In un giorno d’Inverno.
Fiocco
dopo fiocco. Copiosa, come solo aveva visto negli inverni in quel Paese.
Candida e silenziosa, ricopriva qualsiasi cosa. I fiocchi d’erba del suo
giardino privato, i rami rigogliosi dei pini, il marmo della balconata di fronte
al vetro della finestra dietro alla quale fissava il paesaggio.
Il
silenzio e il gelo portati dalla neve penetravano attraverso le grandi pietre
del castello, e attutivano i rumori delle persone che vivevano tra quelle mura.
O forse il silenzio è dato da
qualcos’altro. Pensò la principessa,
staccando i malinconici oggi castani dal vetro. Le sue
due giovani dame di compagnia sembravano indaffarate con il ricamo, di fronte
al caminetto acceso.
E
così, in quel giorno di gennaio, si sarebbe compiuto il destino di quella che
le sue dame di compagnia chiamavano “la sua acerrima rivale.”
Un giorno poetico per morire, avvolta dal silenzio di cristallo donato dalla
neve. E poteva anche giurare che sarebbe stato di quel colore il marmo del suo
sepolcro, scelto in prima persona da suo marito. Kikyo sospirò. Possa la sua morte portare un po’ di
serenità nella mia vita. Possa la sua assenza donarmi ciò a
cui più io anelo.
Si
vergognò subito dei suoi pensieri: la donna agonizzante, in una stanza del
castello, era stata la sua rivale, quello era vero, ma non era stata mai
maligna o spietata nei suoi confronti, né aveva sbeffeggiato la sua situazione
penosa o ostentato la fortuna con cui Dio l’aveva benedetta. Era stata in un
certo senso leale verso di lei, conscia del suo ruolo, sempre al proprio posto
di fronte agli altri. Era stata la sua rivale, certamente, ma non la sua
nemica.
Le
mani di Kikyo tremarono. Forse la ragione per cui stava morendo era dovuta anche ad un favore che quella donna si sentiva in
dovere di farle. Una fitta la colpì all’altezza del cuore.
Che stupidaggine sentirsi in colpa per
la morte di una donna che mi ha causato infelicità. Pensò. Ma era stata davvero colpa sua? O la malinconia
in cui era sprofondata in quegli anni era causata solo dalla solitudine e
dall’impossibilità di vedere il rimprovero sulle facce di chi la circondava?
Lei non riusciva a portare a termine il suo compito, e ciò la escludeva dalla
vita politica del regno.
Sospirò.
I suoi sospiri erano diventati ormai un’abitudine che la contraddistingueva.
Si
chiese dove fosse finita sua sorella. Era uscita da più di un’ora dalla stanza,
per cercare notizie, e non si era ancora fatta viva.
Probabilmente è in un angolo ad
amoreggiare con Inuyasha. Era una
cosa che la infastidiva. Aveva fantasticato così tanto su quel ragazzo, nelle
ore di solitudine a cui si costringeva per sfuggire alle
occhiate gelide della corte, cercando di interpretare ogni suo gesto, parola o
semplice sguardo a lei rivolto come benevolo e carico di sentimenti nei suoi
confronti. E poi, era giunta la visita di quella sua sorellina nubile, mandata
dalla madre per risollevarla dalla tetra malinconia di cui si era avvinta
Inizialmente
aveva cercato di ostacolare quell’amore che stava
nascendo tra i due, invidiosa dei reciproci sentimenti, cercando di dipingere
Inuyasha come il ribelle e scapestrato famigliare con cui era costretta a
convivere nel castello.
Tutto
inutile. Inuyasha era divenuto in breve lontano persino dalle sue fantasie e
rimaneva solamente quello che era in realtà: il fratello di suo marito
Sesshomaru.
A
primavera sarebbe stato doppiamente legato alla sua famiglia: Inuyasha aveva
domandato in moglie sua sorella, ricevendo l’appoggio indifferente del Principe
suo fratello e di tutta la famiglia d’origine di Kikyo e Kagome, gioiosi di
essere legati con il casato dei Taisho da una doppia unione matrimoniale,
sicuramente più felice e fruttuosa di quella precedente.
Kikyo
non aveva dubbi che la vita della sorellina sarebbe stata più serena e facile
della sua. La loro unione era sbocciata da un amore vero ed imprevisto, non dal
freddo accordo tra due famiglie che mai si erano viste.
Kagome
avrebbe adorato il lungo inverno del Paese, passando le sue giornate in
compagnia del suo sposo, tra coltri calde e risate complici. Kagome non avrebbe
mai rabbrividito in un letto troppo grande per il suo corpo gracile e pallido.
E sempre freddo dalla parte dello sposo.
Sesshomaru
non si tratteneva con lei che lo stretto necessario. Poi tornava nelle sue
stanze. O dalla sua rivale, quando era presente a corte.
C’era
stato un periodo, agli inizi del loro matrimonio, in cui il Principe si
intratteneva per tutta la notte nella sua stanza. Poi, piano piano, aveva iniziato a disertare. Kikyo era troppo giovane
ed ingenua, inizialmente temeva di non essere capace, di non piacergli. Si
imbellettava il più possibile, cospargeva la pelle diafana di creme profumate,
pettinava i suoi lucidi capelli e li acconciava. E lo attendeva, sveglia, nel
talamo vuoto. Erano passati mesi, e anni. E la sterilità della Principessa si
era fatta prepotentemente reale. Si sforzava di dare la colpa alla sua scarsa
avvenenza, nonostante le sue dame di compagnia lodassero il suo incarnato
perfetto e il suo viso che sembrava dipinto.
E
poi aveva capito. Sesshomaru usciva di nascosto di sera, sul suo destriero e si
incontrava nella locanda con quella donna,
quando anche lei sfuggiva dal controllo del marito per rifugiarsi tra le
braccia dell’amante.
Peggio
ancora, era quando quella
donna era presente alla corte, per un motivo o per l’altro. Allora Kikyo
catturava nello sguardo di Sesshomaru il desiderio prepotente di posare gli
occhi continuamente sulla sua amante, il fatto che la cercasse di tanto in
tanto con lo sguardo, tra le dame della corte, e le nocche che divenivano bianche quando stringeva i pugni, vedendola al braccia del
marito, il Conte di Onigumo.
Un
giorno lei gli aveva presentato le sue rimostranze. Gli aveva spiegato che
sapeva tutto di lui e della Contessa Kagura. Con il coraggio tra le mani, gli
aveva domandato di allontanare quella
donna dalla corte, dalla sua vista.
Sesshomaru
le si era avvicinato. “Avrò sempre la cura di non
farvi mancare i doveri coniugali.” Gli aveva
semplicemente detto. Kikyo aveva sentilo le lacrime pizzicarle gli occhi. Davvero
lui non capiva la pena vi era nel suo cuore?
“Allora
ripudiatemi. Io non sono neppure capace di donarvi un figlio, mentre il ventre
della vostra amante si ingrossa per un figlio che non è certo sia della casata
degli Onigumo”
Gli
occhi del Principe l’avevano quasi incenerita, e, se non fosse stato la persona
pacata e fredda che era, di sicuro l’avrebbe schiaffeggiata.
“Il
figlio che
Eppure
il vistoso diamante incastonato nella nuova collana della Contessa si diceva
fosse un suo dono.
Kikyo
l’aveva odiata. Aveva odiato la sua eleganza, i suoi espressivi occhi di
rubino, le movenze aggraziate con cui percorreva le sale del castello. Aveva
odiato il suo ventre freddo e sterile e aveva chiesto la morte a Dio.
Morte
che non era arrivata per lei.
Dopo
anni che sopportava quel rapporto, dopo anni che le frequentazioni del suo
letto, da parte del marito, erano sporadiche ed essenziali quanto inutili, il
destino le aveva riservato un’altra, amara sorpresa.
Il
conte Naraku Onigumo era
caduto in battaglia, da vigliacco, tra l’altro, mentre scappava volgendo le
spalle al Principe indomito che difendeva il proprio regno.
E
la ricca vedova, che abbelliva i vestiti neri con perle e gioielli, e i suoi
tre figli erano stati accolti a braccia aperte nella corte del Principe
Sesshomaru.
La
corte era divenuta un punto di incontro di artisti e poeti. Pittori e scultori
celebravano senza sosta la bellezza nobile ed eterea della Principessa, e
quella sensuale e calda dell’amante ufficiale del Principe.
Poeti
e scrittori ne decantavano le diverse qualità. Le due donne erano, secondo
degli artisti del regno, rivali sullo stesso piano.
Nella
realtà, invece,
Quando
era arrivata sua sorella, Kikyo si era confidata. Per tentare di sollevarle il
morale, Kagome le aveva fatto notare che
Ma
una delle dame di compagnia aveva svelato l’arcano: pareva che
E
che non si facesse scrupolo a ricorrere anche a metodi estremi per porvi rimedio. Come quello che, si vociferava, l’aveva
condotta sul letto di morte.
La
fitta al petto di Kikyo si fece sentire nuovamente quando
ricordò l’unico colloquio che aveva avuto con quella donna:
“Vi tratterrete a lungo a corte,
Contessa?”
“Sino a quando non mi verrà
chiesto di andarmene, Vostra Maestà.”
“Mio marito ve lo impedirebbe con ogni
mezzo.” Kikyo
si sforzava di mostrarsi dura, di accentuare il disprezzo nella sua voce. Gli
anni da Principessa le avevano insegnato a nascondere le lacrime e di basare la
propria forza sulla rabbia per le ingiustizie subite.
Questo
colloquio era successo esattamente un anno prima, il giardino e il castello
immersi nella stessa quiete della fredda neve. Nel frattempo
La
porta della stanza si aprì di scatto e finalmente, Kagome fece il suo ingresso
nella stanza. Le dame di compagnia smisero di ricamare e la guardarono, avide
di notizie. Ma la fanciulla si avvicinò verso la sorella e le
si inginocchiò accanto. “Stà spirando.” Disse
semplicemente. “Ha ricevuto i conforti religiosi che le spettavano.”
“Mio
marito è presso di lei?” domanda sciocca. Come poteva non essere il Principe al
capezzale della sua amante morente?
Kagome
annuì debolmente. “Il Principe si farà carico dei suoi figli.”
“E
il motivo della sua malattia?”
Il
tono della voce della sorella si abbassò ulteriormente, facendosi un bisbiglio
appena udibile. “Quello che si vocifera pare essere vero. La conseguenza è
stata un’infezione, che la sta consumando come una fiamma su una candela.”
“Per
lealtà nei miei confronti
Kagome
scosse la testa, sospirando.“Non angustiarti. Hanno scelto la loro strada”
“Sono
sicura che, anche tornando indietro, l’avrebbero percorsa
ugualmente.”
“Provate
invidia, sorella?”
“Dell’affetto
che
La
sorella era arrossita violentemente.
Le
due fanciulle l’avevano guardata senza parole. “Ma, mia signora…”
“Prima
del calar del sole un membro importante di questa corte avrà smesso di soffrire
in questa terra.” Rispose semplicemente, legandosi i
capelli neri sul capo.
Le
fece eco il rintocco lugubre e lento di una campana.
Le
dame l’aiutarono a vestirsi di nero e le due sorelle si avviarono in silenzio
verso la cappella di corte, scivolando tra il resto dei nobili bisbiglianti
senza dare segno di importanza alcuna a nessuno di loro.
Fuori,
la neve candida, silenziosa e gelida come la salma della Contessa, sembrava non
volesse mai cessare di cadere.