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Autore: firewalkwithme_2_53    14/06/2015    3 recensioni
What if?
Un nuovo personaggio arriva a Pasadena a sconvolgere la tranquilla vita lineare del dottor Sheldon Cooper.
Riuscirà il fisico teorico a sopportare la nuova intrusione? E come farà lei ad avvicinarsi al calore che il ragazzo non è neanche consapevole di avere?
Dal primo capitolo:
Mentre lei sorride con aria soddisfatta e comincia a rigirare le carote nel piatto di plastica, il ragazzo si riprende e scuote il capo.
“No, aspetta. Non funziona così.”
“Non funziona così…cosa?”
“Non puoi dire che sei un AMICO di qualcuno solo perché ci hai parlato per qualche minuto in una città sconosciuta.”
“E perché non posso?” Lei lo domanda in modo davvero interessato e mette in bocca una carota osservandolo con gli occhi nocciola.
“Perché la convenzione sociale richiede che l’amicizia sia fondata sulla conoscenza e la fiducia. Io non so neanche il tuo nome.”
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sheldon Cooper, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Terza legge di Clarke

Ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia.

 

L’odore lievemente acre di sudore e detersivo colpisce l’olfatto di Sheldon non appena entra nel corridoio del primo piano dell’edificio. Il ragazzo storce il naso in una smorfia di puro fastidio e si appresta comunque a seguire la donnona che lo precede.

“Marjorie…” così ha detto di chiamarsi l’addetta che ora volta il viso tondo verso di lui con aria interrogativa “…lei che lavora qui alla Pasadena Waldorf School, lo sapeva che la pedagogia Waldorf si ispira all’immagine antroposofica dell’uomo sviluppata da Rudolf Steiner?” L’espressione vacua con cui la donna continua a fissarlo, ora sollevando un sopracciglio verso l’alto e scuotendo piano il capo, quasi lo conforta. “Ebbene, rifacendosi alla sua concezione di triarticolazione sociale, Steiner voleva tradurre nella pratica i principi di libertà della cultura, uguaglianza nella società politica e fratellanza nella vita economica. Tre sfere autonome ma in armonia tra loro, proprio come dovrebbero essere in ogni uomo i tre principali aspetti della sua esistenza, ossia lo spirito, il corpo e l’anima. Nella visione dell’antropologia steineriana, l’individualità si manifesta per gradi, cicli successivi che seguono precise leggi. E provi ad indovinare quale è, anche in questo caso, il numero magico che si ripresenta per definire le fondamentali fasi di sviluppo dell’individuo?” Sheldon guarda la donna con un sorriso pieno di aspettativa ma riceve di nuovo in cambio uno scuotimento di capo, gradito comunque perché gli permette di proseguire nella sua spiegazione. “Tre. Tre sono i settenni in cui va divisa l’educazione di un essere umano: dalla nascita a 7 anni, dai 7 ai 14 anni, dai 14 ai 21 anni. In ognuna di queste fasi ci sono specifiche caratteristiche di maturazione fisica, psicologica e spirituale che vanno accompagnate ma non limitate. Nella prima, in particolare, ogni attività intellettuale precoce sottrae forze alla sfera volitiva e del sentimento, ostacola la formazione degli organi interni e pone le basi per una sclerotizzazione dell’essere per future forme stereotipate di pensiero. Secondo Steiner, praticamente, io dovrei essere un deforme uomo incapace di avere un pensiero proprio o di farsi comprendere dai suoi simili, può crederci?”

Tre aspirazioni consecutive dimostrano quanto il pensiero faccia ‘ridere’ il fisico, che si ferma quando anche la donna lo fa, osservandosi intorno con aria improvvisamente preoccupata mentre guarda farfalle colorate attaccate alle pareti e appendiabiti talmente piccoli da arrivargli sì e no al torace.

“Aspetti, deve esserci un errore…” tenta quindi di fermare Marjorie prima che questa bussi alla porta dipinta come se fosse un arcobaleno.

Nell’aula si sente un improvviso silenzio e sulla soglia appare una bambina di cinque anni con gli occhi verdi come il prato dopo un temporale estivo e lunghe trecce bionde. Sheldon fa un passo indietro e stringe la cinghia della tracolla quando lo sguardo della piccola si posa su di lui.

“Alice*, dov’è la maestra?”

La bambina si sposta dalla porta ed indica a Majorie un punto alle proprie spalle: nel bel mezzo della stanza una serie di scatoloni sembrano messi a casaccio l’uno sull’altro e altri ragazzini, più o meno della stessa età di quella che è venuta ad aprire, sono immobilizzati con dei pennelli in mano e fissano con evidente curiosità lo sconosciuto oltre la soglia.

“Gliel’ho detto che stava sbagliando.” Sussurra quindi il fisico teorico alla donnona che lo ha guidato fino a quell’aula, assai cocciuta dal suo punto di vista. “E’ noto che negli istituti come questo, le scuole superiori sono sempre ai piani più alti, mentre al piano terra si trova in genere la scuola mater…”

“Sheldon!” Amalie spunta in quel momento dagli scatoloni ed allarga il sorriso sincero che mostra nel vederlo mentre, scavalcando i cartoni ammucchiati, riesce a guadagnare la porta. “Grazie Marjorie sei stata gentilissima ad accompagnarlo qui.”

La donna saluta con un cenno del capo e lancia un’occhiata perplessa al ragazzo, ancora fermo oltre la soglia con l’espressione di chi ha appena assistito ad un miracolo. O ad uno spettacolo incredibilmente cruento.

“Vieni, entra pure.” Amalie lascia libero l’uscio rientrando nella stanza, dove nel frattempo l’immobilismo sembra aver trovato fine: i bambini hanno ripreso infatti la loro attività di pittura degli scatoloni, anche se in modo decisamente più silenzioso di quello che si avvertiva quando la porta era chiusa, probabilmente attenti a non perdersi nulla di quello che sta succedendo tra la maestra e lo sconosciuto alla porta. “Non crederai mai a quello che stiamo costruendo!”

L’entusiasmo della ragazza sblocca Sheldon, che si decide finalmente a varcare la soglia. “Veramente non riesco neanche a credere di essere qui.”

“Lo so, scusa.” Annuisce lei calma, equivocando le parole dell’altro mentre utilizza una salviettina umidificata per pulire la fronte di un bambino occhialuto che ha usato il pennello per colorarsi di blu. “Dovevo venire a prenderti io, ma poi una collega ha avuto un contrattempo e mi ha chiesto di coprire anche il suo turno. Però ti ho fatto arrivare un taxi sotto casa, non era confortevole?”

“Al contrario. L’autista era uno di quei tipi silenziosi che non si perdono in chiacchiere inutili e scelgono i percorsi ottimali, quindi direi che il viaggio è stato a dir poco perfetto.”

“Ottimo.” La ragazza sorride mentre getta il fazzoletto nel cestino. “Sembri…teso.” Nota facendogli cenno di avvicinarsi.

“Sono in una stanza con dei bambini.” Fa presente lui, come se quella considerazione bastasse a trarre le conclusioni sul suo stato d’animo, muovendo comunque con una certa prudenza un passo verso la cattedra, posta davanti ad una grossa lavagna coperta da una tenda che sembra quella di un palco.

“Sì…e allora? Non sono mica mostri con un occhio solo e centinaia di tentacoli.” Gli sussurra Amalie, in fondo divertita, continuando a non capire dove sia il problema.

“No, ma sono parecchi comunque…almeno una ventina.” Considera lui contando velocemente le teste che continuano a scrutarlo.

“Venticinque per la precisione.” Annuisce la ragazza. “Due sono al bagno e tre dipingono dentro gli scatoloni.”

“Ok, per fortuna siamo ancora abbastanza lontani dal punto di rottura.” Sheldon prende un respiro profondo, tranquillizzandosi dopo quella conferma.

“Quale, punto di rottura?” Domanda lei, fortemente incuriosita.

“Quello di settanta bambini.” Di nuovo la risposta sembra ovvia, ma la Siebert lo fissa in modo talmente intenso che il fisico finisce per spiegarsi meglio. “In genere mi blocco quando mi trovo in una stanza con più di trentasei adulti o settanta bambini.”

“…e…perché?”

“Perché potrebbero calpestarmi a morte.”

“Calpest…” Amalie scuote il capo quasi incredula. “Beh puoi stare tranquillo: qui nessuno calpesterà a morte nessun altro.” Assicura con convinzione.

“Oh lo so. Sono solo venticinque bambini, non settanta.” Conferma Sheldon annuendo.

“Signorina Siebert.” Una ragazzina riccioluta tira su con il naso e scuote la manica della sua maestra, che si china con dolcezza verso di lei.

“Dimmi tutto Andrea.”

“Lui è il tuo fidanzato?” La bambina indica il fisico teorico sollevando il braccio praticamente sopra la propria testa.

“Ma quale fidanzato Andrea! Non lo vedi che ha una borsa come le femmine?”

L’intera classe sghignazza per la contestazione del ragazzino occhialuto che, nel gesto di alzarsi in piedi e dire la sua, rovescia persino il barattolino di tintura blu sopra i fogli di giornale che sono stati, previdentemente, sistemati per terra.

“Questa non è una borsa da femmina, bambino, ma una tracolla da uomo.” Spiega uno Sheldon piuttosto impettito che mostra con orgoglio l’oggetto. “Del resto forse tu non sai che la storia della borsa è molto antica e che nasce insieme al concetto di denaro. Si presume infatti che fosse un sacchetto comodo in cui infilare le monete e che, inizialmente, fosse di uso prettamente maschile.”

“La mia mamma porta la borsa, la mia nonna porta la borsa, la signora Hamilton dell’ultimo piano che puzza sempre di cavolo fritto porta la borsa. Il mio papà, invece, non porta mai la borsa.” Risponde l’altro, serio, a dimostrazione della propria teoria.

“Forse perché il tuo papà non ha nulla da metterci dentro.”

“Sheldon…” Amalie torna eretta e richiama il fisico nel timore che possa davvero discutere con un bambino di cinque anni.

“Tu che ci tieni?” Domanda invece il ragazzino incuriosito, mollando il pennello per avvicinarsi a loro, subito imitato da quasi tutto il resto dei suoi compagni, che ora fronteggiano in massa i due adulti.

“Spero di non dover rivedere verso il basso il mio punto di rottura.” Sussurra Sheldon alla Siebert, stringendo di nuovo la cinghia prima di poggiare la tracolla sulla scrivania ed aprirla.

“Secondo me dentro ci sono le chiavi della macchina.” Andrea solleva il mento curiosa mentre lei e gli altri piccoli alunni si dispongono intorno alla cattedra.

“Non ho una macchina.”

“E cosa guidi allora? La moto?”

“Non guido.” Scrolla le spalle Sheldon, ovvio.

“Come le femmine!” Esulta il bambino occhialuto.

“Ehi, io guido eccome Kevin.” Amalie incrocia le braccia sotto il petto fissando il piccolo impertinente.

“Beh non dovresti. Papà dice che le donne che guidano fanno male alla salute.”

“Dovrò fare un discorsetto con tuo padre, appena lo vedo all’uscita.”

“Papà non viene a prendermi a scuola. Occuparsi dei mocciosi è una cosa da femmine.” Kevin storce il naso lasciando basita Amalie.

“Le chiavi di casa allora.” Andrea, sempre più curiosa si sporge facendo leva sui gomiti per sbirciare nella borsa di Sheldon, tentando ancora di indovinarne il contenuto.

“Quelle le tengo in tasca.” Scuote il capo il fisico, che comincia a tirare fuori il portatile.

“Mio fratello in tasca ci tiene i pre- i pre-i presentevivi!” Un bambino con gli occhioni azzurri si sforza di ricordare il nome corretto di quello che gli ha fatto vedere il fratello maggiore pochi giorni prima.

“I che?” Domanda qualcuno.

“I presentevivi. Sono delle cose tipo palloncini, ma non sono palloncini, che lui e i suoi amici usano con le signore che li fanno giocare al dottore.”

Amalie schiarisce la voce portando una mano sulla fronte. “Oh mamma…”

“Interiezione estremamente pertinente, dato che si può supporre con ragionevole certezza che il ragazzino intendesse dire preservativi e non presentevivi.” Precisa Sheldon calmo, estraendo dalla borsa penna, taccuino e un libro, subito afferrato da Andrea.

“Sì esatto! Proprio quelli, i presentevivi!”

“Pre-ser-va-ti-vi.” Sillaba il fisico. “In realtà tuo fratello sbaglia. Pur essendo un dispositivo medico, i preservativi non sono di certo un gioco e non necessitano della presenza di un medico. La loro funzione è quella di evitare che, durante il coito…”

“Sheldon!” Amalie attira l’attenzione del ragazzo e scuote lentamente il capo.

“Durante cosa?” Chiede Kevin storcendo di nuovo il naso.

“Ma questo libro non ha figure!” Andrea, delusa, continua a sfogliare il testo del fisico in cerca di qualche disegno che possa farle capire di cosa si tratta.

“Invece questo ce le ha eccome!” Ad esultare ora è Alice, che tiene in mano un albo a fumetti tutto colorato, che ha estratto da sola dalla borsa, attirando con la sua vocetta l’attenzione dei compagni, i quali le si stringono intorno per guardare meglio anche loro. “C’è un signore con un mantello rosso e un grosso martello.”

“Thor.” Spiega Sheldon. “E non è un signore. È il dio del tuono, figlio di Odino, padre di tutti gli dei. Quella è la sua arma e si chiama Mjolnir, il martello incantato del tuono e del lampo.”

“Ohhh.”

Un paio di maschietti vorrebbero prendere l’albo dalle mani di Alice, che lancia un urlo e scatta dietro alla maestra. “Ho un’idea: perché non vi mettete tutti seduti mentre Sheldon vi racconta la storia di questo supereroe?”

“Dio.” La riprende subito il fisico.

“Sì…la storia di questo dio ok.” Lo accontenta lei.

“Non è la stessa cosa. È una differenza importante quella tra dio e supereroe.”

Amalie si ferma e coglie quanto quella sfumatura sia realmente fondamentale per lui, quindi annuisce con più convinzione. “Ti va di parlare loro di Thor, per favore?”

“…se si tratta di istruire delle giovani menti…” il fisico si lascia convincere e si sistema in piedi davanti alla cattedra, i bambini seduti sul grande tappeto davanti agli scatoloni ancora al centro della stanza dietro di loro. “Immaginate una fortezza celeste, un regno sito su un planetoide che si trova in una dimensione diversa da quella della Terra: si tratta di Asgard, dimora di Thor, dio del tuono, alto, muscoloso e imponente.”

“Tu ci sei stato?” Domanda Andrea, rapita da quella descrizione che ha compreso probabilmente per meno della metà.

“Ovviamente no, ho detto che si trova in una dimensione diversa da quella della Terra. Dovreste provare a prestare più attenzione a quello che…”

“E allora come la conosci?” Adesso è Kevin a chiedere, con espressione visibilmente scettica.

“Perché Stan Lee, Larry Lieber e Jack Kirby l’hanno descritta.”

“Sono amici tuoi?” Gli occhioni di Alice lo fissano curiosi.

“Beh no, non in senso stretto almeno.”

“Più o meno come lo siamo io e te, probabilmente.” Considera sottovoce Amalie con un mezzo sorriso furbo, beccandosi in quel modo un’occhiataccia dal fisico.

“Noi la possiamo vedere Asfalt guardando il cielo?” Un’altra domanda di Andrea, che punta romanticamente lo sguardo alla finestra.

“Si chiama Asgard e…no.” Ripete Sheldon. “Ma insomma, possibile non abbiate mai sentito parlare di dimensioni parallele?” Le ventitré piccole teste (due sono ancora al bagno) scuotono piano. “Oh ma è scandaloso! Io alla vostra età avevo già letto tutti i trattati di Hawking sui buchi neri e il multiverso.” Un dubbio attraversa la mente del fisico “…voi sapete chi è Stephen William Hawking, giusto?” Di nuovo ventitré piccole teste scuotono provocandogli un brivido lungo la schiena. “Oh per tutti i Loki esistenti nei diversi universi!” Adesso è lui a scuotere il capo prima di fare il giro della cattedra e scostare le tende che coprono la lavagna. “Mettetevi comodi, miei piccoli Youngling, perché il vostro Obi-Wan vi condurrà alla scoperta della Forza.”

 

 

 

 

 

 

 

 

Aloha!

Se il precedente capitolo mancava di ‘azione’, spero proprio di avervene offerta abbastanza in questo, insieme a qualche sana risata magari ;)
Appena ho sentito (ormai secoli fa) la teoria di Sheldon sui settanta bambini mi sono piegata letteralmente in due dalle risate e per questo ho deciso che ‘usarla’ fosse una buona idea.
Del resto è stato anche divertente immaginare il nostro ‘eroe’ che pensava sì all’insegnamento per Amalie, ma ad un livello decisamente…superiore, e invece si ritrova circondato di bambini di 5 anni!
C’è da capire quanto questi bambini resisteranno ad ascoltare le sue spiegazioni…*assume una posa decisamente pensierosa*

Lascio un forte abbraccio ideale a chi legge questa storia, a chi l’ha inserita tra le seguite\ricordate\preferite e a coloro che hanno la bontà di farmi sapere come la pensano sul suo svolgimento.
Alla prossima con il capitolo che si intitolerà Teorema di Stockmayer,
B.
 

*Alice è il primo personaggio reale che metto in questa storia ed è la mia Alice che forse, un giorno, quando leggerà queste righe sorriderà nel ricordare le sue belle trecce bionde.

  
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