Salve
a tutti! Prima di cominciare a tediarvi con la narrazione, occorre
attuare
qualche piccola precisazione. Questa è una Alternative
Universe, e quindi, non si colloca in nessun modo
nell’universo narrativo
di Final Fantasy VII. Quindi non è mai successo nulla di
quello che ci racconta
la trama del videogame. Tuttavia i luoghi ed alcuni personaggi sono
stati presi
dal videogame originali. Questi elementi non sono di mia invenzione e
quindi
(logicamente) appartengono ai rispettivi proprietari, che, come tali,
ne
detengono tutti i diritti. Inoltre non sono utilizzati a fini di lucro.
Occorre
anche precisare che la narrazione è alterata: più
che altro la storia si sviluppa
in quest’ordine: dapprima nel presente,
poi
continua con un lunghissimo flashback, e
poi, ancora una volta, ritorna al presente. Per semplificare la
comprensione, metterò delle date che aiuteranno a capire il
tempo in cui si
svolge la storia.
Forse
questo capitolo, il prologo, vi lascerà lievemente
spiazzati, ma non vi
preoccupate, col flashback successivo si spiegherà tutto
(forse XD)!
Bene,
direi di cominciare, vi auguro buona lettura!
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Lacrimosa
“Lacrimosa
dies illa,
qua resurget ex favilla
judicandus homo reus
[…]”
Messa
da Requiem, Lacrimosa – Wolfgang Amadeus Mozart
Prologo:
Opporsi al destino
24
Novembre 2009, 15:45
Quel
giorno la nebbia dominava tutto. Dominava il cielo, la terra, ogni cosa
era
soggetta al suo volere. Sembrava far da scudo alle vicende terrene, e
il suo
manto avvolgeva le vie quasi deserte, le strade, i viali, le case, le
anime
della poca gente che stava in strada. Un cane, disorientato dalla
scarsa visibilità,
barcollava incerto per i luridi vicoli di Midgar; si faceva strada tra
l’immondizia, rabbrividendo per il freddo innaturale di
quella strana giornata,
scostando con la zampa una lattina usata, guardando il cielo plumbeo,
così
diverso da quello azzurro che fino a ieri regnava tra le candide nuvole
bianche, simili ad un gregge che pascolava nel cielo.
E
mentre il cane guardava con nostalgia al passato, c’era chi
invece addirittura
lo rimpiangeva. Si sa, il presente non è sempre benaccetto.
A volte, si farebbe
di tutto per tornare indietro, rivivere ciò che è
passato, cercare di dare una
spiegazione a ciò che avverrà. Era semplice
capire quanto potesse essere strano
vivere in tal modo. La difficoltà era trovare la forza di
andare avanti. Era a
questo che pensava l’uomo che camminava lentamente per una
via secondaria della
città, avvolto in un cappotto pesante per sferzare il freddo
di quella
giornata. Gli occhi azzurri erano stanchi, l’espressione
preoccupata. Il suo
nome era Cloud Strife.
Cloud
non aveva mai avuto ché di lamentarsi. Una famiglia ricca,
una moglie
amorevole, un figlio fantastico, un buon lavoro. Una vita che molti
avrebbero
considerato perfetta. E all’apparenza, lo era. Ma spesso, per
capire davvero la
gente, bisogna guardare sotto la superficie. Allora sì che
tutti avrebbero
notato la verità. Cloud lo sapeva benissimo. Per scalare il
successo aveva
dovuto scavare nella gente, riuscire a capire tutte le motivazioni
intrinseche
dei loro gesti, cercare di aiutarle ed infine lasciarle andare da sole.
Era
la sua capacità di comprendere a fondo le persone, che lo
aveva portato fino a
quel punto, nel bene e nel male. I suoi piedi urtarono qualche
ciottolo. Mise
le mani in tasca, e si maledì per non aver portato i guanti
con lui. Non poteva
perdere tempo per tornare a casa, ci sarebbe voluto troppo tempo per
far
ripartire la Lamborghini, date le condizioni in cui era ridotta. Ed era
sicuro
che lei lo stesse seguendo, la
sentiva. Sentiva i suoi passi, nella realtà, o forse
soltanto nella sua mente,
la sentiva vicino a sé, la sentiva pronta a vendicarsi per
il torto subito.
Sicuramente aveva seguito la pista lasciata dalla sua macchina
distrutta. E,
una volta giunta in quella zona della città, probabilmente
era stato facile
intuire dove sarebbe andato. E sicuramente l’aveva seguito.
Ma dopotutto non
gli importava. Forse era arrivato il momento della vera azione, il
momento che
sapeva sarebbe arrivato. Forse.
Oltrepassò
una strada secondaria a passo svelto, mentre le prime gocce di pioggia
gli
bagnavano il viso. Si maledì nuovamente per non essere stato
previdente
riguardo all’eventualità che potesse piovere, e a
denti stretti, seguitò nella
sua improbabile passeggiata. Mentre il vento si alzava e la pioggia
batteva sul
suo viso, Cloud pensò che mai era caduto così in
basso, e che probabilmente non
lo sarebbe stato ancora per molto, se tutto andava come prevedeva. Nel
bene o
più probabilmente nel male, tutto sarebbe presto finito.
Si
stava scavando la fossa con le sue stesse mani? Stava percorrendo la
strada
verso il patibolo? Forse, probabile, sicuramente era così.
Lo sentiva, così
come sentiva il vento che soffiava sul suo viso, la pioggia che batteva
sui
capelli oramai bagnati fino alla radice, come il silenzio innaturale di
quelle
strade. Strinse l’impermeabile, poi alzò la testa
ed osservò le guglie gotiche
della cattedrale che si ergeva di fronte a lui. In quel momento, un
lampo
squarciò il cielo, illuminando l’elaborata
facciata della chiesa che aveva di
fronte, che si stagliava su, in alto, fino a toccare il cielo. Era una
cattedrale grandissima, ma quel giorno deserta. Dopotutto, anche il
più strenuo
dei fedeli avrebbe avuto difficoltà a lasciare la propria
casa con quel tempo,
naturale che la chiesa fosse vuota.
Ma
il grande portone in quercia era aperto, come sempre, e Cloud, senza
più
nessuna titubanza, entrò.
La
prima cosa che lo colpì fu la luce soffusa che proveniva
dalle finestre, di
solito sempre così luminose e piene di vita grazie alla luce
proveniente da
fuori. Poi vide qualche candela accesa nel banco delle offerte dei
fedeli, che
stranamente emanava più bagliore del solito, forse per
l’assenza della grande
luce che di solito caratterizzava la grande sala. Infine,
provò un brivido di
solitudine nel vedere le navate vuote, senza nessuno che le riscaldasse
con le
proprie preghiere.
Mosse
un passo in avanti, poi un altro, e un altro ancora, nella lenta
camminata che
portava verso l’altare, attraversando in silenzio la navata.
Ogni passo era un
rimbombo che scuoteva la chiesa, come se l’ambiente
circostante fosse soggetto
ad un terremoto. Da una cappella laterale, l’occhiata
penetrante di qualche
santo lo attraversava, con un sorriso austero e compiaciuto sul viso.
Scuotendo
la testa, si fece avanti, fino a raggiungere il buio
dell’altare. Un lampo
illuminò per un attimo la chiesa, poi
l’oscurità torno a regnare sovrana. Cloud
si mosse verso una porta ai lati dell’altare e
provò ad aprirla, ma con
irritazione vide che era chiusa.
“Padre
McRonis!” chiamò l’uomo. La sua voce
rimbombò per la chiesa, senza ricevere
nessuna risposta.
“Padre
McRonis, mi sente?” ripeté Cloud, alzando il tono
della voce. Ancora una volta
nessuno gli rispose, ma proprio quando pensava che ormai non ci fosse
nessuno,
ecco dei passi frettolosi che provenivano da una delle porte laterali.
“Chi
è?” chiese una voce maschile, sospettosa,
aldilà della porta in legno.
“Sono
Cloud Strife” rispose l’uomo. “Potrei
parlarle? Ne avrei bisogno”
Una
chiave consunta e arrugginita girò nella toppa, e la porta
si aprì, rivelando
la figura rassicurante di un uomo di chiesa, cinquantenne, chiamato
Padre Davis
McRonis. Il Reverendo McRonis era sempre stato un devoto servitore di
Dio. I
più anziani fedeli della comunità lo ricordavano
ancora da ragazzo, quando si
occupava delle attività giovanili della chiesa. Ricordavano
la sua sicurezza,
il suo coraggio, la sua voglia di aiutare il prossimo. E queste erano
le
qualità che trovavano anche nel McRonis del presente,
divenuto un punto di
riferimento per tutti coloro che cercavano aiuto.
“Dottor
Strife” esclamò il reverendo, felicemente sorpreso
“Sapevo che sarebbe venuto
presto, ma non mi aspettavo di vederla in una simile giornata. Prego,
entri” e
gli fece cenno di seguirlo
oltre la porta che aveva appena aperto. Richiudendo la porta alle sue
spalle,
Cloud pensò che non aveva ancora molto tempo, se le sue
supposizioni erano
esatte. Seguì il reverendo per uno stretto e angusto
corridoio, fino ad
un accogliente stanza dominata dalla
penombra, ma illuminata fiocamente da un caminetto acceso.
“Si
sieda pure” disse Padre McRonis. Cloud, un po’
teso, si accomodò su una delle
due poltrone illuminate dal camino, e si lasciò riscaldare
dal tepore delle
fiamme. “Come sta sua moglie?”
“Oh,
Cissnei sta bene” rispose Cloud assente.
“Bene,
le dica che la saluto” proferì il reverendo,
sorridente.
“Senz’altro”
si susseguirono alcuni secondi di silenzio. “Immagino che
sappia perché sono
venuto” disse poi, fissando il fuoco ardere scoppiettando nel
camino.
“Beh,
credo di si” rispose l’altro, in tono greve
“Sa, a dire la verità mi ha stupito
non vederla al funerale dell’altro ieri. Credevo che lei e il
signor Fair foste
amici”
Alla
menzione del cognome dell’amico, Cloud si sentì,
se possibile, ancor più
depresso di prima. Gli era dispiaciuto moltissimo non essere presente
al
funerale di Zack, ma non poteva presentarsi, non dopo tutto quello che
era
successo con lei. Ma non doveva
dire
la verità a nessuno. Non poteva rischiare che quella storia
venisse a galla.
Anche per il bene dell’ormai defunto Zack.
Decise
quindi di mentire. “Si, mi dispiace molto, ma purtroppo ero
impegnato in un
viaggio d’affari” disse quindi.
“Sua
moglie e suo figlio, invece, sono venuti” rispose il
reverendo.
“Si,
me l’hanno detto” assentì Cloud.
Ancora
qualche minuto di silenzio. Poi Cloud si fece coraggio e chiese una
cosa che
gli stava parecchio a cuore.
“E
la signora Fair? Come stava?”
McRonis
sospirò. “Non ha mosso ciglio durante la
cerimonia. Beh, d’altronde era chiaro
che provava moltissimo dolore. E come darle torto?”
“Già”
sussurrò Cloud in risposta, assorto nei suoi pensieri.
Appena si riprese,
decise di andare al sodo, chiedendo ciò per cui era venuto.
“Reverendo,
Zack Fair è stato sepolto nel cimitero privato dietro la
chiesa?”
“Certamente”
rispose McRonis “come tutti i membri illustri della nostra
comunità. Un giorno
questo onore spetterà anche a lei. Ovviamente spero il
più tardi possibile”
Cloud
sorrise amaramente, decidendo di non infierire su
quell’ultima affermazione
decisamente priva di tatto. “Vorrei poter entrare nel
cimitero privato. Vorrei
far visita alla tomba del mio amico”
Il
Reverendo aprì un cassetto e vi frugò
all’interno, poi gli porse una chiave.
“Immaginavo che volesse andare a trovarlo, così mi
sono premurato di farle una
copia”
“Beh,
grazie” rispose Cloud prendendo la chiave in mano, fredda al
tatto.
“Vuole
scusarmi, devo prepararmi per la funzione serale” disse dopo
un po’ il
Reverendo “Anche se con questo tempo, non credo che verranno
in molti”
“Allora
la lascio” rispose Cloud, alzandosi.
“Mi
ha fatto molto piacere la sua visita” rispose McRonis
“venga a trovarmi presto”
“Lo
farò” disse Cloud, pensando che probabilmente
stava mentendo. Ma non dipendeva
da lui. Ancora una volta, come sempre, si era fatto trascinare dagli
eventi,
così diversi da lui eppure così simili ai suoi
pensieri. Quella giornata di
pioggia, che gli era parsa tanto inospitale, adesso gli appariva
come…
liberatoria. Dopotutto, cos’è la pioggia, se non
acqua? Ogni temporale porta
con sé la speranza di un sole splendente, e per un attimo,
mentre si dirigeva
verso il cimitero, verso il suo insicuro
“patibolo”, si dimenticò del passato,
dell’incidente con la Lamborghini, della famiglia che lo
aspettava a casa, di
Cissnei, di suo figlio, e persino di lei, pur sapendo che ben presto
l’avrebbe
rivista per l’atto finale della sua storia.
Mentre
la pioggia lasciava il passo ad una sempre più fitta nebbia,
lei camminava per le strade bagnate
del
centro, verso quella chiesa che era stata meta di Cloud Strife parecchi
minuti
prima. I suoi occhi verdi si mossero con circospezione per
l’area circostante,
cercando un qualunque segnale di anomalie. La sua mano, nella tasca
dell’elegante soprabito nero che indossava, si chiudeva sul
calcio di una
pistola appartenuta al marito, morto qualche giorno prima. Non
conosceva
neppure il modello dell’arma, eppure era sicura di saperla
usare. Dopotutto, è
difficile premere un grilletto? No, ci voleva solo un po’ di
sangue freddo.
Beh, di coraggio lei ne aveva da vendere.
Diamine,
com’era potuta arrivare a tanto? Si sentiva in qualche modo
irriconoscibile. Un
brivido la attraversò, e si strinse ancora di più
al suo cappotto scuro. Lo
stesso che aveva utilizzato il giorno del funerale. Scuotendo la testa,
si
disse di non pensare al passato, e, con rinnovato vigore, si diresse
verso la
cattedrale che già riusciva ad intravedere attraverso
spiragli vuoti tra i
grattacieli del centro di Midgar.
Camminò
ancora per qualche minuto, poi si fermò, lasciandosi andare
per un attimo su
una gelida panchina. Il freddo metallo la tenne con i piedi per terra,
impedendole di speculare su quegli ultimi terribili giorni. Al
contrario, il
suo sguardo si fermò su una bambina sorridente, di poco
più di sette anni, dai
capelli castani e con indosso un candido vestitino azzurro leggero, non
di
certo adatto ad una giornata così piovosa. La bambina
giocava con due pupazzi
di pezza, vecchi di almeno vent’anni. Uno di questi era
posato a terra, con una
grossa croce piantata sul petto, nel punto in cui, se fosse stato
umano, si
sarebbe trovato il cuore. L’altro pupazzo aveva dei capelli
giallo paglia e
veniva sballontonato di qua e di là dalle mani della
bambina, che lo teneva
stretto come se non lo volesse far scappare. E quell’insolito
quadretto, così
strano, così… singolare, la attirava. Quasi senza
rendersene conto, si ritrovò
nuovamente in piedi, lasciò andare la pistola dentro la
tasca del soprabito e
si avvicinò, un po’ di soppiatto e un
po’ incuriosita, alla bambina. Una parte
di lei voleva non essere notata dalla bambina, e continuare ad
osservare il suo
gioco infantile per capirne la logica. Ma un'altra parte invece voleva
essere
notata, voleva avere una spiegazione, voleva capire il
perché di quel magnetismo
verso quel piccolo esserino che si muoveva goffamente
e che, con distratta eleganza, piantava
sempre più in basso la croce sul petto del pupazzo, che,
inerme, assecondava il
suo volere.
Fu
così che la curiosità vinse, e che, con un
sorriso tirato sul volto, si
avvicinò fino a carezzare la testa della piccola con la
propria affusolata
mano. Quella non si scompose, continuò a giocare
distrattamente con i pupazzi,
senza degnarla di uno sguardo.
“Ciao”
si decise a parlare la donna, con un tono di voce amichevole.
“La
mamma mi ha detto di non parlare con gli estranei” rispose la
bambina, senza
distogliere lo sguardo dalla bambola con i capelli di paglia.
“Oh,
capisco. Lo diceva sempre anche mia madre. Lo fa perché ti
vuole bene” rispose
lei, con un sorriso sul volto.
“Io
invece non capisco, che barba!” continuò la
bambina “Io voglio conoscere tante
persone nuove!”
“Beh,
facciamo amicizia!” propose l’altra, abbassandosi
sulle ginocchia per stare al
suo livello.
“Ok!”
rispose la bambina, sorridente. Alzò lo sguardo e due
bellissimi occhi verdi
irradiarono il volto della donna, simili a due soli in quella grigia
giornata.
“Mi chiamo Aerith, piacere”
L’altra
fece fatica a nascondere la sua sorpresa. Il sorriso di circostanza che
aveva
adottato sparì, sostituito da un espressione di
costernamento e di confusione.
“Beh, questo è buffo!” rispose fredda.
“Cosa
è buffo?” disse l’ingenua bambina, senza
capire ciò che la bella signora stesse
dicendo.
“Io
mi chiamo come te” rispose accarezzandole i capelli castani.
Passò
qualche attimo in cui le due stettero in silenzio. La bambina, dal
canto suo,
ignorava completamente quello che l’altra le diceva, e
rispondeva solo
direttamente, senza aggiungere nulla di superfluo che potesse lasciare
intuire
qualcosa al riguardo della sua vita.
“Va
bene, Aerith” disse la
donna,
mettendo enfasi sul nome “A cosa stai giocando?”
“Sto
inventando una storia in cui ci sono due personaggi” disse,
indicando i due
pupazzi che adesso giacevano entrambi a terra.
“Davvero?”
disse l’Aerith adulta, scostando una ciocca di capelli dal
suo viso “Ti
andrebbe di raccontarla?”
“Veramente
non è un granché” rispose la bambina
“Però se proprio vuoi ti posso fare un
riassunto”
“Mi
piacerebbe sentirla”
“Va
bene” rispose la bambina guardandola “Questo
pupazzo si chiama Cloud” e indicò
la bambola con la testa di paglia “e l’altro
è… beh, per la verità non ha un
nome. Però se proprio vuoi saperlo posso deciderlo adesso!
Direi che mi
piacerebbe il nome… Zack!”
Adesso
la donna non parlava più. Nella sua testa si ripeteva che
non poteva essere
solo una coincidenza, era troppo strano. Quella bambina si chiamava
come lei,
aveva il suo aspetto, e le sue bambole? Avevano lo stesso nome
di… no, non
poteva essere SOLO una coincidenza! C’era qualcosa sotto, e a
questo punto,
doveva scoprire cosa.
“Cloud
e… Zack?”
“Si!
E poi ci sono io che gioco con loro!” riprese la piccola,
saltellando “Però
Zack è morto qualche giorno fa”
“Davvero?”
Chiese Aerith, cercando di mantenere un tono stabile, mentre nel suo
petto il
cuore martellava forte.
“Si…
l’ho ucciso io” disse
la bambina, con
un sorriso mite sulle labbra, come se le stesse raccontando dei suoi
ottimi
voti a scuola. E le sembrò che la piccola provasse una sorta
di gioia perversa,
vedendola così sconvolta, come se fosse a conoscenza di cose
a lei ignote.
“L’hai…
ucciso tu?” sussurrò con appena un filo di voce
tremante, mentre nei suoi pensieri
si ricollegavano argomenti del tutto rimossi, con una logica
altalenante che le
pareva comunque senza senso. CHI era quella bambina?
“Beh,
si, adesso è morto. Avresti dovuto vedermi al funerale! Non
ero per niente
triste, e poi…”
“Basta
così!” esclamò Aerith, in tono serio
“Non so cosa tu stia dicendo, ma non sei
stata tu ad uccidere Zack!”. Non
sono
stata io!
La
bambina posò anche l’altro pupazzo sul
marciapiede, il bambolotto biondo chiamato
Cloud. Poi sospirò, dicendo “Invece sono stata io,
e tu, più di chiunque altro,
dovresti saperlo. E dovresti sapere che la stessa cosa
accadrà tra poco anche a
Cloud”
Mentre
la donna, istintivamente, toccava la pistola che adesso era abbandonata
nella
tasca del soprabito, pensò che la bambina aveva ragione, su
quel punto. E odiò
se stessa, odiò tutto quello che vivere nel suo stato poteva
significare, ed
odiò anche quello che forse aveva fatto e quello che stava
per fare. Si
inginocchiò accanto alla bambina, che sentiva vicina, parte
di lei, specchio
della sua anima. “Posso cambiare qualcosa?”
La
piccola fece segno di no con la testa. “Sai anche tu che era
impossibile
evitare questi avvenimenti. Bella o brutta, ognuno deve seguire la
propria
strada, e vedere dove conduce, fino alla fine” E qui la
bambina le si avvicinò,
e le cinse le gambe con le braccia, come una sorta di abbraccio. Aerith
rabbrividì al tocco di quelle mani piccole e fredde,
però non la respinse, la
lasciò immergersi in quell’abbraccio
così sentito e profondo, ma al tempo
stesso compassionevole.
“Sei
chi io penso che tu sia?” chiese poi l’adulta.
“Non
si era capito?” chiese la ragazzina, staccandosi da lei e
raccogliendo le sue
bambole da terra. Poi le si avvicinò nuovamente, ed
indicò la tasca destra del
suo cappotto, dove l’arma riposava placidamente, in attesa di
essere usata. “Fa
quello che devi fare” disse “ma non credere che sia
la cosa giusta, spero che
tu lo sappia”
Aerith
non sorrise. Al contrario, si incupì e chiuse gli occhi, non
riuscendo nemmeno
a trovare la forza di piangere. Ma quando li riaprì, nessuna
ragazzina le stava
davanti, nessuna sé stessa, nessun pupazzo. Solo la
malinconica solitudine di
una brutta giornata, ed una strada da imboccare. Mentre riprendeva a
camminare,
pensò che dopotutto, forse c’era un motivo se si
era arrivati a tanto. Ma anche
se poteva sembrare strano, lei non lo vedeva proprio.
Il
cimitero privato della Cattedrale di Midgar non era molto noto. Anzi,
si poteva
affermare con tutta tranquillità
che gli
unici che erano al corrente della sua esistenza erano i parenti di
coloro che
vi erano seppelliti, e che a loro volta sarebbero stati seppelliti
accanto ai
propri cari. Era come la chiusura di un cerchio, e così
tutto ritornava alla
situazione di equilibrio iniziale.
Cloud
Strife non si stupì di trovarlo vuoto. Dopotutto, chi era il
folle che in una
giornata come quella andava a far visita ad un morto? Beh, follie a
parte, in
un modo o nell’altro, lui era lì. Davanti a quella
lapide grigia rivestita in
marmo, poco decorata ma al tempo stesso regale. Le lettere che
svettavano sulla
sua superficie erano dorate e splendenti, testimoniando che la tomba
era un
recente acquisto del Cimitero. D’altronde, quanti giorni
erano passati dal
funerale? Due, forse tre?
Per
un attimo guardò il nome dell’amico, Zack Fair,
pensando che sicuramente il
fatto di avere una tomba come dimora per
l’eternità lo avrebbe fatto ridere.
Lui che diceva di voler morire ustionato a Costa del Sol! Era di certo
uno
strano modo di andarsene, ma nessuno glielo aveva mai fatto notare.
D’altronde,
Zack era fatto così, ed il suo modo di fare, il suo ridere
delle battute a
volte senza senso, il suo trovare qualcosa di buono in qualunque cosa,
era
gradito a tutti. Beh, se non altro avrebbe almeno accettato
l’originalità del
caso. Vivere in una tomba per un morto non avrebbe dovuto essere un
problema,
ma Cloud era sicuro che l’amico non si trovasse bene in un
luogo così angusto.
Magari una cripta sarebbe stata più adeguata. Beh, era stata
una decisione di
Aerith. E dopotutto, non era sicuro che Aerith volesse davvero il bene
per
Zack. Specie negli ultimi tempi: era stato attuato ciò che
era necessario,
questo era l’importante.
L’uomo
poi ripensò alla sua morte: una vera e propria pugnalata
alle spalle, da parte
del meno sospettabile. Cloud stesso stentava a credere che fosse
davvero
successo, cinque giorni prima: eppure il fato aveva deciso
così, anche se i
motivi del gesto gli apparivano oltremodo senza senso.
Poi
nella sua mente sovvenne l’immagine di Aerith. Era da quel giorno che non la vedeva, dal giorno
della morte di Zack,
quando era scappato dall’edificio dove si trovavano, con il
suo sguardo sulle
spalle. Cloud era però convinto che entro poco
l’avrebbe rivista, ed infatti
non si sbagliava. In quel preciso istante sentì la canna di
una pistola posarsi
contro la sua schiena, e seppe che lei era arrivata.
Aerith
Gainsborough.
“Salve,
Aerith” disse Cloud, senza scomporsi più di tanto
al sentore della pistola alle
sue spalle. Anche se non l’aveva ancora vista
poiché sita alle sue spalle,
Cloud era sicuro che fosse lei. Chi altri poteva aver accesso al
cimitero
privato, soprattutto in una così nebbiosa giornata? Nessuno,
a parte Aerith. Ed
infatti, ecco la sua voce, ora insicura ora più ferma,
sussurrare: “Ciao,
Cloud”.
Una
goccia di pioggia bagnò il viso del biondo, mentre il cielo
annunciava un nuovo
temporale. In effetti la nebbia s’era fatta più
rada, e nel cielo splendeva il
bagliore plumbeo che annuncia un imminente tempesta.
“Lascia
che io ti spieghi” disse Cloud, mentre un lampo squarciava il
cielo.
“Cosa
vorresti spiegarmi? Io so tutto, e so anche che non dovevi
farlo” rispose la
ragazza, mentre la mano che teneva la pistola cominciava a tremare.
“Non
c’è alcun bisogno di arrivare a questo
punto!” esclamò Cloud, cercando di
mantenere il sangue freddo e arrovellandosi per trovare una via
d’uscita
apparentemente inesistente a quel problema.
Aerith
abbassò lo sguardo. “Io non la penso
così” disse poi, con la testa china.
“Non
vuoi sapere come è esattamente andato tutto?!”
esclamò Cloud.
La
donna tentennò, mentre la pistola tremava ancor di
più nella sua mano. “Cosa
dovrei sapere?”
“Posa
la pistola e ti dirò la verità”
continuò Cloud.
“E
se fosse un bluff?” continuò Aerith, con una nota
tremolante nella voce.
“Fidati
di me, Aerith. Non farei mai nulla che potesse farti del
male” continuò.
La
donna non si mosse per qualche minuto, continuando a pensare. Poi
rinforzò la
presa sul calcio dell’arma, e parlò:
“Dì prima quello che sai”
“No.
Posa l’arma!” sibilò Cloud.
“Sarebbe
un cliché se ti dicessi che non sei in condizione di poter
trattare?” domando
Aerith con una velata ironicità, mentre il tremore della sua
mano si
stabilizzava verso una più sicura convinzione di poter fare
qualcosa di cui non
si era mai considerata capace.
“Il
prezzo sarebbe la verità” continuò
Cloud, anch’egli più tranquillo. Nonostante
il destino l’avesse guidato fin lì, forse
c’era ancora una possibilità “Hai mai
sentito parlare della ShinRa Electronic Power Company?”
Sapeva di aver colto
l’interesse della donna dietro di lui. Sentì di
nuovo l’insicurezza che
pervadeva la sua mente, ed il nuovo tremolio della mano della donna.
“Io…
cosa ne sai tu della ShinRa?” chiese Aerith, sconvolta.
“Probabilmente
so le stesse cose che conosci anche tu. Però devi dirmi con
sincerità: dove hai
sentito il nome della corporazione?”
“Circa
due settimane fa, ho… ho visto un documento
sulla sua scrivania, nel suo studio… ma non
pensavo fosse qualcosa di
importante, non l’ho nemmeno letto! Però Zack da
quel momento si è comportato
in modo strano…”
“Si,
immagino cosa vuoi dire” continuò Cloud
“Aerith, ascoltami bene, adesso. Ho dei
sospetti fondati sulla ShinRa, ma non ho molte prove che possano
convalidare le
mie teorie. E’ proprio per questo che per adesso non posso
rivelarti tutto.
Però i file che potrebbe avere Zack nel studio…
devo dargli un’occhiata, ti
prego. Sono questioni molto importanti per il destino di
Midgar!”
Passò
qualche minuto, in cui la donna continuava ad arrovellarsi sulle nuove
rivelazioni di Cloud. Poi disse, a bassa voce, abbassando la canna
della
pistola “Ti credo”.
Cloud
sospirò, mentre si voltava a guardare la donna che fino ad
adesso era stata
alle sue spalle. E la trovò radiosa, bellissima come sempre,
anche nel suo
dolore. Gli stessi occhi verdi che l’avevano guardato la
prima volta un paio di
mesi prima, attraverso i quali riusciva a vedere la sua anima. E vide
che forse
il destino aveva sbagliato, e se ne compiacque.
“Meglio
andare” sussurrò Cloud “Dobbiamo andare
a casa tua, nello studio di Zack. Non
hai ancora toccato nulla, vero?”
Aerith
fece segno di no con la testa “Non sono neanche entrata nello
studio, a dir la
verità”.
“Bene”
continuò Cloud “Se le mie teorie sono esatte,
potrò avere dei documenti che testimonino
le mie teorie. Adesso andiamo!”
Aerith
adesso era un po’ inquieta. Forse voleva dire qualcosa? Ma
sembrava non ne
trovasse il coraggio, pensava Cloud.
“Aerith,
cosa c’è?”
“Cloud…”
disse la ragazza, triste. “Tu non verrai con me.”
Un
attimo dopo, la donna gli puntò nuovamente contro la
pistola, e mentre sentiva
uno sparo riecheggiare per il deserto cimitero privato di Midgar,
capì che il
destino non era stato creato per essere messo in discussione.
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Voilà!
Eccomi con una nuova fan fiction che avevo in mente da Ottobre (e che
finalmente ha visto la luce!). Dunque, devo dire che per creare la
trama di
questa fan fiction ho passato notte insonni, ed adesso, spero che sia
appena
decente! So che dal prologo molte cose non sono sembrate chiare, ma
tranquilli:
presto verrà spiegato tutto!
Devo
dire che è strano cimentarsi con l’Alternative
Universe: è il mio primo
tentativo in questo nuovo campo, spero di non aver combinato un
disastro!
Vi
dico anche che non credo che il secondo capitolo verrà tanto
presto: chissà,
potrebbero volerci due settimane, così come due mesi! Ma
cercherò comunque di
fare il prima possibile, impegni personali permettendo >.>
Che
altro dire, spero che questo “prologo” vi sia
piaciuto (personalmente vi dico
che è stato difficile da scrivere ed emotivamente stancante
XD), e se si,
sperate che il prossimo capitolo arrivi presto!
Ciao
a tutti!