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Autore: Flam92    03/06/2015    0 recensioni
Anja, 27 anni, tedesca tutta d'un pezzo e ligia al dovere, ex agente dell'Interpol con alle spalle un passato torbido e sofferto.
Emilie, 25 anni, esponente di spicco delle nuove leve dello S.H.I.E.L.D., con grossi problemi di disciplina e un passato colmo di segreti.
Per un bizzarro scherzo del destino, si ritrovano catapultate l'una nella vita dell'altra, costrette dalle circostanze ad una convivenza forzata. Riusciranno a mettere da parte le loro differenze e i loro rancori, quando la situazione precipiterà e ci sarà bisogno di loro?
Genere: Azione, Demenziale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Nuovo personaggio, Sorpresa, Steve Rogers, Un po' tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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PROLOGO
 
I remember yesterday
When things were black and white
Never thought I'd get confused
On what was wrong and right
Well, I'm not unbreakable
With armor on my skin
Well, it's not unthinkable
I could be fooled again

Stolen Prayer - Alice Cooper
 
- Anja –
 
New York, due anni dopo l’attacco alieno – 7 Febbraio 2014
 
            La mia giornata non era stata diversa da tutte quelle che l’avevano preceduta. C’era qualcosa di rassicurante nella solita routine –arrivare alla sede delle Greyhound Publishing Inc., passare alla reception, ritirare ciò che serve, salutare Charlie, il tuo capo, dedicarti alla correzione delle bozze, dare l’okay per pubblicare e poi di nuovo a casa, alla fine di un altro giorno piuttosto spoglio di novità- una sorta di ordine immutabile che mi garantiva di avere tutto sotto controllo. Il che, dal mio punto di vista, era un’ottima approssimazione del Paradiso, sempre ammesso che esistesse.
            Tuttavia quella sera, dopo aver chiuso la porta del mio ufficio ed essere passata a salutare Charlie, mi si era incollata addosso una fastidiosa sensazione, una di quelle che porta a pronunciare la fatidica frase: “Ho un brutto presentimento”; l’esperienza mi aveva insegnato che, purtroppo per me, le mie fastidiose sensazioni erano un presagio di disastri apocalittici in rapido avvicinamento.
            Non appena varcai la soglia di casa fui accolta da un miagolio sommesso di Siegfried, il mio gatto Siberiano, la perfidia fatta palla di pelo.
“Ehi gatto, vieni qui” lo apostrofai a mo’ di saluto, prima di prenderlo in braccio per cominciare a fargli un po’ di meritate coccole, al che lui prese a fare le fusa tutto soddisfatto. A volte lo invidiavo sul serio, il mio pigro e indolente gatto, che viveva sui cuscini del mio divano senza una sola preoccupazione al mondo.
            Anche se l’ora di cena era passata da un pezzo, non avevo molta fame: uno spiacevole effetto collaterale dei miei brutti presentimenti. Mi trascinai in bagno e mi concessi una breve doccia, dopodiché mi infilai una camicia da notte e quasi caddi a peso morto sul letto, addormentandomi all’istante.
            Il mio risveglio, la mattina dopo, fu davvero orribile.
Avevo battuto la sveglia di un’ora buona, e tra l’altro nemmeno ricordavo di averla puntata; in più avevo passato la notte a svegliarmi a più riprese. Dulcis in fundo, mentre facevo colazione ricevetti una chiamata nientemeno che da Charlie, la quale mi disse di arrivare lì il prima possibile, perché c’era “un ospite importante che sembra odiare aspettare”, sue testuali parole, barricato nel mio ufficio.
            Maledicendo ancora una volta i miei presentimenti e la loro infallibilità, mi lavai e vestii a tempo di record, e infransi almeno una dozzina di limiti di velocità per andare al lavoro. Se queste erano le premesse della giornata, non osavo pensare a ciò che sarebbe potuto accadere ora di sera.
 
            “Oh, Anja, meno male che sei qui!” La voce squillante di Charlie mi bloccò in mezzo al corridoio del mio ufficio, dalla parte opposta del piano rispetto al suo. Attesi che mi raggiungesse, prima di chiederle spiegazioni in merito alla telefonata di un’ora prima.
“Non so cosa dire, mi dispiace”, esordì lei un po’ abbattuta, “solo che me lo sono ritrovato nel tuo ufficio quando sono passata a lasciarti l’agenda che avevi dimenticato da me. Un tizio vestito tutto di nero, alto persino più di te, che mi ha tirato un’occhiataccia da incenerirmi sul posto. Se devo essere onesta, mi ha messo i brividi” concluse Charlotte, stringendosi nelle spalle.
            Un brivido gelato mi attraversò la schiena, inchiodandomi nel punto esatto in cui mi trovavo. La mia mente cominciò a passare in rassegna le informazioni appena ricevute: non conoscevo molti uomini che fossero più alti di me –dopotutto, ero pur sempre un metro e ottanta di donna- né che vestissero di nero o incutessero timore alla sola vista. A ben guardare solo un uomo corrispondeva a quella descrizione, e io avevo sperato di non doverci più avere a che fare. Con un sospiro, alzai i tacchi e marciai a passo di carica verso il mio ufficio.
 
            “Quindi, è questo il modo di presentarsi? Mi invadi l’ufficio senza nemmeno chiedere il permesso? Non è carino da parte tua”, esordii sfoderando la mia migliore espressione da attrice consumata, corredata dal tono pesantemente sarcastico che riservavo solo agli scocciatori. L’uomo, che stava giochicchiando con una preziosa statuetta di giada a forma di cavallo lanciato al galoppo, si volse verso di me, mettendo in bella mostra un volto totalmente inespressivo e una piratesca benda nera sull’occhio sinistro.
            “Sempre un piacere rivederti, Blackwood”
“Non posso dire sia lo stesso per me, Fury. Comunque, che cosa fai qui? Ah, sappi che qualunque cosa dirai, la mia risposta è un “No” secco”, ribattei, andandomi a sedere dietro la scrivania e levandogli di mano il mio preziosissimo cavallino fermacarte.
            Fury prese posto sulla sedia di fronte alla mia, quindi puntò i gomiti sui braccioli e giunse a guglia le dita; rimase a fissarmi per un po’ con l’occhio buono, senza dire nulla.
            “Mi servono le tue competenze”, si risolse a dire alla fine, andando dritto al punto.
“No, Nick. Qualunque cosa sia, non ci pensare nemmeno.”
“Non vuoi nemmeno sapere di che si tratta, Anja?”
“Me lo dirai lo stesso, lo so. Magari cercherai di fare leva sulla mia curiosità, ma la mia risposta non cambia.”
“È per questo che mi servi, e per il tuo essere ligia alle regole. Ho un elemento problematico, tra le nuove leve, le serve più… disciplina. E tu sei l’unica che può addestrarla”. Il suo tono sottintendeva molto più delle sue parole, e questo non mi piacque neanche un po’.
            Cosa avevo detto, dei miei presentimenti? Disastro apocalittico in rapido avvicinamento, giusto? Eccomi servita, maledizione.
            Scoppiai a ridere, una risata amara e senza allegria, quindi riportai l’attenzione sull’ingombrante presenza all’altro lato della scrivania.
“Fammi capire: hai fior di agenti ai tuoi ordini, tutti molto più esperti di me per tecnica e disciplina, e vuoi che la addestri io?! Mi domando a che pro, senza contare che so-no-in-pen-sio-ne”. Replicai alla sua affermazione scandendo per bene le ultime parole, cosicchè risultassero perfettamente chiare e non fraintendibili.
Per tutta risposta, Fury mi allungò un dossier piuttosto corposo, si appoggiò allo schienale e rimase a fissarmi, senza muovere un muscolo.
            Di malavoglia, presi il fascicolo e me lo rigirai tra le mani; sul davanti lessi semplicemente un nome: “Agente Barton, Emilie”; alla fine, la curiosità ebbe partita vinta e lo aprii, cominciando a sfogliarlo: rapporti, missioni eseguite, richiami disciplinari per i motivi più svariati –e questi, a onor del vero, erano parecchi. Dalle pagine scivolò fuori anche una foto di suddetta ragazza e cominciai a studiarla con un po’ più di calma: l’espressione del viso era imperscrutabile e pacifica, non diceva nulla, ma gli occhi… quelli addirittura gridavano la moltitudine di cose che la maschera perfetta del volto celava con tanta maestria. Di primo acchito, ero sicura si trattasse di un’agente portata per l’azione e certamente restia a seguire gli ordini. Non dubitavo del fatto che sarebbe stato un caso interessante cui dedicarsi, ma gli anni dell’Interpol e di questi giochetti per me erano finiti da un pezzo.
             “La situazione è critica, per questo sono qui. So che sei ancora la stessa persona di quattro anni fa, di quella missione in Messico”.
“Ah, il Messico, certo, come dimenticarlo?”, lo interruppi infastidita, “Come dimenticare che grazie alla vostra incapacità di farvi i cazzi vostri avete quasi mandato a monte sei mesi di lavoro sotto copertura?! Sei mesi, dannazione! E come dimenticare che grazie al tuo intervento ci ho quasi rimesso il culo, e nonostante ciò ho salvato il tuo?! E ora pretendi pure che io ti aiuti?! Te lo puoi scodare. Fuori di qui, non lo ripeterò un’altra volta”.
            Con gran sorpresa di entrambi, Fury uscì dal mio ufficio senza aggiungere altro.
Non è finita qui, pensai tra me e me, non è per nulla finita qui.
 
            Passai il resto della mattinata a rassicurare Charlie, tranquillizzare Helen, mia grande amica che subito si era preoccupata per me, e sbrigare il mio solito lavoro; nonostante tentassi con tutte le mie forze di concentrarmi su ciò che stavo facendo, la mia mente continuava a tornare sui documenti di quel maledetto dossier e alla foto della ragazza, che non sembrava essere poi molto più giovane di me. Maledissi tutto e tutti, quindi decisi di prendermi mezza giornata libera per pensarci su. Dannato Fury! Sarebbe stato capace persino di vendere ad un beduino una fornitura a vita di sabbia, tanto sapeva essere persuasivo e manipolatore.
            Rientrai in casa sbattendo con forza la porta dietro le mie spalle, e quasi mi venne un infarto quando rividi quella brutta cornacchia di un metro e novanta, stavolta comodamente spaparanzata sul divano nel mio soggiorno.
“Hai avuto tempo per pensarci, Blackwood. Che cosa hai deciso?”
“Se ti dico di no, continuerai a tormentarmi fino alla fine dei miei giorni; se dico di sì, continuerai a tormentarmi fino alla fine dei miei giorni, ma per altri motivi. Quindi, cambia qualcosa? Devo davvero rispondere?” Mi odiai come mai prima d’ora per la risposta datagli.
“Bene, allora. Sei appena stata reintegrata, Capitano Blackwood, con effetto immediato”. Che gioia.
“Ho due condizioni da porre, altrimenti non mi muovo di qui: numero uno, si fa a modo mio e non tollererò interferenze, soprattutto da te; numero due, non voglio comparire da nessuna parte, niente registri, niente dossier, niente di niente. Sono un’ex agente dell’Interpol e non sono un’agente dello S.H.I.E.L.D., chiaro?”
Nick assentì: “Se non c’è altro, hai un’ora per fare le valige e sistemare le tue faccende, poi andiamo a Washington. Un SUV nero ti aspetterà qui sotto”.
            Annuii e Nick uscì da casa mia, chiudendosi silenziosamente la porta alle spalle.
Siegfried sbucò fuori da sotto la poltrona e si sedette sul tavolino da caffè, guardandomi fisso coi suoi occhioni verdi.
“Stavolta, Sieg, ho firmato la mia condanna. Mi sono completamente, totalmente fregata da sola”.
 
- Emilie -
 
Medio Oriente - 7 Febbraio 2014
 
            Mi trovavo di fronte al mio bersaglio, che faticava a collaborare anche dopo quindici minuti passati da solo con me: solitamente cedevano prima. Il mio piano aveva funzionato e Mark era riuscito ad attirarlo nella trappola da noi escogitata: il bagagliaio di un’auto pieno di armi di contrabbando. O così doveva sembrare. Non che qualcuno possa obiettare, visto che siamo nel bel mezzo del nulla… non capisco cosa ci trovino di affascinante nel deserto, c’è solo sabbia –ovunque- e un caldo pazzesco. Mi asciugai il sudore dalla fronte con un gesto stizzito.
            Guardai in faccia il terrorista un’ultima volta, non avrebbe detto altro. Quelli come lui si sarebbero fatti saltare in aria con la famiglia, piuttosto che sputare lo stramaledettissimo rospo. Aggiustai il tirapugni e gli sferrai un colpo alla tempia, caricandolo con tutta la rabbia e la frustrazione che avevo.
            “Emilie, dannazione!”
            Troppo tardi.
Mark non era riuscito a fermare il mio scatto d’ira in tempo. Mi prese per le spalle iniziando a scrollarmi. Lo lasciai fare. Ormai, il danno era fatto.
“Ma ti pareva il caso di farlo fuori? Rischi di farci venire addosso l’intera cellula!”
“Oh piantala! Troveremo un altro talebano o quello che è da spremere. Magari uno più collaborativo. E poi la cellula non sa nemmeno chi siamo.” Quell’uomo si preoccupava decisamente troppo, e per cose davvero stupide, per di più. Una volta, forse, anche io avrei potuto essere impensierita dall’eventualità di passare da cacciatore a preda, ma per fortuna mi ero ravveduta per tempo. Volevano darmi la caccia? Benissimo, gli avrei dimostrato di essere un osso troppo duro per i loro denti.
            “Ad ogni modo, non riusciremo mai ad avvicinare qualcun altro con le stesse conoscenza di Al Hamza.” Specificò Mark. Dio, quanto sei petulante Green… se stai zitto è meglio.
            Sbuffai e lo scostai. Ero stufa delle sue polemiche: qualunque cosa io facessi, aveva da ridire. Prima era bello lavorare con lui, ma ora avrei di gran lunga preferito sbrigarmela da sola. Il contatto era morto? Avremmo trovato qualcun altro, o meglio, lo S.H.I.E.L.D. lo avrebbe scovato per noi.
Uscii dall’edificio diroccato per fare rapporto. Composi in fretta un numero crittato e portai il telefono all’orecchio. Risposero al primo squillo.
            “Buongiorno agente Barton, siete riusciti a farlo parlare?”
“Non esattamente. Generale, c’è stato un probl..”
“Mi dica che non sta per dire problema.” Venni interrotta.
“Era esattamente quello che avevo intenzione di dirle, in realtà, Fury. Il contatto è morto.”
            Silenzio.
            Immaginai Fury chiudere l’occhio sano e passarsi una mano sul volto. Diversi istanti dopo, tornò a farsi sentire dall’altro capo del cellulare. Non era contento, nemmeno un po’.
“Rientrate immediatamente.”
Provai a contestare l’ordine, ma aveva già chiuso la chiamata. Furibonda, spalancai la porta della catapecchia in cui eravamo, recuperai il bagaglio e la mia balestra e dissi a Mark che si tornava alla base. Non gli diedi altre spiegazioni, nemmeno quando me le chiese. Ero troppo impegnata a bestemmiare dietro al mondo per dargli retta.
 
            “Come sarebbe a dire che mi congedi fino a nuovo ordine?!” sbraitai.
Fury mi aveva fatta incazzare e di brutto, anche. Di fianco a me, quel bacchettone di Mark sobbalzò sgranando gli occhi: temeva più di me la reazione del generale. Il solito esagerato, apprensivo-fino-alla-nausea Mark.
            “Sarebbe a dire che è congedata fino a nuovo ordine, agente Barton”, Fury ribadì l’ovvio, “e gradirei ricevere il rispetto dovutomi, quantomeno in presenza di altri agenti”, non mancò di sottolineare.
            Sbuffai, battei nervosamente il piede a terra e fissai torva il nostro superiore. Al diavolo il rispetto, Fury mi doveva delle spiegazioni, spiegazioni dannatamente buone. Capo o non capo, cosa gli dava il diritto di segregarmi dietro una scrivania?!
            “Generale, se con me ha finito, chiederei il permesso di lasciare la stanza.”
“Concesso, agente Green. Verrà ingaggiato a breve da una nuova squadra per portare avanti il progetto che stava gestendo con l’agente Barton.”
“Agli ordini, Generale.” Fatto il saluto formale, Mark lasciò l’ufficio di Fury.
            Il generale si rivolse di nuovo a me, con una strana espressione in viso. Questo non promette bene…
“Quanto a lei, ho già rintracciato una risorsa che provvederà al suo riaddestramento.”
Lo ammetto: rimasi non poco sbigottita. “Riaddestramento?! Ma stiamo scherzando?!”
“Le sembro uno che scherza, agente Barton?” Fu il suo turno di incenerirmi con lo sguardo, ma non mi lasciai certo intimidire. Dopotutto, ero pur sempre la degna figlia di mio padre e di mia madre.
“Allora deve avere bevuto qualcosa di forte. Non mi sembra che ci sia qualcosa che non vada nel mio addestramento. Sono fra i migliori agenti in servizio, non mi pare il caso di rinunciare alle mie capacità, rifilandomi una simile inezia”, ribattei piccata.
“È vero: lei è una delle migliori risorse a disposizione dello S.H.I.E.L.D., sia a livello strategico, sia pratico. Purtroppo negli ultimi tempi ha dimostrato di lasciarsi prendere troppo facilmente dall’ira, e i suoi continui colpi di testa non sono tollerabili. Non posso più passare sopra alle sue insubordinazioni.”
“E mi manda a riaddestrarmi?!”
“Precisamente. La farò mettere in riga da una persona che gode della mia totale fiducia. Sono certo che non fallirà nel compito assegnatole. E ora vada pure a sfogarsi come meglio crede, mi attende una riunione e gradirei ritrovare l’ufficio così come lo sto per lasciare.”
            Ovviamente si riferiva al mio istinto a spaccare qualsiasi cosa mi capitasse a tiro.
“Lascerò questa stanza immacolata, non si preoccupi. Ad ogni modo, può anche dire alla sua risorsa che è tutto tempo sprecato. Se non siete riusciti a farmi cambiare voi, che siete i migliori plasmatori di mente e corpo, non vedo come possa compiere quest’impresa una persona esterna.”
“Lo vedrà agente Barton. Lo vedrà.”
            Ero certa che in quell’istante avesse addirittura sorriso. O forse era solo uno spasmo involontario o una paresi momentanea.
Ad ogni modo, l’espressione sul suo volto mi lasciò scettica sul mio stesso scetticismo. Possibile che fosse così sicuro di sé? D'altronde era pur sempre Fury quello che avevo davanti. La cosa non mi piaceva nemmeno un po’.
            Lasciai l’ufficio del generale e mi precipitai nella stanza di Mark. Indossava ancora la divisa, così lo trascinai in corridoio di malagrazia e contro il suo volere.
“Ora verrai con me in palestra.” Esordii lapidaria.
“E se mi rifiutassi?” provò a protestare.
“Sai già che ti spaccherei il culo. Non rendere le cose più complicate e dolorose.”
“Oh sì, sono certo che non mi farai assolutamente del male! Mi userai solo come sacco da boxe!” sbottò risentito.
“Almeno tu sai difenderti. Il povero sacco da boxe dovrebbe subire restando inerme”, commentai caustica.
            Sospirò di rassegnazione e assunse un comportamento più docile, seguendomi senza fare storie.
Quella routine si ripeteva ormai da tempo: tornavo da una missione incazzata e sfogavo la mia rabbia combattendo corpo a corpo contro Mark. Sapevo che era un avversario alla mia altezza, ma ogni volta riportava diversi lividi. Sceglievo lui soprattutto perché era uno dei pochi con abbastanza palle da rispondere ai miei colpi.
Okay, diciamo pure che era l’unico.

N.d.A.
Eccoci ritornate entrambe a scrivere: ebbene sì, questa è una storia a 4 mani scritta da me (Flam) e Mòrrigan. Sappiate che è stato creato un mostro XD
Piccole precisazioni circa i nuovi personaggi introdotti: essi sono frutto della nostra immaginazione, pertanto è come se ne detenessimo il copyright, e si ispirano solo in parte alle loro omonime delle due FF che stiamo scrivendo in parallelo (Emilie in "Love Their Lies", Anja in "E l'amore ingannò il Dio degli Inganni"). Abbiamo deciso di mantenerne parte del loro background, ponendole in un contesto del tutto differente da quello in cui sono nate (soprattutto Emilie che ha in comune esclusivamente i genitori con l'altra storia).
Questa FF inizia poco prima degli avvenimenti presenti in "Capitan America - The Winter Soldier" e si protrarrà dopo essi, fin dopo "Avengers 2 - Age of Ulton" e "con qualche accenno a "Capitan America: Civil War". La storia è narrata in prima persona, al passato, per mezzo di POV (principalmente di 4 personaggi, a cui se ne aggiungeranno più avanti quelli di altri 6, per completezza). Non daremo un titolo ai capitoli, ma all'inizio di ognuno di essi sarà presente un pezzo di una canzone che si adatta a quanto narrato.
Avvertiamo subito che la pubblicazione dei capitoli sarà molto lenta, in quanto il materiale da scrivere è molto, le idee sono di più, e il tempo come al solito scarseggia XD Tuttavia, abbiamo deciso di iniziare a pubblicare quantomeno il prologo; i capitoli seguiranno a cadenza MINIMO mensile. Ci staremo tirando dietro le ire dei lettori, ma siamo organizzate e pronte a scappare in qualche bunker XD
Vi auguriamo buona lettura e vi chiediamo di inserire una recensione per farci sapere se abbiamo stuzzicato la vostra curiosità.
Baci,
Flam e Mòrrigan

 
  
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