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Autore: Rage_    14/06/2015    2 recensioni
-È una cosa che fa spesso? Mickey, intendo. Sai, andarsene senza alcun preavviso?
Mandy lo guardò, senza capire; Ian guardò lei, senza lasciar trapelare niente. Né l’eccessivo interesse che provava in realtà per il ragazzo, né il timore che un giorno fosse proprio lui, ad essere abbandonato da Mickey di punto in bianco. Magari con la scusa di andarsi a fumare una sigaretta.
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[Scritta per il primo giorno della Gallavich Week per il prompt first time]
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Ian Gallagher, Mandy Milkovich, Mickey Milkovich
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Gallavich Week 2015'
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Note: ho deciso di partecipare alla Gallavich Week perché probabilmente questo sarà l'ultimo anno in cui sarò al passo con Shameless e ci tenevo davvero a partecipare. Non sono brava a sfornare fanfiction in fretta e furia, soprattutto quando ne devo sfornare una al giorno, quindi perdonatemi in anticipo per alcuni scempi che pubblicherò. Sono molto felice di poter aderire. 
Per chi non lo sapesse, la Gallavich Week è un'iniziativa del blog su tumblr gallavichthings, per chi vuole saperne di più ecco il  link (x).


Prompt: June 14th - First Time (first time they do anything, canon wise or not)







 
I don’t trust you, I believe in you.

**

 
 
Mi è mancato.

Fu tutto quello che riuscì a pensare quando vide Mickey lasciarsi alle spalle un paio di guardie che aveva appena mandato a fare in culo, per poi dirigersi verso di loro con quella sua solita andatura ciondolante, come se non riuscisse mai a camminare dritto.
Mickey salutò la sorella ed ignorò Ian, evitando accuratamente il minimo contatto visivo.
Per quanto fosse felice di vederlo, Ian non poté fare a meno di domandarsi se avesse sentito anche lui la sua mancanza.
Mickey fece una battuta sulle tette di Mandy e ghignò e solo allora di voltò verso Ian, ridendo.
E Ian sorrise, perché quel ghigno era una delle cose che gli erano mancate di più di Mickey, insieme a quel suo modo di parlare rozzo e volgare che, nonostante tutto, lo faceva impazzire; il suo odore pungente e la pelle sudata. Tutte cose che ad altre persone non sarebbero mancate affatto, ma ad Ian sì, perché era di Mickey che si stava parlando, e non conosceva altro modo per sentire la sua mancanza.

Non aveva provato, però, nostalgia per quel suo fare schivo e distaccato, sempre all’erta; se ne rese conto quando cercò di mettergli un braccio sulle spalle e Mickey lo aveva allontanato. Si guardò attorno e, a parte Mandy, non c’era nessuno pronto a giudicarlo. Sollevò gli occhi al cielo. “La prudenza non è mai troppa”, sarebbe stato il motto di Mickey, se Mickey avesse saputo anche solo lontanamente che cosa fosse, un motto.

-Scommetto che stai morendo dalla voglia di bere una birra, Mick.- disse Mandy e per tutta risposta, Mickey si leccò le labbra, e Dio, le sue labbra…
-Cazzo, sorellina, ci vedi giusto. Sono mesi che bevo solamente della fottuta acqua.- rispose poi, pronunciando la parola “acqua” storcendo esageratamente il naso, quasi fosse “piscio imbottigliato” invece che “acqua”.
Mandy sorrise. –Allora andiamo all’Alibi a prendere qualcosa, prima di andare a casa.
-E offriamo noi.- aggiunse velocemente Ian, pentendosene immediatamente. –Per festeggiare, sai…- cercò di correggersi.

Sia Mandy che Mickey fulminarono Ian con sguardi astiosi pressappoco uguali, sebbene per due ragioni differenti. Ian deglutì, indeciso se maledire se stesso o il gene “Milkovich” delle occhiatacce.

-“Offriamo noi” nel senso che pagherai tu, rosso. Io non ho intenzione si sborsare un solo centesimo.- sbottò Mandy con indignazione.
-E io non mi lascerò offrire una cazzo di birra da un ragazzo!- disse Mickey, pronunciando la parola “ragazzo” allo stesso modo in cui, poc’anzi, aveva pronunciato “acqua”.

Ian sollevò gli occhi al cielo e rispose: -Sono sicuro che in prigione non avresti fatto tanto il macho, se un ragazzo ti avesse offerto del fottuto alcol.
Mickey lo spintonò con una spalla, senza però l’intenzione di fargli veramente male. Sentì Mandy che, dietro di loro, ridacchiava.
 –Vaffanculo!- disse poi lui, ma il tono con cui lo aveva detto era diverso dal modo in cui aveva mandato a fare in culo le guardie fuori dalla prigione.
Quando Ian notò il leggero rossore sulle sue gote, gli fu impossibile impedirsi di sorridere.

Era la prima volta che faceva arrossire Mickey Milkovich.

 
**
 

L’Alibi Room era piuttosto affollato, come del resto era solito essere durante i giorni estivi, quando i senzatetto si chiudevano nei bar per tutto il giorno e ordinavano qualcosa di fresco per combattere l’afosità della strada.

Kevin, tra il camioncino dei gelati e l’Alibi sempre affollato, se la stava cavando a gonfie vele, e non appena vide Ian non esitò ad offrire una birra a lui e ai due Milkovich, che la bevvero con avidità, accaldati e, nel caso di Mickey, bisognosi.
-Però, Gallagher! Dovrei venire qui con te più spesso.- commentò Mickey, che probabilmente stava ringraziando la sua buona stella che Ian non avesse avuto modo di pagargli da bere, dopo aver ingollato l’ultimo sorso.
-Sei uno scroccone, fattelo dire.- replicò Mandy, passandosi un dito sul labbro superiore per cancellare un sottile filo di schiuma bianca.
-Perché, tu no?- le chiese sfilandole il boccale di mano, senza nemmeno chiederle il permesso, per poi spazzolare via gli ultimi rimasugli di liquido aureo. Una goccia di birra gli scivolò lungo il mento e Ian non poté fare a meno di starlo a guardare.

Siete in un bar pieno di gente e Mandy è qui con voi: cerca di non assomigliare troppo ad un maniaco sessuale. Disse Ian a se stesso.

-Io ho tutto il diritto di farmi offrire birre gratis da Ian, dal momento che è il mio ragazzo.
Ian vide Mickey strozzarsi con la birra. –Ma che cazzo?- chiese, tra un colpo di tosse e l’altro.
Mandy iniziò a sghignazzare, soddisfatta. –Ben ti sta, stronzo!- esclamò lei ridendo. Guardò Ian, aspettandosi di trovarlo divertito esattamente quanto lei, invece non vide altro che un sorrisetto idiota stampato sulla sua faccia. Non divertito ma interessato. Se si fece delle domande, non si curò di porle, forse ancora troppo impegnata a pensare a Mickey che si strozzava con la birra che le aveva rubato.

-Che c’è, Mickey, non lo sapevi?- canzonò Ian, avvolgendo un braccio attorno alla vita di Mandy. –Ero convinto che Mandy te lo avesse detto…
Mickey riuscì a ricomporsi, si schiarì la voce e disse un –No no, infatti lo sapevo, nel senso, lei me lo aveva accennato.- guardando ovunque fuorché verso Ian e Mandy e il sorriso di Ian si allargò a dismisura.

Gelosia. Mickey Milkovich aveva appena avuto una reazione di gelosia.

-Mi è solo andata la cazzo di birra di traverso.- aggiunse velocemente.
Mandy scoppiò di nuovo a ridere. -No, ma davvero? Dicci qualcosa che non sappiamo!
Come che ti sono mancato, e che non vedi l’ora che noi due rimaniamo da soli per farti scopare come se non ci fosse un domani. Aggiunse mentalmente Ian, perché doveva ammettere di trovare quella versione gelosa di Mickey particolarmente arrapante e poi Dio, erano mesi che non scopava con qualcuno. Precisamente, dal giorno in cui Mickey era stato sparato da Kash.

Non era sentimentalismo, era solo il fatto che, stranamente, da quando aveva preso a scopare con Mickey, tutti gli altri uomini avevano perso ogni genere di attrattiva, e Ian sapeva che si sarebbe sentito in colpa se avesse iniziato a pensare a Mickey mentre si trovava con qualcun altro uomo, per non parlare del fatto che…
Che sì, okay, forse era sentimentalismo.

-Che cazzo, Mandy, sono sicuro che sei stata te a gufare.
-Puoi scommetterci, cazzo, nessuno si fotte la mia birra e la passa liscia.
Mickey le alzò il medio. Poi si alzò. –Vado a fumarmi una fottuta sigaretta, così voi due potete pomiciare in santa pace.
Ian non poteva passare giornata migliore.
Seguì Mickey con gli occhi finché non uscì dal bar, poi abbassò lo sguardo sulla schiuma rimasta sul fondo del suo bicchiere, senza smettere di sorridere.

Si rese conto in quel momento che, beh, quella era stata la prima volta che loro due avevano bevuto qualcosa insieme. Certo, Mandy era presente e non si poteva dire che fosse stato un vero e proprio appuntamento, ma si erano seduti l’uno accanto all’altro al bancone dell’Alibi per bere una birra: era decisamente qualcosa che non avevano mai fatto prima di allora.

-Cazzo, speriamo che quell’idiota non se ne sia andato.- borbottò Mandy, più a se stessa che a Ian. -Non voglio che torni a casa prima del tempo e scopra la festa a sorpresa che Iggy ha organizzato per la sua scarcerazione.
-È una cosa che fa spesso?- chiese Ian, curioso.
-In verità è una tradizione di famiglia. Ogni volta che qualcuno torna a casa dalla prigione papà compra gli alcolici, Colin porta un po’ di erba, ordiniamo la pizza e mettiamo su un po’ di musica. È una festa nel vero senso della parola, perché è raro che tutta la famiglia…
Ian la interruppe. -In verità io parlavo di Mickey.
-Eh?
-È una cosa che fa spesso? Mickey, intendo. Sai, andarsene senza alcun preavviso?

Mandy lo guardò, senza capire; Ian guardò lei, senza lasciar trapelare niente. Né l’eccessivo interesse che provava in realtà per il ragazzo, né il timore che un giorno fosse proprio lui, ad essere abbandonato da Mickey di punto in bianco. Magari con la scusa di andarsi a fumare una sigaretta.
Mandy sembrò pensarci un attimo. Poi scrollò le spalle.
-Diciamo che è una cosa decisamente da Mickey. Non è uno a cui piace, sai, farsi sotto. Ha sempre preferito scappare. Per farti capire, si allena quasi tutti i giorni ad usare la sua pistola, ma non ha mai avuto il coraggio di sparare a nessuno, e questo perché solitamente è sempre lui il primo a scappare.- si scostò una ciocca di capelli scuri dietro un orecchio, guardandosi attorno interessata.  -Quindi sì, lo fa spesso senza alcun preavviso. Non mi meraviglierei se corresse a casa perché ha paura di affrontare il fidanzato di sua sorella.

Ian ripensò brevemente al giorno in cui lui e Mickey erano stati scoperti da Kash mentre stavano scopando nella cella frigorifera, e lui era scappato lasciandolo in maniche di mutande – letteralmente – ad affrontare il suo capo. Lo aveva odiato, ma non lo aveva nemmeno biasimato. Quella era la sua merda, ed era giusto che fosse lui ad affrontarla.

Inoltre, non era come se si fosse mai aspettato un aiuto da parte di Mickey o qualcosa del genere: aveva passato abbastanza tempo insieme a lui da capire che era terrorizzato all’idea che suo padre scoprisse che scopava insieme ad un ragazzo, terrorizzato di ammettere la sua omosessualità, terrorizzato da se stesso e dai suoi sentimenti. Perché sì, Mickey provava dei sentimenti per lui, Ian ne era sicuro.
Ricordò di avergli preso la mano, quella notte, mentre scopavano. Ricordò di averlo sentito rabbrividire a quel contatto; un serpente sotto la pelle della sua schiena. Ricordò come tremasse sotto il suo tocco, quanto fragile gli fosse sembrato allora, mentre il suo corpo continuava a reclamare un contatto più intenso. Quanto fragile, quanto squilibrato, quanto fottutamente terrorizzato fosse Mickey Milkovich, quanto umano, quanto debole e forte allo stesso tempo gli fosse sembrato in quel momento.

Era scappato, evidentemente terrorizzato – da Kash, ma anche da se stesso. Poi, però, era tornato. Ian non se lo sarebbe mai aspettato, ma era tornato. Cazzo, era tornato.
Era tornato per combattere. Per prendersi una fottuta pallottola nella gamba e poi finire nella fottuta prigione.
Ian non sapeva perché fosse tornato. Forse solo per minacciare Kash di non dire niente, e dunque per se stesso; forse per reclamare la proprietà assoluta di Ian, dunque per lui; forse per dimostrare qualcosa, e dunque per entrambi. Ian, però, non era ancora certo di ciò che Mickey avrebbe dovuto dimostrare quella notte.

Che aveva delle debolezze? Che poteva sanguinare, forse? Morire? Che era, forse, umano?
Ian non aveva mai creduto ai supereroi (date la colpa alla sua omosessualità e a tutti i cliché del mondo, ma quelle “cose da maschi” come Spiderman e Batman non lo avevano mai attirato granché), e non aveva bisogno di essere salvato da nessuno. Era l’umanità, ciò che aveva sempre cercato nelle persone, e Mickey, quella notte, gli aveva dimostrato di essere umano.

Forse era questo che lo aveva fatto aspettare così a lungo, fino all’uscita di Mickey dalla prigione. Forse era per questo che Ian aveva aspettato. O forse lo aveva aspettato perché aveva bisogno di capire, capire tante cose, ma soprattutto, perché Mickey volesse passare per un eroe quando si trovava in un mondo dove le persone non potevano essere salvate da nessuno se non da loro stesse. Perché Mickey non potesse essere l’eroe di se stesso.

-Ian, hey, ci sei ancora?- lo chiamò Mandy, e Ian distolse finalmente lo sguardo dal fondo schiumoso del bicchiere.
-Uh, sì, scusa.
-Perché tanto interesse per Mickey?
Ian scrollò le spalle. –Si è fatto sparare da Kash e da allora ha tutta la mia simpatia.- mentì.
Mandy rise e Ian si alzò.
-Vorrei fumarmi una paglia anch’io. Vieni con me?- le chiese, sperando vivamente che rispondesse di no, perché aveva un urgente bisogno di parlare da solo con Mickey.
Mandy declinò con un gesto della mano.
-No, grazie, c’è un tizio laggiù che mi sta mangiando viva con lo sguardo da quando siamo entrati, e scommetto che non appena metterai piede fuori dal locale mi salterà addosso.
Ian le sorrise. –Chi è?
-Tavolo vicino al biliardo, capelli biondi.
Ian gettò un’occhiata discreta dietro le spalle di Mandy, dove un ragazzo sui vent’anni e con i capelli biondi e ricci stava guardando con interesse nella loro direzione. Decente, pensò Ian. Ma era così che ormai catalogava tutti i ragazzi che non fossero Mickey. Non Mickey. Non Mickey. Mickey. Non Mickey.
Tutti i ragazzi che non erano Mickey, erano solo decenti, massimo guardabili.

 –Wow, Mandy. Buona fortuna!- esclamò con un entusiasmo che non provava veramente, mentre pensava a quanto fottutamente cotto fosse per il fratello della sua migliore amica.
-Grazie, tesoro.- rispose lei, leccandosi le labbra: un gesto che faceva sempre quando era eccitata per qualcosa.
Ian fece per avviarsi, ma Mandy le urlò dietro: -E non dirgli niente sulla festa a sorpresa!
-Ma se è una tradizione della vostra famiglia! Non puoi pensare davvero che non se lo aspetti.
-È anche tradizione che il bentornato a casa faccia finta di essere sorpreso e di non esserselo aspettato, quindi lascia perdere. Gli affari dei Milkovich sono un qualcosa che tu non potrai mai comprendere.

Oh, puoi ben dirlo, pensò, avviandosi verso l’uscita sul retro.

 
**
 
Mickey era seduto sulle scale antincendio nel vicolo dietro all’Alibi, avvolto in una nube di fumo.
Ian sorrise. Ancora non riusciva a credere che fosse tornato.

Mi è mancato. Pensò di nuovo. Mi è mancato da star male.

Mise una mano sulla ringhiera rovente a causa del sole, prese a salire gli scalini.
-Hey.- salutò Ian. Mickey sobbalzò nel vederlo, evidentemente non si aspettava che Ian lo avrebbe raggiunto.

Ian abbassò lo sguardo. Credevi davvero che ti saresti sbarazzato di me così facilmente? Non sono una persona che puoi abbandonare con la scusa del dover andare a fumare una sigaretta, Mickey.

-Gallagher.- lo salutò Mickey a sua volta, accompagnando il saluto con un cenno del capo e un tiro dal filtro della sua sigaretta.
-Hai da accendere?- chiese Ian, sfilando dalla tasca del jeans una paglia.

Mickey gli allungò l’accendino. Ian accese la sua paglia e prese un tiro.
Si sedette accanto a Mickey, i gradini di metallo rovente che bruciavano attraverso i jeans e lo sguardo inquisitore del compagno incollato addosso.
-Sai, Mandy credeva che non ti avrei trovato qui.

Mickey sbuffò una risata e del fumo.
-Non mi piace fumare sul marciapiede, amico. C’è la gente che mi fissa.
Ian tirò di nuovo dalla sigaretta. –Lei pensava che te ne fossi andato.
Mickey aggrottò la fronte. Ian continuò: -Credeva che non ti sentissi in grado di affrontare questa… uscita con me.
Mickey s’irrigidì improvvisamente, quasi avesse preso la scossa. –Che cazzo le hai detto, eh?
Ian sollevò gli occhi al cielo.
-Un bel niente, Mickey, rilassati. Pensava solo che avresti preferito scappare a casa piuttosto che sederti a bere una birra tra tua sorella e il suo fidanzato. Del resto, a nessuno piace fare il terzo incomodo.

Mickey rise di nuovo, questa volta con un po’ più di amarezza.
-Senti, vuoi giocare alla famiglia felice con mia sorella? Per me va benissimo, cazzo. Puoi anche scopartela, sai che mi frega. Chissà, potrebbe pure piacerti!
-Ne dubito.- commentò Ian, rabbrividendo al sol pensiero di infilarlo dentro alla cavità umida che Mandy aveva in mezzo alle gambe. Tirò velocemente dalla sigaretta per levarsi quell’immagine di Mandy dalla testa.

I due restarono in silenzio per un po’.

-Io e lei non stiamo veramente insieme, Mick. Siamo amici. Lei è solo la mia copertura a scuola.
Mickey gettò la sigaretta giù dalla scala.
-E chi se ne frega.- disse, tirando su con il naso. –Ripeto, potreste essere pure sposati, per me sarebbe indifferente.
Ian sorrise, perché questo era quello che diceva la sua bocca. I suoi occhi, però, urlavano “buon per lei, o le avrei strappato uno ad uno tutti i fottuti capelli dalla testa”.

Mickey si alzò di fretta ed iniziò a scendere i gradini. Ian fissò per un attimo che gli sembrò infinito la sigaretta che si consumava tra le sue dita. Poi scattò anche lui in piedi e lo chiamò.
-Hey, Mickey?
Lui si voltò.
-Che cazzo vuoi?
Mi sei mancato. Avrebbe voluto dirgli. Ma non lo fece. Per due motivi: primo, perché Mickey lo aveva minacciato di strappargli la lingua dalla bocca se glielo avesse detto di nuovo; secondo, perché sapeva che le parole erano un’altra cosa che spaventava Mickey a morte. Avrebbe potuto dimostrarglielo, guardarlo come se fosse tornato a respirare dopo mesi passati in apnea, cercarlo, dargli il tempo che gli serviva, esaminarlo da lontano con apprensione, ma mai dirglielo. Non così, non in quel posto e non in quel modo, e non perché esistesse la pericolosa possibilità che delle persone potessero scoprirli, ma per il solo e semplice fatto che quello non era il momento adatto. Ian non era orgoglioso quanto Mickey, ma aveva un totale rispetto verso di lui. Non si sarebbe fatto problemi ad aspettare che anche Mickey imparasse a mettere da parte il proprio, di orgoglio.
Per cui gli chiese soltanto: -Stasera vieni al campo da baseball delle scuole medie?

Mickey lo guardò e per un istante Ian vide soltanto muta aspettativa e sollievo e felicità, ma poi lui scrollò le spalle, tirò nuovamente su col naso e rispose un vago: -Non so. Dipende.
-Da cosa?
-Da quanto ci impiegheranno i miei fratelli a crollare ubriachi sul divano, durante la mia festa di bentornato a casa.

Ian scoppiò a ridere, gettando indietro la testa. –Io lo avevo detto a Mandy che sospettavi qualcosa.
-Ecco, magari non dirglielo: è una tradizione di famiglia.

Scrollò la testa. Mandy aveva ragione: non sarebbe mai riuscito a capire come funzionavano queste cose dei Milkovich.
-Non preoccuparti, non dirò niente.- disse, rendendosi conto di pronunciare queste parole un po’ troppo spesso, quando si trovava con Mickey. Rilassati, non dirò niente. Terrò la bocca chiusa, non preoccuparti. Il tuo segreto è al sicuro. Ho detto di non preoccuparti, cazzo.
Questa volta era diverso però, perché era la prima volta che Mickey gli confidava un segreto innocente, un segreto che non avrebbe fatto cadere il mondo se qualcuno lo avesse scoperto.
Un segreto che Ian avrebbe potuto mantenere per il solo piacere di farlo, di stare al gioco, un gioco come tutti gli altri, un gioco a cui si potesse giocare; non un gioco per la sopravvivenza, un gioco pericoloso, non impossibile da vincere, ma impossibile per loro adesso. Ian era felice di poter condividere qualcosa di così insignificante con Mickey, per una volta.
Mickey gli fece un cenno con la testa, ghignando, e Ian pensò per un attimo che anche lui si sentisse contento per quello stesso motivo. Mickey fece per rientrare all’interno del bar ma Ian afferrò quella maledetta ringhiera rovente, e gli gridò dietro:
-Io comunque lo sapevo che non te n’eri andato.

Mickey si fermò, lo guardò. Ian si aspettò una reazione di rabbia, quasi di indignazione, ma Mickey sembrava soltanto curioso di sapere dove volesse andare a parare.
-Mandy mi ha detto che sei uno che scappa. Beh, io so che non è così.
-Eppure sono scappato, l’ultima volta.- disse, così, come se stesse parlando di una cosa seria. Niente risatina sarcastica o amara, nessun sorrisetto sardonico né niente. Era sincero. Forse per la prima volta in tutta la sua vita.

Possibile, Mickey, che tu sia sincero soltanto quando è il momento di disprezzare te stesso?
Riesci almeno a guardarti nello specchio, la mattina?
Riesci almeno a vedere quanto sei umano, e che bellissimo umano tu sia?

-Ma poi sei tornato.- gli ricordi.
Mickey abbassò lo sguardo sulle sue scarpe. –Non per un motivo in particolare, Gallagher.
Ian scese qualche gradino, provando il bisogno di avvicinarsi a Mickey nell’unico modo che gli era possibile.
Però sei tornato, ed è questo che conta. E se hai avuto il coraggio di tornare, un giorno avrai anche il coraggio di restare.
-Non sono mai riuscito a ringraziarti.
Sollevò lo sguardo, le sopracciglia aggrottate. –Che cazzo ti ho appena detto, eh? Che credi, che io l’abbia fatto per te?
Ian sorrise. –Diavolo, no.- nessuno in realtà aveva mai fatto qualcosa per lui, ma la verità era che gli andava bene così.
-L’ho fatto per me stesso, perché quel musulmano del cazzo tenesse quella fetida bocca chiusa.- ma gli occhi lasciavano trapelare una mezza verità e Ian sorrise.
-Ecco, appunto.
Mickey lo guardò senza capire.
Hai fatto una cosa per te stesso, Mickey. Stai iniziando ad affrontare chi sei veramente.
Stai diventando il supereroe di te stesso. Stai iniziando ad accettare te stesso, a fare ammenda con i tuoi sentimenti. È un passo piccolo ma ci si può lavorare. Possiamo lavorarci insieme, Mickey.
Scosse la testa. –Lascia stare, davvero. Solo… grazie.
Mickey sollevò gli occhi al cielo. –Chiudi la cazzo di bocca, frocio.- e scivolò all’interno del locale, lasciando Ian poggiato contro la ringhiera rovente, a guardare la gente che camminava sul marciapiede di cui si scorgeva nient’altro che un piccolo scorcio dalla bocca del vicolo.

Era la prima volta che ringraziava Mickey per qualcosa.

Ian fu sorpreso da quante prime, piccole volte, lui e Mickey  avessero affrontato quel giorno.
Ian finì di fumare la propria paglia, pensando a come Mickey fosse l’essere umano più fottutamente incasinato e confuso che conoscesse, a quanto gli fosse mancato, a come Mickey si fosse lentamente, involontariamente, irrimediabilmente, insinuato nella sua vita. A quanto drasticamente si fosse innamorato di lui, e a come, incredibilmente, continuasse a pensare che Mickey, più di chiunque altra persona al mondo, meritasse il suo amore.
Gettò la sigaretta ormai consumata giù dalle scale, e seguì le orme di Mickey all’interno dell’Alibi, sorridendo, perché Dio, era arrivato a quella consapevolezza con così tanta naturalezza e semplicità.

Era la prima volta che Ian aveva capito di amare Mickey Milkovich.
 
 




 
  
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