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Autore: VenerediRimmel    20/05/2015    6 recensioni
Cominciò a piovere, a Stoccolma, e come se il fato volesse dargli un’altra prova o, in alternativa, beffeggiarlo per quanto avesse compreso in quel momento, Zayn percepì l’acqua toccarlo e bagnarlo.
Guardò verso il cielo, ora in quel quadro che aveva giudicato come il più bello della sua intera esistenza, ammirandolo senza potersi sentire incluso in esso, non era più distante e impercettibile, ma c’era finito dentro, come un colore abbozzato su tela. L’acqua gli si riversava addosso come i suoi pensieri ormai nitidi e coerenti. La sua parte d’umanità aveva fatto leva su quella angelica e ogni sfera emotiva non era più un’abitudine che conosceva, ma che provava in milioni di prime volte.
Così come era entrato in quel dipinto, attraverso un pittore che lo aveva pennellato nella sua arte, Zayn era caduto nell’amore. Con sorpresa, rimase lì a guardare il cielo scuro e a provare tutte quelle meravigliose, quanto dolorose, sensazioni.
[...]
Era un principiante con in mano l’amore, voleva dipingerlo e fare della sua arte la cosa più bella e preziosa che ci fosse al mondo.
---
Ziam - Angelo della morte!Zayn, essere umano!Liam Lucifero!Harry & others | 60k parole
Genere: Fluff, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Liam Payne, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: Incest
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Porta male fare gli auguri prima,
ma nessuno ha mai parlato di sfiga da regali - a metà - anticipati
.
A te, testona




 




Death, be not proud, though some have called thee
Mighty and dreadful, for thou art not so;
For those whom thou think'st thou dost overthrow
Die not, poor Death, nor yet canst thou kill me.
From rest and sleep, which but thy pictures be,
Much pleasure; then from thee much more must flow,
And soonest our best men with thee do go,
Rest of their bones, and soul's delivery.
Thou art slave to fate, chance, kings, and desperate men,
And dost with poison, war, and sickness dwell,
And poppy or charms can make us sleep as well
And better than thy stroke; why swell'st thou then?
One short sleep past, we wake eternally
And death shall be no more; Death, thou shalt die. 1
 
 
 
 
On sleepless roads the sleepless go2
                                        ___________________________________________________________________________
 
If you could see yourself now baby,
The tables have turned
The whole world hinges on your swings
Your secret life of indiscreet discretions
I'd turn the screw and leave the screen,
Don't point your finger,
You know that's not my thing 3
 
Gli era sempre piaciuta quell’esistenza, non aveva mai avuto problemi con quel compito per secoli. Aveva camminato a piedi scalzi per tutto il mondo senza lesioni o sconvolgimenti in lui e attorno a lui tali da desiderare di essere diverso da chi era.
Seguiva una lista e non aveva mai, nemmeno una volta, senza incorrere ad alcun sbaglio, saltato un punto, cambiato o condizionato per sua volontà. E questo, fondamentalmente, perché aveva sempre creduto di non possederla, una scelta.
Se c’era una cosa che invidiava agli uomini, infatti, era la loro seppur mortale possibilità di scegliere. Suo padre lo aveva chiamato più volte, come fosse il dono più prezioso, dopo quello di venire al mondo, “libero arbitrio” e, in effetti, quelle due parole impacchettavano in maniera perfetta, il presente che Lui aveva fatto all’umanità.
Non era una propria e vera gelosia, la sua, anche perché non era sicuro di essere in grado di provarla; l’aveva sempre considerata una curiosità, piuttosto, sbocciata la prima volta quando aveva assistito al compimento delle conseguenze che fare una scelta portava con sé.
In quell’unica occasione la sua lista si era modificata, ma non per suo volere appunto, e al posto di un nome maschile, appartenente a un bambino di otto anni, si era ritrovato a prendere con sé, per traghettarla come era sua compito, l’anima di una donna di trenta anni, in carriera – una fra le prime – il cui nome sarebbe apparso molto più in là se solo non fosse intervenuta a salvare quel bimbo, prossimo a terminare la sua vita a causa di una carrozza.
Non era la questione eroica ad averlo incuriosito, lo sapeva che senza quei tipi di atti la lista si riduceva di moltissime anime, bensì l’inaspettato succedersi degli eventi: quella donna aveva deciso di sua spontanea volontà, travolta dall’idea di risparmiare la vita a un bambino e magari salvarsi, di gettarsi praticamente nel braccio della morte. Ed era morta, per un’altra vita.
Era proprio la scelta, involontaria e a tratti perfino stupida, che lo incuriosiva e tormentava; perché forse più dei sentimenti e delle emozioni umane, era ciò che proprio non riusciva a comprendere. Il libero arbitrio era esonerato da leggi, era caos e imprevedibilità. Tutto ciò che lui non era, e non poteva essere.
“Perché l’avete fatto?” le aveva domandato, prendendola per mano.
Perché aveva deciso di compiere un tale sacrificio e come – che processi mentali – l’avevano condotta a gettarsi contro un ragazzino, sapendo di rischiare la sua vita? In fondo, era solo un ragazzino come tanti altri, e probabilmente se avesse fatto più attenzione ad attraversare, invece di giocare con la sua palla di stoffa, si sarebbe potuto salvare da solo. Perché scegliere di morire per un estraneo?
La donna si era guardata attorno spaesata, non vedeva altro che bianco dopo trent’anni di colori o luce e, in alternativa, buio. Ora c’era solo il bianco e un puntino scuro molto lontano da loro. Quando lei si voltò a guardarlo negli occhi, lo fissò con sgomento: aveva appena capito di essere morta e che non c’era più alcuna speranza, per lei, di vivere.
“Perché vi siete lanciata sotto una carrozza per uno sconosciuto? Perché avete fatto questa scelta?” ripeté, mentre prendevano a camminare verso quell’innocuo quanto evidente punto nero. Lo voleva sapere, pretendeva da lei uno spiraglio alla comprensione umana e alla sua estrema stupidità perché, prima fra tutte le curiosità, si domandava se lui, da umano, non più ignaro di tali procedimenti, sarebbe stato in grado di compiere le medesime scelte.
La donna aveva fatto spallucce, mentre trovava pace per la sua sorte. “Non ne ho idea, ho solo… agito”.
Non lo capiva e se avesse potuto provare rabbia o frustrazione probabilmente lui avrebbe scelto di abbandonarla in quel limbo, nel suo inferno, per non averle dato una risposta. Invece aveva sospirato, perché non era da lui compiere quel tipo di mosse sconsiderate, perché non era il suo compito giudicare, e perciò l’aveva condotta infine nel luogo in cui la sua anima sarebbe appartenuta in eterno.
“Starò bene?” glielo domandavano tutti, presto o tardi, prima di giungere a quel buco nero. L’unica cosa che non lo sorprendeva più, facendogli titubare dell’imprevedibilità delle loro azioni, considerato che poi erano animali davvero prevedibili, erano le paure umane.
 
Lui ci ripensava spesso, anche perché aveva molto tempo a disposizione per pensare, nella sua perpetua solitudine. Spesso progettava, sentendosi, nel modo in cui gli umani definivano quello stato d’animo, ‘in colpa’, di voler provare a scegliere, ma poi ricordava di non essere libero di farlo. Non aveva catene, certo, ma una condotta ce l’aveva eccome. Ed era immacolata. Suo padre lo aveva creato per scopi puri, tra di essi uno dei più importanti, e fra questi non vi era la ricerca personale di scoprire cosa fosse la libertà di scelta.
Ogni suo pensiero si concludeva sempre nello stesso modo: un sospiro, mentre le sue ali nere si aprivano stiracchiandosi intorpidite, e poi con uno slancio e subito in volo verso il prossimo nome.
Non aveva mai parlato con nessuno, con nessuno dei suoi fratelli, di tale inconsiderata curiosità perché sarebbe stato deriso, ma soprattutto perché nessuno, a parte lui, sembrava colto da quella mania di sapere. Nessuno lo era, ma qualcuno lo era stato e da secoli scontava la sua pena per la macchia, seppur creativa e libera, nella sua condotta.
Perché, sì, c’era chi come lui era stato curioso, animato da una tale recondita passione a tal punto da averlo condotto a cadere, ma nessuno ne parlava più, di lui e delle sue azioni, se non per minacciare le intenzioni dei più audaci; e quando veniva fuori il suo nome molti abbassavano lo sguardo o facevano una smorfia per commentare quella memorabile e disdegnante fine. Così, quel ricordo il più delle volte era servito a ricordargli quale fine non volesse fare e perché non dovesse andare oltre alla fantasia della sua non tanto innocua curiosità.
Tra i suoi pensieri, una volta, quando pensare a Lui non era bastato per frenare tale ambizione, era affiorata perfino l’idea di fare una chiacchierata con chi credeva suo simile e che sembrava avere avuto almeno, nonostante la fine, una risposta alla sua medesima curiosità umana; ma anche in quel caso, alla fine, aveva esitato, sapendo che per scoprirlo, sarebbe dovuto scendere in un luogo di luce divampante in un fuoco eterno, dal quale tutti si tenevano a debita distanza.
Nonostante tutti gli impedimenti che si era ritrovato davanti, come ostacolo per la conoscenza al dilemma sul libero arbitrio degli umani mancava solo una goccia per far traboccare quel vaso, per far vacillare lui stesso e quindi condurlo a cadere.  E quella goccia, purtroppo, esisteva, portando il nome di un essere umano, scritto sulla sua lista, il cui destino era segnato dal giorno della sua venuta al mondo.
Il nome per il quale, ora, stava volando nel cielo della cittadina di Wolverhampton.
 
~***~
 
Era la fine di agosto. Non che lui stesse dietro a un sistema elaborato dagli umani per suddividere il tempo, ma quel giorno se lo sarebbe portato dietro fino alla sua fine, qualsiasi alla quale fosse destinato, rimuginando se avesse potuto comportarsi diversamente. E, soprattutto, se lo sarebbe ricordato perché proprio quel ventinove di agosto compì un’azione puramente umana, ovvero ciò che riteneva, per creazione, di non poter fare. 
Entrò nella vita ormai agli sgoccioli di questo ragazzo, durante una conversazione.
Bip. Bip. Bip.
“Il dottore mi ha detto che per stasera possiamo tornare a casa, tesoro. Così potrai festeggiare il tuo compleanno” disse la donna, con gli occhi gonfi e rossi di chi aveva trattenuto le lacrime fino all’ultimo, fino ad esplodere di nascosto, in un bagno, esausta nel vedere il suo piccolo bambino spegnersi giorno dopo giorno.
Liam le strinse la mano e sorrise “davvero?” replicò; la voce d’un tratto era serena come non lo era mai quando si trovava in quelle stanze asettiche di quell’ospedale.
“Sì, tesoro, ma domani dovremo tornare per altri accertamenti”.
Si spostò dalla finestra, dalla quale era entrato assieme a un soffio di vento impercettibile ai sensi umani, e si mise al capezzale guardando la coppia, madre e figlio, che non faceva altro, in silenzio, che sorridersi con gli occhi lucidi, ricolmi non solo di lacrime ma di parole non volutamente dette, perché tirarle fuori era più difficile di qualsiasi altra difficoltà.
Bip. Bip. Bip.
Ne aveva visti tanti di quei volti, lui, e sembravano sempre gli stessi, tanto da pensare di capirli ormai, nonostante invece li confondesse come l’abitudine di mangiare sempre la stessa pietanza, un secolo dopo l’altro.
Quella felicità, però, negli occhi di quel bambino lo sorprese nel modo più ingenuo, così lo fissò mentre la madre si adoperava a prendere i vestiti dall’armadietto.
Aveva un po’ di tempo per seguirlo prima del momento che, ora sapeva, sarebbe giunto lo stesso giorno della sua venuta al mondo. E per questo, avrebbe potuto provare tristezza, ma per lui i giorni non contavano nulla, visto che non gli servivano nemmeno per stabilire se fosse giorno o notte, considerato che viveva dall’altra parte del velo dove il tempo era relativo; così come non contava che a quel bambino lo aspettasse un altro luogo proprio il giorno del suo compleanno. Anzi, avrebbe potuto trovarlo quasi poetico: per quel bimbo sarebbe stato come azzerare una vita e ricominciare da zero,  nel giorno della sua venuta al mondo, in una nuova esistenza, questa volta immortale.
Peccato che solo lui avesse la semplicità, quasi inesperienza emotiva, di vederla da quel punto di vista. Fosse stato un essere umano, probabilmente sarebbe stato etichettato come sociopatico, ma era solo un Angelo condotto a fare il suo lavoro, quindi non poteva proprio comportarsi in modo diverso.
“Mamma, ci ho ripensato” lo sorprese poi e, voltandosi verso la madre, capì che non era stato il solo. “Non voglio tornare a casa se domani dovrò essere di nuovo qui” continuò, tirando su col naso.
Bip. Bip. Bip.
Quel rumore continuo del macchinario ormai non sortiva alcun effetto disturbatore in nessuno dei due: e quella era un’abitudine.
“Perché dici così, tesoro?” chiese la madre, avvicinandosi al ragazzino. “Perché sono stanco e poi tornare a casa mi metterebbe tanta tristezza, sapendo di dover tornare qui domani”.
Si spostò dietro la madre, mentre annuiva. “29 agosto 2003: Liam Payne, 1o anni, The Royal Wolverhampton Hospital. Insufficienza renale cronica.” rimembrava la sua lista.
Tutto andava secondo i piani.
La madre non tentò di persuaderlo, anche se voleva che suo figlio tornasse a casa per festeggiare il suo compleanno nel calore domestico, tra amici e parenti, si sentiva più tranquilla nel saperlo sotto le cure e le attenzioni dei medici.
A convincerla furono le parole del dottore che poco prima le avevano detto la verità: “suo figlio è il prossimo nella lista, signora, dobbiamo solo aspettare e sperare che dei nuovi reni arrivino in tempo. Deve essere forte, dovete esserlo tutti quanti. Preferirei che restasse, è molto debole e instabile, ma capisco e acconsento se per questa giornata volete riportarlo a casa” e che ora rimbombavano fastidiose come un eco, facendola tremare di paura.
La paura, forse l’unica emozione che lui stesso poteva dire di aver provato, la percepiva nel battito irregolare che risuonava nelle sue orecchie se solo si fosse concentrato solo su quello e nel fiato spezzato, a volte trattenuto e poi buttato subito fuori, e nella pelle d’oca, tremante e udibile come un rintocco di un orologio a cucù.
Una madre, l’aveva scoperto, percepisce, ancor prima di tutti, attimi che stanno sopraggiungendo. Soprattutto se riguardano i propri figli.
“Va bene, tesoro. Però faccio venire tutti qui, a portarti i regali e la torta” convenne, scompigliandogli i capelli sui quali, poi, appoggiandoci le labbra depositò un bacio che non ammetteva repliche.
“Dieci anni capitano una sola volta nella vita” esclamò, afferrando il telefono dalla borsa e abbandonando di tutta fretta la stanza.
Guardò la donna uscire senza dire nient’altro e tornò a osservare il bambino quando questo, in un sussurro che nessun altro avrebbe potuto sentire, disse “ogni anno si festeggia una volta sola” piuttosto sconsolato.
Sorrise: fu una delle poche volte che lo fece distrattamente, accorgendosene in un secondo momento. Poi si mise in un angolo della stanza e attese il momento.
Bip. Bip. Bip.
 
Liam spense le dieci candeline sotto lo sguardo dei parenti, ma nessun amico d’infanzia era lì con lui a festeggiare quel momento così fragile e, perfino, malinconico. Eppure sorrideva e, spesso, rideva alle battute dello zio, tossendo poi quando esagerava con gli sforzi. Nonostante la pelle bianca e spenta, gli occhi semichiusi per la fragilità delle sue forze, e tutti i tubi collegati al suo corpo e che lo aiutavano, sembrava un ragazzo allegro al quale la vita, sebbene gli avessi privato tanto e volesse togliergli molto di più, piaceva.
Lo osservò per tutto il tempo che gli restava, attento e curioso. Aveva sempre cercato una sorta di legame con i nomi che si ritrovava nella lista; tentava sempre di scovare una similitudine che accomunasse un uomo con l’altro, ma in conclusione pensava sempre la stessa cosa: erano tutti diversi. I comportamenti e i visi, talvolta, potevano sembrare tutti uguali ma c’era sempre un particolare, poi, che li differenziava tra loro e quello stupidissimo regalo era il potere e la magnificenza del padre che sapeva mettere al mondo sempre delle anime dai colori e dalle tonalità diverse. 
A Liam piaceva parlare, nonostante facesse fatica a farlo. Gli piaceva così tanto da accostare una parola all’altra, mentre parlava, come se tra queste non incorresse alcuno spazio. Più volte aveva fatto fatica a seguire i suoi discorsi, anche se il più delle volte era perché non sapeva a cosa si riferisse, e questo non aveva fatto altro che incuriosirlo maggiormente. Nel suo angolino, lo ascoltava con l’udito teso, nonostante non ne avesse bisogno, considerato che in quell’ospedale riusciva a sentire anche l’inserviente al quinto piano mentre canticchiava una canzone.
“…In geografia i ragazzi della mia età hanno già iniziato a studiare tutti gli stati dell’Europa, non le imparerò mai tutte, la geografia è così noiosa, e invece in matematica sono ancora indietro, credo che non riuscirò a essere allo stesso livello degli altri!” concluse il suo riepilogo.
Tutti sorrisero sforzandosi di farlo e mentre le sorelle gli davano del caprone senza troppi sensi di colpa, il padre gli consigliava, stringendogli un braccio, che con impegno avrebbe potuto fare di tutto, incoraggiandolo. Come se Liam avesse davvero una possibilità di vivere una vita normale e, quindi, andare in una vera scuola. Quella era speranza. Lo speravano tutti, ma con la stessa intensità avevano paura del peggio. Del peggio che ora sopraggiungeva.
Bip. Bip. Biiiiiiiip.
Ebbe così inizio la fine, quella di Liam. Tutti si girarono a guardare il macchinario che aveva preso a fare quel rumore atipico e allarmante; la madre era scattata in piedi, abituata a quel tipo di suono, ma affatto calma perché ciò non presagiva nulla di buono, mentre le sorelle del ragazzino scappano fuori dalla stanza in cerca delle infermiere. Lo zio si era avvicinato al padre e assieme a lui ripetevano il suo nome.
E Liam, lui semplicemente aveva perso i sensi, crollando all’indietro sul cuscino, subito dopo che i suoi occhi si erano alzati al soffitto sparendo dietro le palpebre.
Ogni volta accadeva lo stesso meccanismo e tutti reagivano in una sorta di abitudine che, però, faceva sempre male.
Quella volta, però, sarebbe stata diversa dalle altre e avrebbe fatto più male. Forse perché si trattava dell’ultima volta.
Biiiiiip.
Si avvicinò al letto, mentre i dottori cercavano di rianimarlo. Inutilmente. Era lì, tranquillo e pacato, cozzando con l’aria frenetica e agitata che animava i dottori e i parenti del ragazzo, mentre attendeva l’anima di Liam, per prenderla per mano e così condurla dall’altra parte del velo, laddove lo attendeva il luogo al quale sarebbe appartenuta per l’eternità.
 
Quando Liam tornò a vedere, il mondo che si era lasciato alle spalle e che ora osservava con occhi diversi non gli mancava.
Era pronto.
Per quanto aspirasse a una vita longeva, nei suoi dieci anni compiuti sapeva anche che non aveva desiderato altro di ciò che aveva vissuto: un’ottima famiglia, calorosa e presente, e tanta spensieratezza che, mischiata a quel continuo e inevitabile dolore, risaltava ancora di più dandogli un’importanza inestimabile. La malattia, alla fine, gli aveva dato la possibilità di capire, a quella tenera età, cosa fosse realmente importante.
Gli sarebbe mancata la famiglia, che osservava mentre disperata piangeva, ma era pronto a lasciarla per un posto migliore. Non sapeva cosa glielo dicesse che fosse pronto, forse qualcosa dentro di lui, forse un’accettazione che si ha quando si muore o… non lo sapeva, d’altronde era morto da pochi minuti e, in più, era solo un ragazzino.
Quando lo vide, capendo immediatamente che era lì per lui e che lo stava aspettando, Liam sorrise.
“Ciao”.
 
~***~
 
Il tempo è relativo, se da un lato sembra correre inesorabile, secondo dopo secondo, a una velocità che chiunque avrebbe voluto bloccare, nonostante non se ne fossero avute le capacità…
 
“Ora del decesso: 21:30”
“NO, LIAM. Il mio bambino… il mio bambino, no…”
 
…Dall’altro lato del velo, che nessuno potrebbe vedere o conoscere se non troppo tardi per poterne parlare, il tempo è sempre relativo, ma infinitamente più lento, quasi trattabile. Come se non ci fosse bisogno di nessuna capacità per fermarlo.

 
~***~
 
It’s amazing how
you can speak right to my heart
without saying a word
you can light up the dark
try as I may, I can never explain
what I hear when you don’t say a thing
 
 
Le voci dall’altra parte sembravano ovattate. Liam si toccò le orecchie per accettarsi che ora che era morto non si dovesse vivere con dei tappi e “è il velo” lo colse all’attenzione l’unica persona – dubitava che lo fosse – che era in grado di vederlo. La sua voce, infatti, la sentiva nitida in tutta la sua leggiadra delicatezza, nonostante gli fosse parsa roca e con una vena inconfondibile di malinconia. Disse soltanto questo, quell’uomo.
Liam lo osservò, stupito e meravigliato. Non aveva bisogno di chiedergli chi fosse; se non fossero bastate le ali nere che si erano spiegate mostrandosi in tutto il loro splendore, Liam credeva di saperlo fin troppo bene anche andando a intuito.
Non riusciva a guardarlo in viso, come se provare lo facesse d’improvviso diventare miope, così si limitò, prima di parlargli, di osservarlo in ciò che lo rendeva nitido. Il suo abbigliamento era grigio e logoro, ma assurdamente elegante, la carnagione della sua pelle era olivastra. Si concentrò sulle mani, affusolate e delicate come quelle di un pianista:“Mi porterai dall’altra parte?”.
L’Angelo annuì, alzando la mano per afferrare quella del bambino che con esitazione gliela prese, intrecciando le sue dita in quelle che per un attimo aveva considerato come un capolavoro di un artista.
Al contatto era fredda, ma subito un calore lo riscaldò, facendolo tornare a guardare l’uomo con estrema curiosità. Una delle sue ali, nere con sfumature che andavano dal marrone di un cioccolato fondente a un verde cinabro, lo abbracciò causando una folata di vento che la sua pelle non percepì. E lo fece per guidarlo verso la strada giusta.
Liam guardò la madre, il padre e le sorelle per l’ultima volta, dicendo silenziosamente loro addio, poi seguì l’uomo al suo fianco che camminava verso una parete della stanza. Quando la attraversarono, fu tutto bianco eccetto un punto nero in lontananza.
“Non sei di molte parole, eh?” gli domandò, tornando per abitudine umana a guardarlo in viso: aveva la vista e poté vederlo.
Era di una bellezza indescrivibile. Se Liam avesse avuto ancora fiato da trattenere, avrebbe preso un grosso respiro, colpito dalla graziosità di quel viso. Era delicato, quasi comune, ma straordinariamente bello. I suoi occhi avevano tutte le sfumature che aveva riscontrato nelle piume delle sue ali, ora ritirare e nascoste dietro la schiena.
Bello come un Angelo e, dopotutto, lo era davvero, anche con quell’espressione riconducibile alla sorpresa.
“Tu invece parli tanto” gli rispose, finalmente. Lo vide socchiudere gli occhi al suono della sua voce, una reazione che aveva visto sui volti di molti, e poi ridacchiare.
“Cos’hai fatto nell’ultimo periodo, mi hai spiato?” rispose in una burla. “Mamma li chiama stalker, tu sei uno di quelli?” E rise.
Rimase interdetto dallo spirito così sereno di quell’anima, benché avesse appena vissuto il trapasso del velo. Ancora una volta, si sentì curioso. Negò impercettibilmente, guardandolo di sottecchi.
Liam aggrottò la fronte, sentendosi studiato da quegli occhi neri e profondi a tal punto da sentirsi in soggezione.
“Qual è il problema?”
Pensò che in tutte quelle miliardi di persone, alle quali aveva strappato via l’anima, lui aveva sempre trovato la medesima caratteristica capace di accumunarli, nonostante la diversità di provenienza, vita e fede, e questa era la paura della morte e di ciò che ci fosse aldilà di quel limbo, che lega la Terra allo spazio senza tempo e senza luogo, in cui lui traghetta le anime fin dal giorno della sua creazione prendendole per mano; una paura che, però, non vi era in quegli occhi nocciola. Occhi che appartenevano a un bambino di dieci anni che, se l’esperienza non lo traeva in errore, avrebbe dovuto sentirsi, con tutte le ragioni, totalmente terrorizzato di aver appena dovuto abbandonare il luogo in cui era cresciuto, la sua famiglia e la sua esistenza per un luogo sconosciuto.
Il bambino lo guardò con palese curiosità, auspicando a una risposta da parte dell’Angelo. Lo fissò e si fece osservare, ancora sentendosi un po’ impacciato, mostrandosi tranquillo e, soprattutto, pronto.
“Molte persone hanno avuto paura, tu sembri… sereno” sentenziò, infine.
“Di cosa? Di cosa dovrei aver paura?” arrivò subito la replica.
“Di me” sillabò lui e chiunque, al posto del ragazzino, se non avesse provato timore prima avrebbe cominciato a farlo. “Della morte, di ciò che spetta alla tua anima. Non hai paura? Non ti spaventa non sapere cosa ci sarà dall’altra parte?”. Liam fece semplicemente spallucce. Poi lo guardò sorridendogli.
“Alcune persone non hanno semplicemente paura di morire, sai? Ad alcune di esse è proprio il dover continuare a vivere che le spaventa.” Ammise. “Io ero pronto a tutto questo, perché non desideravo più vivere. Non in quel modo, almeno. Se fossi… se fossi nato sano, sarei stato arrabbiato nel dovermene andare, probabilmente avrei avuto paura di te ma… non così. Così sono sollevato, la mia famiglia soffrirà, per un po’, ma presto capirà che è stato meglio per tutti. Io andrò in pace, con te che non puoi farmi paura se stringi la mia mano così dolcemente. E loro la troveranno sapendomi in un posto migliore, sapendomi finalmente guarito dalla mia malattia” concluse.
L’angelo provò del vero stupore, forse per la prima volta da un’eternità. Era sgomento nel riconoscere in quell’anima saggezza in età così puerile.
 “Sei molto saggio, ragazzino”.
E fu in quel momento, per la prima volta, in cui desiderò di poter compiere una scelta, quella di riportare in vita quel ragazzo. Perché se lo meritava, perché non era giusto, dovevano essere un errore quella malattia e quella morte.
C’erano tanti uomini, al mondo, con una cattiva condotta che meritavano di morire e che vivevano invece con salute una vita longeva. Liam aveva sofferto e nonostante questo non era arrabbiato per aver dovuto dire troppo presto addio alla sua vita umana. Se la meritava una seconda chance e lui, che aveva le possibilità, i poteri, ma non gli ordini, di poterlo fare… sentiva l’esigenza di dover agire. Anche perché il suo cammino era possibile sulla Terra e in quel limbo, ma non nel paradiso degli uomini, a quello non poteva accedere. Non gli era permesso e fino a quel momento non gli era sembrato un problema. Ora, davanti a quel ragazzino, gli sembrava una proibizione insostenibile.
Anche per questo, si convinse.
"In ogni caso, mi stai forse dicendo che devo avere paura di ciò che mi aspetta in quel buco nero?" Affermò Liam, ironico, forse un po' impacciato per ciò che l'Angelo gli aveva detto. Se avesse avuto del sangue a circolare ancora nel corpo, probabilmente le sue gote sarebbero state ancora in fiamme.
"No, non ce ne sarà bisogno..." fu la risposta asciutta.
Perché si era deciso. Fece sua una scelta. E agì, senza più alcuna esitazione.
E il pensiero che come chi prima di lui aveva pagato e continuava a scontare una pena per le sue azioni, non lo preoccupava più.
La convinzione che fosse giusto così, e non come il volere di un padre che, probabilmente, non stava più dietro alle sue creazioni fu la sua forza.
Liam non fece nemmeno in tempo a chiedere altro, l’Angelo gli lasciò la mano e alzò l’altra, con due dita – l’indice e il medio – tese con la volontà di sopraggiungere alla sua fronte. “Liam, andrà tutto bene, okay?”
E poi fu tutto nero.
 
~***~
 
Biiiiiiiiiip
“Dichiarate” disse il medico, amareggiato dal fatto di non essere riuscito a salvare il suo paziente. Triste, perché era solo un bambino di dieci anni ad aver perso la vita.
“Ora del decesso: 21:30” confermò un’infermiera, con gli occhi lucidi e poche forze per alzare un lenzuolo e coprire il volto del bambino morto.
“NO, LIAM. Il mio bambino… il mio bambino” era la voce della madre, trattenuta dal marito che assieme a lei stava piangendo, però in silenzio.
Sarebbe stato difficile, il peggio era solo cominciato… se non fosse che, poi, come raramente accade dopo una morte certa, accadde il miracolo.
Bip. Segnale piatto. Bip.
Il viso del dottore si aprì nello sconcerto, mentre si voltava verso la macchina che segnava i battiti del cuore: non era possibile. Bip. Anche l’infermiera si voltò verso il macchinario, eppure il cuore stava riprendendo a battere.
 “Dottore, che cosa succede?” domandò lo zio di Liam, portando con sé la speranza che, dopotutto, nonostante le evidenze, non fosse finita.
Bip. Bip. Bip.
Liam aprì gli occhi qualche secondo più tardi. L’espressione sul viso era quella di confusione totale e senso di disorientamento. Direzionò gli occhi ovunque e il primo volto che vide fu quello di uno sconosciuto, il dottore.
“Hey, ragazzo, ci hai fatto prendere uno spavento” disse l’uomo, ancora scioccato. La madre di Liam si liberò dalle mani del marito e si avvicinò al letto, facendo spazio tra coloro che lo circondavano, guardandolo ancora scossi e sorpresi.
“LIAM! Amore mio, io-” disse in un singhiozzo. Gli infermieri, intanto, avevano iniziato a bisbigliare fra loro, parlando di miracolo. Una donna, più anziana fra tutti, aveva iniziato a pregare, ringraziando un Dio che, però, non aveva fatto nulla affinché ciò avvenisse. Lei non sapeva.
“Il mio bimbo miracoloso” continuò la donna, che gli strinse una mano, baciandola e bagnandola con l’acqua salata delle sue lacrime, ora versate nella gioia di rivedere gli occhi del suo ragazzo aperti.
“Cosa- cosa è successo?” chiese con voce secca il bambino. La madre guardò il medico che, tuttavia, non aveva la risposta che ella si aspettava. “Ti abbiamo perso per qualche minuto, ragazzo. Ma sei tornato e io questo non saprei definirlo in altro modo se non come un miracolo”.
Liam lo guardò ancora stranito, si voltò verso la madre e “mi sento strano, mamma” rispose.
Ci furono pochi attimi di silenzio, in cui non ci fu spazio per altro se non l’amore e la gioia dei parenti di Liam di esternarsi in abbracci e in altre lacrime.
“Ora dovreste uscire tutti, vorremmo visitare Liam e accertarci che non avrà un altro attacco” disse il dottore serafico, mentre le infermiere iniziavano a utilizzare flebo e quant’altro per agevolare il lavoro del loro superiore. La madre e il padre di Liam non esitarono nemmeno un istante, annuirono e insieme agli altri, dopo aver salutato il bambino, uscirono dalla stanza.

 
Quando lo stesso dottore venne fuori dalla camera del ragazzo, aveva un’espressione indecifrabile sul volto. La madre di Liam si allarmò, pensando al peggio. Ma dopotutto cosa poteva esserci di peggio, considerato che aveva quasi perso suo figlio?
“Signora, posso parlare con lei e suo marito in privato?” domandò, prendendoli da parte. Il padre di Liam, in silenzio per tutto quel tempo e ancora agitato, guardava l’uomo in camice davanti a lui con la consapevolezza che fossero tutti stipati su un filo costantemente in disquilibrio e, ora, dopo tutto ciò che era successo, non sapeva se potesse sopportare altro.
“Vostro figlio sembra- sembra essere guarito totalmente” iniziò a parlare il medico, condotto a tale confessione grazie al silenzio delle due persone che aveva di fronte.
“Come- come è possibile?” parlò il padre, troppo scettico per credere che fosse la realtà. La madre di Liam, invece, tornò a piangere. Il dottore, ancora una volta, rese evidente, con l’espressione confusa, che nemmeno lui sapeva esattamente come fosse possibile.
“Faremo sicuramente altri controlli, ho già richiesto varie analisi e un controllo dei suoi reni. Ma i primi risultati ci fanno credere che entrambi gli organi siano tornati a funzionare nella totalità delle loro potenzialità.” Spiegò, sembrava in difficoltà.
La madre singhiozzò, quello non poteva essere altro se non un sogno. “Ma aspettavamo il trapianto perché i suoi non funzionavano!” esclamò l’uomo. “Dottore, non dica assurdità se non ne è convinto” urlò il padre.
“Se le sto parlando, signor Payne, è proprio perché sono convinto di ciò che dico. Ammetto che sono cose che non accadono mai e vi dico anche francamente che non so come questo sia possibile, ma è guarito. Vostro figlio è sano, la condizione cronica dei suoi reni è…”
“Sarà sano? Nostro figlio è stato davvero miracolato?” domandò la donna. Il dottore, affatto disturbato nell’essere stato interrotto, annuì e sorrise.
“Come già detto, faremo altri controlli per confermare queste mie parole” convenne. I due annuirono. “Possiamo vederlo?”
“Le infermiere stanno sistemando, un paio di minuti e potrete vederlo” confermò, prima di andarsene. Nel suo studio, poi, il dottore si domandò continuamente che cosa fosse successo in quell’ora, ma purtroppo non avrebbe mai avuto una risposta. Non quella reale, per lo meno.
Quando i parenti di Liam poterono rientrare e vedere il bambino, lo fecero con la gioia di sapere che, per una volta, le cose stavano andando bene, come per anni avevano pregato.
 
Liam chiese più volte cosa fosse successo, gli dissero del miracolo ma lui non volle crederci. Aveva una strana sensazione nel petto che esprimeva una sorta di disaccordo su quanto narratogli.
Era successo qualcosa, mentre il suo cuore aveva smesso di battere, solo che non lo ricordava.
“Io credo di aver parlato con qualcuno” disse.
“Possibile che fosse Dio?” chiese una delle sorelle. La madre annuì, convinta che quella non potesse essere altro che opera del Signore, che li aveva graziati dopo tanta sofferenza. Ma Liam era certo che non fosse così. La sensazione nel petto glielo garantiva.
“Se era Dio, aveva gli occhi più belli che abbia mai visto” commentò, senza sapere perché fosse tanto convinto di ciò che diceva ad alta voce.
La madre ricominciò a piangere, ancora di felicità, mentre il marito la pregava di smettere, benché lo stesse facendo anche lui.
Posto di nuovo nel suo angolino vicino alla finestra, come se non volesse farsi notare nonostante nessuno potesse vederlo, sorrise senza sapere il motivo: un uomo qualsiasi gli avrebbe potuto parlare di imbarazzo, ma lo era solo per metà, il resto di quel sorriso era probabilmente felicità. Poi spiegò le ali e volò via; doveva, per un po’ di tempo, stare il più lontano possibile dalla testimonianza vivente del suo libero arbitrio, se non voleva incorrere ai guai che aveva per molto temuto e che, ora, sembravano sciocchezze all’idea di aver salvato Liam: il ragazzino saggio che senza saperlo gli aveva dato finalmente parte di una risposta alle sue atroci curiosità, rendendolo un Angelo libero.
Quella distanza forzata, però, non sarebbe durata a lungo. Se lo aveva salvato, c’erano altri motivi, a lui ignari, da scoprire.

 
~***~
 
I’ll be the watcher of the eternal flame,
I’ll be the guard dog of all your fever dreams4
 
Non gli aveva lasciato soltanto una sensazione addosso. Non era visibile agli occhi di nessuno, ma c’era.
Liam era cambiato, tornando al mondo, e questo non lo sapeva né lui né tantomeno l’Angelo che l’aveva salvato.
Come una farfalla nella sua fase da bruco, ora Liam aveva con sé gli incubi. Incubi di cui non ricordava mai l’entità una volta che apriva gli occhi, nel cuore della notte, tutto sudato e col fiato grosso.
Come quella notte, dopo quasi un anno dal giorno della sua non morte, si risvegliò e con uno scatto si mise a sedere, guardandosi attorno. Era troppo buio per realizzare che fosse al sicuro nella sua stanza e per un attimo fu certo ancora di essere dentro ad un sogno.
Accese così la luce della lampada posta sul comodino accanto al letto e tornò a respirare lentamente, ancora con un po’ di affanno, realizzando di essere reale, dentro le coperte calde del suo letto.
Quando si rese conto che erano solo le due della notte, si distese di nuovo supino e guardò il soffitto. Ancora quella sensazione nel petto, che gravava su di lui come se qualcuno volesse poggiarci sopra un carico di 100 chili, spingerglielo addosso per rompergli la cassa toracica e arrivare al cuore, non lo lasciava mai.
La madre aveva voluto, considerata la situazione che aveva vissuto, che parlasse con uno psicologo, giusto per assicurarsi che la sua mente, dopo essere miracolosamente guarito da una malattia destinata ad essere fatale per lui, non gli giocasse brutti scherzi, ma il dottore aveva rassicurato la famiglia, considerando il ragazzo completamente sano anche a livello psicologico.
“È un bambino cresciuto un po’ troppo, considerata la situazione che ha dovuto sopportare; mi ha confessato di essere stato pronto alla morte, e di non averne paura, ma che è piuttosto felice di essere vivo e di poter vivere. Vuole diventare un pompiere e salvare la gente, è un ragazzo sano” aveva detto il dottore, con un sorriso. E i genitori si erano tranquillizzati.
Liam era rimasto perplesso, più che altro non riusciva proprio a non smettere di pensare a quanto gli fosse accaduto in quei minuti in cui non c’era stato più.
Aveva iniziato a credere che nei sogni rivivesse quel momento, che fosse lì, in una parte di lui che ricordava perfettamente ma non voleva farglielo sapere, e che per questo non riuscisse a ricordare i suoi sogni, o incubi per meglio descriverli, una volta sveglio.
Ci provava, dopo aver scacciato via lo spavento e aver ripreso a respirare normalmente, ma questi gli sfuggivano via come un cumolo di sabbia tra le mani. Ne restava solo un esile mucchietto, che erano un paio di occhi scuri, grandi e profondi che lo guardavano con recondita curiosità e infelice malinconia.
Quegli occhi che la madre diceva appartenessero a Dio, che l’aveva miracolato, ma che lui era fermamente convinto fossero di qualcun altro perché Dio non poteva essersi interessato a un ragazzino al quale non funzionavano i reni.
Si addormentò di nuovo, una mezzora dopo, con la luce accesa ad illuminare quel viso paffuto, finalmente di nuovo in carne e colorito.
Il respiro era regolare fino al momento in cui non ricominciò ad avere il suo incubo notturno. Si agitava nel letto, digrignando i denti e grondando sudore dalla fronte. Durante la notte, Liam aveva sempre un po’ di febbre che, però, spariva al mattino. Sarebbe dovuto essere indolenzito, a causa di queste alterazioni, invece rinasceva sempre più forte.
Era come un bruco in maturazione, benché nessuno sapesse in che tipo di farfalla si stesse trasformando.
 
~***~
 
Solo quella mattina era stato dall’altra parte del mondo, ma con la mente tornava sempre a Wolverhampton.
Il tempo era sempre stato irregolare e veloce per lui, ma da quando aveva smosso la sua esistenza cedendo ad una scelta volontaria, che tuttora teneva segreta – con estrema facilità considerata la sua vita solitaria – si sentiva incastrato in una clessidra che non smetteva mai di smettere di far cadere lo stesso inutile grammo di sabbia. E tutto perché un innocuo ragazzino non usciva dai suoi pensieri.
Credeva che dopo aver provato l’ebbrezza e il dono degli umani di fare una scelta dettata da se stesso, la curiosità smettesse d’improvviso di battere insistente nella sua testa, invece… tutt’altro tipo di curiosità ora governavano il suo essere, e questo lo turbava.
Quel ragazzino lo turbava, perché era stata affascinante e curiosa la conversazione che aveva avuto con lui. Non solo, il fatto di averlo riportato indietro lo teneva legato a quella vita come se ora fossero legati da una catena infrangibile.
Si preoccupava per lui, nonostante sapesse che fino a quando non fosse spuntato di nuovo nella sua lista sarebbe stato al sicuro. Pensava a lui, a ciò che doveva star passando domandandosi cosa fosse successo dopo che il suo cuore aveva smesso di battere, e non poteva far a meno di desiderare di dargli tutte le risposte, se solo in cambio avesse ottenuto il segreto che Liam doveva avergli taciuto sulla morte.
Perché era anche questo che lo tormentava. Lui non aveva mai provato la sensazione di morire, avrebbe potuto provare sulla sua pelle la caduta ma sapeva che non era esattamente la stessa cosa.
Aveva visto tante volte la morte, perché lui lo era, a tal punto da credere come funzionasse: con paura, sofferenza e timore di ciò che venisse dopo.
C’era stato chi non aveva assaggiato una di queste caratteristiche ed era morto senza paura o senza sofferenza o senza il timore del non sapere, ma mai era avvenuto che un umano non percepisse nemmeno una di queste emozioni e fosse pronto a tutto.
Nessuno era mai pronto alla morte, nessuno era mai stato preparato a lui totalmente. Quale era stato il segreto di Liam? Di quel ragazzino di dieci anni che sapeva molto più di lui che esisteva da secoli e secoli?
Resistette lontano da quel ragazzo per un solo mese. Poi, come richiamato da un eco, aveva iniziato a volare nel cielo notturno di Londra, credendo di non avere alcuna destinazione.
Eppure una ne aveva.
Gli piaceva volare, era ciò che più amava di lui. Le sue ali, vigorose e possenti come la forza bruta di cento uomini, che si spiegavano nell’aria libere e fiere infrangendosi contro un vento che mai le avrebbe viste arrendersi a lui, erano il suo orgoglio primordiale.
Per la prima volta, però, dopo quel breve viaggio, addossò a loro una colpa: quella di averlo condotto laddove tanto aveva tentato di mantenersi lontano.
Davanti a una finestra chiusa, mentre Liam dormiva tormentandosi nel letto fu troppo difficile per lui, a quel punto, girarsi di spalle e andarsene via.
In qualche modo, vederlo gli donò una consolazione. Saperlo sofferente, invece, lo fece angosciare.
Avrebbe potuto imparare da qualcuno come ci si sentisse nel provare la mancanza e perché spesso la si provasse per le persone a cui teniamo, ma non c’era nessuno sveglio a quell’ora e la forza trascinante nel constatare con i propri occhi che Liam non stesse bene, lo rese incosciente.
Perciò, oltrepassò la finestra, entrando in quella stanzetta colorata e disordinata, e si avvicinò al letto. Lo guardò per tutta la notte senza osare toccarlo, nonostante soffrisse alla sola idea di vederlo stare così male a causa di quell’incubo fatto di scorie di momenti passati insieme nel limbo.
Fece così ogni momento in cui poté, nei giorni seguenti, per quasi un anno, ma mai prendeva coraggio per avvicinarsi e toccarlo. Credeva, infatti, di non avere la premura e il potere di farlo smettere di star male e, anzi, pensava che, essendo il fruitore di tali incubi, toccarlo e trasmettergli ciò che provava non portasse ad altro che farlo sentire peggio.
 
Quella notte, però, quando entrò nella stanza e scorse il viso del ragazzo grazie alla luce accesa della lampada, si avvicinò più del dovuto a lui, fissandolo in ogni tratto.
In meno di un anno era cresciuto, ma restava comunque un ragazzino. Avvertì i sintomi di febbre sul suo viso segnato da due brutte occhiaie e il sudore che bagnava la fronte e il collo.
Desiderò ardentemente, mai prima di allora, di abbracciarlo forte e sussurrargli che tutto andava bene, che niente e nessuno avrebbe potuto fargli del male, se c’era lui accanto come difensore, come suo guerriero.
Liam digrignò i denti e mosse il volto a destra e a sinistra. “Il tuo nome” lo sentì dire in un bisbiglio lento e trascinato.
Lo guardò con stupore, sapeva sempre sorprenderlo. E sorrise, infatti, come aveva fatto la prima volta che l’aveva sentito commentare i suoi occhi.
Si sentì uno stupido, improvvisamente, quando mise sulla bilancia i loro desideri. Lui voleva sapere come quel ragazzino riuscisse ad essere così forte e diverso da tutti, mentre Liam desiderava semplicemente un nome.
Un nome che non poteva dargli, visto che non ne aveva mai avuto uno e che erano sempre stati gli altri a chiamarlo come meglio gradissero.
Per questo, quella notte fu diversa dalle precedenti. Quella bilancia era in disquilibrio, ancora una volta, e anche se da quel ragazzino non aveva ricevuto alcuna risposta, sapeva di dover maneggiare quell’equilibrio e mantenerlo stabile.
O forse, più semplicemente, furono tutte scuse.
In ogni caso, si distese sul letto, accanto a lui, e anche se questo non avrebbe potuto percepirlo in ogni caso, si mosse pacato come se maneggiasse un oggetto molto più che delicato, e gli spostò i capelli bagnati dalla fronte, soffiando su di essi come fosse una carezza della mano.
Subito dopo fu veramente una mano a posarsi su quel volto e lo accarezzò dolcemente. A quel punto, fu impossibile fermarsi: una carezza dopo l’altra, fino a quando, sollevato, non vide quel viso distendersi nella beatitudine.
Aveva sbagliato nel credere di peggiorare le cose, toccandolo, perché un gesto amorevole con sé non porta altro che amore – un insegnamento che suo padre più volte si ardiva nel ricordare.
Così, continuandolo a rassicurarlo come nei pensieri aveva desiderato di fare e come, senza preoccuparsi delle conseguenze – ancora una volta – stava facendo sul serio, spense la luce con un battito di ciglia e “trovamelo tu un nome, ragazzino” gli sussurrò, sapendo che ovunque fosse, ora, in quei sogni, difeso dal suo abbraccio e accarezzato dalle sue mani, Liam avrebbe potuto cercarlo senza più alcuna sofferenza, bensì in pace.
 
~***~
 
Ti darò certezze contro le paure
Per vedere il mondo oltre quelle alture
Non temere nulla io sarò al tuo fianco
Con il mio mantello asciugherò il tuo pianto5
 
Compiuti gli undici anni a fine agosto, con una festa che per la famiglia Payne aveva simboleggiato molto più di un compleanno – considerato che quello stesso giorno il figlio era miracolosamente guarito da una malattia cronica – Liam svolgeva la vita comune di ogni ragazzo di quella età, perciò fu iscritto a scuola.
Per il primo giorno era come uno fra tanti: ovviamente agitato. Quello sarebbe stato per lui un vero primo giorno perché a causa della sua condizione sempre debole, fino agli undici anni i genitori avevano fatto in modo che le sue lezioni le avesse in casa. Ora che non aveva più alcun problema, nonostante le ansie dei genitori abituati ad avere sempre tutto sotto controllo e le sue da “prima volta”, tutto stava procedendo tranquillamente.
La sveglia aveva suonato e lui si era svegliato totalmente riposato. Capitava ancora di risvegliarsi col fiatone nel cuore della notte, dopo un incubo che dimenticava all’istante, ma da un po’ di tempo era avvenuto molto più di rado.
Al piano di sotto trovò i genitori a tavola, mentre facevano colazione, e li imitò. Il padre, poco dopo, si preparò per andare a lavoro, mentre la madre tranquilla puliva le stoviglie, infilandole nello scola piatti.
“Liam, vai a prepararti altrimenti faremo tardi” gli disse quando adocchiandolo lo vide intrattenersi davanti alla televisione che stava mandando in onda il telegiornale locale.
“Va bene, mami” rispose, dandole retta.
Quando tornò giù, venti minuti dopo, lavato e vestito, la madre sembrava più tesa e pensierosa di lui. “Forse dovresti restare a casa, col tuo insegnante privato, Lee”
“Mamma!” si lagnò lui, stringendo i lacci di uno zaino. “Ho sentito una brutta notizia riguardo alla scuola e-” iniziò lei, mentre cercava le chiavi della macchina.
“Mamma, andrà tutto bene!” la rassicurò, avvicinandosi alla porta e aprendola. La donna, dopo un lungo sospiro, annuì e lo raggiunse. “Ma sì, sono solo troppo preoccupata.”
Una volta in macchina, Liam guardò la madre mentre guidava e, ripensandoci, “che brutta notizia hai sentito, mamma?” le domandò.
La donna guardò la strada alla sua destra, prima di rispondergli e “al telegiornale parlavano di una ragazza che si è tolta la vita poco prima della fine della scuola, la scorsa estate, e che oggi ci sarebbe stato un momento commemorativo per ricordarla” spiegò.
Liam sgranò gli occhi e guardò dritto verso la strada, pensando improvvisamente di voler tornare indietro. Forse non era pronto. Forse aveva ragione la madre… “E il motivo per cui si è tolta la vita?”chiese, cercando di dissimulare il tremore delle sue parole, abbassando di un tono la voce. Poi però come se una mano invisibile l’avesse preso per una spalla, per stringerla e rassicurarlo, sentì il proprio cuore smettere di battere irregolare e si rilassò.
“Non lo so, tesoro. Ne parlano tutti come una ragazza normale e sono ancora tutti scossi per ciò che le è successo…” gli rispose lei: erano da una manciata di minuti, arrivati davanti i cancelli della scuola e suo figlio sembrava tranquillo.
“Vuoi che ti accompagni dentro?” domandò la donna, già prendendo la borsa nei posti dietro il suo ma Liam, volando fuori dalla macchina e trascinando con sé lo zaino, negò velocemente, aggiungendo: “No, fammi fare da solo, altrimenti sarò subito preso di mira per le prese in giro, mamma!”
La donna sorrise, con gli occhi già lucidi d’emozione. Il suo ometto cresceva, e cresceva bene, forte e sano.
“D’accordo, d’accordo. Ci vediamo nel pomeriggio, amore!” disse la donna. Liam si avvicinò di nuovo a lei, che si era protesa verso il posto del passeggero e le diede un bacio. “Buona giornata, mamma” la salutò, correndo via verso il cancello grigio della scuola.

 
~***~
 
Gli era stato vicino fin dal risveglio, evitando che gli incubi lo trovassero alle prime luci del mattino facendolo svegliare sfiancato e vederlo sorridere guardando la finestra, dalla quale entravano dei timidi raggi di sole di Settembre, gli aveva fatto capire che ci era riuscito. In così poco tempo la sua percezione degli uomini era cambiata radicalmente; dal riconoscere un’emozione, infatti, ora sapeva provarla sulla propria pelle. E se Liam era felice, sentiva di esserlo anche lui. Una sensazione che lo faceva stare bene e male al tempo stesso, perché se studiava la reazione, sapeva che una tale dipendenza, senza contare il fatto dell’agonia che provava quando invece Liam stava male, gravava sulla sua scelta primordiale e sui suoi errori successivi. Una conseguenza che pareva nulla, all’inizio, ma che si stava trasformando in una palla enorme di neve che prima o poi l’avrebbe colto impreparato investendolo e ghiacciandolo totalmente.
In auto, l’aveva incoraggiato dimenticando tutti quei pensieri che si ripeteva ogni volta che si distraeva dalla vita di quel ragazzino. Agire, da quando aveva conosciuto Liam, veniva prima di ogni coscienza. L’incoscienza, per quanto fosse sbagliata e inopportuna per lui, stava prevalendo su di lui. Eppure si era sentito nuovamente in pace, quando percependo il nervosismo di Liam, lo aveva toccato, stringendogli una spalla e infondendogli nient’altro che positività: “Tutto andrà bene, ragazzino”.
Di fronte alla scuola e all’evidenza che non potesse seguirlo oltre, che dovesse tornare al suo incarico, lo lasciò entrare dentro le mura di quell’edificio e, a fatica, era volato via.
Stargli lontano diventava sempre più difficile.
 
~***~
 
Era tutto troppo dispersivo. Davanti all’entrata, gli era stato consegnato un modulo con le lezioni e la segreteria, come i bidelli, erano stati poco d’aiuto. C’erano scritte le aule e le materie, ma non aveva una mappa con sé e al terzo tentativo fallito di trovare quella di matematica, Liam stava perdendo le speranze di riuscirci in tempo.
L’aula di matematica è al primo piano, la terza a destra.
Poi la sentì.
Stava camminando sul corridoio quasi ormai deserto del piano terra e la prima cosa che fece, dopo aver sentito quella indicazione, fu girarsi e cercare la voce di ragazza che lo aveva aiutato – probabilmente leggendo la disperazione dei suoi occhi – a trovare la strada giusta. Ma Liam non trovò lei.
Nessuno era a poca distanza da lui, mentre la voce sembrava essere un sussurro al suo orecchio, nitido e squillante, e le uniche persone che lo circondavano al momento erano ragazzi.
Dopo essersi guardato un altro po’ attorno, fece spallucce e iniziò a camminare verso le scale. Quando arrivò in classe, il professore stava già facendo l’appello ma lo invitò comunque ad entrare e ad affrettarsi a prendere posto: il primo, davanti alla cattedra, era l’unico rimasto.
Ah, il posto da sfigato…
La sentì di nuovo, stavolta fece uno scatto per guardare alle sue spalle ma al posto della ragazza che immaginava di trovarsi vide due compagni del banco dietro il suo, guardarlo con la fronte aggrottata. Li imitò, credendo di star diventando pazzo. “L’avete sentita anche voi?” domandò.
I due ragazzi si guardarono tra loro e “chi?” gli chiesero stralunati. Prima che potesse rispondergli, però, “Liam Payne?” fu chiamato dal professore di matematica. Liam si voltò verso la cattedra e si sedette. Aveva la pelle d’oca. “Presente” rispose, alzando la mano.
Continuò a guardarsi attorno, come aspettandosi da un momento all’altro di sentirla ancora, sperando però stavolta di riuscire a capire di chi fosse. Ma quella voce non si sentì più per tutta l’ora di matematica, come se volesse rispettare il momento della lezione.
 
Quando uscì fuori dall’aula, aveva di nuovo il foglio tra le mani. Gli era già passato di mente il momento inquietante in cui una voce apparentemente di nessuno commentava ciò che gli accadeva e lo aiutava a raccapezzarsi in quella scuola. Durante matematica non aveva legato con nessuno. Il professore era stato bravo a introdurli al corso senza spaventarli e Liam si era tranquillizzato alla consapevolezza di non essere poi così indietro come credeva. C’era un lato negativo, però: la scuola era seria e in una sola ora era già pieno di compiti per casa. Quella sera avrebbe studiato come un matto.
Stava cercando l’aula di Geografia, quando la sentì di nuovo. Scendeva le scale e devi salirle, secondo piano, quinta porta a sinistra! Fu il rimprovero che lo fece saltare sul posto e sbattere contro chi dietro di lui non aveva prestato attenzione al fatto che Liam si fosse appena arrestato sul terzo scalino.
“Ouch” fu l’esclamazione che gli arrivò alle spalle. Era un ragazzo. “Hey tu, perché ti sei fermato così all’improvviso?” gli domandò questo, come se nulla fosse successo, come se non avesse udito quella voce che ora Liam credeva arrivasse dagli altoparlanti: era l’unica cosa ragionevole.
Messa davanti all'impossibile, la mente razionale si appiglia alla logica6.
“Non l’hai sentita?” domandò al ragazzo, che lo guardò con la fronte aggrottata. Sembrava più grande di lui di almeno un anno, ma a differenza dei senior di quella scuola, sembrava meno seccato e più propenso alla pazienza nei confronti delle matricole. “Ma chi?” gli domandò.
“La voce di una ragazza, io-” rispose, confuso, Liam, guardandosi le scarpe. Il ragazzo, poco più sopra di lui di qualche scalino, gli carezzò i capelli e “Sei forse innamorato già dal primo giorno che senti la voce dell’amore?” si burlò di lui. Liam alzò gli occhi e sorrise, negando. “Dai, scherzo, è normale essere agitato, io l’anno scorso ho quasi rischiato di farmela nelle mutande!” lo incoraggiò.
“Sono Andrew, piuttosto. Ma chiamami Andy” si presentò, velocemente. Sembrava vispo e solare e con i suoi modi era riuscito a tranquillizzarlo, magari era solo frutto della sua immaginazione stressata. Dopotutto non era la prima stranezza che gli capitava.
“Liam” si presentò. L’altro gli strattonò la spalla e “stai cercando qualche aula in particolare?”
Liam annuì e guardò il foglio: “Geografia!”
Andy sembrò pensarci e poi, annuendo: “Non devi scendere, allora, ma salire: secondo piano, poi a sinistra è la quinta aula.” Gli spiegò, così come aveva detto la voce.
Liam tornò ad avere la pelle d’oca, perché non poteva essere una casualità, ma gli sorrise, un po’ nervoso e “grazie” gli disse, incominciando a salire la rampa di scale.
“Ci si becca dopo a pranzo, Liam” si sentì dire. Ebbe il tempo di girarsi e dire un esile “d’accordo” prima di vederlo sparire dietro il muro.
Andy è così carino… Lo era anche con me.
E a quel punto, Liam finse di non averla sentita.
 
Dopo Geografia, trovare l’aula di Scienze fu più semplice, seguendo un gruppetto di ragazzi che fra loro si erano detti di avere la sua stessa lezione.
La lezione di Geografia gli ricordò il suo odio per essa e che mai, qualsiasi fosse stato il suo insegnante, avrebbe potuto farsela piacere, e dopo due ore, altre due lo separavano dal pranzo, nonostante il brontolio nello stomaco lo avvertisse del suo desiderio di mettere sotto i denti qualcosa. Ripensò al ragazzo incontrato per le scale, Andy, e si domandò se a mensa si sarebbe ricordato di lui o se le sue parole erano state dettate da una gentilezza facile da far svanire, ma non si pose altre domande, lasciandosi il beneficio del dubbio su quello che sarebbe successo poco più tardi.
Il professore di Scienze fu il più estroverso, era giovane e spiritoso, e parlava della propria materia come se stesse discutendo di una partita. Solo diverse settimane dopo, Liam avrebbe scoperto che quel professore era anche l’allenatore della squadra di basket.
Quando finalmente arrivò l’ora del pranzo, si diresse verso la mensa aiutato dalla marmaglia di persone che andavano nella stessa direzione. Si muoveva come fosse spaventato di rimanere da solo, e lo era dopotutto, perché senza sapere quale fosse la strada temeva di udire nuovamente quella voce sussurrata al suo orecchio, che in quelle ore ancora non aveva scoperto a chi appartenesse.
Entrando nella mensa, si guardò attorno ma senza trovare traccia di Andy, si affrettò a fare la fila per prendere il cibo. Afferrò subito un vassoio e ci depositò sopra il pane e le posate incartate dentro un sacchetto di plastica assieme a un tovagliolo. Poi, passo dopo passo, si avvicinò ai primi piatti.
C’erano in quattro piatti grandi diversi tipi di pasta: al sugo, asciutta e da un colore appassito, con una salsa verde che non conosceva, e due risotti.
Salta la pasta, se non vuoi finire a vomitare in bagno.
Giunse a lui un’altra volta. Saltò sul posto, facendo tremare le poche cose depositate sul vassoio e quando non trovò nessuno a parlare dietro le sue spalle, saltò di nuovo al rimprovero della signorina d’altra parte del bancone che “Allora, cosa vuoi?”
“N-niente, grazie” disse, seguendo i consigli della voce e camminando verso i secondi. Anche lì, trovò quattro portate: pollo, straccetti di carne poco invitante, merluzzo ai ferri e Roasbeef.
Pollo! Quanto mi manca il pollo! Prendi le cosce, sono le uniche commestibili.
Liam non si voltò nemmeno più a cercare un volto, sentì la pelle raggrinzirsi e inghiottì la saliva che iniziava a scarseggiare nella sua bocca.
“Il pollo, per favore” disse alla signora che lo servì, con un sorriso, offrendogli il piatto. Quando arrivò ai contorni, prima che potesse sentirla, scelse tra gli spinaci e le patatine e prese quest’ultime.
Ottima scelta!
Fu il commento.
Poi prese una lattina di soda, e iniziò a incamminarsi verso i tavoli. “Perché ti manca il pollo?” sussurrò, attento a non farsi sentire. Senza sapere come, sapeva che la voce gli avrebbe risposto.
Non sento più la fame.
Sentendosi tremare per tutto il corpo, si guardò cercando un posto libero. “Chi sei? Perché parli con me?”
La voce non rispose, anche se quando “LIAM!” si sentì chiamare, credette lo avesse fatto spaventandosi di nuovo e saltando sul posto. E invece era Andy che dal suo posto, si sbracciava per farsi notare da lui. Liam prese un grosso respiro e poi si incamminò verso il ragazzo.
Davanti al loro tavolo, ebbe modo di scoprire che non fosse da solo. Era circondato da ragazzi in tuta sportiva che lo studiavano dall’alto verso il basso. Se Andy nutriva per lui una simpatia, Liam non era sicuro di sortire lo stesso effetto negli altri. Eppure il ragazzo più grande, afferrando una sedia da un altro tavolo, gli fece posto accanto a lui e lo incoraggiò a sedersi.
Dopo un altro attimo di esitazione, Liam si sedette assieme a quei ragazzi che Andy gli presentò come la squadra di Basket.
“Allora, l’hai trovata l’aula di Geografia?” gli domandò Andy, col boccone pieno di quella pasta verde. Annuì.
Guarda che carino, si preoccupa sempre per tutti.
“Smettila!” bisbigliò duramente, sperando che la voce smettesse di turbarlo, soprattutto ora che altre persone lo circondavano. Andy si accigliò: “Come hai detto?”
“Ehm” balbettò. “Non vedevo l’ora che la Taylor smettesse di spiegare, odio Geografia!” tentò di recuperare. Ci fu silenzio e poi tra un’alzata di spalle e un consenso generale, fu di nuovo Andy a rispondergli, con una risata e una pacca sulla spalla: “Anch’io! È una tale noia…”
Rilassandosi, sorrise mentre incominciava a mangiare, ascoltando le conversazioni su un paio di tette che, però, Liam non capì a chi appartenessero.
“Allora, Liam, che ne pensi del basket?” gli domandò poco più tardi Andy.
E per fortuna era un ragazzo che si era sempre interessato a vari sport, così poté con il suo solito impaccio, affrontare una conversazione con la squadra della scuola e ottenere, quasi totalmente, il consenso degli altri ragazzi.
Se non ci fosse stata quella voce a turbarlo, Liam sarebbe potuto essere felice della svolta che aveva preso quella giornata: aveva fatto amicizia.
 
Dopo pranzo, si diresse in bagno. Fece pipì e poi, come sentendo la necessità di farlo per rilassarsi, si sciacquò la faccia con l’acqua gelida del lavandino.
Si bagnò un po’ anche i capelli, tirandoli all’indietro e respirò guardandosi allo specchio. Sperava che tutto ciò che gli stesse succedendo fosse solo causato dallo stress, non era insolito per lui tali stranezze, considerato che si sentiva sempre vigilato da qualcuno come avesse un angelo custode sempre pronto a proteggerlo, ma ammetteva che aveva profondamente paura. Non tutti sentivano le voci e quei pochi casi che aveva sentito, erano finiti in case di cura, considerati matti.
Lui non era pazzo, quella voce c’era davvero. E non apparteneva a nessuno, non era uno scherzo. Anche se un po’ lo sperava, che lo fosse: quasi sembrava meglio essere lo sfigato della scuola, che il pazzo.
Mi chiamo Cristina, ma tutti mi chiamavano Cris.
Si girò, saltando sul posto, e tornò a respirare con affanno. Il bagno era vuoto. Aprì ogni cabina, per esserne certo, e non si sbagliava.
Sei tu che mi hai chiesto di dirti chi sono.
Sembrava indispettita.
“Cosa vuoi da me?” domandò, la voce gli tremava e non sapeva dove guardare. Optò per il soffitto.
Sei l’unico che reagisce alla mia voce… e poi ti ho sentito mentre parlavi con tua madre e la tua voce è nitida, rispetto alle altre, come se fossi anche tu con me, dall’altra parte.
Liam non aveva idea di cosa parlasse, ma quelle parole riecheggiarono come un dejà vu. Si prese un po’ di tempo prima di risponderle, ritrovando il respiro.
“Cosa sei, Cris?”
Non hai sentito parlare di me?
Liam aveva paura di avere ragione, ma si fece coraggio. Anche perché quella voce non sembrava avere cattive intenzioni e, soprattutto, non pareva essere capace di fargli del male. “Mi hai sentito perché parlavo di te, in macchina, con mia madre?” domandò.
Sì.
Era lei. Era la ragazza che prima dell’inizio dell’estate si era tolta la vita in quella scuola e che nel pomeriggio, durante una delle ultime lezioni, avrebbero ricordato con una breve commemorazione.
“Perché sei ancora qui, Cris?”
E perché tu sei ancora da quella parte del velo, Liam?
Dal tono di voce, che era ancora capace di mettergli i brividi, sembrava non volesse rispondergli.
“Puoi fidarti di me, Cris” le assicurò.
Non lo so, la luce che emani… Cosa sei, Liam? Uno di loro?
Liam aggrottò la fronte. “Di loro chi?” non capiva.
Lo sapevo, altrimenti mi avresti già dato la caccia.
“Non ti seguo”
Il fatto è che sei simile agli esseri dai quali scappo, vogliono portarmi in un brutto posto e io non voglio. Tu non puoi portarmi lì, vero?
Liam era ancora frastornato. Si stava attardando troppo in quel bagno e la lezione di Inglese sarebbe cominciata a momenti.
“Lì, dove, Cris?”
All’inferno.
Ogni centimetro di pelle del ragazzo si mise in allarme. Sentiva freddo, come fosse entrato in un congelatore. Si impaurì, come ogni ragazzo normale avrebbe fatto prima di quel momento e, convinto di non voler restare nemmeno un momento in più in quel posto, uscì correndo senza dire nulla.
Stanno arrivando, Liam! Mi hanno sentita. Aiuto! Aiutami! LIAM!
Si tappò le orecchie, quella voce acuta e spaventata, lo terrificava incredibilmente. Corse senza una direzione: d’altronde non aveva la minima idea di dove fosse la classe di inglese. Non aveva idea di cosa gli stesse accadendo. Voleva solo che tutto finisse, che quel primo giorno di scuola terminasse, che fosse a casa, protetto dai genitori e da quella sensazione che percepiva da un anno e che ora, a causa di quella voce, sperava sparisse assieme a tutto quello.
 
Alla fine trovò l’aula, ma quando entrò, con il viso bianco come un lenzuolo, gli occhi vacui e il respiro mozzato, non diede ascolto nemmeno al professore che gli aveva chiesto chi fosse e rimase impalato come uno stoccafisso, guardando il vuoto e facendo sorridere l’intera classe e preoccupare l’insegnante.
“Ragazzo? Ragazzo, che succede?”
Quando riprese coscienza del suo corpo e la sua mente riacquistò un attimo di lucidità, si concentrò su quel viso che lo guardavano con concitata preoccupazione. “Om, mi scusi, è l’aula di inglese questa?”
Il professore si tranquillizzò, sorridendogli. Gli strinse la spalla e annuì con vigore “sì, dimmi il tuo nome” chiese, avvicinandosi alla cattedra e trascinandolo con sé.
“Liam. Payne.”
“Okay, Liam, siediti in uno dei posti liberi”.
E, ancora una volta, gli toccò il posto davanti alla cattedra, l’unico ad essere rimasto vuoto. Stavolta, però, nessuna voce gli disse quanto fosse sfigato a sedere proprio lì. E Liam sperò che fosse di buon auspicio alle sue speranze, anche se l’eco di una richiesta d’aiuto, poco più tardi, disperso nei suoi pensieri, lo fece sentire in colpa.
Avrebbe potuto in qualche modo esserle d’aiuto?
L’insegnante di inglese non spiegò, ma tentò di mettere l’intera classe a proprio agio facendo fare loro un gioco di spelling. 
Il professore chiamava uno ad uno i suoi studenti che, alzandosi in piedi, sillabavano la parola che gli veniva sottoposta. Quando toccò a lui, si alzò un po’ distratto.
“Liam, fai lo spelling della parola History”
Il ragazzino aveva annuito, guardandosi attorno e “H” aveva iniziato. “I”
“S”
T
La sentì di nuovo. Sgranò gli occhi e si irrigidì. Il professore lo guardò preoccupato che il ragazzino avesse qualche problema comportamentale. Ma l’unica cosa che Liam riusciva a pensare in quel momento era che Cris stesse bene e che lui in tutto ciò fosse stato più sollevato che impaurito di sentirla ancora.
Liam, continua. Sto bene.
Liam prese fiato, i compagni lo guardavano come fosse quello strano della classe. “T O R Y” finì di sillabare. “History” concluse, risedendosi. Il professore gli sorrise, annuendo, e continuò col prossimo.
Ho paura, Liam…
“Ci penso io, a te, Cris” scrisse su un foglio, mentre il compagno accanto a lui, adocchiando quella scritta, lo guardava terrorizzato.
In quel momento, però, non gli importò più di sembrare il pazzo. Aveva paura anche lui. E il guaio era che non sapeva se aveva le capacità di essere d’aiuto, per lei.

 
~***~
 
A Firenze pioveva quel giorno e a lui era sempre piaciuta la pioggia, anche se l’acqua non poteva scalfirlo. Gli passava attraverso infrangendosi solo una volta toccato il suolo, ma lui amava guardare verso l’alto, con le ali aperte, e vedere quelle infinite gocce scendere verso il basso, perché era il quadro più bello che la natura potesse offrirgli.
Quel giorno, però, qualcosa lo ridestò proprio mentre assisteva immobile al suo dipinto. Come richiamato dalla catena che lo univa al ragazzo, si sentì trascinare dal desiderio di raggiungerlo. Ci aveva pensato per tutto il tempo in cui gli era stato distante, ma ora d’improvviso il suo nome si era fatto spazio tra quelle gocce come se queste ora potessero toccarlo solo per infastidirlo e farlo volare via.
Così, non attese molto, d’altronde il suo lavoro lì era stato compiuto.
Volò, tornando da dove era venuto e dove non era scritto che dovesse essere.
 
~***~
 
Liam decise, più per istinto ma anche per curiosità, di confidarle qualcosa che non aveva avuto mai il coraggio di dire ad alta voce, quando tornò nel bagno dove un’ora prima aveva avuto la prima conversazione con la voce.
Si accertò che non ci fosse nessuno, prima, e la chiamò “Cris?”
Non smetteranno di cercarmi, devo andare con loro ma non voglio…
“Con loro chi?” domandò.
I Cacciatori infernali…
Liam tremò. Quel nome non presagiva nulla di buono. “Cosa vogliono da te?”
Quando mi sono tolta la vita, la prima cosa che ho visto è stato uno di loro. Mi ha spiegato il perché fosse lì, cosa mi sarebbe accaduto e… mi sono rifiutata. Sai, a chi si toglie la vita non è concesso nulla di buono. Io non ci credevo, non credevo che avrei dovuto subire una punizione del genere e… sono scappata. Credo che in ogni caso abbiamo la possibilità di scegliere e sono scomparsa. Ma non posso farlo per sempre, come se farlo mi privasse di ogni energia, poi continuo a comparire e loro mi trovano. Io… ho paura.
“Anch’io sono morto” le confessò. Cris rimase in silenzio. “Non ricordo nulla di quel momento, se non un paio di occhi bellissimi. Credi che sia stato possibile per me scegliere di vivere?” le domandò, un po’ egoista.
Non lo so…
“Tu non hai desiderato di sopravvivere?”
No, non volevo tornare alla mia vita. Era peggiore di questa mia sorte. I miei genitori stavano divorziando e a scuola c’era un gruppetto di ragazze che… mi trattavano malissimo.
“Eri vittima di bullismo?”
Sì…
Mi dispiace, Cris. In ogni caso non devi avere paura, io penso che se hai la possibilità di scegliere, hai anche quella di chiedere perdono per ciò che hai fatto e…” ci provò.
Sei troppo ottimista, tu… Ma dimmi perché sei morto? Anche tu hai provato a…
“No, no- io ero malato. I miei reni non funzionavano. Sono collassati e ho perso la vita per un paio di minuti. I medici parlano di miracolo, perché al mio risveglio ero completamente guarito. Ero sano. E con quella malattia è una cosa impossibile” spiegò.
Hai incontrato un Angelo, allora…
Liam fu colpito da quelle parole, ma non sorpreso. Dentro di sé, infatti, lo credeva già da un po’. Quegli occhi che gli erano rimasti impressi, non potevano essere altro che quelli di un bellissimo Angelo che lo aveva salvato. Ci fu una folata di vento,  nonostante nessuna finestra fosse aperta per far circolare dell’aria da fuori.
Fu in quel momento che confessò tutto.
“Sai, credo che sia stato lui a salvarmi e penso che non smetta di tenermi d’occhio, da allora. Mi sento sempre in compagnia di qualcuno che ha come unico scopo quello di proteggermi”.
È così, Liam.
Lo interruppe lei. Il cuore del ragazzo perse un battito che rimbalzò alla sua gola. “Cos…” ma non fece in tempo a domandare.
È qui… Sei un Cacciatore infernale?
Liam rimase in silenzio, il cuore aveva preso a battere velocemente. “Con chi parli?”
Con lui, non è uno di loro.
“Ti ha parlato?”
No, ha semplicemente negato. Oh, Liam, è bellissimo. La sua luce è così rassicurante… Puoi salvare anche me?
E anche quella domanda non era rivolta a lui. Liam si guardò intorno. Incontrò più volte il suo riflesso nello specchio e se il cuore aveva preso a battere in una danza emozionata e travolgente, le sue gote si erano arrossate come scottate dal fuoco.
“Ti prego, salvala” disse, poi, guardando il vuoto.
 
~***~
 
Quando era arrivato da lui non aveva avuto tempo per preoccuparsi di quanto fosse accaduto, perché il suo interesse era mosso dal fantasma che aveva davanti. L’anima di quella ragazzina, rossa come la fiamma di un fuoco acceso, era destinata all’Inferno. Non era lavoro suo, ma era nei suoi interessi considerato che ora si trovava vicino a Liam.
“Sai, credo che sia stato lui a salvarmi e penso che non smetta di tenermi d’occhio, da allora. Mi sento sempre in compagnia di qualcuno che ha come unico scopo quello di proteggermi”.
Si voltò a guardarlo e ancora una volta sentì la sua voce parlare di lui. Il fantasma della ragazza lo guardò come fosse abbagliata da una luce che non meritava. “È così, Liam” gli rispose.
Sgranò gli occhi perché solo in quel momento ebbe chiara tutta la situazione. Liam e il fantasma stavano parlando.
Liam poteva sentirla e questo non era normale che accadesse.
“È qui… Sei un Cacciatore infernale?”
Negò. Non lo era, ma presto sarebbero arrivati per prendere ciò che gli era sfuggito. “Con chi parli?” domandò Liam. Si avvicinò a lui, fermandosi alle sue spalle. “Con lui, non è uno di loro”.
La guardò, con sospetto, pronto a proteggere solo lui quando i Cacciatori fossero arrivati.
“Ti ha parlato?”
“No, ha semplicemente negato. Oh, Liam, è bellissimo. La sua luce è così rassicurante… Puoi salvare anche me?”
La sua fu un’altra negazione. “Sei destinata ad un altro luogo, perché scappi da loro?”
Non ci fu una risposta da parte del fantasma, ma comunque capì dallo sguardo che gli mostrò che aveva profondamente paura.
“Ti prego, salvala” fu la supplica di Liam che lo disarmò. Lo guardò, come era consapevole di fare solo con quell’essere umano: come qualcuno che avrebbe tanto voluto, per la sua felicità, e che avrebbe fatto qualsiasi cosa, come un servo al servizio del suo padrone.
Ma lui non poteva salvarla. E mentre si rendeva conto di questo, un Cacciatore Infernale si unì a loro.
“Ho paura del luogo che mi aspetta…”
 
~***~
 
Tecnicamente Liam era solo, in quel bagno, ma in realtà sapeva che mai come allora quello era il luogo più popolato dal soprannaturale dell’intera città. Sarebbe dovuto tornare in classe, avrebbe dovuto uscire da lì, eppure era consapevole dell'impossibilità di tutto ciò. Non ora che la sua costante sensazione nel petto si era fatta così ragionevole.
Oh no...
Si allarmò, perché Cris era tornata a parlare ma la sua voce era seppur sempre stridula e fastidiosa, un pianto disperato e intriso di paura.
"Cris, che succede?" le domandò.
È qui…
Liam si guardò attorno. "Chi?"
Uno dei cacciatori infernali…
Non sapeva chi fossero questi cacciatori, ma da quella voce dilaniata dal terrore sapeva che non era nulla di buono, il suo arrivo. E in quel momento, mai prima di allora, si sentì inutile e profondamente solo, benché non lo fosse.
Era solo un essere umano.
 
~***~
 
Il nuovo arrivato, vestito di un bianco sporco, con i piedi nudi luridi di cenere e inchiostro, sorrideva ampiamente al teatrino inscenato in quel bagno.
“Bene, bene. Chi abbiamo qui?” si introdusse. L’Angelo aveva una maschera glaciale e composta, perché sapeva di essere stato colto in errore.
Liam guardava il vuoto, spaventato, non capendo probabilmente tutto ciò che stava accadendo.
“Da quando sei stato degradato alla carica di Angelo Custode?” lo beffeggiò il cacciatore, con aria beffarda. I suoi occhi sottili e divertiti lo guardavano con insolenza, la sua bocca era un ghigno vincente di chi aveva una bella notizia da diffondere al più presto per combinare guai.
Lui non rispose, mentre Cris aveva incominciato a tremare. Avrebbe voluto correre dietro la figura dell’Angelo e fargli da sua ombra, ma sapeva che un suo movimento l’avrebbe condotta nella trappola del cacciatore. Questo la guardò, quando non ricevette risposta, e fece un broncio: “Ragazzina, ci stai dando un sacco di filo da torcere. Suvvia, andiamo” disse, allungando una mano per offrirgliela. Ma lei non si mosse.
“Che succede? Che sta succedendo, Cris?” urlò Liam, attirando l’attenzione del cacciatore che, osservandolo, gli si avvicinò.
L’Angelo si irrigidì ma non si mosse, guardò il cacciatore e pensò a come poter uscire da tutta quella situazione.
“C’è qualcuno interessato a lui, sai?” disse il cacciatore, rivolgendosi all’Angelo.
La sua faccia inespressiva per quanto sembrasse imperturbabile diede una risposta al cacciatore, che rise. “Cosa credevi? Che soltanto perché sei un ombra in questo mondo, nessuno si accorgesse delle tue mosse?” rise ancora. “Oh no, le tue scelte interessano molto laggiù, ma è un brusio. Un granello. Lui sta solo aspettando il momento adatto per dirti la sua continuò, girando intorno all’umano.
“Veramente interessante, nonostante la sua ovvia banalità di essere umano” commentò. Poi tornò a Cris, come se di quell’argomento avesse detto l’essenziale. “Bene, ragazzina, hai avuto il tuo tempo, se non vuoi venire con le buone” fece la sua premessa, alzando la mano e stringendola in pugno. Cris si chiuse in se stessa, tremando per il dolore causatogli dal cacciatore con quel semplice gesto. “Dovrò portarti con le cattive, le mie preferite”.
Seppe in un secondo che se quell’anima era ancora in circolazione,  era successo per un motivo ben preciso. Quel motivo: lui, lì, davanti ai suoi errori.
Pensava di essere riuscito a nascondere le sue azioni, ma la sua era stata un’utopica speranza. Ora lo sapeva. E doveva rimediare.
“Quest’anima appartiene a me” disse. Il pugno del cacciatore si distese immediatamente, permettendo a Cris di smettere di soffrire.
“Ti sbagli” ruggì.
Negò. “Sono qui per questo” affermò con fermezza.
Il Cacciatore rise sguaiatamente, mantenendo un eleganza che non sembrava addirsi al suo essere. “No, tu sei qui per lui, non mentire a chi è nato dalla menzogna” lo rimproverò, avvicinandosi repentinamente all’Angelo, per sfidarlo.
Si guardarono negli occhi, trasmettendosi pensieri che non era necessario dire ad alta voce. “Ragazza, rispondi a questa mia domanda: non è vero che se avessi potuto scegliere di vivere, lo avresti fatto nonostante tutto, con forza, sapendo che rinunciare non è l’unica opzione di fuga al dolore?” disse, poi, l’Angelo.
Cris li guardò, a quella domanda avrebbe dovuto rispondere con sincerità. “No…”
Il cacciatore rise, aveva vinto.
Lui gli rispose con un sorriso: “E chiedi perdono per questo?”
“No? Cosa? Cris?” chiese Liam, mentre il Cacciatore aveva improvvisamente smesso di ridere, agghiacciato da quella nuova replica. Sembrava terrorizzato, improvvisamente vinto: “Non puoi farlo, non hai questo potere! Non puoi!”
Oh sì, sì... Mi dispiace così tanto- mi dispiace per le persone che ho fatto soffrire, sono stata un egoista. Io, io chiedo perdono per la mia debolezza. Chiedo perdono...” E Cris era stata sincera, nella sua disperazione. L’Angelo si avvicinò a lei e le offrì la mano, mentre il Cacciatore esplodeva di rabbia.
“Un altro errore, fratello. Preparati alle conseguenze” gli promise a denti stretti.
Seppe che aveva ragione, mentre Cris afferrava la sua mano ringraziandolo con uno sguardo. Il cacciatore guardò l’umano e fece un sorriso amaro “Non hai proprio idea di cosa tu abbia messo in moto, con lui, ma non voglio assolutamente rovinarti la sorpresa. Dopotutto, mi rimane questa consolazione” furono le sue parole.
E anche se non lo dimostrò, si sentì profondamente turbato, perché ancora una volta seppe che non stava mentendo affatto.
Poi il Cacciatore svanì, come era arrivato, in silenzio come sciogliendosi nel pavimento e svanendo in un battito di ciglia.
 
~***~
 
“Che sta succedendo?” fu Liam il primo a parlare di nuovo.
Cris lo guardò, distogliendo lo sguardo da quegli occhi bellissimi. Fece un sorriso e sospirò. Non credevo fosse possibile, ma sono stata perdonata e-
“Non c’è nessun limite alla misericordia di nostro padre, se chiedi perdono ti sarà dato” le disse. Cris pianse ancora, stavolta di gioia, e annuì. Stringendogli la mano, incominciava a sentirsi in pace.
Non andrò all’inferno, Liam. E questo grazie al tuo Angelo.
E anche se era stato chiaro, l’anima di quella ragazzina disse ciò che era vero, perché ancora una volta non c’era stata la volontà di qualcun altro se non la sua. Si sentì spiazzato e preferì il silenzio, mentre Liam annuiva e con un sorriso di gratitudine “lo sapevo che l’avresti salvata” lo ringraziò, parlando al vuoto e turbandolo maggiormente.
“Dobbiamo andare” le disse. Cris annuì ancora.
Me ne vado, Liam. Grazie per avermi aiutato…
Il ragazzino rise, grattandosi il capo goffamente, e “Io non ho fatto niente!” affermò. Poi si fece serio, quasi triste per quel commiato: “Addio, Cris. Ovunque andrai, fai la brava e non importunare la gente!” le consigliò.
La ragazzina rise, mentre gli dava le spalle e seguiva il suo salvatore.
Poi ci fu uno sprazzo di luce, quando scomparvero, che Liam avvertì come una scintilla. Si vide riflesso allo specchio e nei suoi occhi la notò, pensando fosse un abbaglio, una patina che lentamente si sgretolava permettendogli una nuova vista. Pensò di aver visto una gonna fluttuare attraverso il muro, ma era troppo confuso per esserne certo.
Eppure la sua metamorfosi silenziosa e invisibile, quel giorno, in quel bagno, compì un piccolo importante salto.
Poi improvvisamente, crollò a terra, esausto, permettendosi di sfogare tutto ciò che in quei momenti aveva trattenuto. Tirò le gambe al suo petto e le strinse forte, tremando, incapace di smettere, solo col sostegno del muro del lavandino al quale si era appoggiato.
Quei suoi occhi, come appena accolti al mondo, come quelli di un bambino appena uscito dalla pancia della propria madre, incominciarono a piangere.

 
~***~
 
Cris era immersa  nel bianco della luce, e fu felice al pensiero di non dover più appartenere al nero del buio. Guardò l’essere che la scortava con gentilezza e “Quel Cacciatore diceva il vero, lo sai?” gli consigliò, senza ricevere risposta.
“Ho come la sensazione di sapere cosa gli accadrà e, anche se hai già fatto tanto per me, promettimi che non gli accadrà nulla di ciò che quelli stanno aspettando” parlava di Liam. La guardò con scetticismo, per un attimo la considerò una folle, ma quello dopo riconobbe che in quella follia c’era una sostanziale verità. E d’un tratto ebbe paura delle conseguenze di quelle parole.
Non sapeva se avesse le capacità di poter essere fedele a quella promessa che ancora non aveva acconsentito a mantenere, ma sapeva che per Liam, oramai, sarebbe stato capace di tutto. Quindi annuì.
Guardarono il punto nero in lontananza e senza aggiungere nulla, la incoraggiò a proseguire. Da sola.
A pochi passi dal nero, Cris si girò verso l’Angelo e “Starò bene?” gli domandò, ma fu tardi per ottenere una risposta. Piuttosto, lo scoprì da sola.
 
~***~
 
Quando tornò da Liam, fu sconcertato dalla scena che si ritrovò davanti ma non del tutto sorpreso. Anzi, quel ragazzino era stato fin troppo forte nell’affrontare tutto ciò che nemmeno lui sapeva spiegarsi, da essere del tutto comprensibile se ora non avesse altro modo che sfogarsi in un pianto. Ma, poi, ebbe modo di stupirsi per davvero.
Liam alzò lo sguardo, abbandonando la culla creata tra le sue gambe legate a sé, come allarmato da quella folata di vento ora fin troppo percepibile e lo mise a fuoco. Non guardava più il vuoto, lo vedeva. Era una cosa impossibile, ma non si sbagliava.
Se fosse stata in lui la debolezza, avrebbe potuto indietreggiare spaventato, invece restò dritto, impassibile, e lo guardò di rimando, studiandolo.
Fu Liam a sgranare gli occhi, rossi e bagnati come le sue ciglia. Le labbra umide e gonfie, un po’ screpolate, si dilatarono per la sorpresa, mentre finalmente tornava a ricordarlo. Quegli occhi…
“Sono morto di nuovo?” optò per la soluzione più semplice. Anche se non lo credeva possibile morire per le lacrime e il turbamento.
Non hai proprio idea di cosa tu abbia messo in moto, con lui.
No, non ne aveva proprio idea, ma in quel momento fu quasi sollevato dal pensiero che Liam potesse vederlo. Da un po’ di tempo, non gli bastava più esserci ed essere per lui invisibile.
E si sentì un inetto, perché avrebbe dovuto preoccuparsi. Avrebbe dovuto essere razionale e sistemare quanto compiuto erroneamente, invece gli si avvicinò distendendo le proprie ali e si piegò verso di lui. “No, Liam. Sei vivo e sei stato molto coraggioso, oggi”.
Non sapeva se aveva usato le parole giuste per confortarlo e farlo sentire meglio, ma la consapevolezza che per la prima volta, dopo la sua morte, avesse potuto udirlo per davvero senza il bisogno di toccarlo per confortare il suo animo, lo fece sentire bene. E tutto il resto non contava niente.
Liam gli sorrise, tirando su il naso rosso che si affrettò ad asciugarsi con la manica della maglia. “Che mi sta succedendo?” la voce, però, gli tremò nuovamente di paura.
E a questa domanda, lui non aveva risposta se non un vago “Non lo so nemmeno io” che lo fece tornare a singhiozzare.
“Le- tue ali sono bellissime” disse, quando si girò a osservarle per distrarsi. “Come ora riesco a ricordarle… dall’ultima volta” continuò, mentre altre lacrime continuavano a riversarsi sulle sue gote. Avrebbe voluto toccarle, ma non osò muoversi.
Le guardò anche lui e capì che se non poteva essere di conforto a parole, risolvendo dei dilemmi ai quali nemmeno lui aveva una risposta, poteva farlo con i gesti, come aveva sempre fatto. Così fu in un attimo alle sue spalle e lo abbracciò con esse, riscaldandolo. Liam si agitò per un solo istante, ma sapendo di potersi fidare di lui, si fece stringere perché ne aveva bisogno.
“Grazie” esclamò poco dopo, mentre incominciava a sentirsi inebriato dal calore di quelle piume che piuttosto che stringerlo parevano accarezzarlo dolcemente. Erano morbide, come davano l’aria di essere al solo guardarle. “Non solo per oggi, ma per tutte le altre volte” precisò, sapendo di non essere nel torto. Non avevano odore, ma sapevano di buono, come l’aria. Non si sentiva turbato nel percepirlo dietro di lui, curvato sulla sua schiena con la testa sopra la sua, come se non fosse la prima volta. E in effetti non lo era.
“Appena ti sentirai meglio, tornerai in classe” fu la risposta, perché a un ringraziamento non era abituato, essendo quello il primo, e non sapeva cosa bisognasse dire pur di non ammettere che i suoi gesti non erano del tutto altruistici.
Liam sorrise, ridacchiando per quell’insolito ordine.
“Forse era meglio quando non potevo né vederti né sentirti” commentò, ma non era sincero: vederlo aveva dato pace ai suoi occhi, che avevano appena smesso di piangere; sentire la sua voce, aveva alleviato la sensazione nel petto, che ora sapeva essere di una mancanza che fino ad allora non aveva riconosciuto come sofferenza.
L’Angelo non capì, ma il ragazzino avrebbe potuto ben presto, ora che poteva confrontarsi con lui, spiegargli cosa fosse il sarcasmo e perché si dovesse ridere a quelle battute, piuttosto che indispettirsi.
A meno che ad un Angelo non fosse concesso essere permaloso, questo l’avrebbe scoperto più avanti.
 
~***~
 
Il cacciatore infernale si avvicinò al trono di quella gabbia bianca e si inchinò davanti all’essere seduto su di esso. “Non avevate torto, mio signore”.
Questo abbozzò un sorriso sul suo volto bianco e gioviale. Intrecciò le proprie mani al proprio grembo e accavallò le gambe. “Non avevo dubbi, figlio mio” rispose, e la sua voce fu un sollievo per i suoi compagni e una condanna per le altre anime ospitate in quel luogo. Risuonava melodiosa ma atrocemente bellissima. Di quel dolore infimo che si conficca nelle carni degli invidiosi che vorrebbero possederla.
“Tutto procede come previsto?” Altri lamenti.
“Quasi tutto” rispose il Cacciatore, abbassando il capo chiedendo una misericordia che scarseggiava in quel posto. La perdita di quell’anima destinata a loro l’avrebbe scontata come fosse un suo errore, senza poter porre modo per evitarlo. Non fu necessario confessarglielo. Nel suo regno, era onnipotente come il Dio che aveva sfidato.
“Lo immaginavo” sorrise malizioso, pregustandosi l’idea di ciò che più amava fare: punire.
 
~***~
 
Tra gli eventi e la razionalità di incassarli ed elaborarli c’era un abisso nel quale Liam cadde non appena tornò in classe, subendo un rimprovero al quale non diede molto ascolto, così come all’intera lezione che susseguì per le restanti ultime ore di quella giornata di scuola.
Non appena aveva detto di essere pronto per uscire da quel bagno, l’Angelo aveva ripiegato le sue ali dietro la schiena, facendole scomparire alla sua vista, e l’aveva aiutato ad alzarsi, toccandolo.
Era stata la prima volta che aveva percepito veramente la pelle scura di quella creatura che non aveva niente di diverso dalla sua. Il palmo soffice sul suo braccio l’aveva rassicurato per un’ultima volta, mentre i suoi occhi scuri l’avevano studiato per accertarsi che stesse bene. Lui aveva sorriso, un po’ frastornato, ed aveva indietreggiato per prendere distanza. Non sapeva se avesse potuto rivederlo, ma non aveva dubbi all’idea che sarebbe tornato.
Come nei suoi sogni, che ora ricordava assieme ai suoi reali ricordi, ebbe l’istinto di chiedergli come si chiamasse, perché era importante avere di lui un nome. L’Angelo, come leggendogli nella mente, gli aveva sorriso. “Me ne hanno attribuiti tanti, che alla fine riconducono ad un unico significato”.
Liam rimase in silenzio a guardarlo. L’Angelo si tirò dritto e “Scegline tu uno, a me andrà bene”.
“E se non mi piacesse nessuno di quelli che già esistono?” ipotizzò.
“Trovane uno nuovo”.
Liam si era semplicemente morso un labbro e aveva annuito. “Qualche preferenza?” dopotutto non lo conosceva affatto.
Voleva ridere, ma si trattenne. “Deve cominciare per Z, so che ne troverai uno adatto, ragazzino” concluse. “Ora vai” e Liam annuì nuovamente. Non appena fosse tornato a casa avrebbe cominciato la sua ricerca.
Ci sarebbe stato tempo per trovarne uno adatto e dirglielo, lo sperava. Quello che non sarebbe mai bastato per capire cosa stava succedendo alla sua vita. Quando si sedette al suo banco, fu come metabolizzare tutto quanto.
Più volte tentò di trovare un senso a quanto capitatogli ma niente sembrava sufficientemente ragionevole. Gli mancava un tassello, lo stesso che aveva capito, guardando l’Angelo negli occhi, doveva mancare anche a lui. E se una risposta non l’aveva nemmeno colui che lo aveva condotto a tali conseguenze, non poteva dannarsi né diventare matto.
Per questo, ci avrebbero pensato tutti gli altri semmai avessero scoperto la sua capacità di vedere e parlare con esseri soprannaturali. Uno, soprattutto, al quale stava cercando un nome che lo rappresentasse in tutta la sua perfezione.

 
~***~
 
I’ll try to picture me without you but I can’t
‘Cause we could be immortals, immortals
Just not for long, for long
4
 
Liam aveva aspettato un giorno, una settimana, mesi… ma Zayn, quello era il nome che alla fine aveva scelto senza la possibilità di dirglielo, non era più tornato. Più la sua assenza gravava su di lui, molto di più passava il suo tempo a pensare a quanto fosse successo, alimentando i suoi dubbi e le sue paure. Ciò nonostante i suoi incubi erano svaniti senza l’aiuto di nessuno, ma al loro posto era venuta fuori una rabbia che i genitori avevano giustificato con la pubertà.
Perché sì, alla fine erano trascorsi anni e Liam ora aveva quattordici anni. L’Angelo, al quale aveva smesso di dare un nome, era solo un ricordo appassito che tornava nei meandri della sua testa quando si risvegliava con la consapevolezza di averlo sognato, intriso da mille sensazioni di solitudine e malinconia. Ciò che gli rimaneva sempre, era la rabbia alla consapevolezza di tutto quello che provava per un essere che non sapeva nemmeno se fosse esistito davvero e così, col tempo, ignorava e fingeva che da piccolo aveva avuto una fantasia così fervida da essersi immaginato tutto, pur di trovare una spiegazione alla sua strana sopravvivenza.
E questo dopo il primo anno, anche grazie alla rabbia che sfogava in altre urla, era stato piuttosto facile da dirsi.
A scuola si era legato alla squadra di basket e al secondo anno aveva tentato le selezioni, entrando nella squadra come riserva.
Andy era l’unica persona, però, al quale si era legato veramente.
“Liam, sono libero!” gli urlò Andy che si era appena liberato dalla morsa di Dan. Si ritrovavano quasi tutti i pomeriggi in quel campetto dietro la chiesa del loro quartiere e solo in quei momenti Liam poteva confrontarsi con i propri compagni di squadra come se fosse uno di loro e non una semplice riserva. Questo però non bastava a renderlo bravo quanto loro, infatti quando lanciò la palla arancione verso Andy, fu Jon a prenderla e a tirarla a canestro, segnando due punti.
Andy gli si avvicinò comunque, battendogli il cinque e sorridendogli: “Pensa di meno e agisci, fatti guidare dall’adrenalina” gli consigliò. Liam annuì, mentre osservava Andy passare la palla a Jon e tornare a posto, per ricominciare la partita.
Quando Jon fece un passaggio a Dan, questa volta fu Andy a rubargli la palla e a girare attorno, cercando di liberarsi, mentre faceva rimbalzare velocemente la palla a terra.
Dannazione, se erano bravi. Avrebbe voluto essere capace tanto quanto loro, ma in quegli anni non era riuscito poi molto a migliorarsi. Non era una schiappa, ma nemmeno un fuoriclasse.
Andy gli passò la palla e facendola la ribalzare, tentò subito di seguire i consigli dell’amico. Si avvicinò al canestro, evitando la presa di Dan dandogli le spalle e girandogli attorno e dopo un giro completo, ritrovandosi sotto il canestro, saltò e con le braccia tese verso il canestro lanciò la palla.
Fece canestro e tutti quanti, anche i suoi avversari, esultarono per lui.
Quando giocava a basket, Liam non era mai arrabbiato col mondo. Era il suo modo di sfogarsi e farlo con la compagnia dei suoi amici aiutava a non sentirsi sempre completamente frustato. Il problema tornava quando era da solo, in casa.
“Ottima azione, Liam” si congratulò Andy, battendogli il cinque. “Che ne dite di una pausa?” continuò, riferendosi agli altri che annuirono dirigendosi velocemente verso i gradini di cemento ai lati del campo, per bere e idratarsi dopo quell’oretta di gioco.
“Se continui a migliorare di questo passo, potresti liberarti della maglietta rosa, sai?” gli disse Dan, dopo aver sorseggiato un po’ d’acqua. Jon annuì vigorosamente.
Andy, che era il capitano, sorrise ampiamente.
“Non sto migliorando così tanto velocemente, sono una riserva da due anni, questo sarà il terzo…” si buttò giù.
“Stai crescendo, mi stai quasi per superare in altezza!” si burlò di lui, Jon. Tutti risero.
“E stai mettendo su massa muscolare, vedrai che a queste selezioni il coach ti darà un posto nella squadra”.
“Ci sono solamente due posti, è impossibile. Sandy è più bravo di me” fu obiettivo.
“Sandy?” domandò Dan. “Quello che dopo aver segnato fa il moonwalk?”
Risero ancora tutti, Liam annuì sorridendo. “È senza speranze” convenne.
“Grazie, ragazzi” biascicò, un po’ imbarazzato, e gli amici, inteneriti e soprattutto infami come solo dei neosedicenni potrebbero esserlo, iniziarono a prenderlo in giro colpendolo con la palla. Poi tornarono a giocare.
Nel tardo pomeriggio, mentre tornavano a casa con le loro biciclette nelle piccole e malridotte strade del loro quartiere desolato, Liam fu invitato per la prima volta ad una festa.
“I miei non ci saranno nel fine settimana, che ne dite di una serata poker da me?” li aveva invitati Dan.
“Se includi l’alcool, io sono dentro!” aveva risposto frettolosamente Andy, pedalando la sua bicicletta con i capelli sparati al vento.
“Io ci sono, con o senza alcolici” era stata la replica di Jon. Liam era rimasto poco più indietro degli altri, mentre pensava con cosa avrebbe potuto guadagnarsi un invito, ma in qualità di sfigato quattordicenne non aveva nulla da offrire.
“Sì, ma gli alcolici chi li porta? Avete dei contatti?” erano quasi arrivati vicino casa di Liam quando capì cosa doveva fare e, così, “mio padre  ha una dispensa, non si accorgerà se prendo qualche bottiglia” farfugliò. Tutti ulularono di gioia a quelle parole. “Ottimo, alcoolici ristretti, invitati ristretti. Ma tu Liam sei dei nostri!”.
Era dentro anche lui, in quella riunione. Una di quelle alle quali un quattordicenne non avrebbe mai potuto aspirare ma, soprattutto, una di quelle alle quali non avrebbe mai ottenuto il permesso di andare.
A casa, avrebbe escogitato un piano per riuscirci.
Poi avrebbe pensato a come imparare quel gioco di carte in meno di tre giorni.
 
~***~
 
Giuro sarò roccia contro il fuoco e il gelo
Veglio su di te, io sono il tuo guerriero5
 
 
Averlo tra le braccia, protetto dalle proprie ali con la consapevolezza di essere percepito era stato quanto più di inimmaginabile e perfetto potesse vivere. E aveva vissuto per tanto tempo.
Era uno scricciolo, un cucciolo che aveva paura di rompere con la sua forza dirompente, ma in realtà sapeva che era stato forte, in quei momenti, in un modo che non credeva che un umano potesse essere. Era forte, Liam, lo sarebbe stato, e solo suo padre avrebbe potuto immaginare quanto a cuore gli fosse quella creatura umana, come se lui stesso lo avesse messo al mondo. E, in effetti, un po’ era così.
Ma non era più tornato. Per quasi tre anni non aveva fatto ritorno da lui perché una volta lontano, con in mente tutte le consapevolezze di quanto fosse successo, sapeva di non poterlo fare.
Liam poteva vederlo e lui non sapeva come fosse possibile, ma sapeva che la colpa era sua. Colpa, sì, perché Liam era un essere umano, solo un ragazzino. E allora perché lo vedeva?
Volando il più lontano possibile, nascondendosi fra le nuvole gassose e grigie, aveva ripensato alla conversazione con il cacciatore infernale e per giorni si era interrogato sulle sue parole vaghe. Tuttavia, nulla era valso a dargli una risposta. Nemmeno una.
Liam poteva vederlo e, per quanto in lui vigesse la volontà di andare da lui e trascorrere del tempo assieme, viverlo, come anelava fare, non era possibile. Perché era pericoloso, non tanto per lui che quasi non gli importava, ormai, di cadere ma per Liam stesso, che chissà in quali guai lui lo aveva cacciato, togliendolo alla morte.
Eppure ci ripensava, a quel corpicino stretto nel suo petto. A quel respiro mozzato da un pianto liberatorio. Ci ripensava alla sua voce che con fermezza gli aveva ordinato di salvare quel fantasma. Tornava a quelle immagini di quella meravigliosa creaturina che, ignara del pericolo in cui si era ritrovato, non aveva scoperto nemmeno un nervo, se non alla fine.
Ci pensava sempre, ma stringeva i pugni e si ripeteva quanto quel ragazzino fosse forte e come ce la potesse fare anche senza di lui.
Poi di notte tornava, di tanto in tanto, e lo guardava dalla finestra, senza entrare. Perché non gli era più concesso. Ed era assurdo, perché ora che Liam lo percepiva, lui non poteva essergli vicino e approfondire quella curiosità che aveva fatto scivolare il primo granello della clessidra del loro tempo assieme.
Guardava la sua Wendy crescere e dimenticarlo. Non scorgeva mai la rabbia di quell’adolescente, perché quando Liam cadeva nel sonno era ancora quel bambino di dieci anni, innocuo e puro, che aveva incrociato la prima volta e che sembrava ancora diverso da tutti coloro della sua stessa razza. Con la sua faccia da buono, paffuta e rosea, e il suo sorriso sincero appena sbocciato su quella bocca piccola e carnosa. Ma dai suoi sogni, che mano a mano non lo riguardavano più, era cosciente che anche lui stesse crescendo, e che fosse giusto così, che lo dimenticasse, sostituendolo a un gruppo di amici e a uno sport, unico appiglio che lo rendeva normale come tutti gli altri. Anche se non lo era e lo percepiva.
Sarebbe diventato un bellissimo uomo, e lui si sarebbe accontentato di vederlo da quella finestra, frenando una forza che per un po’ non aveva saputo gestire ma che doveva tenere ben salda dentro di sé per tenerli al sicuro entrambi, lui e Liam.
Era Peter Pan, costretto in un limbo che cominciava da quella finestra, ormai chiusa, e che terminava in un Isola che non c’era veramente ma dalla quale, se esisteva, a lui non era permesso entrare.
C’era solo un’entità al mondo, e oltre questo, che parlandogli di Paradiso avrebbe potuto trovare il modo di aprire quella finestra, disarmando le sue più ferme convinzioni.
 
Vieni a farmi visita, fratello mio.
 
 
 
 
 
Poesia “Death, be not proud” di John Donne. Qui potete trovare una traduzione:
2 Pezzo preso dalla canzone “hear you me” dei Jimmy Eat World
3 Strofa di “Bang and blame” dei R.E.M
4 Strofa di “Immortals” dei Fall out boy
5 Strofa di “Guerriero” di Marco Mengoni
6 citazione presa da Outlander, la serie tv



Angolo VenerediRimmel

A meno che questo non sia una delle cause dell'apocalisse, no, non è un miraggio e, sì, sono davvero io. Sono passati tanti giorni, tante settimane e tanti mesi e l'assenza, almeno per me, si è fatta sentire parecchio. Ho come la sensazione che non tornerò mai più quella che scriveva constantemente, giorno dopo giorno, e che la me 'scrivo a scatti di follia' sia l'evoluzione definitiva, mal riuscita.
In ogni caso, eccomi qui con una ziam. Chi l'avrebbe mai detto? Io no. Ho provato con una larry, una zouis, una nosh ma tutto ciò che sono riuscita a continuare, a fatica, giorno dopo giorno, è questa storia qui. Forse perché ero parecchio ispirata, i don't know.
La storia come avete notato è principalmente dal punto di vista di Zayn che, ouch, tutti odiano ormai... ma chissenefrega, no? Alla fine potete anche far finta che non sia lui, AHAHA, il suo nome viene nominato solo una volta. Però è lui. Dannazione se è lui ç.ç
Questa prima parte è solo un luuuuuungo incipit, finito con un "Oh cazzo, ora viene il bello" e sì, ho tagliato proprio alla scena clou. Come mi sento bastarda in questo momento? ^^''
Non sto ad aggiungere molte altre cose. Come potrete notare leggendo - ovviamente per chi sa - c'è una forte influenza subita da serie tv come Supernatural, Dominion e un pizzico anche da Ghost Whisperer - ma forse è ancora minimamente visualizzabile in questa parte, ma nemmeno troppo. L'influenza è voluta perché la storia è venuta fuori anche grazie a vari vaneggiamenti su queste serie tv. E niente, non ho molto da dire. Sono in ansia da prestazione perché ormai era davvero molto tempo che non pubblicavo qualcosa e, beh, spero solo che tutto ciò sia piaciuto.
Il prossimo aggiornamento avverà per i primi di giugno. Purtroppo non posso dirlo con sicurezza perché 1) devo ancora finire di scrivere, 2) ho un matrimonio e 3) ho un esame da PANICOPAURAPANICOPAURAAHHHH e quindi, beh, tutto dipende da con che velocità io riesca a concludere la seconda parte.


PS Non sarà mai abbastanza ringraziare Blackbird_ per la aver letto anticipatamente questa prima parte, per tutte le volte che mi sopporta con le mie ansie e mi incoraggia, a volte anche da brava bulla mentale, ma soprattutto per il meraviglioso banner çç ti affetto, giuggiola :3

Un abbraccio forte a tutti,
 
VenerediRimmel ;)
   
 
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