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Autore: Bethesda    24/05/2015    1 recensioni
"[...] Più scopro, più voglio sapere.
Watson non è un individuo facilmente deducibile.
Certo, è semplice intuire i suoi trascorsi militari e la sua carriera, che la sua famiglia sia ormai completamente disgregata e tante altre piccole inezie che possono sembrare veri e propri virtuosismi della deduzione all’occhio di chi non è avvezzo al metodo del sottoscritto. Vi sono individui cristallini, dei veri e propri libri aperti: se passassero con me il numero di mesi in cui ho convissuto con il dottore non solo sarei a conoscenza di ogni minimo aspetto della loro vita quotidiana, ma anche di quella passata e le loro propensioni future.
Altri individui sono invece avvolti da un’aura di mistero, nonostante questi non si sforzino affatto di celarsi allo sguardo altrui;
sono pochi ed estremamente affascinanti da studiare, e spesso risultano essere persone per cui il gioco vale la candela - mi si permetta l’espressione. Il tedio, accanto a costoro, risulta meno soffocante e permette alla mente di lavorare costantemente.
Quando il dottore mi è stato presentato, non avrei pensato di avere la fortuna di convivere con uno di questi individui.
[...]"
Genere: Guerra, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: non scrivo da una vita su Holmes e Watson. Mi sembra quasi di averli traditi, lasciati in un cassetto a prendere polvere. Dio, quanto mi sono mancati. Questa volta non ho sentito la necessità di buttarmi sullo slash, anche perché non saprei più che cosa trattare sull'argomento, dato che credo di aver scritto qualunque cosa mi venisse in mente con loro due come pairing. Ho sempre lasciato un po' in disparte gli Holmes e Watson del primo anno di convivenza che quasi sempre mi dimentico quanto fossero giovani (nel 1881 Holmes ha 27 anni secondo il Canone). L'argomento trattato mi è stato "consigliato" da Hotaru_Tomoe, che mi ha proposto un prompt bellino su come a Holmes piaccia ascoltare i racconti di Watson sulla guerra. E, in una certa misura, la storia tratta proprio questo, anche se è più legata alla spasmodica voglia di Holmes di analizzare tutto ciò che si trova davanti.
L'unica cosa è che vi chiedo di avere pietà: non scrivendo da tanto ho perso l'abilità (sì, diciamo così) di scrivere con uno stile consono all'epoca, il più vicino possibile a quello di Doyle; inoltre essendo Holmes a "parlare" in prima persona, mi sono ritrovata in un campo che ho battuto poco, dal momento che sono abituata a scrivere "con" Watson. 
Ecco, dopo avervi intortata per bene con questa nota chilometrica, vi lascio alla storia. Sentitevi liberi di correggere grammatica, sintassi e salti logici senza senso (potrebbero essercene: sono senza beta ed estremamente distratta. Sigh).
Buona lettura <3
 
P.S.: TCATH docet


L’Esperimento Fallito
 
 
Oggetto di studio: Dottor John H. Watson
Inizio studio: Gennaio 1881
Durata dello studio: indeterminata
 
Premessa: costretto a cercare un nuovo alloggio, ho avuto la discreta fortuna di incappare in un uomo con i miei stessi bisogni. Costui mi è stato presentato dal mio conoscente, M. Stamford, il quale praticò in passato come suo assistente.
Il soggetto mi si è immediatamente palesato essere medico di ritorno dall’Afghanistan in discrete ristrettezze economiche; ha subito una ferita al braccio sinistro, e la gamba del medesimo lato risulta dolente.
Nonostante sia un soggetto dalla forma fisica prestante, la malattia dei mesi precedenti – febbre enterica - sembra averlo indebolito.
Si definisce un uomo pigro, ma ad uno studio attento si direbbe che ciò che il dottore indica come pigrizia, altro non sia che depressione, indotta con grande probabilità dai fatti che hanno portato a quanto annotato sopra.
 
Febbraio 1881
 
Dopo un mese di convivenza, il dottore sembra convinto che le mie doti deduttive si avvicinino maggiormente alla stregoneria che al mero  ragionamento, e non riesce a meravigliarsi delle capacità del sottoscritto.
Ha stillato una lista contente i limiti della mia conoscenza, che ha gettato subito nel fuoco per poi dirigersi nelle proprie stanze. Sono riuscito a leggerne alcuni stralci, lasciando poi che le fiamme consumassero il resto della carta. Come io studio lui, il dottore studia me. Ciò non può che spingermi a credere maggiormente nelle doti di quest’uomo, benché sembri alquanto sempliciotto.
Mi auguro che questo sprazzo di curiosità altro non sia che segno di un’intelligenza celata da falsa noncuranza.
 
Nota: il dottore possiede un cucciolo di bulldog, verso il quale riversa la maggior parte delle proprie attenzioni. È una delle poche ragioni per cui si concede delle passeggiate, e il gelo di Londra non giustifica una tale inedia. La mia ipotesi di depressione si avvalora sempre più.
 
Marzo 1881
 
Il dottor Watson si è scoperto essere un eccellente collega in fatto di indagini, e benché non brilli dal punto di vista dell’intuizione, il suo desiderio di apprendere e di sviscerare al meglio il mio metodo lo rendono una compagnia ben più sopportabile di quanto sperassi prima di iniziare questa convivenza.
Il suo vero animo comincia a mostrarsi, e sembra essere quello di un uomo passionale;
---
Questa notte sono stato svegliato dalle urla del dottore. Essendo la sua stanza esattamente sopra quella del sottoscritto, non è stato difficile intuirne i movimenti: verso le quattro di notte, il mio coinquilino ha iniziato ad agitarsi, sino a gridare con pura e semplice disperazione. Debbo ammettere che quelle urla mi hanno messo in un gran stato di agitazione, e ancora prima che costui finisse il suo lamento, mi sono ritrovato in piedi, pronto a correre in suo aiuto. Fortunatamente, non essendo qualcosa o qualcuno contro cui il sottoscritto potesse combattere, l’uomo si è svegliato di soprassalto. Dopo alcuni istanti di silenzio, ha preso a passeggiare nella propria stanza cercando di calmarsi; ciò non deve aver funzionato, perché pochi istanti dopo stava percorrendo le scale, diretto verso il nostro salotto. Il tintinnio dei bicchieri mi ha lasciato intuire che l’unica soluzione fosse un dito di brandy.
Non sono intervenuto per non procurare alcuna fonte di imbarazzo, e, una volta certo che si fosse calmato, io stesso mi sono concesso di tornare a dormire.
 
Aprile 1881
Il dottore è talmente affascinato dai miei casi che sembra aver deciso di scriverne. La cosa non mi è congeniale, in quanto io stesso prendo appunti della mia attività lavorativa, ma non certo nel modo in cui lo sta facendo il mio coinquilino. Il suo stile, sebbene ancora grezzo, si avvicina maggiormente a quello di un romanzo d’appendice piuttosto che ad un trattato scientifico; manca dei dati più importanti, quali tempi e date, e si concentra sull’aspetto sensazionalistico.
Mi son sentito costretto a far notare questo difetto, ma non posso costringere il dottore ad adattarsi a quello che verrebbe più a me congeniale. Inoltre, sembra che questa attività lo distenda, e le passeggiate nei dintorni si fanno sempre meno sporadiche e più lunghe, cosa che non fa che giovare al suo aspetto fisico e mentale.
Inoltre si interessa sempre più al mio lavoro, anche se la sua educazione lo spinge a non impicciarsi se non interpellato, cosa che non può che farmi piacere. Tuttavia mi sto rendendo conto quanto la sua vicinanza sia utile: essendo costui così semplice, quasi fanciullesco in certi aspetti, non può fare altro che riportarmi all’ovvio. Nei pochi casi che mi sono stati affidati da quando condividiamo lo stesso tetto, non ha fatto altro che pormi domande – semplici – ma essenziali. Non che senza di esse mi sia impossibile risolvere gli enigmi che mi vengono posti, ma mi viene concesso di vedere il tutto sotto un’altra luce, che è ben diversa da quella ottusa degli uomini di Scotland Yard – in tal caso non posso parlare di luce, ma di un’ineluttabile mancanza di essa.
 
Giugno 1881
 
Watson continua a soffrire di incubi notturni.
La loro frequenza è andata aumentando con il tempo, ma quando la mattina dopo mi si presenta davanti non accenna ad alcunché. Suppongo pensi che abbia un sonno estremamente profondo.
La signora Hudson, nostra governante, ha indubbiamente sentito qualcosa durante una delle ultime notti, dal momento che poche mattine fa, a colazione ha domandato al dottore se stesse bene. Questi, volendo sapere il perché di quella domanda, ha cercato di fuggire il più possibile lo sguardo del sottoscritto quando la signora gli ha confessato di aver udito delle grida notturne provenire dai piani superiori.
Non ho dubbi sul fatto che prima o poi sarà necessario affrontare tale discussione.
 
Agosto 1881
 
Il caldo non ha fatto che peggiorare la condizione di Watson, che, nonostante passi molte notti insonne – se non per gli incubi in sé, sicuramente per la paura di questi -, non ha fatto che aprirsi sempre di più al sottoscritto sotto un aspetto che avevo preferito non approfondire per delicatezza.
Una sera in cui entrambi non potevamo reggere il calore dell’appartamento, abbiamo deciso di affrontare il crepuscolo e di cercare refrigerio nel poco vento che soffiava per le strade di Londra.
In tale occasione, con le dovute deduzioni riguardanti un ufficiale in pensione che quella sera sembrava aver avuto la nostra stessa idea, ero riuscito a far parlare il mio ormai collega del suo periodo nell’esercito.
 
“Un ufficiale della mia vecchia brigata, prima che finissi in quella del Berkshire, era completamente folle. Fissato con l’idea del soldato perfetto, pretendeva che ogni suo sottoposto fosse impeccabile, sia dal punto di vista fisico che della disciplina. Noi ormai eravamo abituati all’Afghanistan e alle sue diversità, ma quando arrivò lui la situazione degenerò.
Il primo giorno, quando si presentò, certi che sarebbe stato come qualsiasi altro nostro ufficiale, lo prendemmo sottogamba e qualche buontempone pensò bene di commentare il suo discorso di presentazione. Essendo ufficiale medico, nonostante continuassi ad allenarmi con il resto delle truppe, riuscii a scampare quella che si rivelò essere una mattanza: sotto il sole cocente del mezzogiorno, con indosso la divisa, costrinse quelli che erano appena diventati i suoi uomini ad effettuale l’addestramento militare più vicino alla tortura che avessi mai visto. Due ragazzi, giovani e non certamente con il fisico dei più prestanti, persero i sensi e vennero portati in infermeria; quando si ripresero trovarono il sottoscritto, sconvolto da tanta severità e l’ufficiale, che pensò che fosse giusto punirli per non essere stati in grado di resistere per quello che lui riteneva essere un allenamento semplice. Rimasero in isolamento una settimana.
Da  lì in avanti iniziò un incubo, e io stesso fui costretto a subire una delle sue vessazioni; fortunatamente resistetti abbastanza da non permettergli di correre a fare rapporto sull’inadeguatezza del medico del suo battaglione, ma ancora al pensiero di quella orribile giornata sento un moto di orrore scuotermi.
 
“Dopo circa tre mesi, gli uomini non ce la facevano più. Ho sentito dei commilitoni minacciare di andarsi a gettare fra le braccia del nemico, piuttosto che subire nuovamente le angherie di quel folle. Ad ogni angolo dell’accampamento si potevano notare soldati intenti a sistemare la propria divisa, timorosi di un controllo a sorpresa, mentre altri usavano il suo nome come vero e proprio spauracchio. In poco tempo era riuscito a procurarsi una delle nomee peggiori dell’esercito.
Capii che gli uomini erano giunti allo stremo quando questi si spinsero in gran numero a cercare la salvezza in infermeria, cercando di convincermi di avere le peggiori malattie, dalla febbre enterica alla tisi. Consci della follia di quell’uomo, io e il mio intendente riuscimmo a salvare dalle sue grinfie, a turno, parecchi soldati, anche se alcuni di questi finirono in isolamento una volta terminata la degenza. Molti mi confermarono in seguito che l’isolamento per una settimana era meglio di un addestramento di mezza giornata con quel monomaniaco”.
Si era fermato, sospirando malinconico, la mente rivolta a quei giorni lontani.
“Venne colpito in piena fronte dal nemico a circa cinque mesi dal suo arrivo, e mi sento una persona orribile a dire ciò, ma in molti tirarono un sospiro di sollievo quando la sua morte venne annunciata.”
 
Da quella sera il dottore sembra sempre meno restio a tacere il proprio passato militare, e benché riesca a farlo parlare utilizzando quelli che lui definirebbe dei “trucchi” – il fargli notare quando si perde nei propri pensieri mentre fissa con sguardo vacuo le notizie dal fronte, o quando nota per strada giovani in licenza, sortisce un effetto più che desiderato -, ritengo che sia sempre più propenso a scrostare quella patina di grigiore che, nei mesi successivi al congedo, lo hanno reso un uomo ben diverso da quello che si sta rivelando essere in realtà.
 
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Nei suoi racconti il dottore non accenna minimamente alla battaglia in cui venne ferito.
Gli incubi continuano a presentarsi e al più presto dovrò affrontare vis-à-vis il mio collega: la situazione sta logorando lentamente i nervi di entrambi.
 
Settembre 1881
Ho avuto il piacere di incontrare, seppure per breve tempo, l’ex attendente del dottore, Murray; costui è un giovanotto di bell’aspetto, sebbene non paragonabile per prestanza fisica a quella di Watson. Continua a lavorare per l’esercito ed ha ottenuto da poco il grado di ufficiale medico.
Lo sguardo del giovane nei confronti del mio coinquilino è ciò che più mi ha stupito: si tratta di pura e semplice devozione; i suoi racconti – o, meglio, quel poco che son riuscito a carpire prima che il dottore ci interrompesse, imbarazzato, pregandolo  virare su argomenti diversi – sono incentrati sull’abilità medica, militare e umana del dottore; è un punto di vista diverso che conferma la mia ipotesi sul carattere buono e passionale che pian piano sto tentando di riportare a galla.
Costui mi ha narrato, con occhi ricolmi di rispetto, di quando il dottore salvò una donna di una tribù nomade indigena, ferita da un proiettile vagante e con un figlio in grembo, che sarebbe dovuto nascere di lì a poco. Apparentemente Watson affrontò ufficiali di grado maggiore a testa alta per permettere alla sfortunata di poter passare qualche settimana in infermeria, in tempo per riprendersi dalla brutta ferita e partorire in un luogo sicuro. Dopo una lunga battaglia, a rischio di un richiamo disciplinare –o peggio -, riuscì a salvare la vita della donna e del bambino che nacque di lì a poco.
Son certo che stesse per raccontare anche dell’ultima battaglia affrontata dal buon Watson, ma costui lo ha distratto, invitandolo a pranzo fuori, lontano dalla mia brama di conoscenza.
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Più scopro, più voglio sapere.
Watson non è un individuo facilmente deducibile.
Certo, è semplice intuire i suoi trascorsi militari e la sua carriera, che la sua famiglia sia ormai completamente disgregata e tante altre piccole inezie che possono sembrare veri e propri virtuosismi della deduzione all’occhio di chi non è avvezzo al metodo del sottoscritto. Vi sono individui cristallini, dei veri e propri libri aperti: se passassero con me il numero di mesi in cui ho convissuto con il dottore non solo sarei a conoscenza di ogni minimo aspetto della loro vita quotidiana, ma anche di quella passata e le loro propensioni future.
Altri individui sono invece avvolti da un’aura di mistero, nonostante questi non si sforzino affatto di celarsi allo sguardo altrui;
sono pochi ed estremamente affascinanti da studiare, e spesso risultano essere persone per cui il gioco vale la candela  - mi si permetta l’espressione. Il tedio, accanto a costoro, risulta meno soffocante e permette alla mente di lavorare costantemente.
Quando il dottore mi è stato presentato, non avrei pensato di avere la fortuna di convivere con uno di questi individui.
 
Novembre 1881
Watson risulta essere sempre più indispensabile durante i piccoli casi che ci vengono presentati: presta molta più attenzione agli indizi, scovandone lui stesso, e dal punto di vista medico risulta essenziale  laddove si presentino le mie grandi lacune in materia. Mentre con il nostro primo caso da colleghi sembrava sperduto, goffo quasi quanto un poliziotto, adesso risulta muoversi con attenzione, pronto ad aiutarmi sia intellettualmente che fisicamente.
 
Nota: nonostante sia ancora incompleto, mi ha mostrato il risultato delle sue fatiche: il resoconto del nostro primo caso. Lo ha intitolato “Uno Studio in Rosso”. Con mio rammarico, il suo stile continua ad assomigliare a quello di un romanziere piuttosto che di uno scienziato.
 
Dicembre 1881
Watson ha avuto l’ennesimo incubo, ma il fatto che si trovasse addormentato davanti al fuoco, sul divano del nostro salotto, mi ha costretto finalmente a intervenire.
Il buon dottore ha iniziato a lamentarsi mentre mi concentravo sul mio archivio, intento a ordinare gli ultimi articoli di cronaca; solo quando sono cominciate le prime urla mi son precipitato al suo fianco, pronto a scrollarlo per strapparlo dal sonno. È bastato poco perché si mettesse a sedere, lo sguardo terrorizzato e una mano pronta ad abbrancarmi il polso, vecchio retaggio di notti passate con la mente sempre vigile.
Ho notato, durante questo ultimo anno, lo sguardo spossato che il mio coinquilino indossava le mattine che seguivano gli incubi, ma mai avevo avuto l’occasione di osservare il puro e semplice panico che lo attanagliava non appena sveglio.
Avrei voluto allontanarmi per potergli offrire qualcosa da bere perché si riprendesse, ma la presa sul mio polso era ferrea e non si è allentata per quasi un minuto, durante il quale il dottore mi ha ignorato completamente, troppo preso dal cercare controllare la tachicardia e il respiro affannoso.
Aiutandomi con la mano libera, sono riuscito a fargli allentare la morsa per  andare a prendere il necessario perché si calmasse, ritornando al suo fianco pochi istanti dopo, trovandolo spossato e con lo sguardo basso, come se si fosse reso conto solo in quell’istante di ciò che era accaduto.
“Mi dispiace, Holmes. Non capisco cosa mi sia successo”, ha mormorato con imbarazzo, subito dopo aver ingollato il brandy.
“Gli incubi capitano a chiunque, Watson: non ha alcuna ragione di dispiacersi. Tuttavia posso immaginare che qualcosa la turbi”.
Scuotendo la testa con incertezza e domandando altro brandy, il mio collega si è chiuso in un silenzio imbarazzato.
“Posso sapere cosa continua a sognare di tanto angosciante e vergognoso da non permetterle di venirne a parlare con il sottoscritto, o perlomeno con uno specialista?”
Debbo ammettere che non avrei dovuto utilizzare queste parole, dal momento che mai prima di allora avevo accennato alla mia conoscenza dei suoi trascorsi notturni; il risultato è stato uno strabuzzamento di occhi, seguito da una serie di balbettii di scuse. Non era certo mia intenzione metterlo in imbarazzo, e glielo confermai.
“Pensavo che prima o poi sarebbe venuto a parlarmene di sua sponte, e non avevo alcuna intenzione di metterla con le spalle al muro, ma il vederla in questa condizione mi ha costretto a parlare”.
Un lieve sorriso ha inclinato le labbra del mio coinquilino, che continuava a tenere gli occhi bassi.
“Sono stato uno sciocco a pensare che non si fosse reso conto di nulla. Non era certamente fra i miei difetti quando li elencai al Bart, ma all’epoca pensavo che si trattasse di qualcosa di passeggero. Purtroppo sembra che le mie condizioni non siano migliorate da allora. Da quando--?”
“Dalla prima volta che ne ebbe uno sotto questo tetto”.
“E da allora lei non ha mai detto nulla?”
“Non la prenda come una mancanza di sensibilità nei suoi confronti, quanto di un eccesso di essa. Non volevo metterla in imbarazzo di fronte a qualcosa per cui lei non è responsabile e, come le ho già detto, aspettavo che fosse lei a fare la prima mossa. Ma dal momento che ha avuto la malaugurata idea di addormentarsi in un nostro spazio comune, non posso certo far altro che interessarmi al suo caso”.
Un nuovo sorriso era comparso, ma non aveva alcunché di gioioso, quanto spossato.
“Non sono uno dei suoi casi”.
“Posso assicurarle che la considero come tale in questo istante. Mi permetta, Watson, di capire cosa la turba. Forse non sarò in grado di sollevarla da un peso così grande, ma posso assicurarle che il carico risulta essere meno gravoso se a portarlo si è in due”.
Il dottore mi ha fissato per un lungo istante, considerando i pro e i contra del svelarmi quale fosse, infine, ciò che lo turbava. Non avevo dubbi che si trattasse di un qualcosa inerente alla guerra.
“Non vi alcun gran mistero, Holmes. Si tratta solo di ricordi”.
“Capisco che l’essere stato ferito possa essere un trauma, ma—“
“Non si tratta di quello. Ho visto uomini con ferite ben peggiori delle mie, e buona parte di questi sono passati sotto le mie mani, uscendone chi vivo e chi morto; ho partecipato a molte battaglie e ho sempre aiutato chiunque ne avesse bisogno, spesso rimanendo nelle retrovie. Da quando mi trovavo nel 66esimo reggimento avevo partecipato anche in prima linea, fucile da un lato e valigetta da medico nell’altra, sempre pronto ad aiutare come potevo. Ma Maiwand…
In quanto difesa principale eravamo pronti a qualunque attacco, ma fino ad allora gli afghani non si erano dimostrati un avversario estremamente temibile. Forse fu quello a farci perdere, ma nessuno di noi si aspettava una resistenza tanto strenua. Eravamo un contingente numeroso, ma non bastò.
Gli afghani ci sorpresero: ci aspettavamo un esercito pari al nostro, se non addirittura più piccolo, e sicuramente con un artiglieria inferiore alla nostra; ciò che trovammo furono invece migliaia e migliaia di soldati, che si riversarono su di noi come una mandria inferocita. Come se ciò non bastasse, avevano anche armi all’avanguardia, che non fecero altro che spossarci. Quando l’artiglieria di entrambe le fazioni fu costretta a ritirarsi per ricaricare, avvenne a tragedia. L’ala sinistra venne dispersa: non paghi di non essere riusciti a reggere, la fanteria indiana che ne faceva parte decise che la scelta migliore era deviare il tutto verso il nostro reggimento, che avrebbe dovuto reggere ad un eventuale attacco per permettere a chi di dovere di prepararsi a contrattaccare. Come potevamo riuscirvi? Eravamo circa 400, e ben più della metà venne uccisa. Quelli più sfortunati rimasero feriti durante gli scontri e vennero catturati come prigionieri. Se non fosse stato per Murray io stesso sarei finito fra le grinfie dei Ghazi, e non sarei certo qui a raccontare».
 
Finalmente aveva alzato lo sguardo e mi resi conto di quanto cercasse di mantenere il controllo nel pronunciare quelle parole.
 
«Ma sicuramente lei sa tutto di ciò che accadde quel giorno: i giornali riportarono la sconfitta e presto i libri di storia paragoneranno quella battaglia alla Canne Britannica, come già molti giornali hanno fatto».
 
Ho preferito non ammettere che poco mi era interessato di quella faccenda e se non fosse stato per il fatto che mio fratello in quei giorni era stato vessato dai piani più alti per ragioni non inerenti al suo ufficio – ma, dopotutto, cosa si può ritenere di “non inerente al suo ufficio” nel caso di Mycroft? -, non avrei ritenuto certo importante classificare un’informazione del genere.
Ma questi erano solo dati, strategie di guerra, nulla che potesse logorare così tanto un uomo.
«Vidi morire davanti ai miei occhi uomini e amici che sin dalla mia venuta nell’esercito mi erano stati accanto e non si erano lasciati intimorire dal fatto che, sulla carta e dalle mostrine, fossi un loro superiore. Erano ragazzi giovani, pieni di vita e desiderio di dimostrare il proprio valore. Non mi prenda per un sentimentale, ma tutti loro, io compreso, si erano affidati anima e corpo alle previsioni e decisioni di qualcuno che probabilmente non aveva idea di chi avessimo di fronte, o che, peggio, sapeva a cosa stavamo andando incontro. Tutto in quell’attacco, fin da quando venne annunciato, sapeva di sporco e sbagliato, come se qualcuno avesse voluto guadagnare dei gradi in più sulla pelle di chi pensava di avere a che fare con qualche centinaio di nemici. In vita mia non avevo mai assistito a una carneficina simile, e fino a pochi mesi fa mi sentivo in colpa per essere sopravvissuto, magari a dispetto di qualche altro soldato. Perché io? Perché non Liam Bradley, Morgan Anderson, Toby Clayton? Cosa possiedo di speciale rispetto a questi ragazzi, dei quali ho dovuto prendermi cura mentre cessavano di respirare e che non avevano neanche più la forza di chiedermi il perché di quella fine senza onore. Perché tutti se ne accorgono, Holmes: non c’è alcuna dignità nella morte, né se vi stai assistendo, né se ti riguarda di persona. È lo spegnersi di un corpo e di qualcosa che avrebbe potuto essere meraviglioso, ma che è stato stroncato sul nascere. Io ho amato l’esercito: mi ha donato momenti meravigliosi e che ricordo con tutta la gioia possibile, ma mi è difficile convivere con il ricordo di quella battaglia. Io non sogno di essere ferito, fatto prigioniero o ucciso. Sogno il sangue dei miei commilitoni sulle mie mani, come se fossi stato io stesso a ucciderli».
 
Cosa dovrebbe dire un uomo sano di fronte a ciò? Scusarsi? Chiedere perdono per essersi impicciato ed aver riportato a galla ricordi dolorosi?
Eppure non concepivo come potesse Watson ritenersi responsabile per un qualcosa che prescindeva dalla sua figura di ufficiale medico. La guerra comporta vittime e un buon soldato dovrebbe abituarsi alla perdita dei propri compagni.
Ma ciò andava contro qualunque idea che mi fossi fatto del dottore fino ad allora: il Watson che avevo dedotto non si sarebbe mai crogiolato nel sangue dei vinti, né avrebbe goduto di una vittoria di fronte alla caduta di altri soldati; di fronte alla sconfitta era ovvio che sarebbe rimasto profondamente sconvolto dalle innumerevoli vite umane andate perse e che ne avrebbe fatto un qualcosa di personale.
Nonostante ciò che avevo sentito, le storie del mio coinquilino e quelle narrate da Murray, non ero ancora riuscito a capire nella sua interezza chi davvero fosse Watson, ma di fronte alle sue parole mi era finalmente lampante.
 
Non è certo un bravo soldato, no. Forse neanche un medico eccellente, dal momento che non riesce a capacitarsi della perdita di alcuni pazienti.
Ciò che sono infine riuscito a dedurre è che John Watson sia un buon uomo.
 
A volte basta poco per consolare un animo affranto. Nel mio caso ammetto di indulgere nei piaceri della cocaina per scacciare la noia e gli oscuri pensieri che mi tormentano, ma Watson mi avrebbe certamente redarguito se gli avessi proposto un’iniezione di soluzione sette per cento.
 Non mi era rimasto altro da fare che versare ad entrambi altro brandy e sedermi di fronte al fuoco insieme a lui, concedendogli di riversare su di me le ansie e gli orrori di un passato che non cancellerà mai, ma che spero presto diventerà più labile e meno doloroso.
 
Gennaio 1882
Conclusione: non posso portare a termine lo studio. Iniziai a scrivere, lo ammetto, quasi per scherzo, per godermi un esperimento quale poteva essere la convivenza con una persona sana, che, non avevo dubbi, al più presto sarebbe fuggita di fronte ai miei alambicchi e al mio umore. Il dottor Watson si è invece  rivelato essere un uomo dalle doti inaspettate e indispensabili, che mi ha permesso di scoprire nuove facce del mio lavoro e nella vita quotidiana. Si è adoperato con tutto se stesso, interessandosi anche alla mia salute quando avrebbe per prima cosa dovuto pensare alla propria.
Posso concludere affermando che il dottor John Watson sia un ottimo esperimento fallito.
 
   
 
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