Asgard godeva di un periodo di inaspettata prosperità. Il male sembrava tacere da quando il Dio del Tuono aveva seduto per la prima volta sul tanto agognato e sofferto trono.
Fra le tante cose che aveva fatto Thor per contribuire al progresso di Asgard c'era stato il trasferimento di Jane Foster a corte.
Odino aveva sempre ostacolato la loro relazione, ma lui aveva sempre creduto nel loro amore, seppur distante e pieno di peripezie. Odino non riusciva a comprendere una cosa fondamentale: lei aveva contribuito al suo cambiamento, aveva temprato il suo carattere. Fra tutto quello che aveva passato, tutto il caos che era solito albergare nella sua testa e nel suo animo incosciente, lei era stata un punto fermo. Non che Jane non fosse un'amante del caos - se non lo era, sapeva sicuramente come e dove trovarlo -, ma la sua determinazione e la sua scaltrezza lo avevano fatto riflettere ed aveva capito che, al contrario dell'astrofisica, lui aveva fatto tutte le scelte sbagliate. La sua fortuna gli venne incontro quando scoprì che avrebbe potuto porre rimedio agli errori commessi.
Jane aveva accettato di seguirlo nel suo Regno; in fondo, non aveva nulla da perdere, a parte il contatto con Erik e Darcy, che sorvegliava spesso grazie a Heimdall.
Le stelle da laggiù si vedevano anche meglio! Passava la maggior parte delle giornate a studiare per continuare le sue ricerche - «Se vuoi», amava ricordarle Thor, «possiamo sempre pubblicare le tue ricerche su Midgard e aspettare che tu vinca un altro premio No... come si chiama?» - e non aveva mai voluto essere chiamata "regina" perché pensava che quel termine non facesse per lei. Dava dei consigli a Thor quando lui credeva che fosse opportuno consultarla per avere un altro punto di vista su cui basare la propria politica, ma l'astrofisica credeva che quello fosse il dovere di una moglie, non di una regina. Il combattimento corpo a corpo, inoltre, non faceva per lei, ma avrebbe difeso Asgard con tutte le sue forze - sebbene fossero poche; insomma, anche se non era una regina di nome, di fatto tutti la riconoscevano come tale.
Jane aveva dato a Thor due bellissimi figli: Vilmar, il primogenito, nonché erede al trono, ed Asvoria, una bellissima fanciulla che era destinata a diventare la più saggia delle Valchirie. Vilmar seguiva quasi sempre suo padre per studiare la politica e il combattimento e passava ore ed ore con Heimdall per conoscere i segreti dei Nove Regni. Assomigliava molto a suo padre fisicamente e, caratterialmente, era identico a lui da ragazzo - cosa che Thor lamentava ostentatamente. Non avrebbe amato, un giorno, ritrovarsi a seguire le orme di suo padre, far conoscere a suo figlio l'umiliazione e l'inadeguatezza affinché moderasse il suo essere.
Asvoria, invece, era molto legata a Jane. Quando le sue esercitazioni da Valchiria provetta non la stancavano troppo, amava seguire la madre nei suoi calcoli e nelle sue nuove invenzioni, ed anche se spesso capiva una parola su tre di quelle che pronunciava, credeva che la sua forza d'animo e il suo amore per quello che era da sempre stato il suo mestiere le conferivano un fascino che andava aldilà di ciò che lei riusciva a capire.
Un giorno particolarmente afoso, i quattro stavano oziando in uno degli ampi saloni della reggia. Thor stava leggendo un libro di Stephen Hawking con Jane, pieno di quella potenza e quella bellezza che non aveva mai smesso di sprigionare - cose che adesso anche Asvoria vedeva negli occhi di sua madre quando sentiva la voce della Mortale provare a semplificare i termini scientifici più complessi. I due ragazzi, invece, si stavano punzecchiando come erano soliti fare. Vilmar stava gonfiando il petto per mostrare i suoi muscoli - forse un po' troppo accentuati per un dio che aveva l'aspetto di un ragazzo di quindici anni terrestri - e stava provocando sua sorella dicendole che avrebbe dovuto essere muscolosa quanto lui per diventare una vera Valchiria.
«Sei uno stolto, Vilmar!»
«Questo è quello che credi tu!»
«Cari, per favore...» cercò di ammonirli il Dio del Tuono staccando gli occhi lampeggianti dal libro per un velocissimo attimo. Non ci fu bisogno d'altro perché i ragazzi si acquietassero.
«Mamma, perché non smetti di leggere? Perché non ci raccontate una storia?» chiese Vilmar dopo un silenzioso, imbarazzato minuto.
«Già! Papà, perché non ci racconti come hai conosciuto la mamma?» gli occhi di Asvoria si illuminarono. Il libro di Stephen Hawking venne chiuso con un po' di mestizia dalle quattro mani che lo reggevano.
«Non partire dall'esilio, però» precisò il ragazzo, che ormai aveva in mente una domanda ben precisa: «Perché non ci racconti del momento in cui vi siete incontrati? Avete sempre tenuto per voi queste informazioni».
Jane era sul punto di ridere: presto i suoi figli avrebbero capito perché.
«Stavo camminando tranquillamente per Midgard quando gli occhi di vostra madre mi folgorarono. Erano lì, piccoli e lucenti, che mi fissavano» cominciò Thor. La sua profonda voce era più fluida del solito.
«...Stai parlando di quando ti ho investito con il pick-up?» lo corresse lei senza ormai poter trattenere un sorriso giocoso sul volto «Sapete, ragazzi, il pick-up è un veicolo terrestre; lo usavo per fare delle ricerche scientifiche.
Ero lì con zio Erik e zia Darcy per fare una ricerca dal vivo su un ponte di Einstein-Rosen di cui avevo calcolato al secondo l'apparizione. In mezzo a questo ponte c'era vostro padre, che era appena stato esiliato da Odino»; Vilmar, solitamente interessato alla scienza quanto bastasse per non essere un ignorante totale, aveva gli occhi stranamente lucidi.
«...Insomma, mi ha investito con un mezzo di locomozione Midgardiano» completò il padre con un sorriso rassegnato dalla prosaicità narrativa di sua moglie.
«Quali sono state le prime parole che vi siete detti?» domandò Asvoria con un sorriso divertito.
«"Ti prego, fa' che non sia morto!".
L'ho investito due volte in un giorno, poverino! Anche se devo dire che zia Darcy ha usato il taser con lui, la prima volta che ci siamo visti... Non sto qui a spiegarvi che cosa sia un taser».
Nessuno poté negare che la cosa avesse un'estrema comicità di fondo.
«Due volte? La seconda quando è avvenuta?».
Vilmar era quasi eccitato da quel racconto che stava prendendo delle pieghe inaspettate. In mezzo alla sua fronte era ben visibile una ruga che non era altro che la dimostrazione dell'orgoglio che stava ribollendo in lui nell'aver posto la domanda che aveva dato inizio a quella narrazione.
«Sapete, dopo avermi investito, vostra madre mi ha portato in un ospedale, ovvero una Camera della Guarigione Midgardiana. Lì mi hanno legato ad un letto e somministrato un... Come si chiama?»
«Sedativo»
«Ecco, sedativo. Quando ha smesso di fare effetto, mi sono slegato e sono uscito dall'ospedale... E mentre attraversavo la strada, la mamma, che era venuta a prendermi, mi ha investito di nuovo»
«Sono pratica dei mezzi Midgardiani quanto basta per non passare per una pluriomicida, non giudicatemi» specificò Jane scuotendo la testa con un sorriso auto-ironico.
«E poi? Che avete fatto?» lo incalzò il ragazzo.
«Mjolnir era disperso ma c'erano molti che ritenevano che fosse un asteroide a forma di martello che nessuno riuscisse a prelevare. Visto che lo S.H.I.E.L.D. era convinto che io sapessi qualcosa al riguardo, mi ha confiscato tutto. Vostro padre voleva raggiungere il martello e io volevo andare avanti con la mia ricerca - la famosa teoria Foster che mi ha portata al Nobel -... Così abbiamo stretto un patto»
«Lei mi avrebbe portata da Mjolnir e io le avrei detto di più sui Nove Regni. Dovete sapere che, prima che vostra madre dimostrasse la sua teoria, i Midgardiani credevano che la Terra fosse l'unico Regno di Yggdrasil a contenere delle forme di vita. Abbiamo parlato molto durante quel viaggio, è stato entusiasmante» raccontò Thor mentre un antico barlume nostalgico nei suoi occhi si faceva strada con prepotenza e superava le altre emozioni.
«Lo S.H.I.E.L.D., però, aveva costruito un accampamento attorno al martello. Io mi sono accampata lì vicino e ho aspettato. Pur avendo superato la sorveglianza pestando tutte le guardie, papà non è riuscito a prendere Mjolnir in quell'occasione. Ho chiamato vostro zio, che lo ha tirato fuori di lì con un documento falso e ha alzato il gomito con lui».
Thor scoppiò a ridere: «I mostri di Hel erano pronti ad accogliere il suo apparato digerente».
«Ma non il mio gabinetto» mormorò Jane inarcando le sopracciglia.
«Dopo aver riportato lo zio dalla mamma, lei mi ha portato in un posto speciale e io le ho rivelato l'esistenza di Yggdrasil. Premetto che zio Erik mi aveva messo in guardia su vostra madre, perché non voleva che la facessi soffrire. Grazie a lui ho imparato che se c'è una parte di lei che non sa camuffare le cose, quella è lo sguardo» ammise il biondo guardando sua moglie con un sorriso che sembrava a metà fra il romantico e il gongolante; Jane, pur sorridendo, fuggì timidamente dal suo sguardo.
«Il giorno dopo, però, sono cominciati i guai perché il Distruttore, comandato da Loki, aveva cominciato a distruggere il New Mexico. Grazie al sacrificio che vostro padre era pronto a compiere, è riuscito a recuperare Mjolnir e a tornare qui, con la promessa che sarebbe tornato da me» riprese l'astrofisica.
Vilmar aveva gli occhi dilatati dallo stupore e Asvoria pendeva dalle loro labbra.
«Sono tornato da lei dopo due anni terrestri perché ho rotto il Bifrost per salvare Jotunheim, ma penso che questo lo avrete saputo da Heimdall» il sorriso compiaciuto di Thor non era ancora svanito dal suo viso.
«A me ha raccontato che la mamma mangiava tanto per non pensare alla tua assenza» disse il ragazzo con un tono che sembrava tutt'altro che di scherno, cosa che gli apparteneva da quando era in fasce. Stavolta provava una sorta di ammirazione per la madre, ammirazione che non aveva mai avvertito ma che ora non poteva certamente dare per scontata. Doveva essere stato difficile per lei aspettare senza poter sapere che cosa facesse il suo amato, e per questo moto improvviso di affetto rinunciò alla superbia nell'esporre la sua denuncia.
«Può vedere in tutti i Nove Regni e ti racconta il peggio di essi! Che faccia tosta!» intervenne il padre ridacchiando con una punta d'ironia. Jane stava per commentare, ma la voce di Asvoria sovrastò il suo commento: «Avremmo dovuto conoscere questa storia molto prima».
Lì, i due sposi non poterono fare a meno di scambiarsi un'occhiata complice.
«Lo penso anch'io. E' troppo divertente!» rispose Vilmar per loro.
Nota dell'autrice: Il nome "Asvoria" significa "Saggezza", mentre "Vilmar" vuol dire "Colui che è conosciuto per la sua forza morale". Sono due nomi germanici dall'uso poco frequente. Avevo pensato ad "Eira" al posto di "Asvoria", dato che in un sito indicavano "Pietosa, Pia" come significato del nome, ma, confrontando il tutto con altri siti, ho scoperto che il nome "Eira" significa "Neve" e che spesso viene dato ai gatti. Nome, insomma, poco adatto, per il suo significato, ad un'introspettiva ed intraprendente Valchiria.