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Autore: AlfiaH    16/07/2015    3 recensioni
I ragazzi hanno fallito, l'Apocalisse non è stata fermata e Michael ha sconfitto Lucifero ad un prezzo fin troppo alto. Milioni di persone sono morte, intere nazioni spazzate via: al loro posto sorgono delle città-stato, tra cui Vega, sotto la diretta protezione di Michael. Ormai sono passati anni.
Dean si è arruolato, Castiel si è spezzato troppo in fretta.
[Destiel - Alex!Dean - Castiel ispirato alla end!verse (non saprei come altro descriverlo) Dominion!AU]
Genere: Angst, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Michael
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Oblivion



Note essenziali: ho rubato da Dominion lo scenario, il personaggio di Michael (che poi esiste anche in Supernatural, ma quello di Dominion mi piace di più perché parla) e i tatuaggi di Alex. Suddetti tatuaggi stanno a rappresentare il fatto che lui sia l'eletto, il (digi)prescelto diddio per salvare il mondo. Perdonate il titolo banale, ma la mia mente non è riuscita a partorire altro. Buona lettura :D

 


Si sente una troia.
Non è che sia la prima volta che si sente così, Castiel ha annegato i sensi di colpa e lo schifo per se stesso già da un po’, ma il modo in cui Alastair lo tratta, il modo in cui lo umilia, gli fa credere di avere ancora una dignità seppellita lì da qualche parte, tra polveri bianche e fallimenti. Castiel si aggrappa a quest’idea (stupida) solo per un attimo; poi si morde il labbro martoriato e la lascia andare.
“Ti prego”, supplica. La voce è rauca da far male, gli sembra di non bere da secoli, e la gola gli brucia. Ma ad Alastair piace. A quanto pare. “Ti prego”.
“Ti prego cosa?” Il suo ghigno si allarga, Castiel si umetta le labbra secche e solleva gli occhioni blu nell’espressione più languida che conosce. Divarica le cosce, mostrandogli l’apertura già umida, un paio di dita ancora infilate dentro che si muovono appena, allargandolo di più. Questa volta Castiel si è preparato perbene; l’ultima è stata fin troppo dolorosa.
“Fottimi. Ti prego”.
“Vuoi il mio cazzo nel tuo culo, eh? Che puttanella”. Alastair si passa il dorso della mano sulla bocca e si slaccia la cintura – la userà, Castiel ne è certo, ma almeno potrà concentrarsi su qualcosa.
C’è qualcosa che non va nel suo modo di fare, se ha bisogno di concentrarsi su qualcosa. Sta sbagliando, deve lavorarci. Di solito è troppo fatto anche solo per pensare; in questi momenti, invece, mentre Alastair gli alita nell’orecchio, è perfettamente lucido.
È sbagliato – dovrebbe combinare le due cose. Farsi quand’è con Alastair, spegnere le voci nella sua testa. A volte urlano così forte da fargli sanguinare le orecchie e metterle a tacere è più soddisfacente del solito. Le vince, con un piccolo aiuto.
Non starebbe con Alastair, se avesse la roba per farsi.
 
*****
 

“Perché non mi hai detto che eri vivo?"
Castiel alza le spalle: non ha una vera e propria risposta; meglio: ce l’ha, ma non è sicuro che a Dean farebbe piacere sentirla – il fatto che dopo così tanti anni si preoccupi ancora di far piacere a Dean è piuttosto patetico. Lui si sente patetico.
“Perché non me l’hai detto, Cas?”
È notte fonda, lì a Vega. Castiel sta cercando di mettere su qualcosa che somigli ad un tè, anche se ha impiegato un tempo esagerato per trovare gli attrezzi. Lo sguardo arrabbiato e supplicante di Dean sulla sua nuca non ha aiutato ma non è solo quello: ci sono i tremori alle gambe e la confusione mentale – e comunque non è che Castiel passi il suo tempo a preparare tè, di solito, in quel vecchio capanno. Forse l’ha usata un po’ come scusa, per non dover guardare Dean. Guardarlo gli fa male.
“Abbiamo perso”, è l’unica cosa che riesce a dire, la sua voce risuona roca e fastidiosa persino a se stesso. È vero, hanno perso. Non sono riusciti a fermare l’apocalisse e Lucifero è stato sconfitto da Michael, lo stesso Michael che ora cerca di aiutare gli esseri umani rimasti in tutti i modi che conosce. “Ti sarei stato soltanto di peso”.
Finalmente si permette di scrutarli, gli occhi verdi dall’altra parte della piccola stanza, tanto freddi e crudeli da mettergli i brividi. Come se non avesse abbastanza.
Disgusto e delusione; Castiel non sa nemmeno cos'altro si aspettava di trovarci.
Il fischio della teiera spezza il silenzio della notte.
“Non è vero. Sai che non è vero”, dice quando ormai si è già voltato verso i fornelli arrugginiti, dandogli le spalle. Forse così è più semplice mentirgli – è sicuramente troppo tardi affinché Castiel possa credergli.
 
*****

Dopo millenni di divino servizio, ha commesso i propri sbagli (di cui certamente non si è mai pentito), ma, a quanto pare, Dean sa essere un soldato peggiore di quanto Castiel lo sia mai stato. Dopotutto doveva aspettarselo, Dean Winchester non è nato per seguire degli ordini – se così fosse, non sarebbero a quel punto.
In primo luogo, Dean non l’ha arrestato né gli ha causato problemi: con l’odio generale verso gli angeli che si è diffuso durante l’apocalisse, Castiel potrebbe passare davvero un brutto quarto d’ora se qualcuno lo scoprisse. Qualcuno l’ha riconosciuto, una volta, ma non è vissuto abbastanza a lungo da poterlo raccontare. Da allora Castiel si è preoccupato di cambiare aspetto: attualmente nessuno lo chiamerebbe “angelo” nemmeno per scherzo.
In secondo luogo, Dean è tornato a fargli visita, tanto per dimostrargli di non essere soltanto un effetto della merda che si spara nelle vene. Castiel lo odia per questo. Perché deve rendere le cose così complicate? Gli ha dato dei soldi, la prima volta. Quella notte Castiel non ha dovuto spalancare le cosce per cinque minuti di pace.
Ma Dean non è stupido e le volte successive ha preferito portargli del cibo o dei vestiti, senza sapere che Castiel può benissimo scambiare anche quelli. Non sono così schizzinosi, laggiù.
La cosa che lo infastidisce di più è che si sente sorvegliato, oltre che giudicato e compatito. A volte rimane con lui per delle ore e Castiel non può farsi. Si sente morire e lo odia a morte.
Dovrebbe dirglielo.
 Prima o poi lo farà, ma non oggi. Oggi si sente davvero troppo solo.
“Non dovresti venire qui, ti metterai nei guai”, gli sorride offrendogli la solita tazza di tè (che sembra più acqua bollita e zucchero, ma nessuno dei due ha mai detto nulla a riguardo), ma Dean gli afferra il polso magro, facendogli rovesciare il liquido bollente sul pavimento, insieme alla tazza di plastica. Qualche goccia finisce sui suoi piedi nudi, scottandolo, ma non è la cosa peggiore che sente al momento.
“Più di quanto ti ci sia già messo tu?” lo sguardo di Dean è così duro mentre gli solleva la casacca bianca, mostrando i lividi che ha sul braccio, che brucia tra le sue dita. Non scopre abbastanza pelle da vedere i fori nell’incavo del gomito, non sa se essergliene grato. Forse quelli avrebbero distolto l’attenzione.
“È tutto sotto controllo, Dean. So quello che faccio”, gli sorride ancora, indulgente, ma quella mano forte non l’abbandona, lo minaccia di spezzargli il braccio.
“Non prendermi per il culo!” sibila rabbioso. “Chi è stato, Cas? Voglio saperlo”.
“Ero consenziente” .  Quella parola lo fa soltanto ridere più forte. “È tutto a posto”.
“Stronzate!” I suoi occhi sono così grandi che Castiel potrebbe perdercisi. È uno sguardo così stanco e antico, il suo: Castiel lo delude e Dean non vuole crederci. Vecchia storia, nulla di nuovo. “Dannazione, Cas, potremmo sistemare le cose se tu lo volessi!”
“Dean, non c’è niente da sistemare!” Finalmente riesce a divincolarsi dalla sua presa ed il braccio del soldato ricade come privo di vita lungo il suo fianco.
Parlami, Cristo!” sbotta dopo un attimo di silenzio. “Sei tutto quello che mi rimane, lasciati aiutare, dimmi chi ti ha ridotto così, dimmi perché, Cas. Perché hai smesso di combattere, perché ti sei ridotto in questo stato”.
Deve mandarlo via e deve farlo ora, perché non c’è nient’altro da dire. Castiel non vuole essere aiutato; Dean è lì per quello. C’è un evidente conflitto d’interessi nella loro relazione – Castiel ha riflettuto a lungo sui suoi conflitti d’interessi nelle ultime settimane. “Sai…” comincia di fronte all’espressione muta dell’altro. Inclina la testa di lato in un sospiro teatrale, come se la cosa gli costasse una grande fatica. In effetti è così. Dopo quello Dean andrà via, le parole gli pesano come macigni sulla lingua. “Mi sento così solo quando non ci sei…” poggia una mano sul suo petto ampio e Dean la fissa come ipnotizzato, come se la vedesse per la prima volta. Arriccia le labbra verso l’alto, la sua voce si abbassa di un tono mentre lascia vagare i polpastrelli sulla divisa: “a volte immagino che lui sia tu, mentre mi apre il culo. Immagino che sia tu a farlo. Urlo il tuo nome mentre mi viene dentro, e questo a lui non piace, nemmeno un po’. Che vuoi farci? È solo-”
“Smettila”.
Non riesce ad alzare gli occhi per guardarlo, ma la serietà spaventosa nella sua voce lo convince ad interrompere quel contatto così piacevole. “E’ la verità”, mormora. “So quello che faccio ed il perché lo faccio, va bene così perché è quello che voglio. Io so perfettamente cosa voglio”. Si volta, e ride perché non gli resta altro, non molto. “Quindi stammi lontano, Dean Winchester”.
Deve conficcarsi le unghie nei palmi per non sobbalzare quando la porta, fragile e pericolante, sbatte alle sue spalle, lasciandolo solo.
 
*****
 
Non vede Alastair da giorni, che sembrano secoli (non vede nemmeno Dean da giorni, ma quelli più che altro sembrano vere e proprie eternità), perché lui ha la sua roba ed il mondo, la sua vita, tutto è così triste senza, tutto è così grigio e patetico che potrebbe morirne se avesse un po’ di fegato in più – non ne ha, non ha più niente, quindi è inutile crucciarsi; se solo avesse un modo per smettere di pensare.
Sa che c’è qualcosa che non va.
Nessuno è più disposto a barattare con lui nemmeno un filo d’erba, ad un certo punto è stato costretto a mangiare il cibo che gli era rimasto; ha dovuto supplicare il buon vecchio Jim per una sigaretta e alla fine non ha più visto nemmeno lui.
Non l’ha ancora fumata – non gli rimarrà più nulla quando l’avrà fatto.
Vorrebbe non essere così lucido da pensarlo e piangersi addosso; se la rigira tra le dita e non la fuma, la avvicina alla bocca e ne preme il filtro tra le labbra. Il sapore gli rimane sulla lingua per ore. Quando l’accenderà, consumerà se stessa, trascinata indietro dal vortice della vita: un buco di merda – è tutto così triste.
Ma Castiel non è un idiota, sa che è colpa sua.
Dean sta facendo tabula rasa attorno a lui – chi altri? – e se Castiel non fosse così lucido e stesse così fisicamente male, lo andrebbe a cercare per strangolarlo come si deve.
Invece rimane disteso su quel tavolo traballante, in quella stretta baracca fatiscente, a contorcersi e sudare – potrebbe morire lì, pensa, e non avrebbe nemmeno bisogno di così tanto fegato per farlo.
Gli basterà chiudere gli occhi e non se ne accorgerà nemmeno.
 
****** 

“Cas”.
È appena un sussurro nella sua testa, che Castiel cerca di ignorare in tutti i modi: l’oblio è dolce, è liquido nero che gli scivola addosso e lo avvolge, lo scalda e lo fa sentire in pace. La realtà è grigia. Non vuole svegliarsi, davvero non vuole.
“Sei a casa”.
Non potrebbe importargliene di meno.
Desidera dormire, è così tanto che non lo fa. Eppure i suoi occhi si aprono senza che possa realmente controllarli: il suo corpo reagisce alla voce di Dean. È sempre stato così. Supponeva si trattasse di una cosa tra Grazia ed Anima, ma ora non lo sa più.
Non sa più nulla, gli sembra di essere così giovane, appena creato – sta annegando e deve seguire la luce, anche se non vuole farlo, anche se non vuole essere salvato.
“Era ora, bella addormentata”, è il ghigno di Dean ad accoglierlo quando finalmente mette a fuoco i colori. La cosa più bella del mondo – niente stanchezza o antichità. Anche Dean sembra così giovane.
“Dean”, suona così male il suo nome sulla propria bocca, poco più di un grugnito. Ha la gola così arida che potrebbe bere un fiume. Dean lo aiuta: il fiume in un bicchiere.
“Hai dormito per quasi un mese, pensavo non ti svegliassi più”.
“Non volevo”, gracchia Castiel. Aggrotta le sopracciglia registrando le informazioni: è una stanza grande, quella in cui si trova, piena di sole. Il letto è morbido, l’ampia vetrata sembra affacciarsi sul mondo. “Sono morto. Pensavo di essere morto”.
“E hai visto una luce abbagliante?”
“Una luce molto stronza”, sussurra. È tutto così irreale, ricordare. Distinguere sogno e ricordo non è così semplice. “Non sono ancora sicuro di essere vivo. Stavo morendo”.
“Non sei mai stato in pericolo”, questa volta la voce di Dean è stanca, ha un paio di occhiaie scure sotto agli occhi. Ora deve spiegare. E deve farlo in modo parecchio convincente, prima che Castiel si riprenda e decida che quella di strangolarlo non era una cattiva idea.
Non trema più, sebbene si sia accorto di essere nudo come un verme sotto le lenzuola, la testa gli fa male ma per il resto si sente bene.
Castiel si sente bene. Dio, sta così male per questo.
“Non eri in te”, spiega con cautela. “Dovevo neutralizzarti per portarti qui, mi dispiace. Michael ti ha curato, non ti farà del male. Sei sotto la mia protezione”.
Castiel spalanca gli occhi, incredulo, prende un sospiro e serra la mascella. Non vuole saperne niente. “Portami a casa”, dice ostentando una tranquillità che non possiede. Fa per alzarsi, ma l’altro lo precede.
“Quale casa, Cas? Quella catapecchia pericolante-”
“Dove è giusto che io stia!”
“-o vuoi che ti riporti da Alastair?” le loro voci si sovrappongono e si sovrastano a vicenda: una esasperata, l’altra crudele. Castiel ghiaccia a quel nome e le labbra di Dean si piegano in una linea amara, che diventa il nuovo grigio del suo mondo. “È tutto ciò che merito per aver fallito”, mormora infine.
“Abbiamo fallito tutti, Cas”. Sam. Il suo pensiero va a Sam, Dean non smetterà mai di sentirsi in colpa per quello. “Ma c’è del lavoro da fare, persone da proteggere. Non è finita, non è mai finita, bisogna solo continuare a combattere”. Castiel solleva gli occhi sulla stoffa beige che il soldato gli sta porgendo e smette di respirare per un’eternità. “Ho bisogno di te al mio fianco”.
 
******
 
Il modo in cui le lunghe dita di Michael scorrono sulla schiena di Dean lo fa sentire inadeguato – inadeguato e terribilmente incazzato, per la precisione. Lo sfiorano come se fosse la cosa più delicata del mondo e Dean non lo è: Dean è forte e spezzato in più punti, ma mai a pezzi. Ha portato su quella schiena il peso di così tante battaglie che non lo riguardavano affatto, e la vita umana – non c’è niente di più terribile, Castiel ormai lo sa.
“Per me è incomprensibile”, sussurra l’arcangelo, troppo vicino all’orecchio di Dean per i suoi gusti. Dean freme sotto il suo tocco, lo vede. Inadeguato. Il sangue gli ribolle nelle vene e Michael deve averlo notato perché gli lancia un’occhiata carica di significato – sogghignerebbe, se sapesse farlo. “Speravo potessi riuscirci tu, Castiel”.
Castiel assottiglia lo sguardo, prova a leggere i tatuaggi sulla pelle del suo uomo virtuoso; non osa toccarlo, non osa tanto. Michael ci fa scorrere sopra le dita per lui, sfiorando l’impronta rossa sulla sua spalla. Castiel può autodistruggersi anche così, mentre lo guarda, non ha bisogno delle droghe.
“Sembra che tu ti stia divertendo un po’ troppo”. Dean si scosta e la mano dell’arcangelo rimane nell’aria per un istante, prima di tornare dove è giusto che stia. Castiel non fa in tempo a reprimere un moto di gioia.
“Non mi basta questo per divertirmi, dovresti saperlo”.
Il soldato sbuffa una risata, scuote la testa.
Inadeguato. “Non riesco a leggerli”, sibila. Il suo lavoro lì è finito. Ora deve mettere più distanza che può tra lui e quella stanza.
 
******
 

“Spari come una ragazzina”.
“Le armi da fuoco non sono esattamente il mio genere”. Per la verità Castiel sta sparando un po’ a caso, non per la reale voglia di allenarsi nel tiro a segno; deve sfogarsi, una volta Dean gli ha detto che sparare a qualcosa aiuta – colpire il bersaglio aiuterebbe di più, questo glielo concede.
“Rilassati, ti trema la mano”.
Castiel sorride amaramente: “che novità”, e spara di nuovo. La bottiglia più grande barcolla appena, è già un progresso.
“Non ci stai provando davvero”.
“Beh, tu non mi stai aiutando di certo”, lo rimprovera con un’occhiataccia. Non vuole farlo sul serio, Dean ha l’aria così stanca ultimamente. Passa il tempo ad allenarsi, Dio solo sa per che cosa, e a sorvegliare la città. Di notte gli incubi lo tormentano. Castiel vorrebbe fare qualcosa per aiutarlo, ma non ha più i suoi poteri. Si sente così dannatamente inutile senza.
“Devi prendere la mira”, dice improvvisamente vicino al suo orecchio, facendo aderire il petto alla sua schiena. Quel contatto non lo aiuta, dovrebbe farglielo notare, ma potrebbe aver dimenticato come si fa a parlare. Potrebbe davvero. “Tienila più in alto”, ordina ancora, posando la propria mano su quella che regge la pistola, aggiustandogli il tiro. “Dovresti usarle entrambe”, Castiel non sta ascoltando una parola. Sospira, spara: il tiro non è così terribile, quindi può andare bene.
Non potrebbe importargli di meno in ogni caso, perché Dean ora gli ha circondato la vita col braccio libero e ha poggiato la fronte sulla sua spalla. Sospira ancora: è stanco.
Darebbe qualsiasi cosa per aiutarlo.
“Michael dice che tu puoi aiutarmi a leggere i tatuaggi”.
“Lo so”, risponde flebilmente, cercando di ignorare la sensazione di quelle labbra che si muovono vicino la sua spalla. “Ma non so davvero in che modo”.
“Non lo sapremo mai se continui ad evitarmi, Cas”. La presa attorno al suo stomaco si stringe, tanto da essere dolorosa, ma non se ne lamenta. “Non provare nemmeno a dire che non è vero”.
“Non voglio essere un peso per te, Dean. Non ti evito. Arrivo quando hai bisogno di me”.
Dean rialza la testa. “Stronzate”. Lo rigira tra le braccia per guardarlo negli occhi. “Io ho costantemente bisogno di te”.
Adesso però si sente soffocare, deve mettere della distanza tra loro, deve chiarire delle cose e deve farlo proprio ora. Prima che sia troppo tardi, Castiel deve chiedere scusa. “Mi dispiace per quello che ho detto in quella catapecchia, Dean. Non ero io a parlare, volevo… Volevo solo allontanarti”, confessa con una punta di imbarazzo. Dean, comunque, non sembra essere d’accordo sull’idea della distanza.
“Volevi allontanarmi”, le sue sopracciglia raggiungono l’attaccatura dei capelli. “Ma davvero? Strano, perché l’unica cosa che quella notte mi ha trattenuto dal piegarti sul tavolo e fotterti è stato il mio grande rispetto per te, Cas”.
“Contavo proprio su quello”, ghigna, strappando all’altro uomo una risata baritonale che non ha mai sentito prima – scura e profonda e dolce come l’oblio.
 
******
 
 
Ha deciso di fumare quella sigaretta.
Si è tolto il trench per farlo – c’è questa separazione tra il Castiel di Dean e il Castiel-senza-casa che Dean vede in lui e che lui interpreta così. È una cosa stupida, ma ormai è un essere umano quindi può permettersi qualche stupidaggine da essere umano.
Attualmente non si sente molto “di Dean”, quindi ha abbandonato il trench da qualche parte e sta fumando. È la sua ultima sigaretta, Michael sembra averlo davvero guarito, non ha nemmeno più i buchi sulle braccia. Si chiede cosa abbia chiesto a Dean, in cambio. Non vorrebbe pensarci così tanto ma, hey, è umano, deve pure impiegare il tempo in qualche modo. Dean è di pattuglia, non lo saprà e non si arrabbierà con lui – Dio, è patetico.
“Tieni davvero a quell’umano”. Michael tiene le mani incrociate dietro la schiena mentre parla. Castiel ne scruta il riflesso solenne attraverso la vetrata; pensava che, visto dall’alto delle mura della città, il mondo gli sarebbe parso meno triste e grigio ma, alla fin fine, non è colpa del mondo né delle prospettive.
“È mio amico”.
“Se non lo fosse, tu non saresti qui”, lo informa l’arcangelo affiancandolo. “Anche lui tiene molto a te, a quanto pare. Penso che tu sia la chiave di lettura”.
“Perché?”
“Perché nostro Padre si è servito di te per trasmettergli quei tatuaggi, quando hai posato la mano sulla sua anima all’Inferno”.
“È per questo che non mi hai ancora ucciso?” Michael inclina l’angolo della bocca verso l’alto e lo osserva attraverso il riverbero grigiastro. “Quelle scritte sono l’unica ancora di salvezza per l’umanità. O per quello che ne è rimasto”.
“Ti importa così tanto?”
“Non fare domande stupide, Castiel. Dean me ne pone già a sufficienza”.
“Ha chiesto di suo fratello”. Non è proprio una scoperta, conosce Dean. L’arcangelo annuisce e lascia andare un sospiro impercettibile.
“Mi chiedi il perché non ti abbia ancora ucciso, nonostante tutto”. Il suo sguardo si sposta su Vega, brulicante di vita a quell’ora della giornata. “La verità è che lui mi odierebbe, se lo facessi. Abbiamo perso entrambi già così tanto nell’ultima battaglia, per mano mia. Benché io comprenda l’inevitabilità del destino, non riesco ad impedirmi di bramare il suo perdono: a me, l’arcangelo più potente del regno dei cieli, è bastato qualche anno accanto a Dean Winchester per amare l’umanità”.
Castiel rimane in silenzio, lo comprende. Sarebbe bastato che Michael conoscesse Dean Winchester qualche anno prima per sventare l’Apocalisse – o forse no, Castiel non è così sicuro circa l’inevitabilità del destino. Non è nemmeno sicuro di amare l’umanità, per la verità, ma le cose non sono mai bianche o nere. Sono cenere, per lo più, della sigaretta che Castiel lascia cadere sul pavimento prima di schiacciarla; c’è del colore, prima di spegnersi, verde o beige o rosso come l’inferno – spesso, però, il suo occhio s’inganna perché ora è solo umano e capita che l’occhio umano sia traditore.
Alla fin fine non gli importa: la sua sigaretta è finita, può indossare di nuovo il suo trench.

#Angolo della procrastinazione


 
 Come sempre, grazie a chi ha letto fin qui e sarà così gentile/buono/unammore da lasciare un commento! *lancia biscotti squagliati*
 
 
  
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