PROLOGO
Era una fresca sera di fine
maggio, la brezza gentile accarezzava tutto ciò che toccava e l’aria di
primavera, carica più che mai dei dolci aromi dei fiori, stava man mano venendo
sostituita dalla calura estiva. Ma ancora non era arrivata l’estate, dunque
riposare all’aria aperta era ancora piacevole. Inoltre come era soffice l’erba
del campo. Come si poteva rifiutare il suo invito, quando la si calpestava e se
ne sentiva la morbidezza sotto gli stivali? Semplice, non si poteva. E allora
perché Siirist avrebbe dovuto? Perché doveva badare alle viti di suo padre, nel
loro campo fuori da Skingrad? Forse perché, come gli ricordava sempre il suo
vecchio, un giorno quelle preziose piante avrebbero contribuito ad arricchire
anche lui, come avevano già fatto alla famiglia Ryfon da cinque generazioni.
Accidenti che grande ricchezza! Non era che una goccia nel mare se paragonata a
quella che possedeva la casata dei Ryfon oltre mille anni prima, quando era
ancora un’aristocratica famiglia elfica. Siirist lo aveva scoperto appena un
anno prima, quando, intento a studiare la storia dei Cavalieri dei draghi,
lesse la storia di un Cavaliere considerato una leggenda all’interno
dell’Ordine, sia perché aveva sconfitto da solo dieci demoni alati, sia perché
il suo compagno era un drago Inferno, ritenuta la razza di drago alato più
forte in assoluto, il quale si chiamava Eleril Ryfon. Così, incuriosito,
Siirist ricercò più attentamente notizie riguardanti quel Cavaliere e riuscì a
scoprire che il suo pronipote si era innamorato di un’umana e che per stare con
lei aveva rinunciato alla sua immortalità, portando in tal modo la casata alla
rovina. Dall’unione dei due amanti, poi, discesero persone che sempre meno
portavano nelle vene sangue elfico, e con il passare degli anni, i Ryfon, da
nobili elfici, divennero agricoltori umani.
Conoscere il passato dei Ryfon,
però, non faceva che accrescere il disprezzo che il ragazzo nutriva nei
confronti della condizione sua famiglia: detestava la vigna e non la coltivava
né la curava mai durante i suoi turni, ma piuttosto dormiva o sognava ad occhi
aperti. Sognava di draghi e Cavalieri, di diventarne uno lui stesso, un grande
eroe come il suo lontano antenato, e di combattere e sconfiggere i malfattori e
salvare belle fanciulle. Ma solo i nobili umani potevano fare la Prova per far
schiudere un uovo di drago e divenire Cavalieri. E lui non era affatto nobile,
nonostante in leggero e quasi impercettibile residuo di sangue elfico nelle
vene.
Il sole stava oramai tramontando,
così Siirist decise che poteva anche smettere di “lavorare” e tornare a casa.
Si alzò, si pulì la veste dall’erba e si incamminò verso il portone della
città. Le guardie lo salutarono e lui, cortese, ricambiò, per poi incamminarsi
verso l’abitazione/cantina Ryfon.
Ma come ogni sera, fece una sosta
all’armeria di Hans. Entrando salutò il fabbro e lo ammirò mentre lucidava ed
affilava una delle spade in vendita. Quelle di Hans erano le migliori armi che
umano avesse mai forgiato. Egli era entrato nelle pagine di storia per essere
riuscito a lavorare il favoloso e misterioso mithril, fino ad allora di dominio
esclusivo dei nani.
Ma il genio di Hans non si
limitava solo alla lega nanesca. Egli, infatti, aveva creato il Vetro, che
nonostante fosse solo una squallida e inferiore imitazione del Cristallo degli
elfi, era comunque un eccellente materiale per forgiare armi e armature:
leggero, resistente e facile da lavorare. Oltretutto era assai più economico
del Cristallo.
Siirist era veramente onorato di
essere suo concittadino.
«Vuoi provare tu?» chiese Hans,
porgendo la spada a Siirist, impugnandola per la lama.
Il ragazzo la squadrò. Era una
spada di semplice ferro, delle più economiche. Rimase un po’ deluso, avrebbe
sicuramente preferito anche solo impugnare una spada di Vetro, ma non si
lamentò.
Sorridendo ed annuendo, afferrò
la spada nella destra e nella sinistra accettò il piccolo diamante sferico per
poter affilare la lama.
‹Anche se questa è una banale spada
di ferro, Hans mette tutta la cura possibile nel lavorarla. È proprio il
migliore!›
Siirist si sedette a terra a
gambe incrociate e continuò il lavoro di Hans. Con decisione, ma allo stesso
tempo con delicatezza, passò la gemma, stretta nella sinistra, su uno dei lati
taglienti della lama, rendendo il filo sempre più letale.
Hans lo guardava orgoglioso: il
ragazzo diventava sempre più bravo.
«Allora Hans, come va il tuo
perfezionamento del Vetro?»
«Che ti dico, Siirist? Sono
sempre allo stesso punto. Non capisco proprio come facciano gli elfi a rendere
il Cristallo così perfetto, tanto da non dovere nemmeno affilare le loro lame
poiché non perdono il filo! Sono riuscito a ricreare la stessa leggerezza, ma
le armi elfiche sono ancora molto più dure. Ieri ho cercato di spezzare uno
scudo di Cristallo con una della mia spade di Vetro e, come puoi immaginare, la
lama si è scheggiata. Quando prima avevo tagliato in due uno scudo di mithril!
Non c’è che dire, gli elfi sono dei veri maestri. Dopotutto sono loro ad armare
i Cavalieri! E delle potenze simili devono avere armi sufficientemente robuste!
Ho sentito che un Cavaliere è dieci volte più forte di un umano normale!»
«Già, ed un elfo comune è già
dieci volte più forte di un umano.» rispose Siirist fermandosi ed alzando la
testa e guardare il fabbro, chino sul suo bancone di vendita.
«Quindi un Cavaliere elfo sarebbe
cento volte più forte di noi?»
I due si scambiarono un’occhiata
quasi preoccupata, ma poi la situazione fu risollevata da Siirist:
«Almeno non dobbiamo preoccuparci
dei demoni!»
Entrambi sorrisero, e il ragazzo
riprese ad affilare la spada.
«A proposito di demoni, Hans,
cosa credi sia migliore per una spada, il Cristallo degli elfi o lo Hellsteel
dei demoni?»
«Senza dubbio il Cristallo
perché, come ho detto prima, le armi create con esso non perdono il loro filo.
Per non parlare della leggerezza, che è più alta nel Cristallo, anche se lo
Hellsteel è quasi tre volte più duro e resistente. Comunque non posso
esprimermi molto perché non arrivano molti artefatti demoniaci nell’Impero.»
«Vero.» concordò Siirist.
Passarono altri dieci minuti,
durante i quali il ragazzo terminò di affilare anche l’altro lato della spada.
«Tieni, ho finito. E grazie per
avermi fatto provare su un’arma in vendita, è la prima volta! Di solito non ti
fidi e me lo fai fare su quelle ancora in lavorazione!» sorrise il giovane.
«Infatti questa non è in vendita!
È tua!»
«Come…?»
«Non hai notato? Questa spada è a
una mano e mezza, complessivamente lunga 110 cm, di cui 90 sulla lama. Non hai
notato che è esattamente identica alla spada che abbiamo iniziato a forgiare
insieme la settimana scorsa, in base alle tue caratteristiche fisiche? Infatti
è proprio quella spada! Ora potrai esercitarti meglio, non più con quel bastone
con cui sei solito menare fendenti all’aria! E tieni anche questo.» concluse,
porgendo un fodero per la spada.
Esterrefatto, Siirist accettò ben
volentieri l’arma che il fabbro gli aveva appena regalato.
Con un gran sorriso, chinò la
testa per salutare e si incamminò verso casa, roteando e rigirando la spada.
Ora non la vedeva più come una banale spada di ferro: ora era la sua spada.
Arrivato a casa, il ragazzo corse
subito nella sua stanza e nascose la spada sotto al letto.
Allora, in seguito ai richiami
della madre, scese a cena.
La mattina dopo Siirist fu
destato dalla sveglia sul comodino, che era stata regolata per le sette.
Svelto, il ragazzo scese dal letto e andò al pianterreno per far colazione. Era
solo, poiché i genitori erano entrambi alla vigna già da un’ora, ma questo era
esattamente il motivo per cui il giovane, nonostante avesse potuto
tranquillamente rimanere a dormire fino a tardi poiché non doveva occuparsi
della vigna, si era svegliato presto: casa libera. Siirist sarebbe stato in
pace fino alle due e avrebbe potuto fare ciò che voleva indisturbato.
Come prima cosa andò in bagno a
farsi una doccia, per poi andare in camera e vestirsi. Subito dopo uscì,
diretto alla piazza centrale della città, dove sorgevano la scuola, frequentata
dai sei anni fino ai dieci, ed il tempio della dea Deraia, dea dell’amore e
degli inganni. Fra tutte le divinità venerate all’interno dell’intero
continente, ella era quella che meno piaceva a Siirist, poiché era nota essere
scaltra e furba e dotata di poco senso dell’umorismo, in quanto il suo
divertimento più grande era fare innamorare gli uomini di chi meno avrebbero
desiderato e poi divertirsi nel vedere il risultato del suo scherzetto, in
quanto spesso portava alla rovina famiglie consolidate e che si amavano.
Siirist giunse alla piazza
centrale ed entrò proprio nel tempio, scendendo al seminterrato, dove si
trovava la biblioteca. Uno dei sacerdoti si avvicinò al giovane.
«Benvenuto, Siirist. Suppongo tu
voglia ancora studiare la storia dell’Ordine dei Cavalieri dei draghi.» sorrise
il monaco.
«Non proprio, Bain. Cercavo,
piuttosto, qualche informazione riguardante i soli draghi.» rispose gentile il
ragazzo.
«Vediamo che si può fare,
allora.» annuì Bain.
Questi si diresse verso uno degli
scaffali della sezione D contenente numerosi volumi e ne prese uno grosso
rilegato di viola. Sulla copertina, a caratteri verdi, vi era scritto: Antiche
creature di Gaya.
Sorridendo, Siirist prese il
libro e lo portò ad uno dei tavoli, dove lo aprì e cercò il capitolo che
trattava dei draghi, per poi iniziare a leggere.
Di tutte le misteriose
creature che popolano il nostro mondo, nessuna è più antica e nobile dei
draghi. La leggenda vuole che siano stati creati dal dio Hanryu a sua immagine
e somiglianza e che inizialmente fossero solo alati. Ma, con l’evoluzione, si
distinsero altre due varianti di drago: i serpentiformi e i lucertiformi.
Entrambi questi derivati dei draghi alati, però, non possedevano le capacità
intellettive degli originali e divennero col tempo dei mostri come qualsiasi
altro, anche se considerati i più pericolosi. I serpentiformi, i quali vivono
nel mare, sono tutt’ora il più grande timore di ogni navigatore, poiché
attaccano senza remora tutte le navi che passano nel loro territorio, mentre i
lucertiformi preferiscono rintanarsi in profonde caverne e uscire solo per
cacciare. Oggi i lucertiformi sono quasi estinti. Gli stessi draghi alati,
legati da oltre un’era ad elfi e umani per costituire l’Ordine dei Cavalieri
dei draghi, considerano i loro cugini senza ali delle mere bestie che vanno
eliminate, in quanto insultano il nome dei draghi.
Siirist guardò l’ora e si accorse
che erano già le nove e mezza per cui, poiché aveva ancora molto da fare,
richiuse il libro e lo riconsegnò al monaco bibliotecario, per poi ritornare a
casa. Arrivato, corse subito in camera a prendere la sua spada, per poi andare
nel cortile dietro casa ad allenarsi. Doveva diventare molto abile se voleva
entrare nella Gilda dei Guerrieri. Non era come far parte dei Cavalieri, ma ci
andava vicino, infatti il compito della Gilda era comunque di proteggere ed
aiutare gli abitanti della città in cui si trovava la sede. Anzi, far parte
della Gilda dei Guerrieri sarebbe stato da un lato anche più interessante che
essere nell’Ordine, poiché essa era un’organizzazione mercenaria. I vari
compiti che le venivano affidati, infatti, erano pagati da un privato che la
ingaggiava. E più un membro diventava forte e popolare all’interno della Gilda,
più alto diventava il suo compenso. Certo, entrando nella Gilda dei Guerrieri
Siirist perdeva la possibilità di studiare ciò che più lo affascinava, cioè le
arti mistiche. Ma esse erano prerogativa dell’Università Arcana e della sua
Gilda dei Mistici, ed essa, come l’Ordine dei Cavalieri, era al servizio
dell’Impero, per cui il lato interessante degli ingaggi non c’era. E poi era
raro diventare un mistico da battaglia, sia perché chi ricopriva tale rango era
eccezionalmente potente, sia perché era difficile che intervenissero, per cui
la maggior parte degli appartenenti alla Gilda dei Mistici era uno studioso.
Immerso nei suoi pensieri circa
il suo futuro, Siirist aveva già fatto il suo riscaldamento ed aveva già
impugnato la sua arma. Inizialmente la brandì casualmente, giusto per avere
coscienza della differenza di peso e di bilanciamento rispetto al suo vecchio
bastone da allenamento, ma poi, concentratosi, iniziò a ripetere con precisione
i movimenti che da mesi eseguiva, anche se con la spada, chiaramente più
pesante rispetto al bastone, risultavano essere più difficili. Li aveva
imparati osservando la guardia cittadina che si allenava nel cortile della
caserma una delle tante volte che vi si era intrufolato. Per prima cosa strinse
l’impugnatura con entrambe le mani, la sinistra proprio sotto la guardia
crociata, mentre la destra impugnava per metà l’impugnatura e per metà il
pomolo. Allora portò l’arma sopra la testa, mentre posizionava il piede mancino
più in avanti rispetto all’altro, e menò un fendente. Non appena la punta era
arrivata a pochi centimetri dal suolo, Siirist compì una rotazione del busto
verso sinistra, cambiando il bilanciamento del corpo con un passo in avanti, e
al contempo alzò la spada, posizionandola orizzontalmente all’altezza del petto:
in questo modo, seguendo il movimento del corpo, la spada menò un tondo manco.
Nel momento in cui ebbe compiuto un giro di 360° e che, quindi, il piede
sinistro era nuovamente più avanzato rispetto al destro, e che l’impugnatura
della spada si trovava accanto al suo fianco sinistro, la punta rivolta in
avanti, lasciò la presa con la destra e, spingendo in avanti il peso del corpo
e distendendo il braccio sinistro, eseguì un affondo, subito seguito da un
balzo in avanti, che manteneva la stessa posizione di piedi, così da eseguire
una stoccata. Come il suo corpo ebbe finito di muoversi, Siirist fece compiere
al braccio sinistro un semicerchio verso sinistra, sollevando la spada oltre la
testa per poi portarla a raso terra. Da lì, subito, eseguì un sottano manco,
per poi tracciare un secondo semicerchio, ma stavolta verso destra, per
compiere un sottano dritto. Come il braccio sinistro si trovò rivolto verso
l’alto in diagonale, lo portò all’indietro piegando il braccio, rivolgendo così
la punta della spada in avanti, e lo distese di scatto, compiendo un secondo
affondo.
Dopo mezz’ora di movimenti
simili, Siirist passò la spada nella destra e continuò ad allenarsi, cercando
di diventare ambidestro. Ma dopo dieci minuti, sia per la poca flessibilità che
aveva con la destra, sia perché non era abituato al nuovo peso dell’arma, essa
gli scivolò dalle mani mentre menava un fendente, e l’arma gli cadde sul
ginocchio destro, più in avanti rispetto alla gamba sinistra e piegato,
ferendolo.
Con un grido strozzato Siirist
cadde a terra, grido lanciato più per lo shock che per il dolore, poiché la
ferita era più una sbucciatura che altro. Niente di grave, dunque, però
bruciava, anche se era sopportabile. La cosa importante in quel momento era
nascondere le prove ed impedire che i signori Ryfon si accorgessero di niente.
Il ragazzo strappò la manica destra della sua tunica e la usò per tamponare la
ferita, legando l’improvvisata garza attorno al ginocchio. Ma essa, per la
posizione, gli dava noia mentre camminava, così il giovane si diresse in bagno,
dove riempì la vasca da bagno e si spogliò. Allora infilò la gamba destra nella
vasca e lavò delicatamente la ferita, stringendo i denti per il bruciore.
Quando ebbe finito di disinfettare il taglio, poi, aprì l’armadietto del pronto
soccorso e prese delle vere garze, con cui si bendò accuratamente la parte
interessata.
Dopo che ebbe stretto l’ultimo
nodo, Siirist si sbilanciò sulla gamba sinistra e sollevò da terra la destra,
così da piegarla e distenderla ripetutamente. Il movimento gli procurava un
forte bruciore, ma non aveva alcun problema motorio, e l’importante era quello.
Quando ebbe finito con il bagno,
lo lavò per eliminare ogni traccia di sangue e buttò via la tunica ed i calzoni
che aveva indossato per l’allenamento, indossandone degli altri. Dopodichè lavò
la lama della spada, la rinfoderò e la nascose nuovamente sotto al letto.
Era ormai mezzogiorno e tutto
quel camminare aveva procurato un gran male alla gamba infortunata di Siirist
che, quindi, già che era in camera, decise di stendersi sul letto.
Eventualmente si addormentò.
Erano le due pomeridiane e i
signori Ryfon, sudati per aver lavorato nella vigna, ritornarono a casa.
Stranamente non trovarono loro figlio in cucina a preparare il pranzo, e
nemmeno la tavola era pronta. Meravigliati, dunque, si diressero in camera sua
e lo trovarono a letto ancora addormentato.
«Certo che abbiamo un figlio
proprio dormiglione!» sorrisero i Ryfon.
Siirist fu svegliato mezz’ora
dopo dal padre che lo era venuto a chiamare per il pranzo.
Mentre erano a tavola, i tre
chiacchierarono della mattinata, ridendo di quanto avesse dormito Siirist, il
quale, non riuscendo a credere di aver trovato un alibi così efficace così
facilmente, reggeva il gioco con piacere.
Passarono all’incirca due mesi e
si arrivò così alla mattina del tre luglio. Era molto presto, tanto che il
cielo era ancora blu scuro e solo in quel momento iniziava lievemente a
schiarire. Un maestoso stallone bianco giunse nei pressi di Skingrad, e seduto
su una regale sella, fatta con il cuoio più pregiato ed intarsiata d’oro, stava
un uomo alto, dai lineamenti delicati e bellissimi, la pelle chiara e la fronte
pulita. Era vestito con una tunica di seta verde brillante, sopra a dei
calzoni, anch’essi di seta, di un verde foresta, e ai piedi degli stivali
marrone scuro, quasi nero, di cuoio lavorato. I lunghi capelli castano chiaro
si intonavano perfettamente con gli abiti e lo facevano sembrare un tutt’uno
con la foresta che si apprestava a lasciare. Solo il cavallo lo faceva sembrare
fuori posto, con quel suo colorito candido.
«Bene,
siamo arrivati.»
Sorrise e nello stesso momento si grattò dietro l’orecchio destro. Così facendo spostò i capelli e rivelò un orecchio a punta.
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Note importanti:
1)
Come leggere la storia: i dialoghi sono contenuti fra «», i pensieri tra
‹›, la lingua degli elfi (e della magia) è indicata in verde, la lingua dei
demoni in rosso, la lingua dei nani in blu.
2)
Per descrivere i colpi con la spada è stata adottata la terminologia
della scherma bolognese rinascimentale. La descrizione dettagliata dei vari
colpi può essere trovata al seguente indirizzo: http://it.wikipedia.org/wiki/Spada_bastarda
3)
L’elfico è la lingua della magia, per cui sarà ampliamente utilizzato
quando appariranno gli incantesimi. Esso può essere scritto come normale
italiano ma con i caratteri in verde (vedi nota 1), ma spesso compariranno
proprio le parole in elfico, ed esse saranno tratte dal seguente sito:
http://www.grey-company.org/Language/Files/elven.pdf. Nel caso non vi fossero
presenti delle parole di cui ho bisogno, sarò io stesso ad inventarle.
Il prossimo capitolo si intitola UN BEL REGALO DI COMPLEANNO