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Autore: Giulz87    15/07/2015    3 recensioni
Darcy restò immobile, le braccia abbandonate lungo i fianchi, una vita su cui aleggiava il macabro dipinto di una falce.
Poi fu un attimo, fu la scia di un rumore sommesso, uno schiamazzo che risvegliava i suoi sensi malamente assopiti dalla pena. Era un fruscio sconosciuto che trovava identità e corpo. Era una brezza gelida che infettava l’aria. Era corrente, sibilo e soffio insieme. Era il Dio del Caos.
[Questa storia partecipa al Come to the Dark Side contest organizzato da Elisaherm sul forum di EFP]
Genere: Angst, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Darcy Lewis, Loki
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Nome su EFP/forum: Giulz87/Giulz In Wonderland
Fandom: Thor
Personaggi/coppia: Loki, Darcy Lewis [LokixDarcy]
Prompt: Stanca
Eventuali note: La storia si colloca all’interno del film Thor: The Dark World. Precisamente quando gli Elfi Oscuri attaccano Londra ed il quartetto Jane – Selvig – Ian - Darcy cerca di sfruttare la convergenza per aiutare Thor nello scontro con Malekith e fronteggiare gli Elfi Oscuri stessi.

 
“Away with you”

 
Darcy era a terra. Poteva sentire il battito accelerato del suo cuore, ne assaporava tremante ogni rintocco infuocato mentre un dolore acuto si faceva strada fra le sue membra stanche.
Gli Elfi Oscuri invadevano il suo mondo, solcavano un suolo segnato dalla distruzione e dalla guerra, portavano altra morte ed altra sofferenza.
La caduta era stata improvvisa, inaspettata, pungente come se fosse il tocco lacerante di una lama affilata. I suoi occhi vagavano attraverso lo spazio, cercavano disperatamente un appiglio di salvezza, si chiudevano e si aprivano al ritmo di quella battaglia sanguinosa ed immorale.
Darcy osservò le sue stesse mani, ne scrutò il contrasto con l’asfalto grigio e sentì il terrore avvilupparsi intorno ai suoi polsi ormai incapaci di sostenerla del tutto.
Ian era poco distante, si era già rialzato ed aveva lo sguardo perso, vuoto, fisso su qualcosa d’ineccepibile e temibile.
Non era il loro scontro, eppure si battevano.
Eppure tentavano.
Gli attimi successivi furono un connubio di sensazioni sbagliate, un vortice ricolmo di oscurità che spazzava via ogni speranza.
E Darcy restò immobile, le braccia abbandonate lungo i fianchi, una vita su cui aleggiava il macabro dipinto di una falce.
Poi fu un attimo, fu la scia di un rumore sommesso, uno schiamazzo che risvegliava i suoi sensi malamente assopiti dalla pena. Era un fruscio sconosciuto che trovava identità e corpo. Era una brezza gelida che infettava l’aria. Era corrente, sibilo e soffio insieme. Era il Dio del Caos.
Loki si materializzò alle sue spalle e sembrò non vederla.
Il suo volto contratto racchiudeva l’essenza del peccato, era la pura sostanza di cui si componeva il rancore. E nel silenzio assordante disegnò un ghigno, un singulto graffiante che macchiava l’etere di un gradito tormento.
Il dio era un complesso di mestizia e di tristezza. E Darcy si voltò verso di lui, ripensò a tutti i racconti di Thor, ai misfatti e alle avventure, ad un passato fittizio che trovava il suo perfetto intreccio nell’iniquità del presente. Era come se male e bene avessero trovato un loro posto personale, una locazione all’interno di quel cuore malato e sopraffatto dall’inganno.
E lo vide nei suoi occhi, nella profondità di quelle iridi verdi che non sembravano trovare neppure lontanamente un piccolo scampolo di pace.
“Malekith.”
Loki alitò quel nome come fosse un problema e restò immobile. Doveva essere morto,  ma contro ogni assurda previsione era lì, pronto a reclamare una vendetta dai contorni indefiniti.
Erano a due passi di distanza l’uno dall’altra, respiravano l’aria pesante della guerra, un alone che sapeva di sangue e che pareva diffondersi come una pioggia incessante.
“Malekith è morto.”
Il dio non trovò timore in quelle parole mormorate al vento, una paura che forse avrebbe preferito assaporare.
Darcy lo contemplava con una strana luce negli occhi. Rifletteva sulle sue azioni, ponderava le sue gesta ribelli e ne percepiva l’afflizione. Perché Loki non agiva per malvagità, non faceva ciò che faceva per un limpido ed allettante compiacimento personale. Loki era guidato da un tetro sentimento di rivalsa, faceva ciò che voleva per dimostrare a chi lo aveva ferito il suo valore. E come un circolo vizioso le sue azioni non facevano altro che nutrire la sua stessa disperazione, un patimento che sarebbe oscillato fra colpa ed affetto, in quel lasso tempo ed ogni altro tempo a seguire.
E lei lo comprendeva. Sapeva cosa volesse dire passare una vita all’ombra di qualcun altro. Le era successo con Jane, con il suo innegabile intelletto. Da quando l’aveva conosciuta la stima e l’amicizia avevano assunto valori inestimabili, tanto inestimabili quanto la cruda realtà, quella in cui lei non era altro che un fantasma, una penombra che non riusciva a trovare la sua luce. E per quanto fosse utile, perspicace ed attenta, non era mai abbastanza. Perché a volte l’esistenza era perentoria. Era come se sollevasse solo per farti capire quanto insignificante tu fossi. E strappava via ogni cosa.
“Bene! A questo punto credo davvero che valga la pena fare visita ad una vecchia conoscenza.”
Il Dio dell’Inganno formulò il suo pensiero e si concesse una pausa prima di proseguire. Girò lentamente la testa posando gli occhi sul mondo attorno, cercando una suggestione che non sarebbe arrivata. Le persone erano indolenti e sopraffatte dal terrore, erano spiriti spaventati che avevano incontrato una dannazione inaspettata. Erano un misto di bugie e di illusioni che facevano capolinea in quello strano concetto che era il genere umano.
“Ho gloriosi propositi che non attendono altro se non di essere concretizzati.”
E poi la guardò di nuovo e fu come se le avesse letto nella mente, come se ne avesse assaporato l’infelicità latente. Un dolore che diventava compromesso. Una sensazione che conosceva come le sue tasche, in cui si crogiolava nello stesso modo in cui aveva giurato rivalsa a suo fratello.
Loki poteva ucciderlo, presto o tardi. Poteva e lo avrebbe fatto. E poi sarebbe soffocato in un lacrimoso rimpianto, avrebbe convissuto e rivissuto quel momento in eterno, fino a dissolvere nel cordoglio la sua anima turbata ed affranta.
Questo era il vero compromesso, il livello più elevato dell’amore.
Con quei pensieri nella testa, il dio schiuse le labbra, deciso a formare una richiesta insolita, una rivendicazione che rimase senza voce, bloccata in una stretta arida ed incapace di siglare un tacito accordo troppo fragile e banale per essere reale.
E Darcy comprese anche quello e fu lei a firmare quel patto silenzioso. Alzò la mano destra nella sua direzione e lasciò che l’aria l’accarezzasse, osservò il suo stesso arto ed osservò il dio finché non percepì il suo braccio sollevarsi di rimando, le dita aggrapparsi alle sue.
Poi Loki guardò Ian e con un movimento fluido ne modificò i ricordi.
E un attimo dopo la convergenza li avvolse, trasportò i presenti in un altro luogo mentre loro svanivano in un guizzo che sapeva di fresco smeraldo.
E furono in un posto segreto di Asgard. Un antro dimenticato ed isolato all’interno del regno, una stanza dove le mura e la magia si fondevano in un certo modo, creavano un rifugio sicuro. Era uno spazio dove nessuno poteva arrivare, neppure l’occhio onniveggente di Odino, neppure Heimdall, nessuno tranne lui.
Darcy si alzò in piedi e gettò uno sguardo al passato. Elaborò il suo stesso tradimento, poiché di quello si trattava.
Aveva abbandonato i suoi amici e compagni e lo aveva fatto abbracciando un’oscurità che non era certa di capire fino in fondo. Lo aveva fatto per stanchezza, per inerzia. Perché certe cose non accadevano all’improvviso, era un processo lento, fluido e meccanico allo stesso tempo. Era come se la fibra di cui era fatta si fosse allentata di colpo, per sfinimento, per porre fine ad una quiescenza che la divorava da dentro. Per gettarsi nella spasmodica ricerca di qualcos’altro.
Da quel giorno erano trascorse ore, minuti e secondi, istanti che si erano sommati ad altri istanti. Il Dio del Caos aveva le sembianze del padre di tutti, regnava ed aveva lei accanto. Le aveva dato nuova identità e forma ed ancora oggi si domandava chi dei due avesse deciso davvero.
A volte fingeva di ascoltarla ed a volte fingeva di non farlo. Fingeva di non sopportarla e spesso non la sopportava davvero.
Lei era una presenza insopportabile che a tratti diventava indispensabile. Era irriverente e seccante e quando parlava un impulso omicida lo invadeva.
In certi momenti l’idea di strapparle l’anima dal petto trovava quasi fondamento, in altri invece voleva solo spezzare il flusso delle sue parole infinite, posare le labbra sulle sue e sentirne il sapore.
Ma non lo faceva. Loki non trovava risposta nell’empietà del dubbio.
Forse prima o poi l’avrebbe trovata, o forse il Ragnarok sarebbe arrivato e quello sarebbe rimasto ciò che era sempre stato. Un quesito privo di risposta.
 

 

 

   
 
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