente sì...”
“Mio fratello, innamorato. Questa sì che è nuova! Che io ricordi non ti era mai successo, non è vero?”
“A te è successo sin troppe volte, signora ‘ho trovato l’amore della mia vita sei volte’”
“Beh, ora come ora sono libera!” disse con un ironico tono d’orgoglio. John la guardò negli occhi, serio:
“Speriamo che tu possa esserlo davvero una volta uscita da qui...”
Harry si incupì; poi prese la mano a John:
“Questa volta è diverso John: questa volta ci sei tu, con me.”
 


Squilla il cellulare.
 
- Hey...
- John.
- Come stai?
- Sono perso senza il mio blogger.
- Stronzo...
- Harry? Come sta...?
- Oh, è molto ansiosa di conoscerti!
- Ti prego evitamelo. Con ogni mezzo.
- Prima o poi dovrà succedere...
- Non vedo perchè.
- Lascia perdere... Piuttosto, tu come stai?
- Mi annoio.
 
John sorrise, avrebbe davvero voluto essere con lui in quel momento.
 
- Capisco... Niente casi interessanti? Potresti farti accompagnare da Molly...
- Magari glie lo chiedo.
- Come no. Devo chiedertelo: stai mangiando? A sufficienza?
- John, sei via da sei giorni. Se già fai così, di questo passo impazziremo.
 
La risposta era quindi chiaramente no.
 
- Anche tu? Dolce... Sherlock Holmes impazzirà perchè io non sono con lui...
 
Lo canzonò John, Sherlock arrossì.
 
- Non prendermi in giro. Mi manchi, ebbene? Dì la verità: avevi paura che mi sarei trovato bene da solo con i miei pensieri, senza più te e le tue chiacchiere tra i piedi, non è così? Ebbene ti sbagli. Pensa che non riesco nemmeno a dormie bene...
 
John restò pietrificato a tale dichiarazione. Non ebbe parole per rispondere a tale lusinga.
 
- John?
- Sì sì, ci sono.
- ...
- Mi manchi terribilmente anche tu, sai? E’ dura... Davvero dura. Sto rivivendo un incubo che anni fa mi aveva addirittura convinto che l’Afganistan fosse un supplizio minore. E sono solo... e non è facile.
- Non sei più quell’uomo John.
- ...
- Ora sei più forte e sicuro: un vero detective... e medico e soldato. Sei l’uomo di cui mi sono innamorato.
 
John avvertì una fitta al cuore.
 
- E me lo dici così? Al telefono?? Dopo mesi e mesi che stiamo insieme, tu mi dici che mi ami AL TELEFONO?? Prima o poi ti ucciderò Sherlock...
 
Minacce di morte non erano mai state pronunciate da bocca più sorridente. Diavolo, John: sembrava che avesse vinto alla lotteria con una faccia del genere!
 
- Non era mai stato necessario.
 
Sorrisero entrambi, al telefono, come una coppia di ebeti.
 
- Harry mi chiama...
- Oh...
- Mangia ok? Tre pasti completi al giorno. E esci da quell’appartamento. Ah! Ricordati di pesarti.
- Lo farò.
- Bene. Ti amo, un bacio.
- Buona giornata, John.
 

 
I suoi occhi sono ciò che davvero lo terrorizzano: Moriarty sarebbe un uomo di carne e ossa come tutti gli altri, prevedibile e noioso, se solo non fosse per quel suo sguardo. Quando lo incrocia, non può più liberarsene: è freddo, è folle. Mostra quella sicurezza che solo chi è convinto di aver compreso il gioco di questo mondo può provare. No, anzi: Jim Moriarty sa di poter dirigere il gioco, ora che ha capito. La morte, il dolore, la perdita: per lui non sono niente.
Sorride.
O meglio, la sua bocca sorride. E fa paura. Fa paura perchè sorride da sola, mentre quegli occhi rimangono freddi e penetranti, fissi su di lui.
Inclina la testa.
E’ il demonio. Distruzione per la distruzione stessa. Caos e devastazione, generati da una mente che sa di aver compreso. Compreso il senso di tutto: l’animo umano, il cuore di Sherlock Holmes, il suo.
Non c’è modo di fuggire, non c’è modo di muovere un singolo muscolo: Sherlock non può nemmeno distogliere lo sguardo da quello del killer spietatro che gli si avvicina a passi lenti, minaccioso ed elegante come una serpe. Quella bocca è di una serpe.
Può avvertire il sudore freddo corrergli in rapide gocce giù per la fronte e la schiena, il cuore impazzisce nel petto, le mani tremano: il terrore lo pervade, e il suo corpo lo tradisce.
Ormai è a un passo da lui. E’ spaventoso. Allunga il braccio e gli accarezza il  viso: improvvisamente una voraggine scura e senza fondo si apre dietro a Sherlock, i suoi talloni sono sospesi nel vuoto per metà. Il volto di Moriarty si avvicina al suo, lo affianca. Sherlock chiude gli occhi.
“Bye bye, my love.”
Le sue fredde e piccole labbra si posano sullo zigomo di scerlock in un bacio che dura un istante, eppure il tempo sembra rallentare: l’espressione di Jim è ora straziata e addolorata, Sherlock ha gli occhi chiusi, ma lo sa lo stesso. Improvvisamente si disegna un ghigno diabolico su quel volto e quella stessa mano che lo aveva accarezzato e tenuto per qualche istante, gli afferra i capelli e lo tira indietro, giù nella voraggine.
Sherlock precipita.
Cade senza smettere di guardare negli occhi quel mostro che lo ha tirato giù. L’aria gli taglia le orecchie, il fiato è mozzato e un grido muto tenta inesorabilmente di farsi strada attraverso la sua bocca spalancata dal terrore. E’ stupido, ma le braccia e le gambe cercano un appiglio nella caduta, muovendosi goffamente contro l’attrito dell’aria.
Il buio lo divora. E’ finita.
Questa volta davvero, non c’è via di scampo. Precipiterà in eterno, quel burrone non ha fondo. Ora è solo, Sherlock Holmes morirà solo: lo aveva detto sempre la gente cattiva. “Resterai solo!”.
“Non mi importa!” diceva lui. Ed era vero. Ma adesso sì! Adesso importa! Perchè lui adesso non è solo! NON E’ SOLO! SHERLOCK HA JOHN, NON E’ SOLO! Ma John non c’è. Prova a chiamarlo, con tutte le sue forze, ma dalla bocca non esce suono alcuno. E’ solo, John non verrà: questa volta non può salvarlo nessuno. John non c’è. Il fratellone non c’è. Nessuno lo salverà. Perchè fa così tanta paura? Perchè fa così tanto male??
Aiuto. Grida?! Ora lo sente, ora si sente! Aiuto! AIUTO!! E un urlo si fa strada nella sua gola per poi perdersi nel vuto dell’abisso, in un eco assordante e spaventoso che gli fa perdere la testa.
 
Fu così che Sherlock si svegliò: urlando, in un bagno di sudore, nel suo letto.
Subito gettò la mano alla sua destra per afferrare il braccio di John e calmarsi, ma la mano sbatté sul materasso. Perchè John non c’era.
Era notte fonda. Sherlock si mise a sedere e si prese i capelli umidi di sudore tra le mani: John era ancora a Edimburgo, perciò avrebbe dovuto calmarsi da solo. Cercò di regolarizzare il suo respiro, piano, con calma... Poi si alzò e si diresse verso la cassettiera per prendere un pigiama asciutto: quello sudato era davvero fastidioso sulla pelle e, una volta cambiato, sarebbe stato più facile riprendere sonno. Doveva cercare di dormire: faceva molta fatica ad addormentarsi da quando John era partito e dormiva pochissimo anche per i suoi standard; e non era bene. Possibile che la mancanza di John lo danneggiasse così tanto anche a livello fisico?
 
Certo che era possibile.
 
Si rimise a dormire, questa volta dal lato di John che era fresco e stirato, e affondò il viso nel cuscino che sapeva di bucato come il suo, ma aveva qualcosa di John e perciò lo strinse con tutte le sue forze, in attesa che i suoi occhi si chiudessero di nuovo, nella speranza di sogni più tranquilli.
 


 Che fai oggi? –JW
 
Caso. Rapimento, accompagno Lestrade. –SH
Ma tu questo lo sai già, non è vero? –SH
Hai convinto tu Lestrade a tirarmi fuori di casa. –SH
 
Vai e lavora, che ti piace. –JW
 
Solo perchè il caso è interessante. –SH
Tu cosa farai? –SH
 
Porto Harry al mare... Sta andando bene. –JW
Mi manchi immensamente. –JW
 
Ancora non sai quando tornerai? –SH
 
Oggi le parlo...  Ormai non ce la faccio più. –JW
 
Gli scozzesi ti hanno stufato? –SH
Fammi sapere. Sempre tuo, - SH.
 


 Il caso tutto sommato non era poi così interessante. –SH
 
Spiacente. –JW
 
Quando torni? –SH
La casa è un casino. –SH
 
Che io torni presto o meno, dovrai comunque riordinare da solo. –JW
 
Ancora non sai quindi? –SH
 
Mi ha supplicato di restare ancora qualche giorno. –JW
 
Qualche giorno sia, dunque. –SH
Oppure vi raggiungerò io. –SH
 


Quello era proprio un brutto giorno per realizzarlo.
 
Sherlock si era svegliato di nuovo madido di sudore nel cuore della notte, e questa volta non aveva avuto incubi. Trascinatosi in bagno per sciacquarsi, nell’accendere la luce scorse solchi nel suo torso nudo che non aveva mai visto prima: si mise quindi di profilo e alzò il braccio verso allo specchio e nel compiere tale gesto, le costole e le clavicole spisero contro la pelle in modo decisamente troppo evidente e inconsueto. Ricordò improvvisamente che non si era ancora pesato da quando John aveva lasciato il 221b. Si gettò a terra ed estrasse la bilancia dall’angolo in cui era riposta, si rialzò e, preda del terrore, vi salì.
Prima che trovasse il coraggio di abbassare lo sguardo e vedere dove si era fermato l’ago passarono diversi eterni minuti nei quali Sherlock non poteva fare a meno di chiedersi
 
«Dov’è John?»
«Perchè non è qui con me, adesso??»
 
Aveva perso quasi due chili.
Eppure aveva mangiato regolarmente, anche se controvoglia.
Ormai non era necessaria la conferma della dottoressa Tietjens: perdita dell’appetito, del sonno, di peso e sudorazione eccessiva. Di certo i CD4 erano scesi ancora. Ed era entrato nella fase sintomatica.
Forse fu la prima volta che ebbe davvero paura in tutta la sua vita.
 
Sherlock vide dalla sveglia appoggiata all’armadietto del bagno che erano le tre e diciotto del mattino:
Quello era proprio un brutto giorno per realizzarlo.
 


 John, seduto nella metro con il bagaaglio appoggiato tra le gambe divaricate, batteva freneticamente il piede a terra contando le fermate una dopo l’altra: era in ritardo; o meglio, il treno che lo aveva portato a Londra era stato in ritardo. Da quando era partito da Edimburgo non aveva fatto altro che contare le ore e i minuti, sapeva esattamente quanto gli sarebbe servito per tornare a casa, ma un guasto al treno aveva modificato i suoi piani e i nervi di John non lo sopportavano. Dalla stazione di Kings Cross ci sono cinque fermate di metro prima di Baker St, lo spasmo alla mano si ripresenta, ma lui nemmeno ci fa caso. John ha in mente solo Sherlock: finalmente sta tornando a casa, con un dannato e imprevisto ritardo, ma sta arrivando! Poco prima di scendere, John si alza e carica il borsone sulle spalle: sente il cuore esplodergli in petto e un sorriso idiota disegnarglisi sul viso. Nonappena si aprono le porte con quel fischio fastidioso, John scatta e, finalmente, non pensa più a nulla. Corre, noncurante della gente che potrebbe giudicarlo un pazzo, corre verso il 221b e chi lo abita. In un paio di minuti è davanti al portone nero con quei quattro caratteri in ottone che tanto ama: goffamente estrae la chiave dalla tasca dei pantaloni e apre, facendosi crollare addosso un paio di volte il bagaglio che portava. Improvvisamente si ferma: non vuole fare rumore. Posa il bagaglio e sale le scale un gradino alla volta piano piano: magari Sherlock non lo ha sentito, dopo tutto la sua sciocca idea era quella di fargli una sorpresa per quel giorno speciale. Mentre saliva, tentava in ogni modo di regolarizzare il suo respiro, ma senza riuscirci. Una volta in cima, non esitò un istante e spinse piano la porta per aprirla: nel vedere Sherlock seduto sulla sua poltrona nera, disse in tono trionfante:
“Buon anniversario.” tentando di sorridere col fiatone, chinandosi leggermente in avanti per lo sforzo. Sherlock rise e abbassò la testa, alzandosi:
“Spero non fossi convinto di farmi una sorpresa...” disse camminando verso di lui. John scosse la testa sorridendo:
“Impossibile...” rispose chiudendo la porta dietro di sè. Sherlock lo raggiunse: inclinò la testa facendogli passare una mano dietro la nuca e lo baciò intensamente. John schiuse la bocca per accogliere quel bacio tanto agognato in quelle settimane; prese ad accarezzargli il viso e i capelli con entrambe le mani e lo baciò a sua volta ancora e ancora. Si separarono solo per abbracciarsi forte, con le dita che affondavano nei vestiti e i nasi sprofondati nel collo l’uno dell’altro tra mille sospiri. Era un abbraccio che parlava da sé: diceva «Mi sei mancato così tanto» diceva «Ricomincio a vivere solo ora che sono di nuovo con te» e poi «Siamo una coppia di idioti» ma anche «Ti voglio, ti voglio».
Quanto si erano mancati... Lo avevano saputo ogni instante di tutti quei giorni passati separatamente, eppure era come se se ne fossero resti davvero conto solo in quel momento in cui erano di nuovo uniti.
Sherlock risalì il collo di John a suon di baci fino ad arrivare al suo orecchio per poi sussurrargli:
 
“Voglio fare l’amore con te.”
 
John non potè fare a meno di arrossire: Sherlock non gli aveva mai detto una cosa del genere. E rise, rise di gusto senza smettere di stringerlo... e rise anche Sherlock premendo il suo naso contro a quello di John, prima di tornare a divorarlo di baci insaziabili. Accecati dal desiderio, si baciarono e si spogliarono a vicenda ansimando e ridendo... e, piano piano, si diressero verso la camera da letto. Verso metà del corridoio, John aveva sbottonato completamente la camicia viola di Sherlock e fece per sfilargliela frettolosamente, ma nel passargli le mani sul petto nudo, John ebbe un sussulto: si fermò e lo guardò in viso, scioccato.
Se ne era reso conto solo allora.
 
«Sono un idiota.»
 
Non aveva parole: al tatto avvertiva chiaramente le sue ossa che premevano contro la carne. John, oltre ad essere medico, conosceva quel corpo come nessun altro e, nell’avvertire che era dimagrito così tanto, non poté fare a meno di spaventarsi. Gli passò le mani sul petto e sui fianchi con fare professionale, mano esperta, ma sguardo addolorato. Sherlock non proferiva parola e lo lasciava fare, con le braccia morbide lungo i fianchi: nonostante tutto, era suo diritto di capire la situazione, anche se a modo suo.
Poi alzò le mani per separare quelle di John dal suo petto e intrecciò le dita con le sue; John non alzò lo sguardo:
“Guardami negli occhi.” gli disse con tono dolce, inclinando la testa per trovare il suo sguardo giù dove lo aveva gettato; quando si incontrarono, con una mano gli accarezzò il viso e, tornando diritti, gli sorrise con affetto: “Va tutto bene.” John scosse piano la testa “Sì, John. Tu sei qui: va tutto bene.” il suo sguardo era affettuoso e sicuro, ma le sue mani tremavano e tradivano le sue parole.
“Oh, Sherlock...” fu tutto ciò che ebbe il tempo di dire prima che Sherlock affondasse il naso nel suo collo e ricominciasse poi a baciargli il petto nudo e fremente: non voleva permettere che il loro incontro finisse in lacrime. No: lui era così felice di avere di nuovo John tra le braccia, il suo sapore nella bocca, la sua pelle tra le mani... Non c’era spazio per la tristezza e la paura. Dovette fare leva sui più profondi desideri di John per convincerlo a mettere momentaneamente da parte quei brutti pensieri, per dedicarsi finalmente l’uno all’altro come agognava prima dell’amara scoperta. Sherlock gli cinse quindi i fianchi con le braccia e lo tirò con sè nella stanza da letto.
 

 


[Hey, salve a tutti bella gente! ^^ Prima di tutto vi ringrazio di cuore per essere arrivati a leggere fino a qui: è il regalo più grande che possiate farmi, mi ripaga di tutta la fatica fatta a scrivere :p Spero che vi sia piaciuto anche questo capitolo e vi invito calorosamente a lasciarmi una recensione: sono di fondamentale importanza per me ;) Mi scuso se sto cambiando diversi stili di scrittura... Purtroppo mantenere una vera e propria continuità stilistica è per me molto difficile, spero non sia troppo fastidioso >< Come ben saprete ormai, cerco di aggiornare il prima possibile, ma ormai questi capitoli partono praticamente da zero.. e oltre al tempo materiale per pensarci e scriverli, devo anche trovare il momento giusto per farlo (altrimenti saltano fuori delle schifezze) Perciò vi chiedo di essere pazienti <3 Al prossimo capitolo! Un saluto, _SalvamiDaiMostri]
   
 
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