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Autore: Piuma_di_cigno    03/07/2015    0 recensioni
Tic Tac, fa l'orologio di Wendy. Ha ormai 17 anni e ogni giorno le sembra che crescere la renda più triste. Non si può fermare questo treno in corsa, e quel che è peggio è che non ricorda nemmeno che, per un attimo, ne ha persino avuta la possibilità.
Ma cosa succederebbe se, infine, gliene venisse concessa una seconda? Una seconda possibilità per rimediare, per scegliere meglio, per valutare e, soprattutto, per mettere in conto anche gli occhi di Peter, in cui si perde continuamente?
Partirebbe all'avventura una seconda volta?
Genere: Fantasy, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Darling, Michael Darling, Peter Pan, Wendy Darling
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1 – Ricordi

Arrivai a casa trafelata e bagnata fradicia. Appena tolsi l'impermeabile sgocciolante e appoggiai l'ombrello all'entrata, mi sentii addosso una voglia terribile di piangere.

Una volta ero stata libera.

Una volta.

Salii le scale con il morale a terra. Non volevo più tornarci in quella scuola. Ero stufa di essere perfetta.

Quando arrivai in camera, la scena fu quella di sempre: John steso sul letto con un libro di storia, e Michael a giocare con i soldatini. Anche per lui, erano gli ultimi momenti di giochi tanto infantili. Tra poco sarebbe finita anche per lui e anche lui sarebbe andato in chissà quale scuola.

Anche lui sarebbe diventato come John: razionale, composto, severo.

Non ci rivolgevamo granché la parola, ormai.

“Ciao Wendy.” mi salutò invece Michael. Gli lanciai un sorriso di gratitudine, ma in una giornata nera come quella, era il massimo di cui ero capace.

 

Fissavo il soffitto, stesa a pancia in su sul letto. Non riuscivo a dormire.

Una volta ero stata libera.

Perché l'avevo pensato? Era stato come … Un pensiero sfuggito al mio controllo, ma intuivo che ci fosse qualcosa di più dietro. Un ricordo potente, un ricordo meraviglioso. Sbuffai.

Mi innervosiva non ricordare nulla.
Comparvero anche gli occhi verdi dello sconosciuto, nella mia memoria di quel giorno. Chi era? Perché era immobile, in mezzo alla folla? Mi conosceva, forse?

Mi rigirai inquieta nel letto.

Avevo la stessa sensazione di quando stavo con un ragazzo: che non avrei dovuto farlo. Per questo non avevo mai accettato più di un appuntamento. Come se … L'avessi già fatto?

Ma cosa avevo fatto? E perché me lo chiedevo solo ora?

Quella notte non mi addormentai.

Rimasi sveglia fino a quando le prime luci dell'alba si videro all'orizzonte, un orizzonte coperto di pioggia. In silenzio, mi alzai, perché non sopportavo più la tortura di pensieri senza fine che si susseguivano l'un l'altro senza darmi pace.

Non mi importava se era domenica.

Io dovevo uscire.

Mi chiusi in bagno e, dopo essermi sfilata la camicia da notte, indossai il vestito più semplice che fui capace di trovare. Va bene. Sì, lo ammettevo. Contro tutte le belle fanciulle fissate con gli abiti lunghi e pomposi, la cosa che più avrei adorato indossare era un semplice paio di pantaloni. Sarei stata disposta a travestirmi da maschio, un giorno o l'altro.

Senza farmi sentire da nessuno in casa, saltai la colazione e uscii indossando un enorme impermeabile nero che mia madre indossava quando pioveva troppo e non poteva assolutamente bagnarsi il vestito.

In realtà, volevo camuffarmi per bene. Niente fronzoli. Un semplice vestito blu che ricadeva fino ai piedi, morbido, e un impermeabile che per un giorno mi nascondesse al resto di Londra: questo volevo.

Sgusciai fuori e l'aria fredda di novembre mi sferzò in viso mentre mi dirigevo verso il parco. A quell'ora non c'era nessuno per strada. Avevo lasciato i capelli sciolti e una folata di vento li scompigliò. Mi piacque da impazzire.

Per un attimo, immaginai di volare e di sentire sempre quella sensazione. Ma ovviamente, non sarebbe mai stato possibile.

Mi addentrai tra gli alberi, in uno dei parchi di Londra.

Sapevo che spesso lì si nascondevano malviventi e brutti ceffi, ma per fortuna il mio gancio destro non era niente male e, oltretutto, non avevo nulla con me. Niente soldi, niente collanine o braccialettini dorati.

Il silenzio del parco mi faceva sentire più libera di quello che ero.

Gli stivali sotto il vestito mi aiutavano a non fare rumore.

E all'improvviso, un'altra folata di vento mi spettinò, e quando mi voltai vidi lo sconosciuto dagli occhi verdi, con lo stesso impermeabile, a pochi metri da me.

Quegli occhi …

Una volta ero stata libera.

Quegli occhi erano libertà. Mi chiamavano, mi imploravano di venire verso di lui ed essere libera, e invece, mi voltai e scappai, terrorizzata.

Il mio errore fu dar retta alla ragione.

La mia corsa prese velocità, sempre di più, sempre di più, finché non ebbi più fiato e dovetti girarmi un istante. Ma lui non c'era.

Me l'ero immaginato di nuovo.

 

Quando tornai a casa, mamma e papà mi sgridarono a lungo: non era raccomandabile che una signorina per bene uscisse in quelle condizioni a ore del mattino così disdicevoli. Chissà se avessero saputo che ero andata al parco! Sarebbe stato un vero disastro …

Ma tutti tornarono allegri, ricordandomi il ballo di quella sera.
“Il tuo primo ballo!” disse la mamma. “Sei felice, Wendy?”

Sorrisi cortesemente, ma non avrei potuto essere più triste. Il morale mi stava lentamente scivolando di nuovo verso i piedi e i miei pensieri vertevano tutti in quell'unico, cruciale punto: gli occhi verdi dello sconosciuto e la sensazione che mi avevano fatto provare.

Mamma e papà cercarono di darmi delle dritte che la zia non mi avesse già dato su come comportarmi al ballo.

Quando tornai in camera mia ero distrutta, e mi sdraiai sul letto, con gli occhi lucidi di lacrime. Era questa la mia vita? Sarebbe stata così per sempre? Il lavoro, un ballo, un marito, più avanti? Perché lo sapevo. A quel ballo i miei genitori mi avrebbero presentata a tutti i possibili candidati per essere miei sposi.

Non dovevo dare risposte disdicevoli.

Non dovevo stare curva con la schiena.

Non dovevo sorridere scoprendo i denti.

Io non ero una bambolina di porcellana!

Eppure, quella sera mi infilarono in un corsetto troppo stretto, mi misero un vestito troppo sfarzoso, mi misero troppa cipria e mi raccolsero i capelli. Avrebbe dovuto sorprendermi? No, certo.

Mi sedetti davanti allo specchio, in camera, per indossare gli orecchini.

Michael, in pigiama, si sedette sul letto dietro di me.

“Wendy?” chiamò con voce incerta. Gli lanciai un'occhiata che lui non ricambiò; teneva le mani in grembo e fissava il pavimento.

“Dimmi.”
“Wendy, tu ...” sospirò, “Tu ricordi?”

Lo fissai, perplessa.

“Cosa … Cosa dovrei ricordare?” chiesi, pensando quasi che stesse scherzando, nonostante la sua espressione fosse terribilmente seria.

Michael scosse la testa.

“Niente.”

Uscì dalla stanza prima che potessi aggiungere altro. Che strano, pensai fra me e me. Eppure, nel momento in cui me l'aveva chiesto, mi era sembrato che quel discorso fosse molto carico di sottintesi. Quali? Non ne avevo idea.

Mi alzai e scesi le scale per arrivare all'entrata, dove i miei mi aspettavano. Mio padre aveva già il cilindro in testa.

“Sei davvero bella, Wendy.” disse con un sorriso freddo.

“Grazie.” risposi, altrettanto fredda.

La strada verso il ballo fu terribilmente gelida. La bellezza era una cosa faticosa e, il più delle volte, ti procurava un raffreddore. Detestavo quella scollatura vertiginosa sul mio seno. Insomma! Va bene che le mie cure si erano fatte piuttosto evidenti negli ultimi tempi, ma questo era davvero troppo!

Cercai di tirarla su senza farmi notare, ma mamma mi lanciò un'occhiata severa, che mi fece desistere dall'impresa con un sospiro.

Arrivammo davanti al salone. Papà si aggiustò il cilindro, mamma lo scialle.

“E ricorda,” disse con un'occhiata sorridente, “sii cortese, non ridere sguaiatamente, sta dritta con la schiena, attenta all'inchino e non pestare i piedi a nessuno.”

Feci il sorriso più falso che riuscii a trovare.

“Certo.”

Inutile dirlo: la serata fu un disastro. Mamma e papà mi presentarono ai giovani più idioti che avessi mai conosciuto. Avrebbero battuto persino John.

Il primo, mi pestò i piedi un sacco di volte.

“Siete incantevole signorina Darling.”

“Grazie, Mr Ross.”

Ahia!!

Il secondo aveva l'aria cortese.

“Siete incantevole signorina Dargling.”

“Grazie Mr Wiston.”

“Questa scollatura, tuttavia, è piuttosto disdicevole su di voi.”

“Uhm … Vi chiedo scura Mr Wiston.”

“Oh, no, sono io che chiedo scusa a voi, signorina Darling. Si capisce, mi sono reso troppo esplicito.” mi rivolse un sorriso che di esplicito aveva fin troppo. Questa volta, fui io a pestare il piede a qualcuno.

“Ma questi … Quest'acconciatura!” esclamò Mr Wilson, il terzo accompagnatore, “Non capirò mai come fate voi signore! Devono volerci ore!”

“Ci vogliono ore.”

“Oh, signorina Darling, vi trovo di cattivo umore nonostante il vostro aspetto così piacente.”

“Ma non mi dica.” è per colpa di certi idioti come te che sono di cattivo umore.

“E anche scortese, aggiungerei.”

Lo fissai indispettita. Il bellimbusto biondo che mi stava davanti fece una smorfia.

“Molto bene, Mr Wilson, mi faccia sapere quando avrà finito di enumerare tutti i miei difetti, io comincerò presto con i suoi.”

Parve sorpreso, quasi sgomento.

“Oh … Ah! … Quale arroganza!”

Per grazia voluta, il ballo finì e appena potei scappai fuori, sul terrazzo. Avevo intravisto i miei genitori venire verso di me, ma confondendomi con la folla speravo di averli seminati.

Quasi scoppiai a piangere appena vidi la luna.

Ma che diamine ci facevo lì? Io non volevo.

Non era quella la mia vita.

D'un tratto, sentii un fruscio accanto a me.

Mi voltai di scatto.

Di fronte a me, appoggiato al bordo opposto della terrazza, c'era lo sconosciuto dagli occhi verdi.

Spazio autrice: ciao a tutti! Questa è la mia prima storia su Peter Pan, anche se ho sempre desiderato scrivere una continuazione della storia tra lui e Wendy. Sarò breve, quindi. Buona lettura a tutti e lasciate quante più recensioni possibili, mi farebbe tanto tanto piacere!
Baci,
Piuma_di_cigno.

   
 
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