The world has ended
The world
has come to its end, hope has ceased to have a meaning
Cities are
being wiped out, shrapnel is making music
Meadows are
coloured red with human blood
There are
dead people on the streets everywhere
I will say another
quiet prayer:
People are
sinners, Lord, they make mistakes...
The world has ended!
(Gloomy Sunday -
Rezso Seress)
«
Io… non voglio ancora morire » sospirò Dan, steso a terra.
Il temporale che li accompagnava fin da quando avevano
lasciato Konoha non accennava a smettere, la pioggia sembrava non volergli dare
tregua.
«
…ho una montagna di cose da fare » continuò con voce debole.
«
Dan, non parlare! » gridò Tsunade, china su di lui. Gli altri due
shinobi della Foglia erano in piedi accanto a loro, le espressioni stanche e
tese.
Gli organi
interni di Dan erano stati gravemente compromessi, lo sapeva bene Tsunade. Non
c’era più speranza.
« Io
non posso morire adesso » sussurrò ancora lui, mentre un rivolo di
sangue gli colava dalle labbra, mischiandosi con la pioggia.
«
Non temere » si sforzò Tsunade, simulando un quanto mai falso
sorriso, cercando di suonare più incoraggiante possibile. « Ho
fermato l’emorragia, ti salverai ».
Dan chiuse
gli occhi, rallentando ogni funzione vitale.
«
Non temere » ripeté Tsunade, rivolta a se stessa. « Ti
salverai, andrà tutto bene ».
Gli altri
shinobi si guardarono. Il più anziano si mosse verso di lei.
« Tsunade-hime… » tentennò. « Temo
non ci sia altro da fare.
Lei scosse
la testa con vigore.
«
No, no, non è vero » ribatté tenace come una bambina
capricciosa, mantenendo le mani sopra il ventre di Dan. « Vedi il mio chakra? Lo sto curando ».
« La
prego Tsunade-hime, si fermi! ».
«No,
non posso. Vuoi che Dan muoia? Eh? ».
Gli occhi
della ragazza si erano fatti lucidi di lacrime, quasi vitrei.
« Lo
sto salvando. Dan guarirà, è tutto a posto » disse
nuovamente.
« Tsunade-hime, la prego… » e le
si avvicino, cercando di allontanarla dal corpo esanime.
« Va
tutto bene, va tutto bene, va tutto bene » continuò a cantilenare
lei. « Va tutto bene, va tutto bene, va tutto bene, va… »
sentì le forze mancare e lo sguardo le si
appannò, rendendo tutto più scuro, sfocando fino al nero.
Il nulla.
Si guarda attorno spaesata. I detriti fluttuanti nell’aere le
danzano attorno alla testa, come una corona.
Pezzi di
legno e stucco e schegge di vetro rimanevano sospesi a mezz’aria,
galleggiavano ovunque privi di gravità, mentre la cenere le offuscava la
vista e le entrava negli occhi, facendoli lacrimare.
Dove sono?
Cosa succede?
Si chiede
Tsunade, la ma sua voce è sorda, spezzata. Alle
sue orecchie non giunge altro che un grido strozzato e sofferente. Non riesce a
respirare: quell’insistente pulviscolo le entra in gola e scende,
giù, fino ai polmoni, privandola dell’aria.
Dove sono? Domanda nuovamente.
È nel luogo
dove il tempo ha fine, ma mai ha avuto inizio.
Tsunade
scuote la testa. No, quella deve
essere Konoha. Chiude gli occhi, si ripara: non dovrebbe essere lì.
Ricorda la foresta, e i rumori dello scontro e la pioggia, gelida e incessante.
Che altro? Dove sono gli altri shinobi? Dove sono gli alberi?
Dov’è la battaglia?
È nel luogo
dove i morti cantano e danzano con i vivi.
Rapidamente
di asciuga le lacrime. Deve cercare i suoi compagni,
erano diretti al Villaggio del Fulmine ma qualcosa
è andato storto. Una spia, ecco. Certamente una spia ha comunicato i
loro movimenti, per questo a un miglio dal Villaggio sono stati attaccati.
Lentamente
tutto le torna in mente, come gli spezzoni rovinati e opachi di un vecchio
film. Coperti dai rumori del temporale, i nemici li avevano sorpresi alle
spalle ed un ninja di Konoha era caduto.
Si porta
una mano alla tempia, quasi riesce a vedere il suo volto, a ricordare il suo
nome…
Dan.
Spalanca
gli occhi e il suo cuore aumenta improvvisamente le pulsazioni. Mani e
giubbotto sono macchiati di sangue, lo sente ancora scivolare lungo gli
avambracci, sotto il ritmico battere del temporale.
Eppure non
è ferita. Quel sangue non è suo.
Dan.
Cerca di riscuotersi, muovendo freneticamente le mani
davanti al volto, cercando invano di scacciare i detriti che le danzano
innanzi. Si muove a tentoni nella nebbia, tenta di
ignorare il liquido rosso che -ora- le sembra imbrattare ogni cosa. Deve
pulirsi, pensa, deve trovare dell’acqua.
Pulita,
non come quella di prima. Non come quella che cadeva nella foresta, dalle gocce
sottili e dolorose che come spilli infilzavano la pelle.
Corre per
le strade deserte, supera le case abbandonate e poi, girando un angolo, vede un
prato che non ricorsa si trovasse lì prima
d’ora. È il campo dove lei, Jiraya e Orochimaru si allenavano quando
erano ancora dei giovani genin. Ma l’erba… l’erba pare aver
assunto lo stesso colore delle sue mani, dei suoi abiti.
È
impregnata di sangue.
Tsunade fa
una smorfia e si porta una mano alla bocca, cercando di placare il senso di
nausea che la sta assalendo. Si tappa anche il naso, ignorando la puzza di
morte che aleggia ovunque.
E i cadaveri
giacciono lungo le strade,
Muove
qualche passo incerto, pestando quei fili così insistentemente scarlatti.
È certa che ci sia un fiume, da quelle parti. Probabilmente corre ad est
del prato, ma al momento non è nemmeno sicura se esistano un nord, un
sud o un ovest.
Comincia a
spostarsi, senza una meta, verso il folto degli alberi, cercando inconsciamente
di allontanarsi il più possibile dal centro cittadino che, comunque, non
è più visibile. Poi, un rumore.
Acqua che
scorre.
Improvvisamente
di fronte a lei compare un corso d’acqua, ampio e profondo. Non è
il modesto torrente che ricordava, è più impetuoso e…
Questa
volta non riesce a trattenere un conato di vomito, si piega in due e poi si
inginocchia a terra. Lo stomaco le fa male, come se avesse appena ricevuto un
forte pugno.
Tossisce
un paio di volte, poi torna a guardare il fiume.
È
anch’esso color sangue, come a perseguitarla e ricordarle qualcosa. Un
errore, forse.
E il fiume
la chiama, invoca il suo nome. Tsunade si avvicina, si accosta alla riva e si
sporge verso l’acqua. Supera l’orrore e il disgusto allungando una
mano verso quel liquido, ne muove appena la superficie. Il suo riflesso si
spezza, si fa tremolante ed incerto, ma continua a chiamarla.
Tsunade.
L’immagine
di Dan ferito le danza nella mente, offuscandole ogni
senso. Lo stomaco continua a dolerle, mentre la testa le gira
furiosamente, fino a farle perdere l’equilibrio.
È
un attimo e si trova ad annaspare contro la corrente. I freddi mulinelli la
trascinano sott’acqua, poi la riportano in superficie. Cerca di
incamerare più aria possibile, pronta ad affrontare l’ennesima
forza che la spinge verso il basso. Agita furiosamente le braccia e le gambe,
prova in tutti i modi a raggiungere una delle due sponde, ma il suo sforzo si
rivela vano.
Non
è colpa sua, pensa egoisticamente. Non è colpa sua se è
ancora viva, se respira -ancora per poco-, se in quel deserto di sangue lei
è sola.
Però ha
lasciato che Dan morisse.
E piange.
Siamo peccatori, singhiozza. Commettiamo sbagli.
Mentre il
fiume la trascina sempre più giù, sempre più giù,
sempre più giù.
« Tsunade-hime, per fortuna si è svegliata ».
«
Che spavento ho preso! » la raggiunse la voce di
Shizune.
Tsunade
si riscosse dal suo torpore, sbattendo più volte gli occhi. Riconobbe
l’ospedale di Konoha dalle luci fredde e dalle pareti bianche.
«
…si » mormorò.
«
Come sta, Tsunade-hime? » chiese nuovamente Shizune.
«
Sto… sto bene » esalò, cercando invano di sedersi. «
Dan? Lui è… morto? ».
Il
silenzio che seguì quella domanda fu più che eloquente.
Siamo peccatori. Commettiamo
sbagli.
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Ehm…
sto zitta che è meglio.
Mela