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Autore: Barbara Baumgarten    10/06/2015    4 recensioni
[Pathfinder]
[Pathfinder]Xardax è un giovane elfo che ignora del tutto la sua vera natura. Forze potenti si stanno per scatenare contro di lui e una missione pericolosa lo attende per segnare definitivamente il suo destino. Accompagnato da altri valorosi eroi, Xardax dovrà affrontare Arania, mitico mostro del regno di Anthurium, famiglio del potente mago Zordlon che aveva portato morte e distruzione nella grande battaglia per il potere.
Questa storia è il resoconto romanzato di una campagna inventata puramente da me prendendo spunto dall'universo GDR di Pathfinder, nella quale i miei giocatori hanno interpretato ottimamente i loro personaggi. n grazie particolare va quindi a loro: Xardax, Serval, Alton e Burduck.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo


~~Il buio ricopriva ogni cosa e la mancanza della luna rendeva tutto più malinconico. La primavera stava lasciando il posto all'estate e il mantello che nascondeva il volto dell'uomo cominciava ad imperlargli il viso con piccole gocce di sudore. Detestava aspettare e soprattutto, non amava doverlo fare per la Legione, un mucchio di energumeni senza cervello guidati da una donna spietata. Sapeva che, in qualità di arcimago della Torre, doveva rendere conto alla Legione, ma non aveva mai digerito fino in fondo la cosa.
Alcuni passi decisamente poco cauti lo destarono dai suoi pensieri e due figure alte e corazzate entrarono nel suo campo visivo, mentre una terza, più piccola, li seguiva.
Quando gli furono vicini, Vanariel si levò il cappuccio.
"Vedo che la puntualità non rientra più fra i valori della Legione" si azzardò ad apostrofare. La figura più piccola passò davanti e scoprì il suo volto, fin troppo famigliare.
"Amico mio, il tempo cambia molte cose come anche il tuo volto può confermare" il tono mellifluo della donna fece accapponare la pelle al mago. Era cambiata e non solo fisicamente. Il suo viso, così dolce anni prima, era divenuto duro e aspro.
"Mia cara Tessara, invece per te il tempo non passa mai. Sei sempre bella come la prima volta che t'incontrai"
La risata di lei squarciò il silenzio della foresta. "Risparmia i tuoi modi garbati per le persone che non ti conoscono, Vanariel. Butta via la maschera con me, sai che non funziona. Ad ogni modo, penso tu sia curioso di sapere il motivo di tanta segretezza". Effettivamente, il mago si era chiesto il perché di quell'incontro da quando aveva ricevuto la lettera di Tessara. Lei era la Somma Sacerdotessa di Desna, divinità suprema di Anthurium, e capo della Legione dei Piani. Le rare volte nelle quali si erano incontrati erano sempre state alla luce del sole, mai così segrete come quella volta. Ma non voleva darle la soddisfazione di ammettere la sua curiosità.
"Pensavo fosse perché finalmente hai deciso di dichiarare il tuo immenso amore per me" la schernì quasi brutalmente. Lo sguardo di lei divenne carico di odio e gli occhi si ridussero ad una fessura.
"Sono sempre la Somma Sacerdotessa, Vanariel, non te lo scordare. Nessuno osa mancarmi di rispetto in questo modo!". La rabbia nella sua voce era come musica per le orecchie del mago, felice di essere riuscito a far emergere subito la vera natura di quella vipera.
"Ho avuto notizia che l'erede della Viaggiatrice è venuto al mondo ieri notte" disse lei impedendogli di replicare al suo rimprovero. "E non è tutto. La madre è morta di parto e lui è stato portato nel villaggio di Red Down". Vanariel strinse visibilmente la mascella. Red Down, l'ultima dimora degli elfi dopo la disfatta dell'Oscuro.
"Come hai saputo la cosa?" chiese, incerto sul voler sapere davvero la risposta.
"Ho le mie fonti e questa informazione non ti riguarda. Ad ogni modo, sai cosa significa, vero?" e puntò i suoi occhi su di lui. Vanariel lo sapeva fin troppo bene. Nella guerra contro Zordlon, conosciuto come l'Oscuro, la Viaggiatrice fu l'arma finale che la Legione inviò per completarne la disfatta. Ma a quale prezzo...
"Sei sicura? Sai quante volte ho sentito vociferare fra i corridoi storie sull'erede? Magari è solo l'ultima delle storielle che si raccontano ai bambini prima di andare a dormire". Tentò di dissimulare la sua preoccupazione. Se davvero era nato l'erede, allora Anthurium avrebbe visto crescere in seno uno dei più potenti maghi della sua storia. E se Tessara avesse messo le mani su di lui, avrebbe sicuramente cercato di ucciderlo, prima che il giovane potesse dar sfoggio delle sue capacità.
"Sai perfettamente che non mi sarei mai scomodata per un sentito dire" disse la donna in tono sprezzante. "Ne sono certa, Vanariel, è nato. Tu dovrai controllarlo e riferirmi ogni cosa. Fino a che sarà all'oscuro dei suoi poteri non rappresenterà una minaccia per il regno, ma quando lo sarà..." lasciò la frese in sospeso perché non c'era bisogno di terminarla. Il ragazzo sarebbe morto o, peggio addormentato, e lui sentiva in fondo al suo cuore che lo avrebbe difeso.
"Tessara, per quanto ancora hai intenzione di continuare con questa farsa?" la domanda del mago la spiazzò. Lo guardò con aria interrogativa.
"Lo sappiamo tutt'e due che non sarà un nemico di Anthurium più di quanto non lo sia tu. Tu hai paura di lui, perché temi che possa toglierti il potere che con tanta dedizione hai conquistato". Le sue parole le arrivarono addosso come uno schiaffo.
"Come osi..."
"Ah, basta con questo tono da superiore! Tessara se c'è una persona al mondo che ti consoce bene, quella sono io. Sei stata capace di ingannare tutto il regno fingendoti la salvatrice degli antichi poteri, ma non hai mai potuto ingannare me. Vuoi che ti consegni l'erede? Vuoi che mi sporchi le mani del sangue di quel bambino per te e per i tuoi scopi? Beh, scordatelo!" la voce dell'arcimago sembrava un ruggito. La rabbia repressa di anni esplose con una violenza che stupì anche lui. Aveva amato quella donna, erano cresciuti insieme. La prima volta che l'aveva incontrata era stata nell''Accademia di Anthara, la capitale, quando vi era entrato all'età di sei anni. Le era subito sembrata una bambina sveglia e sagace, una che sapeva ridere e, soprattutto, che rideva alle sue battute. Ma gli anni passarono e la guerra esplose in tutta la sua violenza. Erano stati i maestri di Zordlon, l'avevano educato alla magia, ma avevano fallito. E mentre Zordlon distruggeva tutte le Accademie del regno, sperando di uccidere qualunque resistenza, Tessara fondava l'ordine della Legione. In un primo momento, sembrò che l'esercito voluto da lei fosse una risorsa fondamentale per la resistenza, ma presto Vanariel comprese la fame di potere che si celava dietro. Tessara nascondeva la sua ambizione dietro ideali più alti, si fingeva alleata del regno ma intanto tramava la sua distruzione. Era stata lei a voler proteggere la Viaggiatrice. Ma anche quella era una menzogna. Lei voleva solo assicurarsi che non esistessero eredi maschi perché avrebbero rappresentato la sua fine.
Tessara non sapeva cosa rispondere. Quell'uomo la conosceva bene, troppo, e non poteva permettersi di averlo come nemico. Vanariel era pur sempre un ottimo mago e aveva una certa influenza a corte. Provò con la diplomazia e alzò le mani in segno di resa.
"Non c'è bisogno di arrivare a tanto, hai ragione. Il bambino potrebbe ricevere i migliori insegnamenti della Torre sotto la tua personale supervisione. E una volta adulto avrà modo di confermare la sua purezza d'animo con una prova. Se riuscirà a superarla, dimostrando a tutti noi quanto io mi sia potuta sbagliare sulla sua natura, allora avrai pubblicamente le mie scuse. In caso contrario, prenderò in consegna il suo futuro". L'offerta era ragionevole. Dopo tutto anche lui si chiedeva se l'erede potesse essere un pericolo.
"D'accordo. Quando avrà l'età giusta, lo porterò con me alla Torre e inizierà il suo addestramento. Ma fino a quel momento, nessun'ombra dovrà oscurare la sua vita, intesi?". Tessara non aveva bisogno di rispondere. Lo guardò per qualche istante e poi si rimise il cappuccio sul volto. "E sia" disse mentre, voltandosi, riprendeva la strada dalla quale era venuta, subito seguita dai due uomini che la scortavano. Vanariel rimase a fissare il buio con il cuore che batteva forte. Non avrebbe mai pensato di poter conoscere l'erede. Quella storia gli sembrava così priva di fondamento che alla fine aveva finito col credere che fosse solo una leggenda. Ma non era così. L'erede era nato e la Legione gli stava già col fiato sul collo e lui avrebbe dovuto proteggerlo.


Quando la porta bussò, Feren si stava godendo il silenzio che a fatica era riuscito ad ottenere mettendo a dormire il piccolo Xardax. Con malavoglia si alzò dalla sedia e andò ad aprire. Un uomo era in piedi, davanti a lui, avvolto da un lungo mantello scuro, sul quale era ricamato con un filo dorato lo stemma della Torre. Un brivido gli percorse la schiena.
"Chi siete?" domandò incerto. L'uomo scoprì il volto con un gesto teatrale.
"Buona sera, Feren. C'è posto per un vecchio amico?". Il suo tono era calmo e sereno. Feren rimase qualche istante indeciso sul da farsi, poi si scostò leggermente dalla porta permettendo all'ospite di entrare. Erano passati molti anni da quando aveva visto Vanariel e, rughe a parte, aveva lo stesso sorriso bonario di un tempo. Feren, come molti elfi, era entrato a far parte della Gilda dei Maghi dopo aver terminato l'addestramento. Fu nella capitale che incontrò per la prima volta l'arcimago, quando ancora era un ragazzo e le sue doti quasi per nulla sviluppate.
Fece cenno di accomodarsi su una sedia, mentre lui gettava dell'altra legna nel camino per illuminare meglio l'ambiente. La casa era piccola e modesta, costruita con legno e frasche, sembrava continuare la foresta che circondava l'intero villaggio. Vanariel si sentì immediatamente a suo agio fra quelle mura che tanto gli ricordavano la sua infanzia. Guardava Feren con benevolenza. Era un uomo vecchio ma ancora in forza e le lunghe orecchie a punta spuntavano dai capelli lunghi e grigi raccolti in una coda.
"Allora, vecchio amico, cosa ti porta da queste parti?" domandò Feren pur sapendo esattamente la risposta. Nella stanza calò il silenzio. Vanariel non sapeva come trattare la questione e l'imbarazzo era evidente. Come faceva a dire a quell'uomo che avrebbe portato via suo nipote? Con quali parole avrebbe dovuto affrontare la cosa? Certo, erano amici di lunga data, ma non si erano mai tenuti in stretti rapporti, soprattutto dopo che lui era diventato arcimago, rappresentando quanto di più odioso vi era nel Regno, dopo la caduta di Zordlon. Feren non aveva mai accettato che lui si fosse messo a capo del simbolo della repressione alla magia. Lui era convinto che la Torre non fosse una scuola ma un ghetto, entro il quale venivano confinati gli elfi che dimostravano di avere in dote l'arte magica. Per questa ragione e per molte altre, Feren aveva abbandonato le vesti del mago e si era ritirato a vita privata portando avanti l'attività di fabbro. Vanariel non aveva capito fino in fondo il dolore di quell'uomo e non si capacitava di come un mago potesse liberamente scegliere di non essere più tale.
"Ho saputo di tua figlia, Feren e mi dispiace molto"
L'uomo abbassò gli occhi e strinse le mani. Il dolore era troppo vivo nei suoi occhi e sapere che ormai la Legione conosceva la storia lo dilaniava. Sperava che la Somma Sacerdotessa avesse lasciato perdere la linea di sangue della Viaggiatrice, ma non era così.
"E ho saputo del bambino" disse infine Vanariel. Feren lo guardò dritto negli occhi e il mago potè vedere il rossore attorno all'iride e le prime lacrime che si ammassavano per uscire.

La luce è poca nella stanza ma tanto basta per leggere sul suo viso il tormento. Lei piange, le lacrime le rigano il volto, scendono lungo le guance e si mescolano al sudore. Lui le asciuga con un panno, ma non sa cosa fare. È impotente. Se solo potesse farsi carico del dolore che sua figlia sta provando, lo farebbe subito, senza pensarci. Ma non può.
"Fa male" le dice lei, con un filo di voce. lui le accarezza gentilmente la fronte e le sposta di lato alcune ciocche.
"Lo so bambina mia, lo so. Ma vedrai, presto sarà tutto finito". Cerca di rincuorarla, ma sa che è inutile. Lei è una Viaggiatrice, sa cosa l'aspetta. Feren sposta lo sguardo verso la sacerdotessa che, intanto, mormora una leggera litania. La donna lo guada a sua volte e cerca di sorridere. Un altro acuto dolore. Sua figlia fa sempre più fatica a trattenere le urla. Geme.
La sacerdotessa ha finito, l'incantesimo sembra non funzionare. Fa un cenno a Feren che si alza e la segue fuori dalla stanza.
"Ho provato di tutto, ma il bambino la sta uccidendo. Non sopporterà il parto, le sue condizioni peggiorano di minuto in minuto". Lo sguardo della donna è colmo di tristezza.
"Cosa possiamo fare?" chiede disperato Feren. Non potrebbe sopportare di perdere anche sua figlia.
"L'unico modo è uccidere il bambino. O lui o lei, Feren, non potrai salvare entrambi". Lui si appoggia al muro, sente le gambe che gli tremano. Non è forte abbastanza per prendere questa decisione e sa che Rhyal non gli perdonerebbe mai di averla presa senza parlare con lei.
Rientra nella stanza, questa volta è da solo. Ormai Rhyal fa fatica a tenere gli occhi aperti e geme sempre più forte. Si avvicina al letto, si siede e le prende la mano.
"Non puoi andare avanti così, ti sta uccidendo" le mormora. Leii apre gli occhi e l'espressione si fa grave.
"Salvalo, papà. Io ho già compiuto il mio viaggio, lui dovrà intraprenderne uno più grande."
"Quindi è..." non riesce a finire la frase. Lei annuisce.
"Si, è un maschio" conferma.
Feren è stravolto. Nella sua vita aveva dovuto passare molte difficoltà, ma questa sembrava più grande di lui.
"Promettimi che lo terrai al sicuro, che lo crescerai lontano dalla città e dalla magia. Non dovrà mai sapere dei suoi poteri". Feren non risponde, vorrebbe farlo ma le parole gli si bloccano in gola. Lei lo guarda cercando una risposta e lui annuisce. Un sorriso, per un attimo le illumina il viso, poi un'altra fitta di dolore. Inarca la schiena e stringe le lenzuola fino a farsi sanguinare i palmi delle mani. È questione di pochi secondi. Torna sdraiata, fa un sospiro e sembra serena. Lui la guarda e con una carezza le chiude gli occhi.

"Cosa vuoi?" chiese freddo e carico di rabbia.
"Non ti preoccupare, non voglio fargli del male. Nessuno lo vuole. Pensavo solo che sarebbe il caso di capire cosa dobbiamo fare". Vanariel cercava di mantenere calmo Feren, ma si rese immediatamente conto che quell'uomo era sul punto di crollare.
"Non avrete mio nipote!" sbottò "Non vi lascerò distruggere la sua vita come avete fatto con tutti quelli della mia famiglia! Se sei venuto fino a qui per questo, beh hai fatto tanta strada per niente". Le parole gli uscirono con tutta la violenza che era servita a Feren per trattenere le lacrime fino a quel momento. Ora che ci pensava, non aveva nemmeno pianto per sua figlia.
"Calmati, amico mio". Ma nessuna parola in quel momento avrebbe potuto calmarlo. Allora Vanariel si alzò e abbracciò Feren. Lui cercò si scostarsi ma le forze lo abbandonarono in un pianto a dirotto. Erano anni che non piangeva e si sentiva sfinito. Era stanco di lottare, di mostrarsi forte. Prima sua moglie, poi suo genero e infine sua figlia.
Quando si fu calmato, si asciugò le lacrime e fu pronto per parlare.
"Sai perché l'ho portato qui? Perché l'ho promesso a Rhyal, prima che morisse. Lei mi ha fatto giurare che avrei tenuto il piccolo lontano dalla magia e dal resto della gente, non voleva che lui sapesse chi era. E io l'ho giurato, Vanariel". L'arcimago sembrava stupito. Rhyal non voleva che l'erede sapesse usare la magia.
"Per quanto tempo pensi che..." e si fermò aspettando che Feren gli dicesse il nome.
"Xardax"
"Per quanto tempo pensi di riuscire a tenere Xardax lontano dalla magia?"
Il nonno non ci aveva pensato.
"Quanto sarà sufficiente. Mio nipote non deve sapere nulla su chi sia né chi fosse sua madre davvero. Lo alleverò qui, a Red Down, e diventerà un fabbro. Per lui, suo padre sarà un guerriero del Regno e sua madre una guaritrice. Niente magia, niente complicazioni e, soprattutto, niente Legione."
Vanariel si fermò un istante a pensare. Se Feren fosse riuscito nell'impresa, il Regno non avrebbe mai visto l'erede e per lui questo bastava. Ma non sarebbe bastato a Tessara. Lei lo voleva morto, ne era sicuro, e lui avrebbe dovuto trovare il modo di difenderlo semmai le cose fossero andate storte.
Alla fine, decise di parlare con tutta la franchezza che quell'uomo si meritava.
"Ascoltami, anche ammesso che Xardax non scopra mai la verità su se stesso, ciò non elimina il pericolo che la Legione rappresenta. È stata la Somma Sacerdotessa a dirmi della sua nascita e tu sai cosa l'erede significhi per lei. Questo regno ha visto morte e distruzione per mano di un mago che se confrontato all'erede sembrerebbe un dilettante da quattro soldi. Dobbiamo difenderlo non solo dalla verità ma anche dalla Legione". Le dichiarazioni di Vanariel echeggiarono in tutta la loro drammaticità. Feren sapeva che l'amico aveva ragione. Per anni, sua figlia si era fidata della Legione e in cambio ebbe solo la morte di suo marito. Lui non poteva permettere che la vita di suo nipote venisse interrotta per colpe non sue.
"Cosa proponi di fare?" chiese infine rassegnato.
"Allevalo nel rispetto della promessa fatta a Rhyal e tienimi informato periodicamente. Io cercherò di mediare con Tessara e se la fortuna ci sorride riusciremo a tenerla lontana da Xardax. Ma se qualcosa dovesse andare storto, mandami Xardax immediatamente alla Torre. Lo difenderò con tutta la magia che possiedo". Quello era un giuramento e Feren lo capì. La vita di tutti loro era appesa al filo di una speranza sottile e dipendeva da lui. Avrebbe fatto quello che Vanariel aveva detto anche se gli sarebbe costato molto: doveva eliminare dalla vita di suo nipote la verità su sua madre.
"Lo farò" disse.
Quando la porta si richiuse dietro le spalle di Vanariel, Feren si lasciò cadere sulla sedia sfinito. Quella sera la memoria di sua figlia moriva mentre nasceva la speranza per suo nipote. Andò nella camera dove Xardax dormiva e lo guardò fino alle prime luci dell'alba. Quando il bambino cominciò a piangere per avere il latte, lo prese in braccio e gli diede un bacio sulla fronte. "Ti voglio bene Xardax" e fu tutto quello che riuscì a dire.

   
 
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