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Autore: Cyber Witch    21/06/2015    1 recensioni
{ hotsummershipping | Marina&Gold | OOC? | forse post ending HC | IDK | anche se è estate: bentornata primavera }
Ingoiando l'amore, abbiamo dormito assieme in coperte sporche. Ha quel gusto dolce-amaro, mentre fumo una sigaretta.
E ho la sensazione di star vivendo.

«Guarda, è arrivata la primavera»
[Lo so che lo sai, non esiste qualcosa come l'eterna felicità. Persino i fiori appassiscono, non è vero?]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gold, Marina
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Manga, Videogioco
- Questa storia fa parte della serie 'L'oro in fondo al mare'
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Goodbye Ms. Floral Thief 


 

I've been dreaming a dream within a dream, within a dream 
Seaside, on the seaside, a kitten's sweet demise... 
Plucking off petals, we ran with flat feet across the shore, 
So lightly, so lightly... 
Gulping down flowers, we leapt naked into the sea, 
And I get the feeling that I'm living... 

- Goodbye Ms Floral Thief











 

Il vestito che portavi era qualcosa di così infantile che non c’era da stupirsi se ti calzava a pennello. In fondo, tu, infantile lo sei sempre stata.
Con quei tuoi sorrisi così grandi da far vedere tutti i denti, gli occhi che illuminavano la stanza e che facevano concorrenza al sole. Un concentrato di felicità, colori ed energia. Forse era per tutta quella tua curiosità, per quella tua voglia di fare e il tuo coraggio che sempre ho invidiato, che hai deciso di entrare in Accademia.
Tu, così magra e sottile, un fuscello primaverile, voleva diventare Ranger. Seguire le orme del fratello, rischiare la vita ogni giorno e ogni notte. Volevi diventare forte, per proteggere i Pokémon, ma soprattutto te stessa. Questo non l’hai mai detto, ma lo capivo. Dai tuoi sguardi, dalle labbra sottili che improvvisamente non sorridevano più mentre ti tagliavi i capelli corti.
Dai vestiti bianchi che piano venivano sostituiti da pantaloni più comodi, i tuoi occhi che ora non sembravano più solamente luminosi come il sole, ma che possedevano lo stesso ardore.
Eppure, quel giorno, eri vestita come la prima volta che ci siamo incontrati, i capelli erano sempre corti, ma tu avevi la stessa espressione gentile e felice, forse qualche cicatrice in più, ma eri sempre la bambina con la quale facevo a gara. Tuo fratello ti guardava con orgoglio, mentre ti accompagnava verso casa, il Pichu Ukulele su una spalla e l’altro braccio attorno al tuo fianco.
Ne avevamo passate davvero tante, assieme, ed ero stato proprio un idiota a non capire prima che tu eri così. Ti guardavo da lontano, mentre gli altri ti abbracciavano. Sulle labbra un sorriso che sapeva di rimorso e un groppo in gola. Non ero mai stato un codardo, e raramente riflettevo prima di buttarmi in qualcosa, ma quel giorno non riuscii nemmeno ad avvicinarmi per salutarti.
Eppure tu mi guardavi, ci speravi che, almeno al tuo ritorno, ti avessi dato l’attenzione che meritavi. Invece me ne stavo in disparte, chiacchierando con i soliti amici, sperando che la tua presenza dietro alle mie spalle se ne sarebbe presto andata.
E lo fece, più tardi non ti percepii più, come se improvvisamente non fossi più esistita, solamente un ricordo lontano, offuscato probabilmente dal troppo vino.
E nonostante i miei tentativi di evitarti – e ancora oggi non me li spiego, io non sono un codardo – ti ritrovai il giorno dopo. Lo stesso vestito bianco, la stessa espressione pacifica.
Lo smanicato riusciva a farmi vedere le tue cicatrici sulle braccia. Erano tante e rovinavano la tua pelle olivastra, mi venne la voglia di afferrarti il polso e sgridarti per la tua incoscienza, per poi baciarti ogni singolo taglio bianco che interrompeva il tuo colorito naturale.
Mi avvicinai solamente, le mani nelle tasche dei pantaloni. Tu osservavi un albero di Baccarancia, i fiori bianchi come il tuo vestito presto avrebbero lasciato il posto alle succose bacche che avrebbero aiutato tutti i Pokémon del posto a sopravvivere. Qualche Wurmple già si stava costruendo la crisalide, per aspettare di evolversi, mentre un Pidgey cantava allegro in cerca di una compagna.
Il vento che faceva muovere la tua gonna incorniciava quel quadro, per me sarebbe stato quasi sacrilego disturbarti, ma non ero un codardo e non potevo rimandare ancora di tanto l’inevitabile.
Tu saresti ripartita per Oblivia, io sarei stato occupato in altri compiti, e quando ci saremo rivisti magari tu saresti già stata sposata. No, non potevo permetterlo prima di averti detto quello che dovevo dirti.
Mi schiarii la voce, sarebbe stato quasi poetico vederti sobbalzare, ma non lo feci. Probabilmente, con tutti gli anni di addestramento, mi avevi sentito arrivare ed entrambi ne eravamo a conoscenza. Il mio strano gorgoglio di gola era puramente una formalità.
«Ciao Gold» mi salutasti, allacciando le braccia dietro la schiena.
Riuscivo a vedere le tue scapole quasi bucare la stoffa del vestito, eri così magra e continuo a pensarlo. Così come continuo a non capire come una come te avesse potuto attirare l’attenzione di uno come me.
«Marina» risposi, affiancandoti.
La voce non mi tremò come temetti che avesse fatto, anzi. Uscì fuori sicura, come vorrei essere stato io.
«Era da un po’ che non ci vedevamo, vero?» ridesti, come se fosse una bugia della quale tutti e due conoscevamo la verità.
«Già, un bel po’» risposi, girandomi verso di te.
Così come le scapole, le tue clavicole sembravano voler bucare il tessuto di sangallo del tuo vestito. Il sole era alto, ma i tuoi occhi ora mi distraevano dal calore che emanava quella stella.
Sì, i tuoi occhi erano tornati luminosi come il sole ed altrettanto caldi. Nonostante fosse marzo l’aria era già calda come a giugno.
Guardai le tue mani, avevi di nuovo le braccia distese lungo il corpo. Le dita erano sottili, le unghie corte e sapevo che i tuoi polpastrelli non erano più morbidi come quelli della quattordicenne che eri una volta.
Poi il mio sguardo tornò verso il tuo viso, sorridente. Non perdevi mai il tuo sorriso, non capivo come tu facessi. Dopo tutto quello che avevi passato, tutto quello che ti era successo. Che ci era successo.
Mi guardasti negli occhi e capisti. Non so come, ma lo feci. Allungasti la tua mano a prendere la mia e io la strinsi, oh, come fui felice in quel momento.
Avevo ragione. Le tue palme erano piene di calli, ma non dava per niente fastidio accarezzare l’interno della tua mano. Mi faceva sentire al sicuro, protetto.
Improvvisamente divenni ansioso, mentre tu mi conducevi verso l’albero di Baccarancia. Tirai fuori una sigaretta dalla tasca, quel pacchetto lo avevo comprato mesi prima ed era ancora quasi pieno.
Mi guardasti accigliata, come una mamma che rimprovera suo figlio, ma che non può dire niente perché c’è gente.
«Mari, ho ventinove anni, so gestire la mia vita» sbuffai, mentre cercavo un accendino nelle tasche.
Sbuffasti anche tu, ridacchiando.
«Suppongo ora tu sia molto più assennato di quando a malapena ne avevi diciannove» borbottasti, percepii il sarcasmo nascosto nella tua voce, sormontato però da una nota di dolcezza.
Dieci anni senza vederci, un po’ incredibile, pensai mentre mi accendevo la sigaretta.
«Probabilmente prenderò un congedo» mi dicesti, stringendo un po’ di più la mia mano per lasciarla poi andare.
«Perché?»
«Sono... stanca? Voglio prendermi una pausa» rispondesti, appoggiandoti all’albero.
Sembravi così tanto la bambina che eri stata. Il sorriso malinconico sulla tua faccia mi strinse lo stomaco. Tirai una boccata di fumo dalla sigaretta, per poi buttarlo fuori in modo che non raggiungesse il tuo volto.
Quando ti riguardai riuscii a vedere i tuoi occhi nocciola ardere con una decisione diversa da quella che ti aveva spinto a diventare Ranger. Ora erano quasi gli occhi di una madre, come se in questi dieci anni tu fossi diventata improvvisamente una donna. Non mi sono mai reso conto che tu eri una donna. Una delle più speciali che mai mi fosse capitato di incontrare.
Non certamente la più bella, ma quel tuo essere così infantile, la tua forza e i tuoi sorrisi ti rendevano meravigliosa.
Improvvisamente il bisogno di dirti ciò che volevo si fece impellente. Dovevo sbrigarmi, i fiori sarebbero presto caduti per lasciare spazio alle bacche e tu non ci saresti più stata.
Buttai la sigaretta per terra, calpestandola con la suola della scarpa e ti presi per una spalla.
«Marina, ascolta...» mi misi davanti a te, catturando il tuo sguardo con il mio.
I tuoi occhi, in confronto a quelli della ragazza che avevo creduto di amare, erano così comuni. Non aveva niente di speciale, quel colore. Marroni, così banale che quasi mi dava sui nervi.
Capii solamente dopo che il marrone è anche il colore che si ottiene se si mischia tutti gli altri. E tu eri proprio così: prendevi tutti i colori e ne creavi uno tuo, che rendeva quel marrone nocciola il colore più intenso e unico dell’universo.
E quello che bruciava nei tuoi occhi, Dio, quello che vedevo quando mi specchiavo era tanta forza. Forza di ricominciare, di andare e tornare. Vita. I tuoi occhi erano vivi.
Sorridevi, anche se concentrato com’ero nel guardarti negli occhi le tue labbra mi sfuggivano. Non avevo certamente bisogno di conferme, però, per sapere che tu sorridevi. Lo facevi sempre, poche erano le volte che ti ho vista seria e senza sorriso.
Persino quando ci punzecchiavamo sorridevi sempre, quando scherzosamente ti chiamavo stuzzicadenti, quando mettevo il mio braccio attorno alle tue spalle per far arrabbiare Martino.
La mia mano salì, raggiunse il tuo collo e si chiuse a coppa sulla tua guancia. La tua pelle sembrava così calda, mentre in realtà eri sempre fredda.
Quanto avrei voluto scaldarti. Chiudere le mie mani attorno al tuo corpo così piccolino e proteggerti, cancellare quelle cicatrici, le occhiaie che per mesi ti avevano segnato, il sorriso. Mi stupii quando pensai che avrei preferito vederti piangere.
Eri così frustrante; perché non piangevi? Perché dovevi rendere tutto così complicato, per me?
«Sì?» una semplice sillaba mi riportò alla realtà.
Era solo un sussurro.
La luce del sole filtrava fra le fronde dell’albero e disegnava strani arabeschi sul tuo volto, lasciandolo per metà illuminato.
Le pupille erano dilatate all’ombra delle foglie, le labbra sottili e solo in quel momento mi accorsi che una tua mano aveva raggiunto il mio avambraccio, quello della mano che stringeva la tua guancia.
Ti bloccavo contro l’albero, ma sapevo che se avessi voluto andartene ti sarebbe bastato un calcio ben assestato. In fondo, anche se io ero alto quasi una testa in più di te, tu avevi comunque seguito un addestramento militare per sopravvivere.
Eppure non volevi andartene, e in fondo lo capivo. Anche io avrei voluto rimanere bloccato per sempre in quel pomeriggio di marzo, con te vestita di bianco, e io che stringevo la tua guancia.
Un petalo di un fiore cadde e si depositò sui tuoi capelli castani, ancora troppo corti per i miei gusti, ma che dopotutto ti donavano. Oh, eri bellissima, quel pomeriggio.
E di una bellezza che trovavi solo nei quadri appesi nelle gallerie d’arte. Quelli piccoli, messi al fianco di altri più grandi e famosi, che nessuno osservava, ma che se li scoprivi non riuscivi a staccare gli occhi di dosso.
Inspirai, mentre tu prendevi il fiore con la mano libera e lo osservavi. In quel momento sì che sembravi una mamma che osserva il proprio bambino allontanarsi dai genitori per dirigersi verso il suo primo giorno di scuola.
Marina, eri sempre stata così gentile con tutti che non ci siamo mai ricordati di te.
«Possiamo avere un’altra possibilità per provarci di nuovo?» chiesi, non specificando cosa. Avrebbe avuto senso? Tutte e due sapevamo a cosa mi stavo riferendo.
Sollevasti lo sguardo su di me, lasciando cadere il fiore per terra, proprio vicino alla mia sigaretta. Se la situazione fosse stata diversa probabilmente tu mi avresti rimproverato ed obbligato a raccoglierla, ma in quel momento sembravi avere occhi solo per me. Era una sensazione così gradevole che quasi mi venne da protestare quando il tuo sguardo si alzò per raggiungere la chioma dell’albero di Baccarancia.
Un soffio di vento ne scompigliò le fronde, spandendo il profumo dei fiori e riuscendo a farmi percepire l’aroma dolce che tu avevi sempre amato.
«Guarda, è arrivata la primavera»
Mi prendesti la mano, sorridendo.
«Andiamo a rubare qualche fiore»

















 
.:.Cyber-spazio.:.
Boop.
Eccomi tornata. Dopo un brevissimo periodo di pausa, del quale nessuno si è accorto e nel quale non sono mancata a nessuno :D
Allora, lo so, in teoria dovrei aggiornare Nerium, il capitolo è già pronto. (lo è da un bel po', ma questo rimane un segreto fra me e fra chi legge le parentesi). Quindi: hotsummershipping, l'ho pensata probabilmente ambientata dopo Hoenn's Crysis di Andy, siccome ci sono riferimenti qua e là, ma non so. Ognuno può prenderla come vuole. 
Personalmente è una delle mie preferite, so che probabilmente Gold è OOC - ç.ç - ma in questo caso un po' lo giustifichiamo, no? Ah, già, la storia è stata interamente scritta ascoltando Ms Floral Thief di Soa. Una giapponesata ben riuscita, già. 
Siccome oggi è il Solstizio d'Estate io parlo di primavera, mi pare quasi logico, no? Intanto io vi auguro di passare una dolcissima estate, che le zanzare non vi pungano e che possiate godervi la vacanza soprattutto grazie a Pokémon Courage (cosa? Spam? Io?)(a parte gli scherzi, davvero, ci stiamo impegnando quindi anche solo un "mi piace" ci sarebbe d'aiuto c:) e di poter guardare le stelle con le persone che più vi piacciono.
La notte è ancora giovane, ma vi auguro comunque dolci sogni!
Un inchino,
Cy.
  
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