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Autore: Life In Fangirling Motion    20/06/2015    5 recensioni
Dal testo: "“Il Carro di Apollo” rimuginò tra se e se, ripescando e spolverando le basiche nozioni di mitologia greca, dai più reconditi meandri del suo cervello.
In quel momento avrebbe abbandonato senza alcun ripensamento la lussuosa macchina che lo portava da migliaia di fans adoranti, se il figlio di Zeus avesse trainato i suoi cavalli alati a terra e gli avesse offerto un passaggio fino all'altro capo del mondo. Era esattamente lì che sarebbe voluto essere in quell'istante."
***
La distanza è sempre stata una fedele compagna della relazione tra Mika e Andy, ma ci sono momenti in cui essa pesa più che mai e l'unico punto di collegamento, a chilometri di distanza l'uno dall'altro, è il sole.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve bella gente!
Era da un po' che non ci si sentiva, eh?
Quasi quasi non ci credo nemmeno io, ma eccomi tornata con una nuova OS su Penniman e il suo “compañero”. Ultimamente mi stanno ispirando tante cose un po' zuccherose e il “moi et Andy” detto l'altro giorno a Le Divan, ha contribuito pesantemente a questo mio mood.
Quindi beccatevi un po' di fluff gratuito, che a dirla tutta non fa mai male! ;)

Ps. Non ho una beta, quindi, in mezzo a tutto il resto, probabilmente vi beccherete anche qualche bell'errore imbarazzante. Non esitate a farmelo notare. E' una vostra responsabilità adesso uwu




 

Staring at the sun


 

Seoul

 

Il sole stava calando.
Era ancora visibilmente alto nel cielo ma, osservandolo con sguardo vacuo oltre il finestrino, Mika si rese conto che di lì a poco il carro di Apollo avrebbe iniziato a giocare a nascondino con gli imponenti grattaceli, allungandone le ombre spigolose su tutta la capitale Coreana. Sul vuoto sedile posteriore della limousine nera, diretta verso l'Olympic Park, il cantante lasciò vagare la mente, continuando a fissare il cielo.
“Il Carro di Apollo” rimuginò tra sé e sé, ripescando e spolverando le basiche nozioni di mitologia greca dai più reconditi meandri del suo cervello. In quel momento avrebbe abbandonato senza alcun ripensamento la lussuosa macchina che lo portava da migliaia di fans adoranti, se il figlio di Zeus avesse trainato i suoi cavalli alati a terra e gli avesse offerto un passaggio fino all'altro capo del mondo. Era esattamente lì che sarebbe voluto essere in quell'istante.
Allungò la mano, come per raggiungere e toccare la stella infuocata che ardeva a milioni di chilometri di distanza; nessuna importanza se si fosse bruciato. Ma, invece dell'ustionante calore del sole, percepì sotto i polpastrelli solo il fresco asettico del vetro che impediva alla sua mano di allontanarsi oltre.
In un secondo, si sentì aggravare sulle spalle tutti i suoi anni e anche una decina di più: era esausto. Si trovava in viaggio per il suo tour da settimane ormai e ora, con il pensiero rivolto all'estremo opposto del pianeta e l'impossibilità di raggiungerlo, sembrava che tutta la stanchezza accumulata gli pesasse irrimediabilmente sulle membra. Trattenendo a stento uno sbadiglio, distolse lo sguardo dal cielo serale acceso da lievi sfumature arancioni e lo posò sullo schermo luminoso del telefono.
Nessun messaggio.
Sbuffò sonoramente, rimise il telefono in tasca e, con il dorso della mano, si strofinò gli occhi stanchi.
L'autista, pensando ad un verso di insofferenza ed impazienza nei confronti suoi e del fitto traffico, distolse per un istante le iridi scure dalla strada, avvisando cortesemente il passeggero alle sue spalle della loro posizione per tranquillizzarlo.
<< Siamo quasi arrivati, signore. Ancora pochi minuti. >>
Mika, risvegliato bruscamente dai suoi pensieri, ci mise qualche secondo per ricollegarsi alla realtà e balbettare confusamente una risposta.
<< Cosa? Ah, sì sì.. grazie. >>
Poi, come attratto da una forza sovrannaturale, tornò a puntare lo sguardo fuori dal finestrino, sul corpo celeste ormai nascosto per un quarto da un palazzo alto parecchi piani. Il contrasto tra l'azzurro del cielo, il rosa pesca delle nuvole e il fiammeggiante oro fuso del sole lo fece sospirare pesantemente, portandogli alla mente l'immagine di un dolce volto sorridente che non vedeva ormai da quasi un mese. Immaginò che, a distanza di chilometri, il proprietario di quel sorriso sollevasse lo sguardo color cobalto, puntandolo sullo stesso luminescente astro che Mika osservava con ammirazione ormai da alcuni minuti.
L'uomo al volante scorse attraverso lo specchietto retrovisore la figura esile del cantante, rannicchiato su sé stesso sul sedile posteriore, e i suoi piccoli occhi a mandorla sorrisero. Vide nello sguardo distante del libanese un velo di malinconia e capì che il lieve ritardo per il concerto non l'aveva minimamente scalfito. Nei suoi occhi nocciola, screziati di verde e oro, si poteva leggere la grande nostalgia di Casa, con la “c” maiuscola, e di tutte le persone che la rendevano tale.

 

Mentre il sole, ormai visibile solo per metà, continuava la sua irrefrenabile discesa sull'orizzonte Coreano, la lucente Lincoln nera arrivò a destinazione.
Mika sentì il boato dei suoi fans prima ancora di riuscire a vederli. Nonostante due omoni grandi e grossi in abito scuro tenessero la folla a debita distanza dall'auto e coprissero in parte la visuale al cantante, quest'ultimo poté facilmente rendersi conto, osservando attraverso i finestrini oscurati, che c'erano centinaia di persone solo per lui. Migliaia, forse.
Si stupì per primo del sentimento di spossatezza ancora più profonda che gli pervase tutto il corpo a quella vista: solitamente sentiva le viscere contrarsi dall'eccitazione prima di un concerto. Fu felice che, oltre gli ingegnosi vetri oscurati solo da un lato, nessuno potesse vedere la sua espressione quasi sofferente.
Slacciò la cintura e, prima di scendere dall'auto, diede un'ultima occhiata al telefono; lo rimise tristemente in tasca con delusione e frustrazione, imprecando a denti stretti. Quando la portiera finalmente si aprì, alla folla esultante si presentò un Mika sorridente come sempre.
Il sole nel frattempo era scomparso ancora un po' e iniziava ormai a tingere il cielo di evanescenti venature rosso sangue.


 



 

L'ultimo accordo di chitarra gli continuava a vibrare nelle orecchie, percepiva ancora la tiepida carezza dei riflettori sulla pelle, sentiva con chiarezza il vociare del pubblico che lo acclamava, urlando il suo nome e applaudendo gioioso al grandioso concerto appena conclusosi. Eppure, tutto quello che Mika riusciva a pensare in quel momento, rifugiandosi dietro le quinte e togliendosi i fastidiosi auricolari dalle orecchie, era: “Non vedo l'ora di andarmene".
La testa gli martellava, aveva la gola in fiamme, le gambe cedevoli e, nonostante il sudore gli gocciolasse giù per la schiena incollandogli i vestiti al corpo e i capelli sulla fronte, sentiva dei brividi gelidi corrergli per tutta la spina dorsale. Forse era l'ipocondriaco dentro di lui a parlare, ma si annotò mentalmente di farsi visitare da un medico l'indomani mattina stesso, giusto per essere certo di non avere nulla.
Ignorando chiunque incrociasse al suo passaggio, il libanese s'infilò nel suo camerino, stravaccandosi sul divano in ecopelle appena la porta si fu richiusa alle sue spalle con un suono sordo.
Era stato un bel concerto, si ritrovò a pensare, aggiustandosi sul divano alla ricerca della posizione più comoda. Nonostante qualche sbavatura in alcuni brani, soprattutto nei nuovi, non era andata affatto male e anche il pubblico sembrava aver apprezzato. Ripensò allo sguardo estasiato e confuso delle prime file alla vista del palco sapientemente decorato e, al di là della stanchezza e dei dolori fisici, un sorriso soddisfatto gli incurvò leggermente le labbra. Si ripromise di fare dei sentiti complimenti a Yasmine, insieme avevano fatto un ottimo lavoro. Era stato da subito piuttosto fiero della scenografia colorata e allegra stile futurismo italiano degli anni 50, che ti costringeva a tenere gli occhi fissi sul palco e quasi ti ipnotizzava. Persino lui, durante la performance, si era ritrovato a fissare imbambolato lo sfondo alle sue spalle e a faticare per distogliere lo sguardo dall'enorme sole e dai raggi lilla che, fantasiosamente, illuminavano la sua immaginaria città colorata. Ne era rimasto rapito e, più lo guardava, più la sua mente faticava a restare ancorata a quel palcoscenico, tendendo a viaggiare: in pochi secondi era finito in una spiaggia bianca, con la brezza marina che lo accarezzava e due occhi color del cielo che gli sorridevano. A quel punto, bruscamente scaraventato di nuovo nella realtà, si era imposto di distogliere lo sguardo dalla scenografia e concentrarsi sul concerto. Ma, benché si sforzasse di non farsi distrarre e di fingere che il suo pensiero non fosse rivolto altrove, era ben consapevole di star cantando per quella persona che in quel momento gli mancava più di quanto fosse disposto ad ammettere a sé stesso.

 

 

 

 



 

 

Atene

 

Il sole del mattino si era già affacciato da un paio d'ore sulle millenarie terre greche, sollevandosi dal profondo oceano come se fosse stato sommerso lì sotto per tutta la notte, aspettando solo che l'alba lo richiamasse ad illuminare il mondo. I primi timidi raggi avevano scalato la parete immacolata di una accogliente casetta in cima ad un'altura, oltrepassando le sottili tende ricamate e andando a posarsi sul volto assopito di un giovane uomo dai capelli ramati.
Quando il fascio di luce crebbe di intensità, facendosi più luminoso, le palpebre del ragazzo si schiusero lentamente, rivelando due brillanti iridi azzurre. Un mezzo sorriso – complice anche il sogno da cui si era appena svegliato – troneggiava sul suo volto.
Era conscio di essere in netta minoranza rispetto all'opinione comune ma, sin da bambino, aveva sempre amato essere svegliato in quel modo, con i deboli raggi del sole che gli danzavano sulla pelle e gli davano il buongiorno. Lo faceva sentire completamente rilassato e in pace con il mondo.
C'era solo un altro risveglio che amava di più...
Istintivamente allungò la mano destra dall'altro lato del letto, cercando a tentoni il punto in cui le soffici coperte si sollevavano, rivelando sotto di esse la presenza di un corpo addormentato. Tutto quello che sentì sotto i polpastrelli, però, fu la morbidezza del materasso e il fresco della leggera trapunta, stirata e perfettamente intatta. Il sorriso gli morì sulle labbra e, abbandonando sul cuscino i vaghi ricordi del sogno che lo aveva riportato a casa, si alzò dal letto sospirando. Di lì a un'ora avrebbe avuto una riunione di lavoro ma, calcolando la distanza dal luogo dell'incontro e il poco traffico che probabilmente ci sarebbe stato, si permise di fare le cose con calma e di concedersi un attimo solo per sé stesso.
Raggiunse l'ampia finestra e la spalancò, godendosi il fresco venticello del mattino sulla pelle nuda, sapendo fin troppo bene che entro una mezz'ora al massimo il caldo appiccicoso tipico della stagione avrebbe iniziato a farsi sentire. Poggiando i gomiti sul davanzale, Andy lasciò vagare lo sguardo sulla vista che gli si parava davanti: dalla sua piccola e vecchia casetta, le cui mura lo avevano visto crescere per i primi anni della sua vita, aveva un posto d'onore per ammirare una delle città più antiche del mondo risvegliarsi per l'ennesima volta. Le strette stradine acciottolate del centro storico brulicavano già di decine di persone e, seppur coperta dai rumori delle navi, dell'oceano e dei gabbiani che giù al porto si avventavano sul pesce appena pescato, si sentiva in lontananza la cacofonia della città e del suo centro sempre attivo.
Il giovane osservò una piccola nave mollare gli ormeggi e scivolare sulla superficie del mare, allontanandosi lentamente. Provò una stretta allo stomaco, che riconobbe come invidia, nel vedere l'imbarcazione lasciare il porto, ma si costrinse ad ignorarla. Puntò allora lo sguardo verso il sole, ormai alto nel cielo, il cui riflesso si frammentava in mille piccole scaglie lucenti sulla piatta superficie del mare, lievemente increspata dalle onde.
Si chiese come sarebbe stato scrivere sulla crosta infuocata dell'astro celeste con lettere indecifrabili, rarefatte ed impalpabili. Sarebbero state incomprensibili per chiunque, tranne che per uno solo, il quale le avrebbe lette e riconosciute come destinate a sé, ma solamente una volta che sul mittente fosse calata la notte. E – così fantasticò il giovane greco, con lo sguardo perso – la mattina seguente l'alba si sarebbe presentata nuovamente da lui, con sopra incisa una risposta proveniente dall'altro capo del mondo, in quel momento assopito.
Fu con questi pensieri che, prima di voltarsi e prepararsi per il lavoro, Andy sussurrò un buongiorno al sole, confidando che esso lo avrebbe portato a giusta destinazione.

 

 


 


 

 

Londra

 

Il sole non c'era, era coperto dalle nuvole.
Un densa coltre di nubi dal poco promettente color antracite ricopriva tutto il cielo come una pesante coperta, minacciando di riversare sulla capitale inglese un acquazzone da un momento all'altro. Per le larghe strade affollate della city, infatti, gli abitanti abituati a quel clima piovoso camminavano di fretta, ombrello alla mano pronto ad ogni evenienza.
Dal tetto di un sofisticato palazzo vittoriano, due paia di occhi, così diversi eppure così complementari, guardavano assorti il poco invitante orizzonte scuro e carico di pioggia. Quello sembrò loro il panorama più bello mai visto.

Appena i loro sguardi si erano inaspettatamente incrociati sul desolato tetto della loro abitazione pochi minuti prima, una banale e grigia giornata di maltempo londinese si era trasformata, per i due giovani, in un tripudio di colori e suoni totalmente nuovi. Proprio nel momento in cui Andy, le mani poggiate al cornicione e lo sguardo spento e lattiginoso, si era voltato e aveva incontrato l'espressione sorpresa dipinta sul volto stanco di Mika, un raggio di sole si era faticosamente fatto varco tra le nuvole e aveva illuminato, come il riflettore di un teatro, le figure dei due innamorati. I colori si erano istantaneamente fatti più vivaci, i profumi più intensi e il calore del sole si era fatto più dolce e piacevole sulla pelle.
Per un secondo nessuno dei due aveva osato muoversi, quasi temessero che quella vista inattesa fosse solo un miraggio. Non si aspettavano di ritrovarsi faccia a faccia così presto: il cantante era stato costretto a cancellare a malincuore due date nel tour in Asia per aver sforzato troppo le corde vocali nelle precedenti serate; mentre Andy, accusando i fastidiosi sintomi di un raffreddore coi fiocchi, aveva deciso di posticipare alcuni impegni di lavoro e restare a casa. Tra fuso orario, aerei da prendere e questioni pratiche da sbrigare per aver abbandonato un paio di giorni il proprio impiego, entrambi avevano avuto troppo a cui pensare e troppo poco tempo per una telefonata.

In quell'istante però, nel tempo di quello sguardo che sembrava contemporaneamente infinito e infinitesimo, i due giovani avevano dimenticato il lavoro, la stanchezza, il dolore fisico e persino la lontananza che li aveva separati per così tanto.
Come attratti da una forza magnetica, la stessa che li aveva spinti a cercarsi a vicenda a chilometri di distanza, i due giovani uomini si erano avvicinati, perfettamente consapevoli dell'inutilità delle parole in quel frangente. Avrebbero avuto tutto il tempo del mondo per cercare di spiegarsi quella serie di coincidenze che li aveva fatti ritrovare insieme su quel tetto: nel posto giusto, al momento giusto.
Il libanese, avvantaggiato dalle lunghe gambe aggraziate, aveva raggiunto l'amante in poche falcate e, prendendogli il volto tra le mani, lo aveva baciato con tutta la dolcezza e passione che gli bruciavano nel petto ormai da settimane. Quel contatto aveva fatto provare ad entrambi migliaia di scariche elettriche lungo tutto il corpo, proprio sottopelle, sconquassando loro il cuore nel petto con la violenza di un terremoto.
Si erano allontanati diversi minuti dopo, lentamente, guardandosi l'un l'altro negli occhi con il fiato corto. Ed eccola lì, entrambi l'avevano vista risplendere nelle iridi della propria metà, quella luce che avevano inseguito così a lungo, più luminosa di mille soli splendenti.
Con il sorriso sulle labbra, il biondo era allora tornato ad ammirare la loro città – metropoli che li univa e che in quel momento sembrava più bella che mai – sospirando con felicità al sentire le lunghe braccia del suo uomo che lo stringevano da dietro e il suo mento poggiato sulla spalla, in un incastro perfetto e rassicurante.


 

Delle sporadiche gocce di pioggia iniziarono a precipitare dal cielo, come abbandonate a loro stesse fino al rovinoso impatto con l'asfalto. I due ragazzi, ancora stretti l'uno all'altro, percepirono le fresche lacrime arrivare sempre più di frequente sulle loro teste, gocciolare dai capelli e scivolare sugli occhi, sui loro nasi, sulle labbra e fin dentro i vestiti, infradiciandoli in pochi minuti. Ma, in quel momento, poco importava.
Il riccio sapeva che sarebbe dovuto tornare dentro, che quell'acquazzone non avrebbe fatto bene all'influenza del suo compagno, né tanto meno alla sua voce già compromessa, ma anche quel particolare passò in secondo piano. Rimasero lì, abbracciati sotto la pioggia senza dire una parola, godendosi l'uno la vicinanza dell'altro e osservando le strade sottostanti nelle quali, come una coreografia dettata da una musica inudibile, centinaia di ombrelli colorati si aprirono in sincrono come fiori in primavera.
Il sole non c'era, era coperto dalle nuvole, ma in quel momento i due giovani non ne avevano affatto bisogno.









 

Aaaallora.
Che c'è da dire?
Credo di essermi lasciata trasportare un po' troppo, uh?

L'immagine del sole come unico punto di collegamento tra Mika e Andy mi ha trascinata in troppi viaggi mentali, perchè non ne buttassi giù qualcuno.
Infatti, volevo precisare, il fatto che la parola “sole” compaia così tante volte è -in parte-intenzionale. Ogni paragrafo ambientato nelle tre diverse città (a Londra sia all'inizio che alla fine, come per “chiudere il cerchio”) inizia, appunto, con la descrizione del tempo.

Ho iniziato a scrivere questa fanfiction il giorno stesso in cui è uscita Stringa At the Sun (il testo quasi t'implorava di scriverci qualcosa e ricamarci un po' intorno), ma per cause di forza maggiore sono riuscita a finirla solamente oggi.
Se per qualche astruso motivo non avete ancora ascoltato SATS, eresia!, correte a farlo immediatamente. Se invece già la conoscete e ve ne siete innamorati.. beh, ascoltatela un'altra volta, non fa mai male ;)

Tornando alle cose “serie”, appena ho ascoltato la canzone (dopo aver smesso di fangirlare, actually) mi è venuta in mente questa storiella, che, in realtà, non dice niente di originale o particolare, non è che abbia neanche una trama a dirla tutta. Semplicemente tratta il tema della distanza e racconta uno scorcio di quella che purtroppo (o per fortuna, dipende da come la si guarda, miKa lavorano in miniera, eh uwu) è attualmente la vita dei due piccioncini più anticonvenzionalmente adorabili di tutti i tempi.

Se avete seguito i vari spostamenti di Mika negli ultimi due mesi (se ve li ricordate tutti e ci avete capito qualcosa dei millemila giri che sto povero cristo ha fatto da un estremo all'altro del pianeta.. beh wow, vi meritate una medaglia) avrete capito che il “momento” descritto in queste poche pagine è ambientato a fine Maggio, a partire dal concerto al Seoul Jazz Festival. Ma ho deciso, per quanto sia palese ed evidente che la storia sia ambientata in quei giorni, di non scrivere alcuna data; infatti la distanza è sempre stata una fedele compagna della loro relazione, quindi -anche se con “dinamiche” diverse- la stessa situazione si sarebbe benissimo potuta essere svolta 5 anni fa o tra 5 anni (se capite la citazione vincete un mongolino d'oro, lol).

Ho approfittato delle circostanze (e dei problemi fisici avuti in tour) anche per dipingere un Mika un po' più reale e umano di quanto lui non voglia -e non possa- ammettere di essere. Insomma, non avrà mica sempre il sorriso sulle labbra come siamo abituati a vederlo?!

Per questioni di lunghezza e per evitare un taglio brusco, ho dovuto cancellare la parte in cui questo suo lato più “sconveniente” veniva mostrato; ossia le polemiche sul sole nella scenografia. Non ho idea di quale sia stata la sua reazione, ma avendoci lavorato tanto e, soprattutto, senza alcuna malizia, immagino sia rimasto un po' seccato di tutti quegli inutili discorsi politici. C'est la vie.
 

Anyway.. ho scritto tantiiiiiiissimo, ora giuro che vi lascio in pace.
Come sempre, ormai lo sapete, commenti, recensioni, consigli, insulti, maledizioni, anatemi e anche qualche incantesimo proibito, se vi sentite in vena, sono sempre ben accetti (attenti agli Auror, però!).

Chissà, forse ci risentiremo presto, se l'ispirazione non mi abbandonerà in fretta com'è venuta.
Adieu xX

  
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