Alzo
gli occhi in alto, verso il
cielo.
Dal fogliame brillante del sottobosco si intravedono i raggi solari,
caldi che
illuminano i fiori e le erbe umide di rugiada luccicante.
Mi passo una mano sulla fronte accaldata, comincio ad avvertire il
bisogno di
bere ma mi costringo a non fermarmi per non rallentare il passo.
Se mi fermassi adesso, rischierei di non riuscire a rialzarmi
più da terra.
Mantengo allora il passo lesto, mentre mi infilo nel fogliame sempre
più fitto
ma non per questo meno brillante.
Non mi fa paura questo posto, anzi mi è sempre piaciuto
molto andare a
camminare nei sentieri dei boschi.
A volte quando lo stress scolastico si fa veramente insopportabile,
oppure gli
allenamenti mi impensieriscono troppo, sento il bisogno di scollegare
la mente:
e non ho ancora trovato rimedio migliore che una bella passeggiata in
un bosco
verdeggiante, avvolto nel silenzio e nel tepore dei raggi del sole
primaverile
che si fa strada fra i rami degli alberi e degli arbusti.
Di recente questi hanno cominciato a riempirsi di splendide e
coloratissime
farfalle; sbocciano i primi fiori, devo dire che sono davvero stupendi.
Così: camminare tranquillo, da solo, senza pensare a
nulla… Com’è rilassante.
Qualcuno potrebbe ritenere questo mio pensiero un po’
egoista, forse non è
neanche in torto: insomma, avrei potuto benissimo invitare i miei
compagni,
probabilmente sarebbero anche venuti… Ma non è
questo il punto. In vero io per
primo ho bisogno di non vedere e non parlare con nessuno, solo per
qualche ora,
solo per un pomeriggio.
Poi tornerò ad affogare in quel mare di impegni e stress che
è la mia vita
adolescenziale, ma per il momento sto bene da solo.
“… E’ solo in questi momenti che
io… Che lui…”
Stringo i pugni, abbasso il capo. “No! Non ancora…
Non posso sempre pensare a
questo, ogni volta che sono da solo…”
Una farfallina bianca mi sfiora le dita ancora serrate nel pugno
chiuso, apro
la mano di scatto e la piccolina senza paura si appoggia su un dito.
Rimango immobile, sbigottito e affascinato.
Sposto appena il volto per guardare bene questo insettino che si
è posato su di
me: “Non sono un fiore, farfallina, non sono degno di essere
paragonato a
queste bellissime corolle appena sbocciate: loro sono piene di colori e
di
vita, profumate e belle. Io sono solo stanco, non trasmetto la stessa
gioia di
vivere che trasmettono loro. Va’ là, suvvia. Che
ci stai a fare, sul mio dito?
Vola, finché puoi farlo; io ho volato, ora sono stanco e
quasi pentito di
averlo fatto. Ma se tu volassi via ora non avresti
rimpianti… Va’, coraggio.”
Osservo con occhi pieni di nostalgia quelle alette bianche allontanarsi
verso
il campo in fiore.
Mi getto dall’altra parte del sentiero, di nuovo dentro al
bosco, nascosto
dall’ombra dei grandi castagni.
Infilo le mani in tasca, una soffiata di vento più freddo
del normale mi scuote
da capo a piedi mentre le mie dita sfiorano la superficie appena ruvida
di un
foglio da lettera.
Mentre sento le lacrime pizzicarmi sulle ciglia sfilo la lettera dalla
tasca e,
appoggiandomi a un ceppo di un albero ormai ridotto
all’altezza di uno
sgabello, colpito da un raggio di luce alle mie spalle, rileggo con gli
occhi
quelle parole che vibrano sulle mie labbra come una danza malinconica.
“La
prima volta che incrociai il tuo
sguardo non ti vidi affatto. Ero troppo occupato a pensare a me e ai
miei
problemi per occuparmi di un bambino come tanti. Avevo già
superato il cancello
quando senza preavviso mi venne addosso un pallone da dietro. Lo
avvertii dalla
velocità e dalla potenza, lo afferrai con le mani appena in
tempo prima che mi
colpisse: ma arrivò subito la mia auto, e dovetti andarmene
con quel pallone
fra le mani. Non ebbi cuore di liberarmene, una volta arrivato a casa.
Così
decisi di tornare e consegnarlo alle responsabili
dell’istituto, avendo premura
di far notare loro che i bambini dovevano giocare all’interno
degli spazi a
loro consentiti. Tu eri lì quel giorno, appoggiato a quel
bancone e, per
qualche assurda ragione che nonostante gli anni non sono mai riuscito a
spiegarmi, sentii che ti apparteneva, così te lo riconsegnai
senza dire una
parola.
Eri pieno di gioia, mi trascinasti in cortile per scusarti e per
mostrarmi
quello che stavi cercando di fare l’altro giorno, quando il
pallone era volato
fuori.
Inizialmente ero confuso e soprattutto non ero concorde con
l’idea di passare
il mio tempo seduto su una panchinetta a guardare dei bambini giocare:
ma i tuoi
occhi così brillanti di entusiasmo mi sedussero,
così mi convinsi che sarei
rimasto solo per poco, solo per vedere questa fantomatica
“acrobazia”.
Le mie supposizioni tuttavia crollarono quando cominciasti a muoverti
con quel
pallone sottopiede: non riuscivo a levarti gli occhi di dosso dallo
stupore.
Non ho idea del perché quel giorno ti ostinasti
così tanto per farmi vedere il
tuo tiro, però senza quel coraggio probabilmente il resto
della storia sarebbe
stato diverso.
Tornai spesso da te, ti parlai di me e del fatto che se tu fossi stato
d’accordo, avrei potuto insegnarti tante nuove
“acrobazie”, come le chiamavi tu
allora.
Il tuo entusiasmo e la tua forza di volontà mi affascinarono
fin da subito: ma
debbo dirti una cosa che non ti ho mai rivelato.
Fin da allora, ragazzo, fin dai primi momenti che ci videro insieme, io
capii
che non avrei mai potuto farti mio. Non sarei mai stato in grado di
sottomettere la tua volontà completamente: quella stessa
forza di volontà che
ti brillava negli occhi mi attrasse verso di te, ma nello stesso tempo
ti
difese sempre dalla mia volontà che prepotente cercava di
sedurti.
Sapevo che magari non subito, magari neanche dopo un anno, ma un giorno
dentro
di te sarebbero nate delle “idee”. Delle idee, dei
pensieri tuoi, che avrebbero
discordato con i miei, e che per questo ti avrebbero allontanato da me.
Fin da subito percepii questo, anche se me ne rendo conto solo ora.
Proprio perché sentivo che dentro di te bruciava un fuoco
che ti avrebbe difeso
dal ghiaccio con cui cercavo di intrappolarti, proprio per questo
cercai di
sottometterti il più possibile, di farti nascere meno idee
possibili, anche se
sapevo che sarebbe stato completamente inutile.
Presi tempo, per così tanti anni, perché ti
ammiravo, perché insegnandoti
volevo che tu insegnassi qualcosa a me.
Nessuno dei due se ne rese conto, Yuuto, e nonostante tutto forse
è stata la
cosa migliore…
All’improvviso successe. All’improvviso quelle idee
che per tanto avevo cercato
di soffocare vennero fuori, e io rimasi abbagliato a contemplarle. Le
avevo
aspettate per tanto, tanto tempo, e nel momento in cui esse si
presentarono,
così prepotenti e sicure, non riuscii a contrastarle.
Ironico, vero? Forse anche un po’ insensato: per tanti anni
avevo atteso il
momento in cui avresti sviluppato dei tuoi pensieri e non avevo pensato
a nulla
per contrastarli.
Ma forse, molto semplicemente, volevo quello, volevo che tu mi
imponessi la tua
volontà, volevo che ti liberassi di me.
Me l’aspettavo, così ti permisi di andartene senza
paura né ripensamento.
Prima di occuparmi di te e dei tuoi progressi in campo, vagavo
passivamente ai
margini di ambizioni e desideri. Da quando eri arrivato tu, era
cambiato tutto
per me: ero convinto di una cosa però.
Ero convinto che lasciandoti andare, saremmo stati entrambi nuovamente
in pena,
invece con amarezza mi accorsi che, se io pian piano mi sentivo sempre
più
demoralizzato e bisognoso di qualcosa che mancava, tu riuscivi a
esprimerti con
naturalezza e forza, come sempre, come se non fosse cambiato nulla.
Questo mi irritò, e persi quella calma che mi aveva
contraddistinto per tutti
gli anni passati a occuparmi di te: così iniziai a
perseguitarti, a
perseguitare l’idea di te.
Probabilmente ti sei chiesto durante questo periodo perché
io mi ostinassi
tanto a riavvicinarti. Anche io ci ho pensato molto in
realtà, e penso che alla
fine la risposta sia questa.
Volevo stare semplicemente con te, senza fare nulla, senza pianificare
nulla,
solo parlarti e vedere se con le stesse parole con cui ti incantavo da
piccolo
riuscivo ancora a interessarti, se ancora qualcosa di quello che ti
dicevo ti
sarebbe rimasto… Nella testa o nel cuore, per farne poi
quello che avresti
voluto tu. Dimenticare o ricordare, uno è la negazione
dell’altro, eppure il
significato è così diverso….
Poi è successo ancora un altro fatto. Una cosa importante,
quasi fantastica.
Ma fra noi Kidou… Fra noi non è cambiato nulla.
All’improvviso, semplicemente, ho aperto gli occhi e ti ho
visto.
Grande, forte, determinato, circondato di luce… E lontano.
Lontano e brillante, il mio campione.
Ormai il tuo gioco non rappresentava più l’ideale
del mio, perché eri cresciuto
e con te il tuo calcio: ormai eri distante da me, eri in grado di
proseguire da
solo, e le mie parole non avrebbero più sortito effetto
alcuno.
Ho preferito andarmene, in questo modo sono sicuro che riuscirai a
crescere
ancora e a migliorare continuamente: tu ce la puoi fare,
perché la tua forza di
volontà è da sempre stata superiore alla mia.
Avrei
voluto dirti queste cose di
persona, ragazzo, ma me ne sono reso conto troppo tardi. Ho preferito
risolvere
la questione in questo modo, spero che tu lo capisca.”
Troppo
tardi… Troppo tardi… Sempre
tardi, sempre il tempo…
Cos’è il tempo? Perché sfugge a questa
velocità, e non ci permette di
assaporare nulla di quanto più bello abbiamo? Ci fa solo
soffrire di nostalgia,
di rimpianti… Non ci potrebbe essere ancora tempo? Ancora un
giorno, un’ora, un
minuto, per abbracciarsi e dirsi con gli occhi quello che siamo
costretti a
scrivere.
Lo scritto resta, lo scritto resiste al tempo.
Forse per questo mi ha scritto, per vincere il tempo.
Per vincere il tempo che non abbiamo più, per vincere la
distanza che ora ci
separa.
Guardo
davanti a me: il sentiero è
lungo e soleggiato, soffia un venticello che mi accarezza il viso e
trasporta
il profumo di fiori, di primavera, di rinascita.
Ricomincio a camminare, diretto verso casa, e il sole lento sta
iniziando a
calare alle mie spalle.
A.A.
‘Sera
a tutti!
Lo so che avevo promesso aggiornamenti più veloci, sto
facendo del mio meglio… Ma
gli impegni sono tanti, che volete che vi dica? Questa one-shot
è solo un
piccolo tributo a quelli che sono i miei personaggi preferiti in
assoluto di
questo fandom: il loro rapporto è di quanto più
entusiasmante io abbia mai
sperimentato e sono alla costante ricerca di nuovi
punti di vista! Da un po’ questa shot in
particolare fa rumore dal cassetto in cui l’avevo
rinchiusa… Non perché non mi
convincesse, eh. In questa calda serata di luglio vede il suo approdo
sulla
rete: sarà emozionata (?) ewe
La dedico alle amiche, vecchie e nuove, che da sempre mi sostengono e
mi
ammirano: in particolare, spero piaccia ad Aria_black,
un’autrice che mi ha entusiasmata dal profondo e che spero
apprezzerà questo
mio pensiero <3
Il banner… Lo so,
signori, avrei potuto
trovare immagine migliore… Purtroppo li si disegna in modo
talmente tanto
disturbante owo Ho cercato di fare il possibile, ma mi rimetto al
vostro
giudizio!
Buona estate a tutti, ci si risente presto!
Sissy