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Autore: Alsha    10/06/2015    4 recensioni
Si staglia fiero un giovane vestito di scuro, con un mantello viola, regge una maschera nella mano. È stato dipinto del tutto, anche se di fretta e con poca precisione: il pittore aveva fretta di finirlo e per questo ha lasciato degli spazi bianchi che nessuno colmerà mai.
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Ogni tanto, Suzaku sogna.
Genere: Angst, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kururugi Suzaku
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Sketches, ritratti di ordinaria magia'
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SKETCH FIVE – PICTURES


C’è un corridoio che sembra non finire mai, come nei peggiori incubi.

Questo però è luminoso, a intervalli regolari grandi finestre che danno su un immenso giardino lo illuminano. Il panorama fuori da ognuna è sempre lo stesso.

Le pareti sono color albicocca e il pavimento è coperto da morbida moquette rossa, perciò i passi di Suzaku non si sentono quando si sposta avanti, verso la finestra successiva per vedere il panorama sempre uguale che c’è fuori.

I sensi sono sempre allerta, sempre in attesa di un attacco nemico.

Le finestre spariscono, al loro posto quadri.

Il primo dipinto, un uomo avanti con gli anni, anziano.

È stato dipinto con cura e tranquillità, in alcuni punti è sbiadito dal passare del tempo mentre in altri il colore è più vivido, come se appena dipinto.

E poi gli squarci, molti, rabbiosi, stracciano il centro della tela, sul torace dell’uomo.

Il torace spinto in avanti, un inchino da giapponese.

“Addio ministro Kururugi, padre.”

Ancora qualche passo, un altro quadro.

La tela è quasi tutta bianca, nel mezzo il ritratto di un viso di ragazza, del suo busto sottile e delle braccia aperte come ad accoglierlo, solo questo è dipinto.

Tutto il resto è bianco, o appena abbozzato in matita.

Chi lo ha dipinto pensava di avere tutto il tempo del mondo.

Non pensava di essere interrotto.

Eppure c’è uno squarcio, all’altezza del fianco appena tratteggiato, che con la sua enormità contende il posto di protagonista al sorriso stupendo e agli occhi blu della fanciulla.

Suzaku frana su un ginocchio, porta un braccio avanti. Un inchino da britanno.

“Addio vostra altezza, Euphemia Li Britannia.”

Poi anche l’altro ginocchio finisce a terra, spingendolo in avanti quasi contro il muro. La preghiera di chi ha perso tutto.

“Addio Euphie.”

Piange, per un poco, ma si rialza, lo fa sempre.

Terzo quadro, poi il corridoio finisce in una vetrata che dà solo sul cielo azzurro.

Una bambina in sedia a rotelle, il suo ritratto non è ancora finito come quello della persona accanto a lei.

Si staglia fiero un giovane vestito di scuro, con un mantello viola, regge una maschera nella mano. È stato dipinto del tutto, anche se di fretta e con poca precisione: il pittore aveva fretta di finirlo e per questo ha lasciato degli spazi bianchi che nessuno colmerà mai.

Uno squarcio ne attraversa la figura, tagliandogli di sbieco il torace e portando via nella voragine scura anche una parte del volto. Resta solo un angolo del sorriso ed un occhio con all’interno un simbolo, frettoloso anche questo.

“Addio Zero, Lelouch.”

Una mano poggiata sullo squarcio. Il saluto di un fratello.

Suzaku si volta.

Dietro di lui uno specchio gli rimanda la sua immagine, una crepa profonda attraversa il cristallo e spezza il riflesso del suo viso.

Un urlo.

“Addio Suzaku.”


 
Si svegliò madido di sudore nel suo letto, ancora una volta, e con un gesto secco prese la maschera di Zero tra le mani.

La tenne sollevata davanti al viso, quasi fosse un confidente a cui raccontare i propri segreti.

Fuori dalla finestra era già mattina.


 
  
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