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Autore: serClizia    01/06/2015    7 recensioni
Mental institution!AU in cui l'ospedale è un po' un purgatorio, un po' l'inferno.
Entrambi saranno costretti a fare i conti con i demoni nella propria testa.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessuna stagione
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 If you think that I can save you
Then I’m throwing you the rope
  But I’m up against the wave




Tre mesi nell’istituto psichiatrico e nessun miglioramento nella terapia, o almeno così diceva la dottoressa.
“Probabilmente perché non parli. Tipo, mai,” gli disse Dean.
Dean era l’unico amico che era riuscito a farsi là dentro, se di amico si poteva parlare, perché Castiel non parlava. Con nessuno. Si sedeva sulla solita sedia ogni giorno e guardava fuori dalla finestra, verso gli alberi, verso un altro mondo in cui non aveva visto niente, dove non era mai stato in guerra, né aveva mai ucciso nessuno.
Già dal suo primo giorno nell’istituto, Dean aveva cominciato a sedersi sulla sedia di fronte, dall’altra parte del piccolo tavolino di legno sotto la finestra. Si sedeva e parlava, da solo. Piccole cose all’inizio, aneddoti di poca importanza. Poi poco a poco gli aveva raccontato della sua vita, di suo padre, di suo fratello. Gli aveva raccontato dei suoi demoni. La cosa gli aveva regalato un’occhiata sbieca da parte di Castiel, perché Dean aveva affermato testuali parole: “Ho dei demoni nella testa.”
All’inizio Cas lo aveva trovato irritante. Questo sconosciuto disturbava la sua pace, la sua penitenza. Si era abituato gradualmente, aveva ascoltato la voce roca e tranquilla del suo unico interlocutore, e aveva accolto le sue parole, lasciando che sanguinasse la sua vita tormentata su di lui. Storie di abusi, di guerra, ma non come la sua, più domestica, più vicina al cuore.
Dopo il primo mese e mezzo aveva cominciato ad ascoltarlo guardandolo negli occhi, al terzo mese era arrivato a buttare ogni tanto una domanda qua e là. Tipo quella che stava per fargli adesso, che tra l’altro gli permetteva di cambiare discorso rispetto alle parole che avevano sentito dire dalla dottoressa:
“Oggi viene Sam?”
Dean appoggiò i gomiti sul tavolo con fare soddisfatto, incrociando le mani. “Sì, viene. Manca anche a te, eh?”
Cas non rispose. Non poteva dire che le visite di Sam gli mancassero, semplicemente le trovava interessanti. Dean si comportava in modo diverso, con il fratello.
Dalle storie che gli aveva sentito raccontare, il padre li aveva cresciuti convincendoli che i demoni avessero ucciso la madre, con l'aiuto di botte e strategia militare per lottare contro questi demoni, per ottenere vendetta. Dean aveva fatto il possibile per fare da scudo al fratello, finché non aveva avuto un esaurimento nervoso ed era finito là dentro, qualche mese prima di Castiel. Era riuscito a salvare Sam, che andava all’università ed era una persona funzionale, ma non era riuscito a salvare se stesso. E oltre a colpevolizzarsi per la morte della madre, era paralizzato dalla paura di essere posseduto totalmente dai demoni nella sua testa.
O almeno, questo era quello che Castiel pensava di aver capito, tra minuscoli sorrisi e nervoso strofinamento di mani da parte di Dean.
Tornò a fissare fuori dalla finestra, incapace come sempre di mettere parole a quello che pensava.

Quando Sam arrivò, li guardò abbracciarsi e dirigersi ad un tavolino poco distante dal suo, al centro della saletta. Si sedervano sempre uno di fianco all’altro, con Sam sicuramente scomodo in quelle sedie striminzite per via della sua stazza, pur di essere più vicini possibile.
Chiacchierarono fitto per tutta l’ora di visita, prima di alzarsi ed abbracciarsi di nuovo, e Sam andò via sventolando una mano nella sua direzione. Cas non si mosse.
Dean tornò a sederglisi di fronte, e Cas ancora non mosse un muscolo, seguendolo semplicemente con lo sguardo. Gli piaceva guardare Dean negli occhi, il verde delle sue iridi aveva un che di calmante. Gli ricordava la natura, ma non in modo brutto e pericoloso. Era più la sensazione di un prato al sole d’estate.
“Gli ho parlato di te, sai. Per questo ti saluta quando se ne va. In caso te lo stessi chiedendo.”
Cas non se lo stava chiedendo.
Dean strinse un po’ le labbra, con l’aria di chi si sta preparando a dire qualcosa di spiacevole. Cas non poteva immaginare cosa potesse essere, nella loro situazione e dopo tutte le cose che Dean gli aveva detto, demoni e tutto quanto.
“La prossima volta forse potresti venire anche tu al tavolino con noi.”
Castiel aggrottò la fronte, sorpreso. Perché, era l’unica domanda che gli veniva in mente. L’unica parola che il suo cervello gli faceva lampeggiare nella testa.
“Perché?”
“Per fare conoscenza.”
“Perché?”
Dean strinse di nuovo le mani davanti a sé. “Perché non posso essere l’unico con cui parli, amico. Progressi, terapia, ricordi?”
Castiel ricordava molto bene le parole della sua terapista. La memoria non era mai stata un problema per lui, anzi, era più che altro una maledizione. Ma non capiva come Dean potesse pensare che, dopo averci messo mesi a riuscire a imbastire due minuti al giorno di conversazione con lui, Castiel potesse mettersi a chiacchierare con suo fratello Sam, con uno sconosciuto.
“Ehi, non farmi quello sguardo, Cas. Sto cercando di aiutare.”
“Non capisco.”
“Non capisci cosa?”
“Perché… Sam?”
Dean si accomodò meglio contro lo schienale della sedia. “Perché lo capisco, ok? Non è la prospettiva migliore parlare con Crazy Sue, laggiù”, indicò Susan, intenta a dondolarsi sulla sedia e bofonchiare a sé stessa sempre la stessa canzone da che Castiel era stato ricoverato, “o con… tutti quelli rinchiusi qua dentro,” fece un gesto che comprendeva tutti gli altri insieme a loro nella sala, alcuni seduti ai loro tavolinetti o sdraiati a terra, altri accompagnati da un infermiere 24 ore su 24, altri che farneticavano peggio di Susan. “Questi sono dei pazzi veri, amico. Perché pensi che sia venuto a sedermi qui con te? Eri l’unico con cui potessi parlare.”
Cas spostò di nuovo lo sguardo su di Dean. Il fatto di essere ritenuto il meno pazzo tra i pazzi non lo rendeva certo di umore migliore, e Dean dovette intuirlo perché gli si spense il mezzo sorriso arrogante dalle labbra.
“Ok, non vuoi parlare con me, lo capisco. Nemmeno io parlerei con me. Ma Sam… Sam è un toccasana. Gli piace parlare di sentimenti e quella roba lì. All’inizio... anch'io lo volevo prendere a schiaffi ogni volta che proponeva una chiacchierata, ma ora? Ora è uno dei momenti preferiti della settimana,” sorrise lievemente. “Essere ricoverati ti cambia tutto, cavolo.”
Castiel sentì un infinito senso di impotenza risalirgli nel petto. Era paralizzato all’idea di parlare con qualcuno, con un estraneo, con Sam-il-fratello-di-Dean, si sentiva indegno, sporco, un mostro che si avvicina ad una luce che non gli appartiene, che non si merita, e cercare di spiegarlo a Dean avrebbe richiesto tante parole che non aveva, che gli annodavano la lingua, le interiora, il cervello. Quindi rimase semplicemente immobile ed in silenzio, mentre dentro un esplosione gli faceva trasformare gli organi in pietra per poi distruggerli e ricominciare da capo.
“Devi lasciar uscire i tuoi demoni, amico.”
“Io non… posso, Dean.”
Castiel si ritirò verso la sua finestra, verso il mondo esteriore, e chiuse fuori tutto fino al momento di andare a dormire.
  
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