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Autore: Melepatia_2571    20/07/2015    2 recensioni
Si stacca per riprendere fiato e ti guarda, sorride “spero di non aver violato la tua privacy, mi sta molto a cuore sai?”
“al diavolo la privacy”
2152 parole|AU|
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Minho, Newt, Thomas
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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note all'inizio perchè ora mi piaccino all'inizio
allora, questa cosa obrobriosa l'avevo già pubblicata ma faceva schifo e quindi l'ho modificata
ora è comunque orribile però bho
l'ho scritta anche in seconda persona e non so come possa apparire il risultato
mi dispiace se il raiting è così basso. Lo dico perchè qui su EFP sono tutti assetati di raiting rosso
mi scuso anche se la coppia non vi garberà, ma io shippo thominewt quindi newtmas o thominho o minewt per e è uguale
spero che mi lascerete un vostro parere e che vi piaccia per quanto non possa avere senso
baci e mele
ALTO CONTENUTO DI FLUFF
SE SIETE DIABETICI NON LEGGETE
 












Avresti sempre voluto che la vita fosse come uno dei tuoi disegni: semplice come un tratto di matita sul foglio.
Avresti sempre voluto cancellare questo scarabocchio che tutti chiamano vita e ridisegnarlo a modo tuo.
Ma non avresti mai immaginato che uno scarabocchio potesse essere considerato arte.
 
                                                                                      **
Seduto al primo banco, sempre con la matita tra le mani, sempre con la stessa matita, che disegna da sola qualunque cosa ti passi per la testa. Se c’è una cosa che detesti è il foglio bianco, senza vita. E se c’è una cosa che ami è dar vita a quel foglio.
Ti aiuta a non pensare, a rilassarti e a far sparire per un attimo il mondo attorno a te.
Ma c’è sempre qualcuno che ti riporta sulla terra ferma come il professore di letteratura che comincia ad urlare il tuo nome davanti alla classe.
Alzi gli occhi dal foglio un momento e incroci i suoi che ti guardano come se avessi commesso un crimine
“ Mi dica” dici sentendo delle risatine dal fondo della classe.
“Minho, devi stare attento in classe! Ci sono gli esami e dovresti cercare di impegnarti altrimenti verrai rimandato”  urla spazientito .
Quanto vorresti bruciarlo vivo in questo momento. Odi quando ti dicono cosa devi fare.
“Hai una media bassissima e se nel prossimo compito andrai male sarò costretto ad affidarti un tutore”
“Ce la posso fare benissimo da solo” ce l’hai sempre fatta da solo, sei sempre stato solo. Perché ora avresti bisogno di qualcuno?
“Vedremo” risponde in aria di sfida e riprende a spiegare.
Non prenderesti più di una D meno, lo sai bene. Ma ti importa poco.
 
Guardi l’orologio appeso al muro: non vedi l’ora di evadere da questo inferno.
Suona la campanella, ti dirigi agli armadietti, testa bassa.
Prendi lo zaino e posi i libri, vai verso l’uscita ma qualcuno ti si para davanti.
“Ehi, Minho, che ne dici se facciamo un pezzo di strada insieme?” riconosceresti quella voce tra mille
“Grazie Newt, ma preferisco tornare da solo”
Lo sorpassi e cominci a dirigerti verso casa. Evidentemente il ragazzo è sordo perché ti segue e comincia a blaterare sul tempo e sulle lezioni di quel giorno.
Vorresti cucirgli la bocca in questo momento, vorresti che evaporasse. Cerca di diventare tuo amico in tutti i modi possibili, ma non sa che non ne hai bisogno. Non hai bisogno di niente.
“Lo sai che mia mamma conosceva la tua? Magari qualche giorno potreste parlare”
Ti fermi. Qualcosa comincia a farti male all’altezza del petto, senti il disperato bisogno di piangere. Ma sei forte, non verseresti mai una lacrima. Da quando è morta c’è quel vuoto incolmabile al posto del cuore e ormai non ci fai più caso. Ma sei cambiato, sei diventato freddo, di ghiaccio. E il ghiaccio non si scioglie, nessuno ci è ancora riuscito. Insensibile a quello che c’è intorno a te, solo tu e un foglio.
 Eppure ora lo senti, fa male.
“Non mi piace parlare di lei” affermi con la voce rotta. Ma non piangi, sei troppo forte per lasciarti andare.
Lui se ne accorge, sa che fa male. Ti posa una mano sulla spalla, ma tu la scrolli subito via. Non ti serve la sua compassione.
“Mi spiace” sembra sentirsi in colpa.
Riprendi a camminare senza aspettarlo, ma lui ti segue. Sembra quasi ossessionato dal diventarti amico. Intanto non lo guardi nemmeno.
Arrivi a casa e guardi il vuoto, perché è vuota. Come sempre.
Posi lo zaino, tiri fuori matita e fogli ed esci di nuovo.
 
I tuoi piedi ti portano al molo, ci vai sempre; tutte quelle persone che passeggiano, gli innamorati che si tengono per mano, i negozi dove le donne litigano con i commessi  per avere lo scontrino. Ma la cosa più bella è forse il tramonto su quel mare turchese che occupa il cinquanta per cento dei tuoi fogli.
Ti siedi sul bordo lasciando penzolare i piedi a due centimetri dall’acqua e ti guardi intorno: non c’è molta gente, sono solo le tre del pomeriggio. All’inizio del molo ci sono due ragazzi e un uomo che allestiscono un negozio.
L’uomo avrà si e no venticinque anni, i capelli hanno almeno cinquanta sfumature di biondo. Uno dei due ragazzi è di colore e sembra essere impegnato a rispondere male all’altro. Sembra il più piccolo tra i tre, è moro, alto, gli occhi color nocciola con sfumature dorate. Ti sembra perfetto.
Ha un’espressione esasperata e pensi che potrebbe prendere a pugni il compare da un momento all’altro.
Poi senti il giovane uomo rimproverarlo e lui sparisce all’interno del negozio.
Cominci a disegnare quella scena, sei concentrato sul foglio. Quando alzi gli occhi per guardarli meglio, ti accorgi che il moro è dall’altra parte del molo, ora, a due metri da te nascosto dietro un obbiettivo intento a catturare tutte le immagini lì intorno.
Senti il bisogno di guardarlo, come se fosse una calamita. Cerchi di distogliere lo sguardo, invece cominci a ritrarre i suoi lineamenti perfetti.
Cerchi di smettere, ma è inevitabile.
Per un momento ti sembra assurdo, eppure senti un caldo piacevole che ti avvolge. Troppo piacevole, forse.
Poi il sole tramonta, lui non c’è più, è tornato dai suoi compagni che cominciano ad urlargli contro mentre guardano le foto scattate. Sorridi, stranamente sorridi e ti alzi, raccogli i tuoi fogli e ti avvii verso casa.
Passi accanto a quello strano trio e li senti litigare.
“Sei un buono a nulla” lo rimprovera l’altro ragazzo.
“Alby, sono stanco delle tue scenate! Tu cosa hai fatto tutto il pomeriggio? Niente!” urla il ragazzo. Ha una voce perfetta.
Intanto l’uomo guarda assorto le foto e poi sbotta “Thomas, spiegami cosa diavolo è ‘sta roba?”
Thomas, si chiama Thomas. “Bel nome” pensi.
“Voi mi avete chiesto di fotografare la cosa più bella che vedevo e io l’ho fatto”
Alby scuote la testa e lo manda a quel paese, mentre l’altro sospira e sembra calmarsi. Spegne la macchina fotografica e torna ai suoi affari.
Mentre giri l’angolo, vedi Thomas voltarsi dove poco prima c’eri seduto tu. Poi lo guardi e sorridi.
 
Il pomeriggio dopo torni e lo rivedi, sempre dietro a quell’obbiettivo. Cerchi di continuare il disegno, ma ti distrae troppo. Così disegni ancora lui.
 
Continui a rivederlo,ogni pomeriggio, sempre allo stesso posto, sempre intento a fotografare qualcosa. Non ti sei mai chiesto cosa, non ti importa. A te basta vederlo. *
Ma non lo ammetteresti mai a te stesso, continueresti a ritrarlo senza mai capire il perché.
 
Il giorno seguente non lo vedi e senti di nuovo freddo, quel calore se ne è andato.
Ti siedi e cominci a disegnare il suo viso, i suoi occhi, senza renderti conto di aver imparato i suoi lineamenti a memoria.
Poi senti qualcuno  picchiettarti la spalla, ti giri di scatto e per poco non cadi in acqua.
“Cosa disegni?” ti chiede incurante del fatto che stai disegnando proprio lui.
Così chiudi l’album in fretta e cerchi di tirare fuori una della tue risposte più fredde “Niente che ti possa interessare. Si chiama privacy” dici scandendo bene l’ultima parola.
“E se mi siedo accanto a te potrei invadere la tua privacy?” chiede ironico. Senza aspettare una risposta si accomoda accanto a te, molto vicino, quasi appiccicato.
“Mi chiamo Thomas” ti porge la mano, ma tu non osi stringerla. La ritrae, forse un po’ offeso “Posso chiedere il tuo nome o mi serve un permesso firmato per parlare con te?” un sorrisetto –meraviglioso- piantato in faccia, ti guarda.
“Non ti serve un permesso firmato, puoi chiedermelo. Ma tanto non ti risponderei” dici, cercando di non cedere a quel sorriso che non lascia le sue labbra nemmeno per un secondo.
“Perché? Il tuo nome è proprietà segreta del governo degli Stati Uniti?”
“No. È solo che non parlo con gli sconosciuti” non lo guardi, gli occhi fissi sull’acqua.
“A questo posso rimediare: basta conoscerci, no?” vede che non rispondi, così continua “Che c’è? Il gatto ti ha mangiato la lingua?”
Sorridi “Minho” mormori.
Lui ti guarda soddisfatto “Bel nome. Tua madre ha tanta fantasia”
“Aveva” lo correggi, non puoi farne a meno. Ma stranamente non senti il bisogno di piangere, non senti quel vuoto.
“Mi spiace, non volevo …”
Lo interrompi “Fa niente. Ci sono abituato: Newt continua a parlarne come se fosse successo solo ieri da un anno, ormai”  non sai perché glielo dici, la tua bocca e il tuo cervello sono scollegati, senti che forse di lui puoi fidarti.
“Chi è Newt? Il tuo ragazzo?”
Rimani stupito da quella domanda e ti affretti a rispondere “No, no, no! Non dirlo mai più! È un ragazzo che frequenta la mia stessa scuola”
“È tuo amico?” sembra curioso il ragazzo.
“No. Non ho amici” rispondi freddo.
“Hai la ragazza?”
Perché continua a chiederti certe cose? “No, ma che te ne frega? Mi conosci da tre minuti circa!”
“Era per conoscerci meglio. E comunque, come mai un ragazzo carino come te non ha la ragazza?”
Ti ha davvero definito carino? A quel complimento arrossisci, forse perché nessuno te lo aveva mai detto.
“Come mai sei arrossito? Non dirmi che nessuno ti aveva mai fatto un complimento del genere”
Ci ha preso in pieno e non gli rispondi, ti metteresti solo in imbarazzo.
Lui però continua “Dai! Nessuno ti sta dietro? Non ti piace nessuno?”
No, la risposta è no. Ma non puoi certo dirgli che sei un asociale. O che ti piacciono i ragazzi. O che ti piace lui.
“No. Perché non mi dici qualcosa di te ora?”
Però sembra che il suo cervello abbia selezionato solo parte della frase “No a tutte e due le domande?”
“No. Cioè, non lo so se qualcuno mi sta dietro”
“E non ti piace nessuno?”
“Avevo detto di parlare di te ora” cerchi di non rispondere a quella domanda.
“Ma la domanda l’ho fatta per primo” ribatte lui con quel sorriso che ti fa sciogliere.
“Sì, mi piace qualcuno. Ora dimmi qualcosa tu”
“Okay, mi arrendo. Ho diciotto anni, sono un ragazzo, respiro, eseguo le mie funzioni vitali e mi piace fare foto a qualunque cosa” risponde tutto d’un fiato.
Ma tu non ti accontenti di così poco “Solo? La ragazza? O il ragazzo, non si sa mai” sorridi e lo guardi, ora non puoi farne a meno.
“No,  forever alone. Cos’altro vuoi sapere?”
“Perché vuoi conoscermi? Perché hai cominciato a parlarmi?”
“Per lo stesso motivo per cui hai cominciato a disegnare il sottoscritto”
Arrossisci, vai a fuoco. Vorresti affogarti, vorresti buttarti dal molo e scappare.
Lui invece sorride, e quel maledetto sorriso fa fare la capriole al tuo stomaco.
Hai lo sguardo basso, l’acqua ti sembra così vicina, così perfetta per morirci dentro. E per un attimo quel pensiero ti investe.
Poi si avvicina e ti lascia un bacio sulla guancia, ma non si allontana. Senti il suo respiro caldo sulla guancia e il suo naso freddo sfiorare la tua pelle che brucia. La sua mano si va a posare sulla tua spalla, poi la fa scorrere fino al tuo collo, sotto la maglia.
E quel contatto ti sembra maledettamente piacevole, non puoi farne a meno. Ne hai bisogno.
“La cosa che preferisco fotografare in assoluto sei tu” ti sussurra, le sue labbra ti sfiorano e all’improvviso ti sembrano così invitanti. Ma non puoi lasciarti andare, non vuoi. Senti che se lui colmerà quel vuoto, andrà tutto a rotoli, sarai di nuovo debole, fragile.
Ti allontani leggermente, quanto basta per riuscire a ragionare “Non posso, mi romperei in mille pezzi”
Lui si avvicina, ti prende il viso tra le mani e tu non capisci più niente, ti senti improvvisamente leggero, a milioni di metri da terra.
Appoggia la fronte sulla tua, la distanza è pochissima e tu hai voglia di eliminarla del tutto  “Io ti aggiusterei. Non mi basta più guardarti attraverso un obbiettivo di una macchina fotografica”
Lo guardi negli occhi e senti che potresti caderci dentro. Gli posi una mano sul fianco e lo tiri a te “E a me non basta guardarti su un foglio di carta”
Si avvicina, cancella quel millimetro di distanza che c’era tra di voi e ti bacia. Assecondi il movimento delle sue labbra; senti un calore che si propaga nel petto, senti che quel vuoto non c’è più. Ti senti fragile, ma le sue braccia che ti stringono ti impediscono di romperti, di sgretolarti, e ti lasci andare completamente.
Si stacca per riprendere fiato e ti guarda, sorride “Spero di non aver violato la tua privacy, mi sta molto a cuore sai?”
“Al diavolo la privacy”
Lo prendi per il bordo della maglia e lo baci, perché ne hai bisogno. Hai maledettamente bisogno delle sue labbra, dei suoi occhi, delle sue mani.
Hai maledettamente bisogno di lui.
Hai bisogno di un nuovo foglio bianco su cui disegnare una nuova vita. Hai bisogno di trasformare quello scarabocchio nel ritratto della perfezione, nel suo ritratto. E ormai anche gli scarabocchi sono arte, lui è la tua arte.


 
   
 
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