Fanfic su artisti musicali > The GazettE
Segui la storia  |       
Autore: SweetHell    20/07/2015    4 recensioni
Cinque shot, una per ognuno dei GazettE.
Ognuno di loro alle prese con la propria perdita, con il proprio dolore. Per capire se vale la pena di sforzarsi per riprendere in mano la propria vita...anche quando sembra molto più facile lasciarsi andare.
Cinque brevi racconti angst in cui spero di essere riuscita a mettere qualcosa che vale la pena trasmettere.
Il tutto sulle note dei Three Days Grace.
I - Ruki _ Voice
II - Aoi _ Sound
III - Reita _ View
IV - Uruha _ Touch
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aoi, Kai, Reita, Ruki, Uruha
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
SENSES
 
Ruki _ Voice
 
Sforzo la gola con tutte le forze che ho, ma neanche un mormorio esce dalle mie labbra socchiuse in un urlo che nessuno sentirà.
Le mie mani corrono ad aggrapparsi alla mia gola dolorante. Posso sentire i muscoli del collo tendersi fino allo stremo nel tentativo di riprodurre quell’urlo che mi sta lacerando da dentro. Fa male. Sento la gola bruciare come stessi realmente gridando a squarciagola, ma per quanto io mi sforzi, la mia stanza rimane immersa in un silenzio tombale, rotto solo dall’ossessivo ticchettio della sveglia che scandisce i secondi del mio fallimento.
Gli occhi mi si inumidiscono per la frustrazione, ma non smetto di provare.
La voce era la cosa più preziosa che avevo. Grazie a lei sono arrivato dove sono, sono uscito dal buio…sono diventato qualcuno.
Non posso accettare di aver perso tutto così.
Non posso accettare di non poter più urlare al mondo quello che sento.
Impazzirò, lo so.
Ora che neanche un piccolo gemito, o un rantolo, riesce a spezzare la coltre di silenzio in cui sono intrappolato, mi sento come se potessi morire soffocato dai miei stessi sentimenti. Voglio poter urlare al mondo quanto io mi senta male, voglio poter piangere e singhiozzare, voglio poter di nuovo canticchiare sotto la doccia e lamentarmi al telefono con il mio migliore amico. Tutto quello che prima esprimevo con la voce ora è schiacciato, mi comprime i polmoni, impedendomi di respirare.
Non posso continuare così.
Esploderò prima o poi.
O forse alla fine tutto ciò che agita il mio cuore riuscirà a scavarsi a forza una via d’uscita attraverso la mia stessa carne?
Stremato, sento la gola in fiamme e sono costretto a fermarmi per riprendere fiato.
Ma le mie mani non si spostano dal mio collo. Non riesco a compiere quel semplice movimento…qualcosa le tiene incollate là.
Con rabbia, conficco le unghie nella mia stessa carne, sempre più a fondo, sempre con più forza. Finchè non sento le dita viscide di sangue, finchè non comincia a fare male, male da impazzire.
Forse se riesco a provocarmi abbastanza dolore allora quella morsa che mi stritola il cuore si allenterà, penso, guardando la disperazione negli occhi del mio riflesso allo specchio. È difficile fare pensieri coerenti. La mia mente è piena di urla e grida che non riescono a uscire.
Stringo i denti e continuo ad affondare le unghie fino alla base del collo.
Dieci sottili strisce rosse vengono incise su quella carne tenera e il sangue denso inizia a colare dalle ferite fino a raggiungere il mio petto nudo, rigandolo.
Mi osservo le mani macchiate di cremisi con gli occhi appannati di lacrime silenziose.
I lunghi graffi che mi sono auto inflitto bruciano come se mi avessero marchiato a fuoco, ma nonostante il dolore intenso, nessun suono esce dalla mia gola martoriata.
Osservo questi squarci sanguinolenti che ora ornano il mio collo simmetricamente, cinque da un lato e cinque dall’altro. In mezzo, neanche a farlo apposta, spicca la piccola cicatrice rosea, l’unico segno che mi è rimasto dell’operazione.
Ci passo sopra con i polpastrelli ancora viscidi di sangue, macchiando quella riga in rilievo di cremisi.
Mi sembra quasi impossibile che un così piccolo taglio mi abbia potuto provocare tanto dolore. Non potevano solo lasciarmi in pace con il mio tumore? Avrei potuto morire intero, avrei potuto cantare ancora per un po’…anche solo qualche mese ancora. Sarei stato più felice se invece delle corde vocali mi avessero dovuto amputare una mano.
Lo stomaco mi si contrae violentemente e io reprimo un conato di vomito, mentre mi avvicino di qualche passo al grande specchio davanti a me.
Guardo la mia patetica immagine, una figura pallida, macchiata di sangue e lacrime, e scossa da violenti singhiozzi che le squassano il petto magro.
Sembro una bambola rotta.
Una marionetta a cui hanno tagliato i fili.
L’immagine è talmente vivida che non riesco più a controllare i conati e vomito ai piedi dello specchio, sul costosissimo parquet di acero. Mi chino a osservare i la sostanza trasparente che imbratta il pavimento, passandomi la lingua sulle labbra screpolate. Hanno un gusto così amaro che se mi fosse rimasto qualcosa nello stomaco lo vomiterei di nuovo.
Mi rialzo, passandomi un dito lungo le costole che hanno iniziato a sporgere dal mio petto, facendo intravedere la cassa toracica sotto quel sottile strato di pelle.
Le lacrime hanno lavato via la maggior parte del sangue sul mio petto, ma sul collo i segni del mio autolesionismo brillano nella penombra, più rossi che mai, anche se intorno alle ferite il sangue ha giù iniziato a coagularsi…senza per questo smettere di bruciare.
Ma cosa me ne importa del mio corpo? Tutto ciò di cui avrei dovuto curarmi di più ormai era finito in un cestino insieme alle mie corde vocali.
Se ancora avessi la mia voce, credo che mi metterei a ridere.
Evidentemente la mia vita stava andando troppo bene perché potesse continuare. Stavo persino iniziando a sentirmi felice. Sul palco, le urla dei miei fans, il peso del microfono tra le mani, la secchezza alla gola dopo aver cantato per ore…quella era la mia felicità.
Ma forse non è destino per noi uomini essere felici.
Tutto ha un prezzo.
E quello era il prezzo per essere arrivato ad aver avuto la presunzione di pensare che per me le regole potessero essere diverse.
Qualcuno deve avermi voluto ricordare come in realtà io non sia che un uomo come tanti altri, nonostante tutto.
 
Mi sento di nuovo invadere da una rabbia tale da farmi ribollire il sangue nelle vene. Il mio cuore batte così forte da farmi temere che possa fratturarmi qualche costola.
Senza pensare, afferro la lampada e la scaglio contro lo specchio, proprio contro quel riflesso che mi è diventato tanto odioso guardare: il mio.
Un altro urlo silenzioso nasce in me per poi spegnersi di colpo non appena raggiunge le mie labbra, ma non importa perché in quello stesso istante il boato della superficie riflettente che  va in mille pezzi copre il mio ennesimo fallimento.
Mi lascio cadere in terra pure io, incurante dei piccoli pezzi di vetro che mi si conficcano nella carne delle cosce, lacerandomi e facendo versare altro mio sangue in quella stanza odiosa.
Singhiozzi silenziosi mi squassano il petto, mentre le lacrime scorrono liberamente lungo tutto il mio corpo appiccicoso di sangue. Di solito piangere aiuta a sfogarsi, ma su di me ora ha solo l’effetto di deprimermi ancora di più.
Ho bisogno di gridare, non di bagnarmi le guance.
Con gli occhi ancora appannati, vago con lo sguardo per la stanza, ignorando i tagli sulle gambe e sulla gola, nonostante mi renda conto di star perdendo parecchio sangue. Su ognuno di quei taglienti frammenti di vetro vedo riflessa l’immagine deformata e distorta di me stesso.
E allora mi blocco.
Smetto di piangere e capisco.
Quello specchio sono io. Sono rotto, fratturato dentro come questo oggetto lo è fuori.
Di me, ormai - del vero me - non sono rimaste che poche schegge, piccole, deformate e soprattutto affilate. Inutili.
Perché, per quante volte si possa provare a rimettere insieme i pezzi, uno specchio rotto non tornerà intero mai più. Non sarà mai più bello, non sarà mai più in grado di riflettere le cose se non in modo distorto.
Brutto.
Per questo li si butta.
 
Con un brivido, prendo un frammento di specchio macchiato di rosso. Me lo rigiro tra le mani, quasi gioendo del dolore acuto che provo quando il suo bordo tagliente mi squarcia i polpastrelli. La mia mente è magnificamente vuota, mentre avvicino quel pezzo di vetro al mio polso sottile. Tutto sembra così semplice.
Basterebbe poco e non dovrei più soffrire.
Una strana apatia si impadronisce del mio cuore, avvolgendolo con le sue spire confortanti. Non sono costretto a vivere se la vita è diventata una sofferenza, vero?
Il bordo tagliente incide la carne tenera del polso prima che io abbia veramente deciso cosa fare, facendo urlare il mio corpo stanco e indebolito di dolore.
Ma è proprio quel dolore a fermarmi.
Mi tornano in mente tutti quelli che mi hanno voluto bene. Tutto quello che mi ero ripromesso di fare e che ancora non sono riuscito a fare, troppo impegnato con i vari tour in giro per il paese.
Voglio davvero scrivere la parola fine a tutto? Scappare?
Il frammento di specchio mi scivola via dalle mani, mentre io mi stringo le ginocchia al petto, affondando il viso tra di esse mentre nuove lacrime escono dai miei occhi gonfi e arrossati. Non sono ancora pronto a lasciare tutto, per quanto l’idea di continuare a vivere bloccato in quell’eterno silenzio mi strazi il cuore.
Eppure adesso so di poter porre fine a tutto quando voglio.
Questo pensiero stranamente mi aiuta a risollevarmi. Mi da la forza di trascinarmi fino al bagno per pulire dal sangue e dal vetro le ferite che mi ricoprono il collo, le mani e le cosce.
Non era il giorno giusto per morire.
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo Autrice: C-ciao(?)
*passa balla di fieno rotolante*
Non avrei mai pensato di postare più qualcosa su questo fandom che non fosse Captivity, ad essere sincera. Eppure eccomi qui…e il merito(?) è tutto dei Three Days Grace che mi ispirano coseh depressive.
Sì. *cerca disperatamente di scaricare la colpa per aver scritto questa cosa*
No comunque, divagazioni a parte, spero davvero che questa prima shot vi sia piaciuta, ma, soprattutto, vorrei sapere se vi ha trasmesso qualcosa. Un’emozione. Un qualcosa. Un boh(?). questo tipo di ff sono forse un po’ più complicate di altre proprio per questo…se chi legge non sente nulla, allora la ff di per sé può anche essere cancellata. Spero non sia questo il caso ovviamente! Dai, dite a zia quanto vi siete depressi (?).
La prossima shot sarà incentrata su Aoi, penso. Dipende da come mi gira, ma la sua l’ho già quasi del tutto ideata, ormai devo solo scriverla…e lo farò dopo aver iniziato e finito il prossimo capitolo di Captivity, probabilmente.
Ok, la finisco qui prima di sparare altre stronzate, visto che sono quasi le due di notte. Posterò questa shot domani, dopo averla ricontrollata, anche se è molto probabile che mi sia sfuggito qualcosa (anzi, è praticamente sicuro).
Un bacione a tutti quelli che hanno avuto il coraggio di leggere fino a qui.
Tante belle cose,
 
FraH.

 
 
  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > The GazettE / Vai alla pagina dell'autore: SweetHell