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Autore: Cosmopolita    17/06/2015    3 recensioni
[...]-Puoi rimanere qui, se vuoi. Per quanto mi riguarda, siamo tutti liberi di andarcene o di restare.
Si scrollò le spalle, come se questo fosse potuto servire per cancellare l’ultima reminiscenza che ha di quella città maledetta.
A Ba sing Se non sarebbe morto più nessuno. [...]
Iroh e la città di Ba Sing Se in due momenti particolari della sua vita.
[Questa storia si è classificata sesta al contest "Titoli su Titoli- 2nd edition indetto da Eireen_23 sul forum di EFP]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Iroh, Lu Ten, Zuko
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Libero di andarmene. Libero di restare





Una foglia secca e raggrinzita veniva spinta da una parte e da un’altra, come trasportata da una corrente leggera, senza seguire un tragitto prestabilito.
Ad Iroh, di tanto in tanto, parve che fosse sul punto di afflosciarsi al suolo; tuttavia, nel momento in cui stava per sfiorare il terreno, ecco che un’altra folata più decisa la riscagliava in alto, più lontano.
E il suo volo ricominciava, imperterrito.
 -Little soldier boy/ Comes marching home/ Brave soldier boy/ Comes marching home- per un attimo gli sembrò quasi che fosse stato il vento, e non la sua voce rauca, ad emettere quel sussurro fioco.
Abbozzò un sorriso e chiuse gli occhi, lasciando che l’aria gli rinfrescasse il viso.
Si stava bene, lì. Se ne avesse avuto la possibilità, avrebbe anche potuto rimanerci per sempre.
-Non mi piace questa canzone- borbottò all’improvviso una voce poco distante da lui.
Inizialmente, non seppe cosa ribattere a quell’intervento così poco atteso. Si puntellò con i gomiti alla superfice del prato, in modo da poter osservare meglio il profilo di Lu Ten steso sull’erba, gli occhi innocenti rivolti al cielo terso.
–La mamma te la cantava sempre quando non riuscivi ad addormentarti.
Suo figlio si girò per guardarlo con un’espressione imbronciata e, per un attimo, Iroh si chiese a cosa stesse mai pensando di così molesto da fargli  assumere quel cipiglio così intenso.
–Sì, ma non mi piace lo stesso. Lo zio Ozai ha detto che i giovani soldati muoiono sempre.
Con un balzo si rimise in posizione verticale. Era come se lo stesse rimproverando di quella constatazione –I soldati della canzone non torneranno mai davvero a casa.
Iroh non sapeva se ridere o piuttosto incollerirsi verso suo fratello. Gli dispiaceva l’idea che suo figlio avesse passato ore a rimuginare su quella frase crudele, che gettava ombre sul suo probabile destino di comandante militare.
Si alzò in piedi anche lui e, poggiata una mano sulla testa di Lu Ten, cominciò ad accarezzargli i capelli.
–Tuo zio esagera sempre- disse soltanto.
-Papà- lo chiamò allora lui, il viso premuto sulla sua veste –Promettimi che morirai giovane il più tardi possibile.
E quella volta, Iroh rise sul serio –Promettimelo anche tu.
Un altro soffio di vento fece piegare i fili d’erba.


Gli rivenne in mente quella frase quando i soldati entrarono nella sua tenda con l’elmo di Lu Ten, che pareva ancora brillare tra le mani di uno di loro.
“Promettimi che morirai giovane il più tardi possibile”.
Sentì le lacrime salirgli agli occhi, ma non fece nulla per ricacciarle indietro.
Toccò con un dito l’unico oggetto che erano riusciti a recuperare di suo figlio e il contatto con il ferro freddo, all’inizio, lo fece rabbrividire di dolore.
Dov’era, Lu Ten? Il suo cadavere era disperso, o forse irriconoscibile, sbattuto qua e là dalla fiumana dei soldati in battaglia; non sarebbe stato il primo ad aver avuto un destino simile, né il più valoroso, né il più coraggioso.
Era uno dei tanti, ma era anche suo figlio.
E non era possibile che se ne fosse andato via per sempre. Non era possibile che non si sarebbero mai più seduti sull’erba fresca a godersi il vento fresco, che non avrebbero più parlato, che non avrebbe mai più potuto sorridergli.
Suo figlio…
-… era un dominatore eccellente, Signore- una voce imbarazzata spezzò il silenzio freddo della stanza. Tuttavia, nessun altro sembrava voler intervenire; e ritornò di nuovo il gelo della morte.
-Sì… ecco…- riprese qualcuno -era un bravo soldato. Combatteva sempre in prima linea.
Mentivano, tutt’e due. Lu Ten non era un dominatore eccellente, non lo era mai stato. Lu Ten sarebbe diventato, un giorno, un Signore del Fuoco giusto e onesto: ma non era fatto per la guerra.
“I giovani soldati muoiono sempre”, gli aveva detto quel giorno, quando era ancora bambino. Non avrebbe mai voluto morire da eroe.
-Lasciatemi solo- ordinò, ma la voce rotta dal pianto, le lacrime e i suoi pensieri non lo fecero sembrare come tale.
Ba Sing Se era una città di morti.
Quella consapevolezza, diventata manifesta solo in quel momento, stava facendo crescere in lui un senso di nausea.
E le pareti rosse della tenda sembravano volerlo soffocare e l’elmo di Lu Ten, stretto tra le mani, parve bruciare come un tizzone ardente.
La sua sofferenza non era più solo per il figlio, ma anche per i soldati della canzone, che adesso affollavano la sua mente come tanti crudeli fantasmi del passato.
Il loro sangue sembrava essersi impregnato tra le stoffe e più ci pensava, più Iroh sentiva di dover fuggire.
Ba Sing Se è una città di morti.
Lui, però, continuava ad essere vivo.
Posso pur sempre andarmene.


-Posso pur sempre andarmene!
Suo nipote ha un cipiglio annoiato, l’unico sopracciglio che gli è rimasto è talmente inarcato da toccare appena l’estremità del naso.
Con la testa poggiata sul legno ruvido del tavolo, Zuko ha sbuffato un’altra volta, forse perché piccole perline di sudore stanno scivolando giù per tutto il suo viso e lo infastidiscono. O forse perché è stufo e basta di stare in una città che non gli appartiene.
Anche Iroh sospira, la mente e la testa rivolta verso la finestra.
A Ba Sing Se c’è il sole, oggi. Se si sporgesse un po’, vedrebbe la gente passare sotto il suo sguardo; ridono, chiaccherano, passeggiano… alcuni si tengono mano nella mano, altri invece se ne stanno tutti soli in un angolo, a guardare tutto quel via vai di gente diversa.
Non è più una città di morti. Ora, vale la pena restarci.
Sorride, Iroh. E sorride anche a Zuko, che continua a fissarlo in attesa di una sua risposta.
-Zio,- bofonchia sprezzante non appena si accorge che un responso da parte sua non giungerà mai –ma almeno mi ascolti? Non ce la faccio più a stare qui… in questa città!
E’ esploso. Come un petardo o, piuttosto, come un fuoco.
Iroh lo vede alzarsi in piedi, la sedia quasi cade per quanto velocemente lo ha fatto –Che ne sarà del mio onore, quaggiù? Preferirei morire adesso ma con la gloria che mi spetta, piuttosto che rimanere qui e vivere la mia vecchiaia di nascosto.
I suoi occhi, Iroh ci può giurare, sembrano fiammeggiare.
Ma non è questo che lo ha colpito di più.
Ripensa a quella frase che, ormai troppi anni fa, urlò Lu Ten, con la testa sepolta tra le sue gambe. Lui e suo nipote non la pensavano allo stesso modo.
-So che ho ragione, zio. E, se ci pensi bene, sono certo che mi darai ragione anche tu.
Iroh scosta di poco la sedia e gli si avvicina. Gli sorride, come fa ogni volta che ha da impartirgli un’importante lezione di vita, senza superbia –Certo, puoi pur sempre andartene. E sei libero di farlo, ovviamente: chi sono io per trattenerti qui, principe Zuko?
Suo nipote rimane in silenzio, le labbra strette in un’espressione perplessa. Continua ad osservarlo, senza dire nulla, a braccia conserte.
-Tanti anni fa,- Iroh sospira –abbandonai questa città nel bel mezzo di un assedio. Credevo fosse la cosa migliore da fare, nonostante tutti mi esortassero a fare l’esatto opposto. E non mi pento di averlo fatto; è stata una mia scelta, me ne prendo la responsabilità.
Poggia una mano sulla spalla di Zuko –Dopo così tanti anni, sono di nuovo qui… e, lo sai? Credo che, allo stato attuale delle cose, valga la pena rimanerci. L’onore! L’onore può anche sparire per sempre.
Dalla sua bocca esce fuori un’ultima frase, lapidaria, come se non esistesse più nessun altra al mondo -Io, in questi casi, suggerisco l’idea di morire giovani il più tardi possibile.
Sa che non è più lui a parlare. E’ Lu Ten e tutti i soldati sepolti in questa città strana, che a volte assume le sembianze della sua rovina e, altre ancora, della sua rinascita.
Iroh vuole restare, questa volta. Vuole vivere.
Zuko continua a guardarlo, nei suoi occhi si è spenta quella sicurezza ferma che prima li faceva brillare.
Dura un attimo: si scrolla un po’ le spalle, scuote la testa come per scacciare via un pensiero molesto –Vado in bagno- dice solo, con la voce improvvisamente scossa da un tremito di incertezza.


Se alzava gli occhi e rimaneva a fissare l’orizzonte, dell’accampamento e della città sarebbe riuscito a vedere solo un puntolino in mezzo all’infinito.
E’ tutto finito, si disse, dalla bocca gli uscì solo un sospiro flebile.
In realtà, non si sentiva né troppo sollevato, né troppo triste. Era semplicemente lontano da Ba Sing Se, e questo gli bastava.

-Ma noi… noi non possiamo ritirarci! Lo sapete che il Signore del fuoco non tollererà tutto questo, vero? Siete un generale… voi sapete meglio di me che non si può abbandonare la postazione nel bel mezzo di un assedio. E’ una mossa disonorevole!
Il tenente Zhao era giovane, probabilmente era arrivato in quella città da pochi giorni, aveva visto troppe poche battaglie. Ecco perché non riusciva a capire per quale motivo lui avesse compiuto quella scelta.
-Puoi rimanere qui, se vuoi. Per quanto mi riguarda, siamo tutti liberi di andarcene o di restare
.

Si scrollò le spalle, come se questo fosse potuto servire per cancellare l’ultima reminiscenza che ha di quella città maledetta.
A Ba sing Se non sarebbe morto più nessuno.


Zuko dorme, la luce della luna filtra appena dalle tapparelle.
Non fa più così caldo.
Iroh si avvicina al suo letto, vede il suo petto muoversi ritmicamente su e giù; dalla sua bocca esce un mormorio rauco, ma inaspettatamente gradevole da sentire.
Sorride.
Non hanno più parlato della precedente discussione. Sono usciti, hanno lavorato per tutto il giorno nella loro “casa del tè”, più preoccupati a servire i clienti che loro stessi, e poi sono tornati a casa.
Non ne hanno fatto più menzione neanche sulla via del ritorno, come se non avessero avuto più nulla da dirsi.
Iroh si affaccia dalla finestra: si sente il frinire delle cicale ma, a parte questo, tutto tace, immobile.
Ba Sing Se è una città in pace.
Sa che non è davvero così, ma l’importante è che lui la veda in questo modo: non martoriata dagli assedi, non circondata da cadaveri freddi.
Si alza il vento, sente la sua presenza entrare nella stanza.
E ad un tratto, sente il borboglio confuso di una voce impastata, di cui non riesce ad udire le parole. Si volta verso suo nipote –Hai detto qualcosa, figliolo?
Sulle prime, Zuko non risponde; si rigira nel letto, come se non fosse accaduto niente.
Quando dorme e i suoi lineamenti si distendono in una posizione serena, somiglia a suo figlio Lu Ten, prima che si arruolasse per andare a combattere a Ba Sing Se.
Ad Iroh piace pensare che non sia una coincidenza.
-Non voglio più andarmene. Voglio restare.
Suo nipote si è rigirato un’altra volta, ma non è più importante: questa volta, ha capito cosa ha detto.

 

 

 




NOTE:
La canzone cantata all’inizio Iroh è la stessa di in una puntata del secondo libro, “I racconti di Ba Sing Se”. In quel contesto, la cantava durante il compleanno del figlio Lu Ten, una delle scene, a mio parere, più commuoventi per quanto concerne questo personaggio.
La comparsata dell’ammiraglio Zhao (nella storia è un tenente perché ho ipotizzato che, essendosi svolto l’assedio di Ba Sing Se molti anni prima, rivestisse un ruolo più basso) è un semplice omaggio a questo personaggio un pochino bistrattato: non so se lui avesse in qualche modo preso parte all’assedio, ma, facendo un raffronto con l’età, la cosa è più che plausibile.
Ringrazio chi ha letto questa storia :)
A presto,
Cosmopolita

   
 
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