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Autore: Kanako91    20/06/2015    7 recensioni
Quando Eärendil ed Elwing arrivano ad Aman con una richiesta d’aiuto da parte dei popoli della Terra di Mezzo, Eönwë guida l’Esercito dell'Ovest, composto da Vanyar, i Noldor rimasti e Maiar, oltre il Grande Mare.
Tra i Maiar partiti c’è chi non ha mai capito davvero cosa abbia spinto a tanto gli Esiliati, ma non li hanno dimenticati e alcuni di coloro che hanno raggiunto la Terra di Mezzo hanno tutte le intenzioni di sapere cosa è successo in quegli anni e di liberarli dal giogo di Melkor.
Peccato che le ragioni degli Esiliati siano più complicate di così.
Genere: Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Eönwë, Maiar, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tempi di Alberi, di Fiori e di Frutti'
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Piccolo dizionario per gli Amici dei Sindar:
Adanedhel: “Uomo Elfo”, ossia Turin (okay, questo è Sindarin)
Angamando: Angband
Arafinwë: Finarfin
Artaher: Orodreth
Curufinwë: Curufin
Findaráto: Finrod
Írissë: Aredhel
Melyanna: Melian
Tyelkormo: Celegorm



Sulla soglia della notte



I. E i monti risuonavano al suo passo




Ovest del Beleriand – Anno 545 della Prima Era


I cadaveri erano ovunque. Di Orchi, di Secondogeniti, di Primogeniti, la morte non aveva risparmiato nessuno di loro, né i corvi mostravano loro pietà.

Niel gracchiò a un corvo di togliersi e girò sulla schiena il corpo a cui la bestia stava cercando di mangiare una guancia. Era un Primogenito, dai capelli argentei, ma non era lui. Era un bene che non lo stesse trovando, no? Anche se Niel aveva sentito voci su di lui che lo davano per morto, sperava che non fossero vere e che lui stesse combattendo da qualche parte per tener fede al suo giuramento. La sua speranza era tutta fondata sulle domande a cui nessuno dei Maiar di Námo aveva dato una risposta. E Vairë si era rifiutata di farle dare un'occhiata agli arazzi di Míriel Serindë.

Non è per i tuoi occhi, Nielíqui, non ora, erano state le parole di Vairë.

Si levò un canto molti piedi più in là e Niel riconobbe quella voce. Corse verso Pallando, saltellando tra i corpi, senza guardarli. Non potevano seppellirli tutti. Eönwë era stato chiaro la prima volta, quando aveva zittito i canti della Gente di Yavanna e aveva impedito loro di chiedere alla terra di aprirsi e coprire i cadaveri.

Quanto più marceremo verso Nord, più saranno i corpi sulla nostra strada, aveva gridato Eönwë in valarin. Intendete fermarvi a seppellire ogni singolo figlio di Ilúvatar? Siamo venuti qui a occuparci dei morti o a salvare chi é ancora in vita?

Ma ora il canto di Pallando non era per un morto. C'era qualcuno ancora in vita in quel campo di cadaveri.

Niel si fermò di fianco a Pallando e, oltre alla sua spalla, vide una testa. Non era la luce di Telperion ad aver illuminato quei capelli, ma la luce di Laurelin.

Il Primogenito schiuse gli occhi, ma il suo sguardo non sembrava a fuoco. Pallando gli parlò in Quenya, il Primogenito mostrò i denti e Pallando provò con l’Eldarin Comune.

«Chi sei, a quale stirpe appartieni?»

«Doriath» sussurrò il Primogenito, in una lingua simile, e Niel si accovacciò di fianco a Pallando. Accarezzò la fronte dell'Elda e lasciò che fossero i suoi pensieri a parlare per lui.

Cercò il Doriath nei suoi ricordi e vide un periodo di cui si era solo sussurrato ad Aman. In quei ricordi, un Primogenito dai capelli biondo argentato ordinava a suo figlio, questo Elda davanti a lei, di prendere il necessario e fuggire.

Il Primogenito gemette e Pallando posò una mano su quella di Niel.

«Lascialo riposare» le disse. «Non obbligarlo a rivivere ricordi dolorosi per rispondere alle tue domande».

Niel tirò indietro la mano e Pallando riprese a cantare, passando le dita là dove l'armatura era sporca di sangue, o dove non c'erano segni ma le cure di Pallando strapparono un rantolo al Primogenito.

«Questa è una truppa di Doriathrim» disse Pallando, gli occhi chiusi.

«Sembrano tutti così giovani».

«Per noi lo sono di certo, lo saranno sempre. Ma questo ha visto sorgere Isil e Anar che era un bambino».

Niel guardò il Primogenito, che ora dormiva tra le braccia di Pallando.

Una folata di vento e dei passi ferrati si fermarono appena fuori la radura.

«Ho dato degli ordini».

Niel posò una mano sul braccio di Pallando e gli fece segno di mettersi in piedi. Eönwë li guardò levarsi e strinse gli occhi dorati nella loro direzione. Alle sue spalle, c’erano alcuni della Gente di Manwë, con i loro elmi alati e mantelli azzurri, e una truppa di Vanyar, le cui teste arrivavano appena al petto dei Maiar. E, a giudicare dai suoni e dagli scrichiolii metallici, il resto dell'esercito doveva essere dietro di lui tra gli alberi.

«Non ci hai forse detto di salvare i vivi?» disse Niel e indicò il Primogenito tra le braccia di Pallando. «Questo è vivo, è nato e cresciuto in queste terre. Dobbiamo lasciarlo marcire tra i cadaveri, alla mercé dei corvi o della prossima banda di Orchi?»

«Eru sia misericordioso con voi Cacciatori, perché io trovo difficile esserlo» borbottò Eönwë.

Pallando mosse verso le truppe alle spalle di Eönwë e, dal gruppo, si staccarono due Vanyar guaritori, con le loro borse e la loro armatura leggera.

Niel richiamò gli altri Cacciatori e alcuni di loro giunsero con feriti tra le braccia, tenuti come bambini addormentati. Ne contò almeno una dozzina e, con ogni ferito che arrivava, l'espressione sul viso di Eönwë peggiorava. Niel lo raggiunse, le mani sui pugnali alla cintura, e si piantò davanti a lui.

«Questo non è che un piccolo gruppo di Cacciatori, il resto è avanti, a fare il lavoro di avanguardia che ci è stato affidato. Non possiamo, però, ignorare i corpi dei Figli di Ilúvatar che troviamo durante le nostre esplorazioni».

«Non vi sto dicendo di ignorarli» disse Eönwë e la guardò dritta negli occhi. «Vi sto dicendo di fare il vostro lavoro di avanguardia e di lasciare che sia la Gente di Yavanna a trovare e occuparsi dei feriti. Anche perché tu non ti stai occupando dei feriti, stai rigirando ogni cadavere alla ricerca di non so chi. Fa la differenza se è morto uno sconosciuto o qualcuno che avete già visto? Sono tutti uguali per me, tutti morti, e lo saranno anche i soldati degli eserciti davanti a noi se ci fermiamo a identificare ogni morto. Lasciateli alle onde di Ulmo, niente proteggerà i loro corpi meglio di un tumulo d'acqua».

Eönwë non le diede la possibilità di dire altro: ordinò ai guaritori di assicurarsi dei feriti e alle truppe di rimettersi in marcia, le diede le spalle e se ne andò in testa all'esercito, accompagnato dagli squilli delle trombe della Gente di Manwë.

Taurondo, Sundiel e Alatar corsero verso di lei, le lance in mano grondanti di sangue.

«Più avanti c’era una cinquantina di Orchi accampati e intenti a organizzare un’imboscata a nostre spese» disse Sunda e ghignò. «Li abbiamo uccisi».

Niel le sorrise. «Ora Eönwë crederà che stiamo trascurando i vivi».

Tauro annuì. «Ne abbiamo tenuti un paio da interrogare, nella speranza abbiano informazioni sugli eserciti di Angamando».

Niel diede ordine a Sunda di avvisare Eönwë, a Tauro di procedere con l'interrogatorio. Alatar rimase con lei e, insieme, si diressero verso i guaritori Vanyarin.

«Lo hai trovato?» le chiese, camminando al suo fianco.

«Abbiamo trovato sopravvissuti del Doriath. Potrebbe alleviare le pene di Melyanna sapere che non sono tutti morti con la sua fuga». Per quanto Melyanna si fosse ritirata nelle Aule di Nienna, Vána era sempre in pena per lei e talvolta era a Niel che chiedeva compagnia nelle sue visite. Perché Melyanna non fosse nei Giardini di Lórien era qualcosa che le sfuggiva.

«Ma quanti ne son morti oggi» disse Alatar, lanciando uno sguardo alle loro spalle, verso il campo di battaglia. «E quanti ne moriranno. È abbastanza da voler fuggire fuori dalle Cerchie del Mondo».

«Ahimè, alleviare è la parola che ho usato, non cancellare. Le sue pene non saranno cancellate in questa Arda». Quel che Niel sperava era che parlare con uno di quei superstiti alleviasse anche le sue.



Quanto più l’Esercito dell’Ovest avanzò in territorio nemico, più i Maiar rimasero all’esterno dell’esercito mentre i Primogeniti liberavano i villaggi di Atani sotto il controllo degli Uomini Scuri. Acquisire guide dei Secondogeniti si rivelò utile per organizzare meglio l’avanzata. C’erano zone in cui la terra stessa era così corrotta, che inviare le truppe Vanyarin e Noldorin avrebbe voluto dire gravi perdite, ed era lì che Eönwë impegnò i Maiar.

Alle loro spalle, il mare avanzava, lento e inesorabile.

«Credevo che aveste liberato questi territori, durante le vostre cacce» disse Eönwë, inarcando le sopracciglia.

Niel scrollò le spalle. «C’è troppo da fare a Est e, quando sono giunti qui gli Esiliati, il divieto di aiutarli ci ha impedito di aver cura di queste terre. Liberarle dalle creature di Melkor avrebbe voluto dire rendere più facile la loro cerca».

Arafinwë si schiarì la gola e guardò Eönwë, che gli fece cenno di parlare.

«Queste creature sono molto disorganizzate, dubito abbiano piani precisi per affrontarci. Gli Uomini Scuri stessi si ritrovano senza piani di difesa al nostro arrivo».

E Arafinwë badava bene a non ucciderli se non necessario. La cosa faceva ingrossare le fila dell'esercito di Angamando, gli diceva Eönwë, ma alla fine lui non faceva nulla per impedirglielo. A parte mandare loro Cacciatori a inseguire ed eliminare i fuggiaschi.

A Niel andava bene quel modo di agire, comprendeva la volontà di Eönwë di non obbligare Arafinwë a compiere azioni contro la sua morale e capiva anche la necessità di limitare le voci sul loro arrivo. Ma Niel trovava poco probabile che Melkor non fosse già a conoscenza delle loro mosse, con il vallo di acqua che aveva creato Ulmo, a separare l'Ossiriand dal Beleriand. Queste vite che stava lasciando alla loro mercé erano un prezzo ridicolo da pagare per qualsiasi cosa Melkor stesse organizzando. Ed Eönwë sapeva tutto ciò meglio di lei.

«Vedi giusto, Ñoldóran» disse Eönwë. «Ma non possiamo sperare che la situazione resti tale molto a lungo».

Ingwë si riavvicinò al tavolo, rimbalzando in aria una figurina in legno che rappresentava un Orco, l'altra mano dietro la schiena. «Potremmo provare un’altra tattica» disse e si fermò di fianco a Niel, gli occhi rivolti a Eönwë. «Attirare i servi di Melkor in un luogo che voi possiate manipolare per distruggerli insieme».

«Ingaran, tu confidi che lascino indietro i loro schiavi» disse Arafinwë.

Ingwë si strinse nelle spalle. «Sarebbero un peso morto».

Niel lo guardò con rammarico. «I pesi morti si tagliano, Ingaran. Chiunque fosse loro prigioniero, morirebbe prima che potessimo far nulla».

Un’espressione terrorizzata si dipinse sul volto luminoso di Ingwë. Aveva pur visto degli orrori, ai tempi del Cuiviénen e della Grande Marcia, ma non aveva avuto a che fare con questo tipo di orrori. Non si trattava di creature che colpivano a caso, si trattava di creature con un intelletto che non mettevano il solo istinto di sopravvivenza davanti a tutto.

«Ci deve essere un altro modo» disse Ingwë.

«Dobbiamo liberarci dei Secondogeniti liberati e che non possono imbracciare le armi» aggiunse Eönwë. «Bisogna costruire rifugi a Sud e c'è bisogno di qualcuno che si occupi di portare i Secondogeniti in questi rifugi».

Niel rivolse lo sguardo a Lindórnë e lei annuì.

«Lindórnë e gli altri della Gente di Yavanna hanno riportato più volte l'assenza di vegetazione e bestie vive lungo il cammino che abbiamo davanti» disse Niel. «Presto il loro aiuto arriverà al termine».

«La nostra utilità si fermerà a scavare fosse per i morti, ma tu non vuoi che lo facciamo» intervenne Lindórnë e sollevò gli occhi al cielo.

Eönwë inarcò le sopracciglia e le fece segno di proseguire. Non avrebbe fatto concessioni a riguardo, Niel non era sorpresa. Dopotutto, indossava ancora l'armatura, mentre gli altri ufficiali erano in abiti da riposo, cosa ci si poteva aspettare da una persona del genere?

«Propongo di mandare i miei a Sud con i feriti e i fuggiaschi, costruire rifugi per loro» proseguì Lindórnë, senza dar segno di turbamento per i modi di Eönwë. «Potranno richiamare i Teleri, chieder loro di risalire i fiumi e aiutarci dalle loro navi. I Teleri hanno promesso di non mettere piede a terra, non di restare nelle acque del mare. Io rimarrò qui con la Gente di Aulë, come promesso alla mia Signora».

«Alcuni dei feriti saranno loro distanti parenti, i Teleri saranno felici di aiutarli. Non fanno che cantare su di loro» disse Eönwë, con una smorfia. Voleva essere un sorriso o era infastidito?

«Posso assicurarvi che sarà così» disse Arafinwë. «Inoltre, nel Doriath sono stati cortesi con i miei figli: i sudditi di Elwë Singollo avranno gli stessi onori. Posso scrivere una lettera da portare a Sud».

Lindórnë sorrise ad Arafinwë. «Ti ringrazio, Ñoldóran».

Eönwë agitò una mano e riprese carta, penna e calamaio dallo scrittoio. «La seduta è tolta. Occupatevi della partenza per il Sud, domattina ci ritroviamo per decidere il cammino verso Nord».



Niel entrò nella tenda dei guaritori, le brande per metà vuote ora che molti dei feriti erano in piedi e intenti a socializzare con gli altri soldati. Una guaritrice Vanyarin era intenta a cantare a bassa voce, mentre pestava erbe e semi in un mortaio, in piedi vicino al letto del ferito più grave che avevano. Era un Primogenito, bruciato dal fuoco dei draghi e non era il primo che incontravano. Peccato che non fossero mai arrivati in tempo per prendere almeno uno di quei Vermi. C’erano Cacciatori che fremevano dalla voglia di averne uno tra le mani.

Alatar era uno di questi e aveva interrogato ogni sopravvissuto. E ora era dal lato opposto del letto rispetto alla guaritrice, poggiato contro la brandina vuota dietro di lui.

«Contribuisce a rinfrescare la ferita e stimola la carne a ricomporsi» stava spiegando la guaritrice.

«È incredibile come sia ancora vivo» disse Alatar. «L'armatura era fusa, aveva parti della cotta fissate nella pelle».

«Ma è incosciente. Finché rimarrà così, non me la sento di dichiararlo lontano dalle Aule di Mandos».

Niel si fermò ai piedi del letto e i due le rivolsero un cenno del capo. «Da dove proviene questo?»

«È uno degli Esiliati» disse Alatar.

La guaritrice scosse le spalle. «Un figlio di Esiliati».

«Altri di loro hanno avuto a che fare con draghi» proseguì Alatar, «ho raccolto notizie di un regno, il Nargothrond, distrutto dalla follia di un Secondogenito e da uno di quei Vermi».

«La caduta del Nargothrond è cominciata ben prima dell'arrivo dell'Adanedhel e del Grande Verme» disse una voce dal letto alle spalle della guaritrice.

Niel si spostò ai piedi dell'altro letto, dove un Primogenito – un Noldo a giudicare dai capelli scuri e la corporatura massiccia –, giaceva con un braccio bloccato da due placche di legno e una benda intorno alle spalla e alla testa, a coprire l'occhio sinistro.

«Ci siamo salvati solo perché di pattuglia ai confini» proseguì il Primogenito, lo sguardo rivolto a Niel. «Il nostro capitano ci ha dato ordine di andare ad avvisare i villaggi di Atani fuori dal nostro territorio, ma era stata una scusa per tenerci lontani». Lacrime bagnarono le guance del Primogenito, acqua mista a sangue sul lato sinistro. «Non c'erano più quei villaggi. Erano stati bruciati prima dell'arrivo del Grande Verme nel nostro regno. Il capitano lo sapeva e il capitano è stato l'unico a rientrare a palazzo».

Il petto del Primogenito fu scosso da un singhiozzo e Niel gli posò una mano sulla gamba sotto le coperte. Il dolore rifluì in lei, con i ricordi del Grande Verme, Glaurung, e della sua avanzata tra gli alberi, che aveva lasciato un grosso squarcio nero e fetido nella foresta. Le porte del regno nascosto del Nargothrond erano state strappate dalla roccia, le pareti stesse distrutte per lasciar passare il Grande Verme e gli Orchi al suo seguito. La fuga tra gli alberi, mentre l'odore di legno e carne bruciata si imprimeva nella memoria di questo Elda.

Niel cantò una nenia per placare le bestie feroci, nella speranza di calmare anche il cuore del Primogenito in lacrime. Lo sentì rilassarsi, i ricordi tornare indietro di secoli, ai tempi di un giovane re con cattivi consiglieri e il grande Re Findaráto Ingoldo in partenza, da solo, per mantenere un’antica promessa fatta a un Secondogenito.

Aveva sentito quella storia, nello stesso lai che le aveva raccontato della morte di Huan. Il lai di Leithian li aveva accompagnati in ogni sosta fuori dai territori di Melkor e li accompagnava durante il cammino, cantato dai Secondogeniti, così orgogliosi delle gesta che uno di loro aveva compiuto per un amore impossibile, così commossi dalle scelte della più bella di tutto il Popolo delle Stelle, dal suo sacrificio per rendere quell'amore possibile.

Alatar comparve dall'altra parte del letto e la guardò.

«Quando è cominciata la caduta del Nargothrond?» chiese Niel al Primogenito. Doveva sapere. Doveva avere la conferma di chi erano i cattivi consiglieri che aveva visto nell'ombra del trono di Artaher. Aveva sentito voci, aveva sentito racconti, aveva sentito il lai, eppure voleva vederlo con gli occhi di qualcuno che aveva vissuto lì.

«Quando Findaráto Ingoldo ha lasciato il trono e i suoi cugini hanno iniziato a tramare contro di lui» disse il Primogenito. «Non è iniziata nel fuoco e nelle fiamme la caduta del nostro regno, ma da menti oscure e chiome argentate». Nella mente del Primogenito apparvero visi inconfondibili, visti da lontano e tra la folla. Curufinwë e Tyelkormo erano ai lati del trono di Artaher, vestiti come i principi che erano, con più arroganza di quanto fosse lecito.

Niel allontanò di scatto la mano dalla gamba del Primogenito. Quel viso, quella luce crudele, non potevano appartenere allo stesso Tyelko che aveva conosciuto nei boschi di Oromë, quell'espressione portava i segni dell'influenza di Melkor e fu così difficile cancellarla dalla mente. Quello non era il Tyelko con cui aveva cacciato alla luce lontana di Telperion, con cui aveva riso e cantato intorno ai fuochi, col vino in mano, la carne sul fuoco e il suono dei tamburi della sua Gente che li faceva ballare.

La guaritrice aveva ripreso a cantare, spalmando sulle ustioni dell'altro Primogenito la poltiglia che aveva preparato.

«Ora riposa» disse Alatar e posò una mano sugli occhi del Primogenito.

Niel registrò i movimenti di Alatar, il rimboccare le coperte, l’allontanare i capelli dalla fronte, ma non riuscì a fermare le parole del Primogenito, che risuonavano nella sua testa come una maledizione.

Non aveva mai dubitato che Huan avesse abbandonato il suo padrone di sempre per ottime ragioni. La terribile morte di Írissë e Huan erano l'unica certezza che aveva in tutto questo intreccio di racconti. Ma era possibile che Tyelko, il gentile e affettuoso Tyelko, l'instancabile cacciatore, il pupillo del suo signore Oromë, fosse caduto così in basso?

Quel giuramento lo aveva ridotto all’ombra di se stesso, ma Niel non era certa di essere felice della sorte che gli era capitata. L’idea che fosse morto senza pentirsi le torceva lo stomaco. Avrebbe voluto condurlo davanti ai Valar a chiedere perdono in ginocchio, avrebbe voluto che la sua risata tornasse a risuonare nei boschi di Aman.

Niel indietreggiò dal letto, si voltò e uscì dalla tenda, non uno sguardo per i letti vuoti.

Oromë aveva visto meglio di lei a cosa avrebbe portato quel giuramento. Le aveva detto di desistere, di non cercare di sapere di preciso cosa fosse successo al suo pupillo. Che non le sarebbe piaciuto sapere la verità.

Tyelkormo Turcafinwë ha smesso di essere Amico di Oromë quando ha rifiutato tutti i Valar, le aveva detto. Alla fine, lo stesso Huan, che lo ha seguito oltre il Grande Mare, lo ha abbandonato. Dovresti abbandonarlo anche tu. Non riavremo più il nostro amico, Nielíqui. Il nostro amico è morto quando ha giurato contro di noi.

La risposta di Niel era stata una sola: È colpa di Melkor. Se lui non avesse avvelenato la mente di suo padre, Tyelko sarebbe ancora qui.

E la sua risposta era stata sempre quella, e quella era stata la risposta degli altri Cacciatori durante le battute di caccia nell'Est.

Perché, a Est, Uomini e Avari non sono riusciti a convivere? È colpa di Melkor.

Perché Huan era morto? Perché Írissë, la loro fanciulla vestita di bianco, aveva fatto quella fine? È colpa di Melkor.

E fu quella anche ora, mentre i dubbi la tormentavano.

Se ci fosse sempre stato, in Tyelko, il seme della ribellione? Se insegnargli i segreti della caccia fosse stato uno sbaglio? Se coccolarlo e favorirlo lo avesse reso troppo arrogante? È colpa di Melkor.

È colpa di Melkor.

È colpa di Melkor.

Ma c’era modo di salvare le vittime di Melkor, Niel aveva questa speranza.






Nota dell'autrice


Okay, ecco la cosaccia. O almeno, la prima parte. Sono stata costretta a dividerla per non infliggervi una mostruosità di ottomila parole.

Poi vabbè, credo di aver rotto le scatole a mezzo mondo con la mia ansia e con le mie riflessioni senza senso (alcune si capiranno nella seconda parte lol).
Devo assolutamente ringraziare chi mi ha assistita in vari modi:
Chià e non c’è bisogno di dire altro, se non che il titolo di questa storia avrebbe potuto essere "Eönwë ha una scopa dove non gli batte il sole". E le ricerche e le discussioni assurde su dettagli che nessuno noterà sono sempre il top!
Melianar e tyelemmaiwe per l’assistenza con i nomi dei Maiar (ora potete vedere che uso ne ho fatto XD)
Feanoriel che mi ha coinvolta (senza volerlo?) nell’headcanon di Tyelko dai capelli argentati (ha preso dalla nonna, il tesoro)
E leila91 per il brainstorming che abbiamo fatto insieme e che mi ha portato a trovare un titolo dopo ore di capelli strappati.

Per finire, ho degli appunti che mi sono segnata durante la “lavorazione”:

  • Pallando chiede in Eldarin perché non sa il Sindarin. Voglio dire, sono arrivati da poco nella Terra di Mezzo e Pallando quello aveva imparato nei viaggi precedenti. Mi pare anche che tutti i Sindar fossero ormai a sud, verso il Sirion e nell’Ossiriand, perciò non avrebbero avuto molte possibilità di imparare il Sindarin.
    Alla fine, il Sindarin deriva dall’Eldarin Comune che, se non erro, era comunque parlato nel Beleriand al di fuori dei grandi "gruppi linguistici"?
  • Non mi pare ci sia nessuna conferma nel canon, ma mi piace pensare che gli scorrazzamenti di Aredhel con i cugini l’avessero portata spesso e volentieri tra la Gente di Oromë.
  • Ho usato il nome di “Gente di [nome Valar]” per riferirmi ai Maiar al servizio dei vari Valar giusto per dare un po’ di ordine alla cosa, perché non sono riuscita a trovare un nome univoco per indicare le “schiere” di ogni Vala.
    E, in particolare, per la Gente di Oromë uso anche “Cacciatori” per indicare per lo più chi caccia con lui in forma “antropomorfa”, perché l’esistenza di Huan mi ha dato questa idea che ci potrebbero essere Maiar che assumono forme animali (o magari sono creature di Yavanna che possono esistere solo in Aman, come se fossero la forma “base” per le versioni più piccole presenti nella Terra di Mezzo? Mi sembra di star vaneggiando).
  • Nieliqui: nel Book of Lost Tales è la figlia di Oromë e Vána, ma l’idea dei Figli dei Valar è poi stata scartata da Tolkien (lasciando un po’ di basi per creare nuovi Maiar, direi). Così, come è stato fatto per Eönwë e Ilmarë, che sono stati trasformati nell’araldo di Manwë e l’ancella di Varda, Nieliqui è diventata l’Araldo di Oromë (e Vána). Non potevo non sfruttare un personaggio abbandonato del legendarium!
  • Considerando che nell’unica comparsa parlante Eönwë dice cose più adatte all’epica che alla vita di tutti i giorni, ho dovuto ricamare su di lui. Gli elementi che abbiamo sono il suo ruolo e la sua abilità con le armi, il risultato è stato automatico. Ma lo conoscerete meglio nella seconda parte.

Ci sono un sacco di altri dettagli che voglio commentare, ma mi sa che risponderò nei commenti così sono più on point e qua non diventano altre ventordici parole di nota.

Ho la sensazione di essermi presa troppe libertà, per quando sia andata in territori inesplorati (“eh non ci sono racconti dell’epoca, nessuno degli elfi della terra di mezzo ha partecipato e hanno saputo cos’è successo solo una volta tornati al di là del mare” - da un lato lo odio, dall’altro lo amo perché ha lasciato spazio per il lavoro di ricamo che amo fare).
Ciò non toglie che sia preoccupata. Credo di esser stata coerente con il mio modo di scrivere i personaggi e le situazioni, ma il mio terrore è che il mio modo non sia adatto a questo tipo di storia.
Solo che mi rifiuto di scrivere roba epica, non stimola la mia creatività, non mi dice niente e non fa per me.

Be', a questo punto non mi resta che dire a lunedì o, al massimo, martedì con la seconda e ultima parte.

Kan


   
 
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