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Autore: lindadrei12    26/06/2015    0 recensioni
Ma ciao gruppo di pandacorni glitterati! Come state? Io bene, ma tanto non frega a nessuno.
Stelline se leggete la mia storia mi farebbe piacere leggere le vostre stupende recensioni. Okay patatine fritte con ketchup?
Premetto che non è una fanfiction ed è tuuutto inventato dalla sottoscritta.
Detto questo, ciao biscotti ricoperti di cioccolato al latte❤
Emily, una ragazza di sedici anni, potrà mantenere un segreto più grande di lei?
Cicatrici profonde solcano il suo cuore, difficile da guarire. Un cuore di freddo ghiaccio, circondato da una prigione di indifferenza verso tutto e tutti. Un cuore difficile da sciogliere.
Ma forse qualcuno riuscirá ad aprire le porte di quella prigione di isolamento, forse qualcuno riscalderà il suo cuore, forse qualcuno sanerà le sue ferite, forse qualcuno la salverà.
Dovrà combattere.
Dovrà amare.
Dovrà mentire
Dovrà distruggere.
Dovrà scegliere.
Le sorti di due mondi sono nelle sue mani.
Non sarà più la stessa.
Non sarà più una comune adolescente come tutte le altre.
Non sarà più la Emily fragile di una volta
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il suono della sveglia mi rimbombò fastidiosamente nelle orecchie, il che significava che erano le sei ed era ora di alzarsi. Mi tirai a sedere sul letto della mia camera nuova, una delle tante in cui avevo alloggiato e che ovviamente non sarebbe stata l'ultima. Papà era morto due anni prima e io non avevo nessuno che mi potesse tenere con sé, né parenti, né amici. Così i servizi sociali, cinque giorni dopo la morte di mio padre, erano venuti a prendermi da casa per affidarmi ad una 'famiglia gentile ed amorevole'. Odiavo quelle quattro parole perché le suddette 'famiglie gentili e amorevoli' erano le più terribili, assillanti e ciniche che potessero esistere. Odiavo gli affidamenti, perché non avevi mai una casa fissa, con un carattere come il mio. Odiavo gli assistenti sociali, i loro falsi sorrisi e le loro leccate di piedi. Odiavo dover andare dagli psicologi una volta a settimana. Odiavo le loro finte osservazioni sui miglioramenti del mio carattere, che non migliorava affatto. Odiavo la loro finta compassione.Odiavo le rassicurazioni false, sul fatto che sarei riuscita a trovare casa. Odiavo me stessa, perché non ero mai stata abbastanza per nessuno. Odiavo questo mondo, perché mi aveva portato via tutto. Il fatto di non avere qualcuno che mi volesse bene e nemmeno una casa, mi ricordava di essere sola ed io, anche se ormai ero abituata al'idea di non avere nessuno, soffrivo ancora tantissimo per la morte dei miei genitori. La mia vita procedeva a rilento, con le solite, monotone giornate. Mi svegliavo, in una casa diversa ogni mese se non ogni settimana, anche se ci avevo fatto l'abitudine... facevo colazione e mi vestivo dopo essermi lavata. Subito dopo prendevo le mie lezioni private dato che non andavo a scuola perché ero molto brava a farmi espellere subito e alla fine delle mia fantastica routine mi rintavavo in camera mia a leggere libri con le cuffiette nelle orecchie e la musica altissima. A volte mi toccava anche andare dallo psicologo a subire la solfa del 'vedrai che tutto tornerà come prima' e 'cosa provi riguardo questo?' In due anni non ero ancora riuscita a farmi nessun amico. Gli psicologi mi definivano spesso asociale o sociopatica... in quelle due parole era racchiusa la mia intera esistenza da due anni a questa parte... d'altronde venivo sempre affidata a famiglie fuori dal comune: una violenta, una maniaca dell'ordine, una apatica, una depressa, una fanatica religiosa, una satanista. Nessuno poteva biasimarmi in fondo. Odiavo quelle famiglie e odiavo il fatto di dovere passare con loro del tempo... era una cosa terribile stare a contatto con gente del genere ogni santo giorno ed era una tortura ascoltarli mentre a tavola parlavano delle loro perfette vite e dei loro problemi, tanto che spesso, con la scusa di stare male, mi chiudevo nella mia stanza senza nemmeno toccare cibo o proferire parola. Così per riuscire a scampare da una vita da incubo, ogni volta che l'ispettrice piombava in casa facevo in modo che un po' di droga sbucasse da sotto un materasso, che dei lividi comparissero sulla mia pelle, che il cibo in frigorifero non fosse sano. Le rare volte in cui capitavo in una famiglia normale succedeva qualcosa di male. Una volta mi avevano affidato a una famiglia di bravissime persone, non avevano difetti apparenti, erano normali, li adoravo.Come segno di gratitudine verso la loro ospitalità avevo provato a cucinare qualcosa di buono e la casa era andata a fuoco. I miei genitori adottivi mi avevano denunciata come piromane. Questo era il motivo per cui nessuno ormai voleva più tenermi con sé. Tutti questi fatti andavano ad aggiungersi alla mia cartella e la mia cartella veniva letta. Non avevo più tante speranze, prima o poi nessuno si sarebbe più fatto avanti come volontario. Il che era molto triste a pensarci bene. Avevo ancora sonno, ma mi stiracchiai e scesi di sotto per la colazione non pronta però a stare a contatto con tutta la combriccola di strani individui che abitavano nella casa. Il padre si chiamava George, la moglie Maria, e neanche a farlo apposta, il figlio si chiamava Frank Pio. Questa famiglia era una di quelle fanatiche religiose e io non la sopportavo proprio. Da quando avevo messo piede in casa ed avevo notato il muro con una gigantografia di Gesù dipinta sopra, non li reggevo. Era una tortura dover dire preghiere un'ora sì e una no, era come essere sempre in un monastero. Era fastidiosissimo essere costretta ad indossare rosari su rosari quando ne sarebbe bastato uno, o baciare la croce appesa in camera mia sotto supervisione del padre di famiglia, oppure non potere guardare la tv o leggere libri fantasy o thriller solo perché c'erano un po'di spargimenti di sangue! Quando scesi al piano di sotto stavano già pregando, alle sei e cinque di domenica mattina... Ero esasperata. Quella lenta litania ormai la sapevo a memoria ed ero arrivata a non sopportarla più. Non potevo aspettare l'arrivo dell'ispettrice come avevo progettato di fare. Non potevo resistere un altro momento in quella casa, dovevo escogitare qualcosa. Un lampo di genio mi attraversò la mente. Andai in cucina con calma e come ogni mattina salutai tutti con il mio solito sorriso finto stampato in faccia e mi feci il segno della croce di routine, più per far sì che la mia idea funzionasse che per fare contenti loro come succedeva di solito. -Buongiorno a tutti, buon appetito e che il signore sia con voi- mi sedetti al mio posto innocencemente. Gli altri mi saltuarono in coro e cominciarono a pregare. Ancora! Non ce la potevo fare. Mi alzai di scatto lanciando la sedia a terra facendo strillare Maria. Guardai tutti bene negli occhi come per sottolineare il fatto che si sarebbero ricordati di quel momento per tanto, tanto tempo. Mi strappai dal collo il rosario con tanta violenza che mi scorticai. Lo scagliai nel camino e il fuoco era acceso, non c'era modo di recuperarlo. Tutti e tre i membri della famiglia sbianciarono di colpo. A Maria venne un attacco di panico e Frank cominciò a strillare -Sacrilegio! Sacrilegio!- correndo attorno al tavolo. Sembravano impazziti. L'unico che conservava una calma apparente era George, che era comunque bianco come un lenzuolo. Stavolta avevo davvero esagerato, anche per i miei standard. L'uomo passava gli occhi da me al fuoco, dal fuoco a me... era troppo calmo, mi spaventava quasi. Poi si porto le mani al petto e permette la destra sul cuore con un espressione di pura sofferenza in viso. Ci fissammo per qualche istante dai lati opposti della stanza, poi, semplicemente, cadde. Dapprima non capivo cosa fosse successo, ma quando Maria urlò di chiamare un'ambulanza una macabra ipotesi si insinuò nel mio cervello. Un infarto. Ero totalmente scioccata.Non avevo pensato alle conseguenze del mio gesto e non avrei mai ipotizzato a una cosa del genere... Era solo un rosario... Così stetti lì, a fissare Maria accasciata sul marito piangendo e Frank chiamare l'ambulanza con voce devastata e malsana. I paramedici arrivarono subito e dopo pochi minuti trasportarono George in ospedale. Si sarebbe ripreso, avevano detto a Maria... era solo un lieve attacco di cuore avevano detto... io non ne ero sicura... lo avevano detto anche per papà che si sarebbe ripreso... Maria e Frank avevano seguito il malato in ospedale e io ero ancora lì, impalata accanto allo stipite della porta... da un'ora oramai... Qualcuno bussò alla porta, mi sembrava di avere macigni ai piedi e che questi fossero incollati al parquet. La voce squillante della mia ispettrice si sentiva chiaramente e al di là della porta stava urlando da non so quanto tempo la stessa frase. -Sono dei servizi sociali, apri la porta o sarò costretta a buttarla giù- passarono pochi istanti in cui io rimasi immobile -su tesoro sono Margaret- Mi ripresi lentamente dallo shoc e andai ad aprire. Mi ritrovai davanti l'unica persona sulla quale potessi fare affidamento, almeno un po'. Era una donna benevola e gentile, non come gli altri ispettori, rigidi e fissati con le regole. Sembrava quasi che mi volesse bene, anche se ovviamente non lo aveva mai dato a vedere. Non appena vidi apparire la massa di capelli biondi sulla soglia mi fiondai tra le sue braccia e la strinsi forte. Era parecchio più bassa di me e lei, che non superava il metro e sessanta, mi arrivava all'altezza del collo. Si sottrasse al mio abbraccio bruscamente con uno espressione di delusione stampata in volto. -Questa volta hai esagerato te ne rendi conto? Non puoi fare quello che vuoi! Devi collaborare e le famiglie a cui sei stata assegnata sono tra le migliori che abbiamo! Non pensi di dovere loro un po'di rispetto? Passi pure un allagamento o la rottura di un vaso prezioso o il fatto che tu ,sì me ne sono accorta già da tempo, fai di tutto per cambiare famiglia quando ti sei scocciata di stare assime ad un'altra, ma provocare un infarto? La signora Maria mi ha chiamato per farti portare via e mi ha anche detto che hai lanciato un rosario nel camino e l'hai bruciato. Ci pensi mai a quello che fai? Sono una famiglia devotissima alla religione e tu bruci qualcosa di consacrato? Sei impossibile davvero. Posso capire che non l'hai fatta apposta, posso capire i tuoi problemi ma stavolta le conseguenze sono state molto gravi. Non posso più tollerare altre azioni simili da parte tua! Sarebbero venuti gli assistenti sociali a prenderti, ma ho chiesto e ottenuto il permesso di venire io, perché so che non ti vanno a genio e...- Non le lasciai finire la frase, non poteva parlarmi così senza sentire quello che avevo da dire -Margaret. Tu non puoi venire qui a dirmi quello che devo e non devo fare. Sono abbastanza scossa per i fatti miei, non hai appena visto un uomo collassare per un infarto, io sì. Lasciami tempo per respirare e mostra un po'di comprensione per una buona volta! Lo so che sei venuta per me e ti ringrazio, ma se devi venirmi a dare lezioni di vita preferisco di gran lunga i tuoi colleghi leccapiedi, almeno loro non parlano, ti guardano solo con disprezzo. Non potete sapere cosa ho passato. Non potete sapere come mi sento ogni giorno quando mi sveglio senza nessuno che mi dia il buongiorno come faceva mio padre, senza nessuno che mi aiuti ad andare avanti, senza amici, senza una vita! Tu non hai mai passato quello che ho passato io e non lo passerai mai. Non potrai mai capire quello che provo perché non sei me. Odio tutte queste famiglie che voi credete perfette e che si mostrano tali, ma non sono per niente come credi! Sono odiose e non le sopporto! Non ce la faccio più a vivere così! Sai cosa si prova a piangere ogni notte senza nessuno che ti consoli, con i singhiozzi soffocati dai cuscini per non fare rumore e la solitudine che non fa altro che spingerti giù verso l'abisso della disperazione? Non capisci cosa ho passato e come sto perché non puoi, non dico che tu non voglia ma...- un singhiozzo mi uscì dalla gola e al diavolo il mio tentativo di mantenere un briciolo di orgoglio. Non avrei pianto, non dopo tutti quegli anni. Sarei stata forte, come sempre e non mi sarei lasciata andare. Rimasi zitta un momento, prendendo dei respiri profondi -...ma non capiresti comunque cosa la morte di mio padre ha provocato al mio cuore.- Margaret corrugò la fronte guardando a terra e piccole rughe di espressione si formarono sul suo viso ancora giovane. Stava pensando. Quando sollevò lo sguardo aveva gli occhi lucidi, o per lo meno così sembrava... parlò con un tono diverso, di una tranquillità calcolata -No, hai ragione non posso capire. Ma se le sedute dallo psicologo non bastano possiamo provare con dei farmaci per... lasciamo stare... comunque sono sicura che troveremo qualcuno che si prenderà cura di te e con cui tu possa relazionarti al meglio okay?- Annuii meccanicamente. Tanto nessuno sarebbe mai stato capace di sostituire nemmeno in minima parte papà. Nessuno. Non importava quanto cercassero, il mio papà era solo uno e un gruppo di estranei non sarebbe bastato per colmare il vuoto che avevo dentro. Soffrivo, ma cercavo di non darlo a vedere. Margaret aveva cambiato espressione ora... il suo sguardo era carico di compassione e senso di colpa per essere costretta a portarmi di nuovo nel posto che più odiavo. Il centro di affidamento. Andai di sopra a testa bassa, strascicando ogni passo per sprecare più tempo possibile e anche perché non avevo forze. Buttai i miei vestiti nella valigia alla rinfusa, senza piegarli o sistemarli un po', mi mancava la voglia. Presi dal comodino la foto di papà e accarezzai il suo viso sotto il vetro, come se potessi toccarlo per davvero e con una delicatezza infinita la appoggiai nella borsa dove tenevo le cose più preziose. Mi sedetti sulla valigia per chiuderla poi radunai libri e cianfrusaglie varie nelle tre borse che rimanevano. Scesi carica di tutti i bagagli e Margaret prese la mia valigia mentre mi accompagnava alla macchina, una Fiat Mini bianca, sempre pulita e tirata a lucido. Aprii la portiera posteriore dell'auto e mi infilati sui sedili allacciadomi la cintura per evitare i rimproveri di Margaret e spinsi le borse nel baule. Durante il viaggio non parlammo, ci eravamo dette tutto davanti a casa... Non sopportavo l'idea di poter capitare in un'altra famiglia irritante o meschina, perché questa volta sarebbe stato per sempre. Questa era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso, Margaret non avrebbe piu accettato le mie mute richieste di allontanamento. Questa era la mia ultima possibilità per rifarmi una vita, per cambiare, per essere una persona nuova. Le foglie cadevano e si agitavano deboli sui rami a causa del vento autunnale e io fissavo il cielo grigio, come per chiedergli di portarmi via, di farmi fuggire da questo mondo freddo e insensibile. Arrivammo davanti ad un triste edificio di un brutto color marroncino smorto. Mi accorsi che ci eravamo fermate solo dopo che Margaret sbatté con violenza la portiera e scese dalla macchina. Mi risvegliai dal mio torpore... Avevo pensato troppo, come al solito. Scorsi di sfuggita Margaret che, al di là del finestrino, mi intimava di scendere dall'auto. Sbuffai facendo una smorfia, abbastanza grande perché lei riuscisse a notare la mia svogliatezza. Giurai di averla vista alzare gli occhi al cielo. Soppressi una risatina nervosa e mi costrinsi a scendere dall'auto. Aprii lo sportello e non appena misi piede sull'asfalto, alcune gocce di pioggia mi caddero sulla mano. Alzai il volto verso l'alto e sentii altre gocce bagnarmi sulla fronte e sul naso. -Ti vuoi dare una mossa? Sta cominciando a piovere, non ho intenzione di inzuppami i vestiti!- la voce acuta di Margaret mi fece sobbalzare e per poco non inciampai sui miei piedi. -Arrivo! Arrivo! Che due scatole, dammi un po' di tempo dannazione!- -Signorinella, non accetto questo comportamento maleducato da parte tua. Impara un po' di bonton, ci sono dei libri apposta sai?- -Ci sono dei libri apposta sai?- la imitai per prenderla in giro -ma per favore!- Margaret incrociò le braccia e comincio a guardarmi con fare intimidatorio.... Oh oh,l'avevo fatta arrabbiare. -okay, scusa... Arrivo subito.- Presi le valigie dal baule e corsi sotto la tettoia del palazzo, perché le gocce avevano già cominciato a battere ritmicamente sul terreno. Margaret mi seguì a ruota e entrammo nel centro affidamenti. Era pieno zeppo di cubicoli, stretti corridoi e impiegati, assistenti sociali e ispettori. Era troppo caotico, ogni volta che ci entravo mi veniva da svenire. La mia claustrofobia portava anche a questo.... Non appena misi piede sul tappeto all'entrata tutti alzarono lo sguardo per vedere chi fosse appena arrivato e i loro occhi rimasero puntati su di me... Cinquantasette persone mi stavano fissando... Perché non abbassavano la testa e tornavano ai loro lavori? L'aria comiciò a mancarmi e sbiancai di colpo. Diedi una lieve gomitata a Margaret per informarla delle mie condizioni e lei per tutta risposta mi prese per un braccio e mi trascinò lungo un contorto labirinto di corridoi, fino ad arrivare davanti ad un ufficio... L'ufficio del capo.... Ripresi fiato e parlai con voce rotta -Perché siamo qui Margaret? Non dovevamo andare nel tuo ufficio? Non dirmi che.... Mi sbattono in prigione? Oddio non possono farlo! Dovrei andare in un riformatorio e... Sarebbe.... Una cosa... - mi era tornato un attacco di panico. -Respira Emily! Avanti! Calma.... Su.... Non andrai in riformatorio, solo che hai cambiato troppe famiglie in questi ultimi due anni, quindi il capo ha deciso di trovare per te una famiglia che tu possa credere adatta per una buona convivenza. Dovrai solo compilare un questionario, poi sceglieremo per te un ambiente familiare adatto. E non potrai cambiare questa volta. Un passo falso da parte loro o da parte tua? Poco importa. Tu dovrai rimanere con loro fino ai tuoi diciotto anni, dopodiché potrai essere libera di vivere dove ti pare e piace. - mi guardò finché il mio respiro non torno più o meno regolare -andiamo?- Annuii poco convinta e Margaret dopo aver bussato, abbassò la maniglia della porta. L'ufficio era enorme, con un tocco vintage... Non avevo mai visto il capo, ma doveva essere una donna visto l'arredamento in stile molto femminile della stanza. Puntai lo sguardo su un'ingombrante sedia che era rivolta verso una vasta libreria, di fronte a me. Era in pelle nera, costosa a prima vista. Guardai Margaret... era immobile e sembrava leggermente preoccupata. La sedia, con un movimento brusco, si girò. Sbiancai. Non era una donna, era un uomo, anche ben piazzato... Aveva i capelli corvini, lunghi il giusto e gli occhi verde smeraldo dai tratti asiatici. Sembrava davvero bello. Ero persa nella sua contemplazione quando si alzò e andò a stringere la mano di Margaret, per poi passare alla mia. La strinsi senza troppo vigore, non avevo molte forze e la nausea stringeva il mio stomaco in una morsa insopportabile. -Mi chiamo Peter John Emilton, piacere- mi rivolse un sorriso e qualcosa mi diceva che non era poi così di cortesia. La sua voce era dolce e sensuale in un certo senso. Farfugliai delle parole che sembravano un misto tra Emil e Yan... Non dissi il mio cognome... Oramai mi conoscevano tutti. -Oh, sei la famosa Emily!- come se non lo sapesse. Mi indicò una sedia accanto alla sua scrivania e fece accomodare Margaret su una poltroncina nel fondo della stanza. Andò dalla parte opposta del tavolo e tirò fuori dei fogli, il test. Me lo porse e io lo presi controvoglia -mi hanno già spiegato cosa fare, grazie- Presi una penna senza chiedere il permesso, me ne infischiavo del 'bonton'. Cominciai a compilare i moduli. C'erano 40 domande ed erano tutte a crocette tranne tre. "Dove vorresti vivere?","Vorresti avere fratelli e sorelle?","Ti irritano gli animali?" Queste erano le domande a cui risposi con più attenzione. Nelle altre crocettai la risposta fregandomene altamente del risultato finale. Avrei sempre voluto vivere in campagna, in mezzo alla natura. Amavo i felini e specificai anche il colore che avrebbe dovuto avere il mio felino ideale. Nero. Una gatto nero dagli occhi di ghiaccio. Inoltre scribacchiai che avrei sempre voluto avere due fratelli maggiori, ma che fossero simpatici per lo meno. Dubitavo che mi trovassero una villa in campagna, una gatto nero e due fratelli maggiori simpatici, ma mai dire mai. Consegnai il modulo. In cinque minuti avevo finito. Sorrisi freddamente, indossando la mia maschera, mentre passavo le carte a Peter e mi alzai soddisfatta. -Grazie mille per quest'ultima possibilità che mi state dando.- L'uomo mi stava squadrando da capo a piedi -Non c'è di che... Riceverai il responso e avrai una nuova famiglia entro una settimana. Nel frattempo potrai dormire in una delle nostre... - -Dormirà da me.- Margaret era dietro alla mia sedia e mi aveva messo una mano sulla spalla. Sorrideva dolcemente. Sono sicura che si troverebbe molto meglio. Annuii con vigore per sottolineare che ero d'accordo, dannatamente d'accordo. Peter sembrava irritato, quasi arrabbiato... Sorrisi anche io e salutammo il capo con una stretta di mano, poi uscimmo dall'ufficio. Appena fuori guardai Margaret con gli occhi colmi di gratitudine, ero quasi commossa -Perché lo fai?- -Fare cosa? Se mi stai chiedendo perché ti ho ospitato, be' non mi sembrava carino lasciarti qui. Le stanze sono puzzolenti, vecchie e per me che abito da sola non sei di alcun impiccio...- non ebbe il tempo di finire la frase. -Anche quello, ma la cosa che non capisco è il fatto che tu mi aiuti in ogni situazione, mi sostieni e mi fai notare quando sbaglio... perché lo fai? Ti ho sempre risposto male, ti ho sempre trattata male, come faccio con tutti... prima pensavo che lo facessi perché era il tuo lavoro, ma gli altri assistenti sono.... come dire... distaccati dai ragazzi che gli sono assegnati... e tu mi hai ospitata a casa tua addirittura... mi stupisce solo questo... quindi vorrei dirti, per la prima volta nella mia vita grazie, grazie di tutto quello quello fai, grazie di prenderti cura di me e di consolarmi quando sto male, grazie di esserci quando nessuno non c'è... be', grazie- stavo guardando a terra e quando alzai gli occhi Margaret era sul punto di piangere. -Margaret io... non avevo intenzione di farti piangere...- -No, Emily queste non sono lacrime di tristezza, mi sono solo commossa un po' , tutto qui... io aiuto solo te in questo modo, ma non ho idea del perché, sembri così piccola e indifesa rispetto a tutti gli altri che sono dei delinquenti patentati... sento solo di doverti dare una mano, tutto qui- -Margaret, posso abbracciarti?- Annuì ed io ne fui immensamente felice, sentivo di avere bisogno dell'abbraccio sincero di qualcuno, dell'affetto di Margaret, di un affetto vero. La strinsi forte per qualche minuto poi mi staccai da lei -Grazie, davvero- -Non devi neanche dirlo- mi sorrise con gentilezza poi prese parte delle mie valige -il resto prendilo tu, non riesco a portare tutto- -Si certo- raccolsi il resto delle valige e percorsi assieme a Margaret il corridoio da cui eravamo passate prima. Arrivate all'atrio tutti si fermarono a fissarmi di nuovo e uscimmo in fretta e furia. Non appena varcata la soglia ci ritroviamo davanti una pioggia scrosciante, il la pioggia aveva allagato tutto. Presi l'ombrello di Margaret e misi dentro la macchina tutte le valige mentre lei mi aspettava sotto la tettoia, poi le feci spazio e salimmo in macchina, finalmente. Nonostante l'ombrello ero completamente inzuppata di pioggia e quando mi appoggiai con la schiena al sedile non riuscii a non rabbrividire quando la maglia bagnata entrò a contatto con la pelle.
   
 
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