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Autore: letitbeatles    17/06/2015    7 recensioni
fine 1500, Londra.
"All'unico ispiratore di
questi seguenti sonetti
Mr. W.H. Ogni felicità
e quella eternità
promessa
dal
nostro immortale poeta
augura
colui che con un buon augurio
si avventura nel pubblicare."
Genere: Fluff, Poesia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Lennon, Paul McCartney, Quasi tutti
Note: AU, Cross-over, Lime | Avvertimenti: nessuno
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Warmhearted

 

          TO.THE.ONLIE.BEGETTER.OF.             
THESE.INSUING.SONNETS.
Mr.W.H.ALL.HAPPINESSE.
AND.THAT.ETERNITIE.
PROMISED.
BY.
OVR.EVER-LIVING.POET.
WISHETH.
THE.WELL-WISHING.
ADVENTVRER.IN.
SETTING.
FORTH.
-T.T.

All'unico ispiratore di
questi seguenti sonetti
Mr. W.H. Ogni felicità
e quella eternità
promessa
dal
nostro immortale poeta
augura
colui che con un buon augurio
si avventura nel pubblicare.


In una delle solite notti fredde di Londra, un uomo si affrettava lungo la strada, prima che le cupi nubi che sovrastavano la grande città inglese riversassero sugli abitanti grosse e gelide gocce d'acqua. Aveva il respiro mozzato, che si condensava  fuori dalla sua bocca in piccole nuvolette che  continuavano ad appannargli la vista.
Teneva le mani strette nelle tasche di un cappotto scuro, paralizzate dalla temperatura rigida esterna, ed ogni tanto il suo corpo era percorso da capo a piedi da un fremito, quasi impercettibile alla vista dei passanti, ma che invece il sottoscritto percepiva assai con chiarezza, cercando invano di aumentare la cadenza del suo passo per riscaldarsi.
Quando svoltò l'angolo, una folata di vento gelido proveniente dalla direzione opposta in cui si stava dirigendo lo investì in pieno, facendogli drizzare letteralmente i capelli folti sulla nuca. Imprecò a denti stretti ma continuò ad avanzare deciso.
Quando raggiunse la familiare entrata della locanda che era solito frequentare, si sentì rincuorato e senza indugiare un solo istante sfilò una mano intorpidita dalla tasca del cappotto, girando frettolosamente la maniglia e riversandosi all'interno.
Subito venne accolto da un piacevole calore che avvolse rapidamente le sue membra infreddolite. Si guardò per un attimo intorno. A quell'ora tarda la locanda era quasi vuota e le poche persone che occupavano i tavoli parlottavano a bassa voce.
L'uomo emise un profondo sospiro, chiudendo per un attimo gli occhi e godendosi il calore tanto desiderato.


“Signor Shakespeare, è in ritardo stasera!”
L'uomo sobbalzò leggermente quando una voce squillante spezzò il basso brusio che si era instaurato nel locale, interrompendo i pochi secondi di sollievo che si era concesso.
Aprì gli occhi e li rivolse verso il bancone della locanda, dove incontrarono la sagoma familiare di un ragazzo che gli stava sorridendo.
Era un giovane sulla ventina, portava i capelli castani lunghi sulla fronte, che mettevano in risalto subito sotto un elegante naso aquilino e  dei piccoli occhi vispi. Indossava, sopra gli umili vestiti, un grembiule da lavoro che gli arrivava alle ginocchia e che era tempestato di goccioline di una grande varietà di bevande differenti e il suo viso era ricoperto dal sudore di un'intera giornata di lavoro. Ma nonostante quei dettagli, la sua bellezza non veniva minimamente intaccata.

“Buonasera John” l'uomo ricambiò il sorriso del giovane, avvicinandosi al bancone per sedersi su uno degli sgabelli di legno destinati ai clienti. “Brian?” chiese poi.
“E' in cucina” rispose il ragazzo, alzando le spalle.
L'uomo appoggiò i gomiti sul lungo tavolo di quercia, nelle vicinanze di altri uomini che consumavano bibite ad alto contenuto alcolico, stropicciandosi gli occhi stanchi.

“E' facile essere un uomo del Lord Ciambellano*, non è vero?” chiese ironicamente John, mentre si spostava  poco più un là per riempire il boccale di un uomo che evidentemente ne aveva già bevuti parecchi, viste le sue guance ormai di un vivido color porpora.

“Scrivo in continuazione, preparo gli attori, aiuto ad allestire le scene. Non ho un attimo di tregua e se mi distraggo un istante e non sono al passo con i tempi rischia di crollarmi tutto addosso” disse l'uomo con sguardo vacuo.

“Capisco” rispose il ragazzo aggrottando le sopracciglia. “Ho fatto bene a non accettare la tua offerta allora” rivolse all'uomo un sorriso sghembo.

L'uomo a quel commento però si riscosse, facendosi serio “E invece avresti dovuto farlo. Lavori come aiutante di un oste quando invece potresti essere un grande drammaturgo. Ma soprattutto saresti un poeta brillante, John Lennon” asserì l'uomo solennemente.

John Lennon, si bloccò per un istante, mentre era girato di spalle per rimettere apposto una bottiglia di vino.

William Shakespeare lo stava davvero elogiando?

Si voltò verso il drammaturgo, esterrefatto.

“Un p-poeta brillante? Io?”

Il Signor Shakespeare annuì. Poi si guardò intorno sospettoso e gli fece cenno di avvicinarsi. Il ragazzo si sporse leggermente dal bancone e gli si accostò con un orecchio.

“Ho letto quelle poesie che mi hai dato tempo fa, sono davvero incantevoli.” Sussurrò l'uomo. A quelle parole un ghigno compiaciuto apparve sulle labbra di John, che cercò però subito di nascondere.
 L'uomo proseguì.

“ Quella sui campi di fragole è deliziosa. Trovo molto particolare quella sul tricheco, non credo di averla compresa del tutto”
John sghignazzò a quella confessione “Non so neanche io se l'ho compresa veramente. L'ho scritta spontaneamente. Spero vi siano piaciuti i disegni sul retro”
“Molto, erano davvero graziosi. Comunque quelle che ho gradito di più sono quelle sull'amore. Sai esprimere egregiamente su carta i sentimenti. L'unica cosa che forse manca è un soggetto di riferimento, a cui dovrebbero essere indirizzati, l'ispirazione di solito nasce da quello. Ma è un fattore rimediabile. Trova una tua Musa ispiratrice. Infondo ci sono molte giovani che passano di qui, non è così?”
Chiese il signor Shakespeare, rivolgendo un occhiolino al ragazzo. John si grattò la testa imbarazzato, mugugnando qualcosa che poteva essere preso come un assenso.
L'uomo ridacchiò il suo atteggiamento impacciato, che di solito non mostrava. Poi si fece di nuovo serio e tornò a rivolgersi al giovane.
“Come ti ho detto ho davvero molto lavoro da sbrigare con la compagnia e non ho tempo materiale per soddisfare tutte le richieste che mi vengono fatte. Proprio pochi giorni fa, un uomo facoltoso, il Conte di Southampton, mi ha, diciamo, commissionato qualcosa. Dei sonetti ovviamente, quei nobili non vogliono di certo commedie” sbuffò Shakespeare.
“Volete che scriva dei sonetti in vostra vece?” chiese ridendo John.

Si aspettò che Shakespeare si unisse alla sua risata, ma la reazione dell'uomo non fu quella che si aspettava.

L'uomo lo guardò, quasi offeso “Be', era quella l'idea”
John smise immediatamente di ridere e sbatté gli occhi, preso in contropiede.

“Ma signore, non potrei mai scrivere sonetti in vostra vece, non ne sarei in grad-”

“Shhh” fece l'uomo, portandosi un dito davanti alle labbra e facendogli segno con l'altra mano di abbassare la voce.
 Si guardò brevemente intorno per controllare che orecchie indiscrete non captassero la loro conversazione. Poi, convinto che l'uomo paonazzo di prima, nelle vicinanze, fosse troppo assorto nella sonnolenza causato dall'alcol, tornò a rivolgersi al ragazzo.

“Non ho finito. Quest'uomo vorrebbe che io andassi nella sua residenza per un certo periodo, come poeta di corte. Ovviamente non posso allontanarmi dalla compagnia, sarebbe impossibile, per cui ho promesso a questo facoltoso che avrei mandato un poeta competente che fosse disponibile... in poche parole, tu.”

John drizzò improvvisamente la schiena e strabuzzò gli occhi “I-Io? Ma non credo di potere...”

“Oh, andiamo John. Che cosa ti preoccupa? Perdere questo misero lavoro? Ti manterrà quel Conte e guadagnerai il triplo, se non il quadruplo di quello che racimoli qua.”
“M-ma perché non un uomo della vostra compagnia, sarebbe molto più capace..”
“A scrivere sonetti? Bella battuta! Sono attori, niente di più”.
John si tirò ancora più giù di morale “Potrebbero scoprire che nella mia vera vita lavoro in un'osteria”
Ma Shakespeare lo rassicurò, mettendogli una mano sulla spalla “Da quando sei così attento a queste cose? Andrà tutto bene, vedrai”.

In quel momento la mente di John stava galoppando.
In pochi istanti il suo cervello fu investito da una miriade vorticosa di pensieri, così fitta che lo costrinse ad afferrare una panca e sedersi.
Shakespeare, notando che il giovane era immerso in una profonda riflessione personale e che si era fatto tardi, decise che era meglio rincasare, così si alzò dallo sgabello.
“La sera è ormai inoltrata e domani ho molto lavoro da svolgere. Pensaci su e domani sera, quando passerò, riferiscimi la tua decisione. Dovresti accettare, John. Buonanotte.”
Il ragazzo alzò distrattamente una mano per salutare l'uomo. Era ormai lontano miglia, smarrito nelle infinite strade della sua mente.

John Lennon era un ragazzo di umili origini di una cittadina del nord-est dell'Inghilterra, chiamata Liverpool, cresciuto dagli zii. Non avere i genitori non era stato facile: suo padre era partito per la guerra, mentre sua madre non era stata in grado di allevarlo. Probabilmente questa sua mancanza lo aveva portato a rifugiarsi tra opere e poesie, in mondi felici e avventurosi, in un mare di piccole lettere d'inchiostro che, raggruppate in parole raffinate, racchiudevano significati profondi,   così profondi che permettevano alla sua mente di annegarci e di dimenticare la povertà, i sentimenti negativi, la mancanza della giusta dose di affetto. Così spesso si ritrovava a rubare, nei mercati della città, raccolte di poesie di autori francesi o italiani e libri classici che non poteva di certo permettersi.
A 21 anni aveva deciso di lasciare la sua casa per andare nella grandiosa Londra, dove sperava di trovare fortuna. Gli bastava trovare un lavoro con un buon stipendio, anche se nella profondità del suo cuore si augurava di trovare un lavoro che avesse a che fare con la poesia e con la scrittura, anche se non se ne sentiva all'altezza.
Per caso conobbe un giovane uomo alto e di bell'aspetto, un certo Brian Epstein, che stava cercando un aiutante per la sua osteria. Così in breve tempo si trovò un lavoro in cui era pagato sufficientemente bene e che non era neppure troppo faticoso. E così passarono tre anni, fino a quel momento.
 Inoltre, essendo un'osteria nel centro della città, era spesso frequentata da uomini e donne di rilievo, come appunto il signor William Shakespeare, con cui aveva stretto da tempo una buona amicizia. E adesso proprio quel famoso William Shakespeare gli stava offrendo un'opportunità del genere?
Probabilmente stava sognando. Doveva essere così, non c'era una spiegazione più logica.
Come avrebbe fatto a diventare un poeta di corte? Non aveva nessuna esperienza simile. Probabilmente l'avrebbero cacciato subito.

Quando la porta della locanda sbatté, chiudendosi dietro al signor Shakespeare, John riemerse dai suoi pensieri, tornando alla realtà.

Si alzò dal panchetto di legno e si versò un bicchiere pieno di un forte idromele, che trangugiò in pochi sorsi. In un attimo la sua gola si infiammò e gli occhi quasi gli lacrimarono. Questo non lo fermò dal versarsene un altro bicchiere, che mandò giù con la stessa rapidità.

In quel momento spuntò Brian dalla cucina, che aveva tutta l'aria di essere molto indaffarato. Quando vide John però, i suoi occhi si illuminarono. Teneva molto a ragazzo e appena l'aveva visto, aveva capito che era la persona giusta come aiutante. In molti dicevano addirittura che fosse innamorato del giovane, ma lui non prestava attenzione a quelle voci.

“Hey John, il tuo turno è finito. Vai pure a riposarti di sopra” diede una pacca affettuosa al giovane, non facendo caso però a quanto fosse silenzioso, e tornò di nuovo nell'altra sala.

Il giovane si slacciò lo straccio che aveva legato in vita e lo appoggiò sul bancone, con la mente leggermente annebbiata dall'alcool.

Sospirò.
Non voleva pensare in quel momento alla decisione che avrebbe dovuto prendere, che avrebbe sicuramente portato dei guai. Gli ci voleva uno svago.
Si guardò intorno. Il locale era ormai quasi vuoto. Un tavolo era occupato da due donne che parlottavano allegramente tra loro, probabilmente parlando di vestiti o di uomini. Vicino a loro un uomo stava dando degli avanzi della cena al proprio cane, che sembrava molto felice dell'offerta generosa del padrone.
Lo sguardo del ragazzo poi si rivolse verso uno dei tavoli all'estremità del locale che, come di consuetudine, era occupato da un giovane moro, che ormai conosceva molto bene.
Nonostante la distanza e la lieve cecità che affliggeva gli occhi di John, sapeva che lo stava fissando, aspettando una sua mossa.
John si leccò istintivamente le labbra e si voltò indietro interrompendo il contatto visivo solo per      versarsi altro liquido ambrato che scomparve per l'ennesima volta nella sua gola.

 Aggirò il bancone e si diresse con passo deciso nella direzione del ragazzo.
Quest'ultimo allora si alzò velocemente dalla sua postazione e, facendogli cenno di seguirlo, iniziò a salire la scala di legno dietro di sé, che conduceva al piano superiore dove si trovavano le camere per i clienti e i viaggiatori.

John lo seguì senza dire una parola.
Il ragazzo davanti percorse il corridoio fino infondo,  poi si fermò ed aprì una delle porte di legno consumate delle camere.
Quando furono entrati, John si chiuse la porta alle spalle.
Subito l'altro ragazzo lo afferrò per le spalle, attirandolo a sé, coinvolgendolo in un bacio poco casto, che John ricambiò all'istante.
John era sempre stato con ragazze, fin dall'infanzia. Da quando era a Londra però, aveva notato che molti uomini segretamente si vedevano con altri uomini, il che lo aveva incuriosito, dato che nella ristretta famiglia in cui era cresciuto non era neanche pensabile un fatto del genere.
Poi una sera, dopo che forse aveva bevuto un po' troppo aveva conosciuto questo ragazzo con i capelli scuri, Stuart Sutcliffe, che aveva un'aria tenebrosa che senz'altro affascinava e con lineamenti delicati. Dopo un intenso scambio di sguardi, non si ricordava bene, si era trovato nella stessa situazione che era in corso in quel momento, e senz'altro gli piaceva.
John passò una mano tra i capelli dell'altro, schiudendo le labbra per permettere alla lingua del giovane di scontrarsi con la sua ed assaporare a vicenda il gusto dell'alcool che permeava nelle loro bocche.

Quando si staccarono per riprendere fiato, il ragazzo con i capelli scuri ne approfittò per prendere la parola.
“E' da un po' che non ti vedevo” disse, strofinandosi maliziosamente contro il corpo dell'altro, che ansimò e lo guardò negli occhi.
“Mi sei mancato, Stu”
Dopo quella costatazione, afferrò i fianchi di Stuart e lo gettò sul letto.

***


Un giovane servo si dirigeva sicuro attraverso uno dei tanti corridoi dell'enorme villa in cui lavorava ormai da anni. Era come addentrarsi in un labirinto luminoso, ornato di dipinti e sculture ricercati. C'era voluto molto tempo per imparare a memoria dove conduceva ogni singolo corridoio, ma con il tempo e con l'abitudine diventa poi tutto molto facile. Quando raggiunse la sua meta si fermò e batté due colpi decisi sulla candida porta che si trovava di fronte a sé.
“Avanti” rispose una giovane voce maschile dall'interno della stanza.
Il ragazzo aprì la porta e trovò il figlio del conte seduto su una poltrona imbottita, al centro della sua ampia e luminosa stanza.
Una vena solcava la sua fronte, intento a leggere un libro, probabilmente una raccolta di poesie, pensò il servo. I folti capelli corvini pettinati con cura gli ricadevano sulla fronte e le sue labbra rosse e piene si muovevano quasi impercettibilmente, gustando ogni parola che le sue pupille scorrevano velocemente da una parte all'altra del foglio.
Il servo quasi si pentì di interrompere la beatitudine che aleggiava sul viso del suo attraente padrone.
“Buongiorno signor McCartney, suo padre vuole vedervi”disse.
Il ragazzo sollevò distrattamente lo sguardo dalla poesia su cui era concentrato, rivolgendo gli enormi occhi verso il ragazzo fermo sulla porta. Quando lo riconobbe, accennò un sorriso.
“Salve mio caro George. Ditegli pure che lo raggiungerò tra pochi istanti” disse.
Poi tornò a rivolgere l'attenzione ai versi a cui era rimasto e tornò ad estraniarsi dal mondo.


“Sarà fatto”
 Il servo si inchinò e poi uscì dalla stanza, chiudendo delicatamente la porta. Mentre tornava indietro da dove era giunto, si ritrovò distrattamente a sorridere.

***


“Padre, volevate vedermi?”
Il conte distolse lo sguardo dalla finestra da cui stava ammirando il panorama per rivolgerlo verso il figlio. Trovò il ragazzo appoggiato alla porta. Era inconsueto che i due si incontrassero fuori dai pasti, per cui doveva essere molto incuriosito.
“Sì, Paul. Ieri avevate espresso il desiderio di avere un poeta che potesse dilettare il vostro tempo. E' così?”
“Esatto, padre.” disse il giovane sollevando le sopracciglia.
Il conte annuì “ Così oggi mi sono rivolto al signor William Shakespeare” Gli occhi del figlio si illuminarono.
“ Davvero? Verrà?”
Il Conte sospirò  “Purtroppo è molto occupato con la sua compagnia teatrale” Il sorriso che era apparso sul viso di Paul si ridusse un po', abbassando brevemente gli occhi “Non importa padre, grazie lo stesso-”
“Ma mi ha assicurato che avrebbe scritto degli incantevoli sonetti e che avrebbe mandato qua tra non molto un poeta competente quanto lui” aggiunse velocemente l'uomo. Se c'era una cosa che il conte odiava, era vedere suo figlio triste.

Il giovane, sorpreso, si riempì d'entusiasmo “Oh, è grandioso padre, ne sarei lusingato” rispose, sorridendo radioso verso l'uomo vicino all'ampia finestra. “Quando verrà?”
Il padre fu sollevato per non averlo deluso, nonostante non avesse ottenuto il famoso drammaturgo. “Domani manderò un servo dal signor Shakespeare, così potrà condurlo qua spero. Ora torna pure ai tuoi studi, figlio mio. Ci vediamo per l'ora di cena”
“Certo, grazie davvero, padre. Domani andrò in centro a comprare penne d'oca e calamai nuovi” Rispose Paul.
Il conte annuì e poi si voltò, tornando a contemplare il paesaggio all'esterno del palazzo.

***

 

*William Shakespeare era entrato a far parte della compagnia del Lord Ciambellano, The Lord Chamberlain's Men

*i campi di fragole e il tricheco sono ovviamente riferimenti alle canzoni del Magical Mistery Tour scritte da John, Strawberry Fields Forever e I Am The Walrus.

 

Saalve, dopo anni sono tornata a scrivere su efp e finalmente ho il tempo e qualche idea per questa ipotetica ff su cui pensavo già da un po'.
Ho deciso di ambientarla in una Londra di fine Cinquecento, ai tempi del mio caro Shakespeare. La citazione all'inizio è la prefazione originale dei Sonetti, che scrisse negli ultimi anni 90 del cinquecento, ma che furono pubblicati postumi, nel 1609. Nessuno ha mai capito a chi fossero dedicati questi sonetti, seguiti solo dalla sigla W.H., forse il terzo Conte di Southampton, ma nessuno ne è sicuro, così ho fatto in modo che le iniziali non avessero a che fare con un nome, ma con un aggettivo, Warmhearted (vedremo poi perché) e che i Sonetti fossero scritti da John per la sua “Musa ispiratrice” (chissà chi sarà). Se volete sapere che succederà, aspettate il prossimo capitolo. Non so quando aggiornerò, spero il prima possibile.

Nel frattempo fatemi sapere che ne pensate, mi basta anche una parola, che sia positiva o negativa, really!
Grazie a tutti quelli che hanno letto per caso questo capitolo e grazie per eventuali recensioni.

-G.

  
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