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Autore: reb    04/06/2015    1 recensioni
Lei, di verità inconfutabili ne sapeva qualcosa e non vedeva l’ora di andarsene proprio per questo.
Perché certi tipi di verità sono appena sussurrati con un sogghigno divertito e bisbigliati alle spalle, scritti sui muri dei bagni e sulle pagine di un diario quando nessuno può vedere il colpevole.
Certe verità sono cattive e viscide. Certe verità fanno male.
Giulia lo sapeva.
Giulia è una troia.
[ Piccola storia senza pretese su come accettarsi per quello che si è, errori e passato compresi, sia più difficile che credere a quello che gli altri pensano di te ]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando hai diciassette anni e frequenti il liceo ci sono verità inconfutabili che non possono essere smentite nemmeno dimostrando il contrario di quanto si vociferi tra i corridoi.
Giulia diciassette anni, ancora non li ha compiuti, e quelli che mancano al diploma a volte pesano come massi. Spesso le fanno venire voglia di urlare e distruggere tutto. O nascondersi fino a sparire.
Lei, di verità inconfutabili ne sapeva qualcosa da qualche mese, ormai, e non vedeva l’ora di andarsene proprio per questo. L’università sembrava un miraggio lontano che prometteva salvezza.
Perché certi tipi di verità sono appena sussurrati con un sogghigno divertito e bisbigliati alle spalle, scritti sui muri dei bagni e sulle pagine di un diario quando nessuno può vedere il colpevole.
Certe verità sono cattive e viscide. Certe verità fanno male.
Giulia lo sapeva.
Giulia è una troia.
C’è scritto sul bagno al secondo piano con una calligrafia rotonda e perfetta, come se chi ha partorito quella cattiveria non avesse avuto alcuna fretta nel farlo.
Era apparsa quasi sei mesi prima, insieme alle voci, e non se n’era più andata. Il preside, di certo, non spendeva il proprio tempo a controllare quale fosse l’ultima voce aggiunta all’intonaco triste dei bagni femminili.
Giulia non ne era stata nemmeno troppo sorpresa, all’inizio.
Era stata l’ovvia conseguenza di quanto si diceva in giro.
Se i ragazzi sghignazzavano e, i più temerari, si davano ai movimenti osceni ogni volta che passava loro vicino, le ragazze non erano altrettanto immediate, nelle loro reazioni di sdegno. E una ragazza era stata la prima a scriverlo, perché quando devono colpire, le donne sanno farlo meglio degli uomini.
La voce, dopo, si era sparsa ancora di più.
Giulia è una troia.
E se pure lei non ne era stata sorpresa, ne era rimasta ferita. Da loro, da lui. Soprattutto da se stessa.
Ma non aveva dato la soddisfazione, alle due ragazze dell’ultimo anno che erano con lei in bagno nel momento della scoperta, di vederla in lacrime. Le aveva invece ricacciate in gola, insieme ai singhiozzi e alla voglia di correre in classe, prendere il pennarello nero indelebile che teneva nell’astuccio e cancellare quell’accusa con gesti frenetici. Per farla sparire come avrebbe voluto far sparire quell’errore.
Giulia è una troia.
Si era invece voltata, si era lavata le mani e poi era uscita. L’espressione del visto tranquilla, il passo pacato. Dentro stava urlando perché credeva che fosse contato qualcosa, che fosse stato importante.
Le lacrime c’erano state e aveva soffocato il rumore del pianto nel cuscino della sua camera.
Aveva sedici anni e la voglia di prendere tutto a calci.
Non l’aveva fatto.
Non l’aveva fatto quando le risate alle sue spalle si erano fatte più rumorose e sfacciate.
Non l’aveva fatto nemmeno quando una compagna di classe con la cattiveria che solo i giovani sanno mostrare con tanta baldanza, le aveva detto “Allora è vero, che sei una troia”.
Quella volta, anzi, aveva quasi dovuto trascinare in un angolo Teresa, la sua migliore amica, che sembrava decisa a fare quanto lei si rifiutava. Far tacere chi la insultava.
In compenso aveva aspettato Stefano fuori dal campetto dove si allenava con la squadra della città due volte al giorno.
Alla fine non poteva più ignorare la verità e mentire a se stessa, “lui non mi tradirebbe mai così. Mi ama”, non quando questa era scritta in bella grafia nei bagni della scuola.
Giulia è una troia.
Aveva ignorato le gomitate che i suoi compagni si erano dati vedendola e quei “Ciao Giulia” carichi di sottintesi con cui l’avevano accolta. Aveva ignorato tutto fino a che Stefano non era stato a pochi passi da lei, evidentemente a disagio.
Giulia lo conosceva abbastanza bene da sapere che temeva una scenata davanti agli amici. Si aspettava insulti e urla, lacrime magari. Era triste sapergli leggere in viso quei timori, ma non aver capito che la loro intimità non sarebbe stata al sicuro con lui. Che lei, non lo sarebbe stata.
Forse fu questo a smorzare la soddisfazione di vederlo accasciarsi ai suoi piedi gemente, dopo un colpo particolarmente rabbioso sferrato tra le sue gambe. Una vendetta infantile al solo scopo di stare meglio.
 




“Visto che non sai tenere la bocca chiusa, adesso almeno ci terrai le gambe. Dio non sa se avrei dovuto farlo io” gli aveva sibilato osservandolo ancora a terra.



 

Che ricordasse, Giulia, quelle erano le ultime parole che gli avesse rivolto anche se la classe di lui era proprio accanto alla sua.
A “Giulia è una troia”, nei bagni, si era aggiunta dopo alcuni giorni un’altra scritta con una calligrafia diversa, in viola.
“Stefano anche”
Angela, la ragazza che lo stava scrivendo sotto gli sguardi perplessi di un paio di ragazzine del primo, era diventata sua amica proprio in quel momento, con un pennarello viola in mano e una frase sulle labbra nemmeno particolarmente gentile.
 




 “Prima o poi siamo tutti un po’ troie, non c’è niente di cui vergognarsi. Devi vergognarti di  aver scelto proprio un tale coglione con cui andare a letto, magari”.
 




Dopo mesi, alla fine sua madre era inevitabilmente venuta a sapere delle voci che giravano sulla figlia e alla richiesta di spiegazioni, Chiara aveva risposto proprio così.
Non c’era niente di più vero, dopotutto, e non aveva niente di cui vergognarsi.
 




 
“Si, ci sono andata a letto, mamma. E se per questo sono una troia allora lo è anche lui perché non ero sola in quel letto”.
 




Non gli aveva detto “sii felice perché magari tua figlia per tutti è una troia, ma lui per me è anche un bastardo” e nemmeno “se fossi stata un uomo mi sarei meritata delle pacche sulle spalle, non una scritta cattiva in un bagno”, perché non ce n’era stato bisogno. Quel giorno sua mamma l’aveva guardata come un’adulta di cui andare orgogliosi, proprio perché quelle cose non le aveva dette, ma gliele aveva lette negli occhi. Prime consapevolezze personali.
“Pensavo fosse quello giusto” aveva aggiunto soltanto Giulia prima di rifugiarsi tra le braccia di sua madre permettendosi per la prima volta di piangere per il senso di tradimento che sentiva dentro.
“Amare qualcuno non è mai un errore” le aveva risposto la donna, carezzandole i capelli come quando era bambina. E se c’erano dei giudizi, nel suo tono, sua madre li aveva ricacciati indietro. Di tempo per parlare ce ne sarebbe stato in seguito, dopotutto.
Giulia sapeva solo che la voglia di sparire e il senso di tradimento, lentamente, stavano svanendo, soppiantate dall’affetto di chi le voleva davvero bene. E Giulia aveva capito che non aveva bisogno di un ragazzo o del sesso per sentirsi intera, ma delle sue persone. Le sue persone che le volevano bene per chi era, con scritte nei bagni e vendette infantili, e a cui non importava se era vergine o aveva una macchia scarlatta appuntata sul petto.
Accettandosi anche la vergogna andava scomparendo.
Alla scritta in quel bagno, ormai, Giulia non faceva nemmeno più caso.
 


 



Giulia sta bene.

















ANGOLO AUTRICE
 
 
 
 
Non so esattamente da dove sia uscita questa storia, perché in genere scelgo volontariamente di tenermi alla larga da tematiche delicate per paura di banalizzarle o trattarle con superficialità. E forse l’ho fatto, un migliaio di parole sono poche, per farlo nel modo giusto.
So solo che sento costantemente ragazze di tutte le età appellarsi ad altre chiamandole “troia” appunto e credo che sia una delle cose più brutte che una donna possa fare a un’altra. Non tanto per l’insulto in sé, ma per il desiderio di svilirla. Che sia volontario o inconscio.
Inoltre penso che sia giusto, per ogni donna, fare del proprio corpo quello che vuole. E’ lei l’unico giudice morale di se stessa, non il suo uomo o le altre donne. Se lei sta bene con se stessa andando a letto con un uomo diverso ogni sera o rimanere vergine fino al matrimonio, indossare una gonna talmente striminzita da essere più corta della maglietta o un’abito da educanda, è solo scelta sua.
Sermoni personali a parte, se arriverà qualcuno a leggere questa storia, o addirittura le mie note, prendete quello che ho scritto per quello che è. Due pagine che mi sono servite come sfogo, ma che tutto si ripromettono eccetto che essere letteratura profonda o un polpettone giudizioso su chi la pensa diversamente da me.
 



 
Un abbraccio
Rebecca


 
   
 
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