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Autore: Debby_Gatta_The_Best    21/07/2015    5 recensioni
[Five Nights at Freddy's]E se gli animatronics non fossero quei mostri dall'anima nera che il gioco vuole mostrarci?
E se la vera minaccia fosse costituita da una mente contorta e diabolica e dalla divisa color porpora?
E soprattutto, cosa succederebbe se i robot incontrassero la regina dell'intelligenza artificiale, GLaDOS?
Una nuova avventura, narrata dagli occhi degli animatronics e di Mike, sta per svolgersi ed aspetta solo di essere letta!
Genere: Comico, Mistero, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta
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Buio. Silenzio.

Cosa sta succedendo? Dove... dove sono?”

Calore. Mente annebbiata.

Io... non ricordo nulla”

Avvertiva una strana sensazione. Quello che sembrava un bollente liquido iniziò a fluire nel suo corpo. Aveva un corpo. Mano a mano che la sostanza si faceva largo nelle sue interiora, avvertiva strani cambiamenti. La sua mente iniziò a farsi più chiara, e il grande peso che l'opprimeva iniziò a disfarsi. Era come se un grosso masso posto sul suo animo iniziasse, spinto da una forza esterna, a disfarsi.

Animo. Aveva un'anima?

Cosa mi sta succedendo?”

Il liquido incandescente correva per le vene di tutto il suo corpo.

Vene?”

Lo sentiva. Lo sentiva spostarsi, inondare il suo essere. Ed al suo passaggio lasciava una qualche forza dietro di sé, qualcosa che donava una nuova forza al suo corpo.

Ho un corpo... è un buon inizio”

Provò a muoversi. Sentì le dita della mano destra tremolare.

Ho una mano. Fantastico. Avrò anche l'altra”

Anche la sinistra rispose, anche se solo per un attimo, al suo comando.

Ho un corpo. Ho una mente...”

Strinse entrambe le mani in pugno, e questa volta le dita risposero perfettamente. Il calore iniziò a diminuire, ma quel senso di purificazione restava. Quella strana sensazione di completamento. Poi, la sua mente fu nuovamente inghiottita dall'oblio.


Sussultò. Sussultò sul posto, come se qualcuno gli avesse dato la scossa. Sussultò, ed aprì gli occhi. All'inizio, una forte luce lo investì in pieno, e istintivamente regolò lo scanner degli occhi in modo da non rimanere accecato. Poi si guardò attorno.

Si trovava dentro ad un cilindro di vetro azzurro. Oltre, intravedeva poco più che una grande stanza bianca. Regolò meglio la visuale, senza pensarci, e riuscì a mettere a fuoco ogni dettaglio. Il vetro in cui era intrappolato era solcato da minuscole venature parallele verticalmente, si estendeva dal soffitto fino al pavimento, e dentro vi era intrappolato lui. Oltre, riuscì a scorgere il pavimento della stanza bianca, composto da grandi mattonelle color bianco sporco, mentre le pareti erano formate da grossi pannelli di un bianco innaturale, quasi accecante. Riusciva a vedere, a muovere gli occhi e la testa, ma un senso di vuoto incolmabile lo rendeva ancora incosciente. Era come assistere ad uno spettacolo dal corpo di qualcun altro. Eppure, il corpo rispondeva al suo comando. Mosse entrambe le spalle, poi le braccia, ed infine le mani. Ma continuava a non comprendere. A non capire, ad avvertire quel vuoto nel suo ragionamento. Non riusciva a formulare un pensiero, e neanche a rendersene conto per andare nel panico.

Poi un lungo fischio di una sirena, in lontananza, lo scosse. Il grande cilindro si spaccò in due parti precise, in larghezza, e entrambe le metà iniziarono a sgusciare all'interno del pavimento e del soffitto, risucchiate da delle cavità grandi precisamente come la circonferenza dei cilindri. Un'ondata di aria fresca lo travolse. Non poteva respirare, almeno così sembrava, eppure quell'aria lo risvegliò completamente. Il vuoto scomparve nel nulla così come era apparso, e il suo cervello prese il sopravvento. Un'inquietudine lo colse improvvisamente:

«Dove sono? Che posto è questo?»

Aveva dato involontariamente voce ai suoi pensieri, avendo così modo di ascoltare una voce profonda, seria e leggermente toccata dalla paura, con un leggero timbro metallico. La sua voce. Era strano, maledettamente strano non riconoscere la propria voce! Non aveva nessun tipo di ricordo, e concluse ben presto che non era normale. Svegliarsi così, un giorno, cosciente e in grado di ragionare, ma senza ricordare il proprio passato.

Chi sono?”

Una vocina nella sua testa lo convinse a non preoccuparsi troppo, a fare un passo alla volta.

Sì, un passo alla volta. Ce la posso fare”

Decise di organizzarsi. Solo l'aver deciso una cosa simile accese una spia nella sua mente: una parte del suo carattere era legata all'organizzazione, e non al caos totale. Questo lo rassicurò un po', dopodiché organizzò mentalmente il da farsi.

1. Devo scoprire dove mi trovo.

    1. Devo scoprire chi sono e cosa faccio qui.

    2. Devo trovare un senso a tutto ciò”

A dirsi, era facile, pensò. Prima di cadere nel panico, si dette da fare e osservò meglio la stanza dove si trovava: il cilindro ormai scomparso si era trovato nel centro, e adesso rimaneva solo una piattaforma grigia ai suoi piedi. Lui scese, e osservò la parete davanti a se. Era completamente ricoperta dai pannelli bianchi grandi almeno il doppio di lui, e in alto a destra una piccola lucina lampeggiava ad intermittenza. La fissò per qualche secondo, come in trance. Era una telecamera, bianca come la parete, e quasi si confondeva col muro. Era piccola e dalla forma ovale, ed era puntata su di lui. Lo stava osservando, spiando. Qualcuno stava seguendo ogni suo movimento. Un fremito, proveniente da chissà dove, risvegliò un'antica sensazione: essere osservato non gli piaceva. Anzi, gli dava sui nervi. Più il suo sguardo si focalizzava su quel piccolo occhio nero attaccato al muro, più la sua agitazione saliva. Spinto da questi sentimenti, digrignò i denti e strinse i pugni. Oh, quanto odiava quella telecamera! Ma perché?

Cosa sto facendo?”

Scosse la testa, poi distolse lo sguardo da quella malefica spia e si voltò.

Odio le telecamere... so di odiarle, ma non ricordo il motivo. Comunque, se ci sono delle telecamere, significa anche che c'è qualcuno. Non devo far altro che trovare quel qualcuno”

Dietro di sé, un corridoio portava fuori dalla stanza bianca e procedeva a perdita d'occhio. Dopo aver controllato velocemente che non ci fosse altro d'interessante nella stanza, inforcò quella via.

Muoversi fu doloroso, all'inizio. Sentiva il suo corpo cigolare leggermente, ogni ingranaggio sussultare, le gambe reggere a malapena il suo corpo. Era sempre stato così? Ma per fortuna durò poco. Dopo qualche minuto, smise di sferragliare e di sentirsi debole, e accelerò l'andatura. Il corridoio era lungo e sempre uguale. Le pareti, al contrario di quelle della stanza, erano grigio scuro, ma per il resto erano sempre costituite da quei grandi pannelli. Lui procedette, approfittando di quella monotonia per osservare un po' il corpo con cui non aveva familiarità: mani, gambe e busto apparivano di un marrone scuro, tranne per la pancia e i palmi delle mani, un po' più chiari. Le mani erano molto complesse, potevano ruotare sui polsi quasi completamente e ognuna delle dita era perfettamente articolata. Quelle mani avrebbero potuto afferrare qualunque cosa. I piedi, invece, erano molto più grandi, a forma di zampa, con solo tre dita ciascuno. Ma sembravano molto robusti e gli permettevano di alzarsi sulla punta. Non era sicuro che il suo corpo, all'apparenza così peso e robusto, potesse permettergli di correre o di saltare. Per il momento si limitò a proseguire per il corridoio.

Dopo diversi minuti, dei leggeri rumori di ingranaggi lo sorpresero, e nel voltarsi fece appena in tempo a vedere alcuni pannelli in fondo al corridoio staccarsi dalle pareti e ruotare, chiudendo completamente l'accesso alla stanza da cui era arrivato. Rimase immobile per qualche attimo, aspettandosi qualche altro cambiamento, ma a parte la diminuzione della luce, non accadde nient'altro. Quindi fece per proseguire nella stessa direzione quando quel rumore si ripeté, più forte e violento. I pannelli in fondo al corridoio si stavano chiudendo a muro... tutti quanti, velocemente. E più si avvicinavano, più violentemente si pressavano assieme, come se volessero schiacciare con forza qualsiasi cosa si trovasse in mezzo. Decise che era il momento di scoprire se poteva correre.

Poteva! Corse per il corridoio, quell'infinito corridoio, senza riuscire a vederne ancora la fine, mentre i pannelli si schiantavano sempre più velocemente alle sue spalle. Angoscia, paura e in seguito panico, presero il sopravvento. Non era come con quella telecamera, non un sentimento represso che tornava a galla dal suo subconscio. Si trattava di un sentimento naturale che per la prima volta si manifestava nel suo animo robotico. Era quasi sicuro di non aver mai provato qualcosa di simile anche nel suo oscuro passato senza memoria. Continuò a correre, implorando le gambe di lavorare più velocemente, ma non ci riuscì. Forse non aveva ancora padronanza con quel nuovo corpo, doveva ancora conoscerne i limiti e i punti di forza, ma qualunque cosa fosse, sperò che quella non fosse la sua velocità massima. Il rumore si fece più forte. Sentiva gli schianti dietro di se essere sul punto di raggiungerlo. Aprì leggermente la bocca, ansimando come un cane sotto un sole cocente.

Perché questo? Non ho bisogno di respirare...”

Eppure, involontariamente stava cercando di riprendere fiato. O qualcosa del genere. Sentì le gambe tremare sotto il suo corpo, e in poco tempo le forze iniziarono a mancargli.

Che razza di corpo mi ritrovo? Sono un androide – realizzò a pieno solo in quel momento – non dovrei stancarmi!”

Ma le sue gambe non parevano coincidere con quel pensiero. Iniziò inevitabilmente a rallentare, mentre due pannelli gli sfiorarono la schiena. In fondo al suo campo visivo, una lontanissima luce pareva annunciare la presenza di un'altra stanza, ma capì subito che non ce l'avrebbe fatta. Sarebbe rimasto schiacciato tra quei pannelli e bell'e finita quella nuova vita. Il suo piede destro perse la presa col terreno, e lui scivolò in avanti, parandosi con le braccia all'ormai prossimo schianto col terreno. Ma questo non avvenne. Iniziò invece a cadere nel vuoto, senza capirne il motivo. Sopra di lui i pannelli cessarono di chiudersi a muro, e realizzò solo in quell'istante di essere inciampato per colpa di una delle mattonelle su cui stava correndo. Questa si doveva essere ritratta improvvisamente per creare un'apertura dal quale salvarlo. Nella sua caduta, completamente al buio, urtò più volte quelli che parevano tubi metallici, probabilmente i meccanismi che spostavano le mattonelle e i pannelli alle pareti. Non sapeva a cosa sperare in quel momento. In un morbido materasso ad aspettarlo in fondo a quella caduta? Gli parve che chiunque lo stesse controllando si stesse divertendo a trovare metodi assurdi per spaventarlo. Ma perlomeno quel qualcuno sembrava volerlo vivo... per il momento. Atterrando, non trovò nessun materasso ad attenderlo. Si schiantò violentemente contro il freddo pavimento – poteva riconoscere il freddo al tatto! – facendosi parecchio male – e sentiva dolore – ma sembrava ancora tutto intero. Era rimasto indenne, nonostante provasse un sordo dolore al volto e agli arti per il brusco atterraggio.

Provo dolore, percepisco il caldo ed il freddo e sono molto robusto”

Aggiunse alla lista delle cose nuove che stava apprendendo di se stesso. Provò ad alzarsi. Inizialmente le braccia non ressero il suo peso e lui picchiò una forte musata in terra, ma al secondo tentativo riuscì a mettersi seduto. Non vedeva un palmo dal naso, l'intera stanza, ammesso fosse una stanza, era immersa nell'oscurità più totale. Quella mancanza di visibilità alimentò quell'antica irritazione che aveva dentro, che aveva manifestato contro la telecamera. Si alzò a tentoni, riuscendo miracolosamente a reggersi ancora in piedi. Poi il buio assunse un aspetto diverso. Quella forte irritazione si tramutò in curiosità, quasi attrazione verso il buio. Non aveva idea da dove venisse quel sentimento, anche se l'istinto gli suggeriva fosse uno delle vecchie emozioni intrappolate da qualche parte nel suo essere, assieme alla sua perduta memoria. Reagì in modo alquanto bizzarro: lo scanner dei suoi occhi si accese, illuminando una vasta area di fronte a lui di una fredda luce bluastra.

Questo... questo mi piace”

Concluse, osservandosi intorno. Il pavimento era costituito dalle stesse mattonelle grige del corridoio, e sopra la sua testa un enorme intrico di bracci meccanici e protuberanze di metallo si estendevano verso un altissimo soffitto. Solo guardando verso l'alto scorse una fievolissima luce, proveniente da una finestra quadrata, che si chiuse grazie allo spostamento di uno dei bracci.

Ecco da dove sono caduto”

Si guardò nuovamente intorno, divertito da quell'effetto “lampadina” che poteva attivare a suo piacimento. Si disse che quel corpo non era poi così male, solo non riusciva ancora a ricordare nulla del suo passato. Avanzò di un passo davanti a se, barcollando leggermente, e poi fece per iniziare a camminare quando, a pochi metri di distanza, scorse un piccolo cilindro scuro. Si avvicinò, curioso, e allungò la mano per afferrarlo: era un piccolo cappello metallico, una tuba nera con una striscia bianca alla base.

Questo è mio? Come ho fatto a non accorgermene prima? E come ha fatto a non cadermi mentre correvo?”

Lo avvicinò alla testa, e il finto cappello tremolò tra le sue dita, poi si attaccò da solo alla sua testa.

Oh, una calamita piuttosto potente. Deve essermi caduto nel volo”

A questo punto, sicuro di non aver lasciato altri cappelli o parti di sé in giro, iniziò a proseguire nella direzione che più riteneva giusta. Avanzando nella semioscurità, si ritrovò dopo qualche minuto di fronte ad una porta di ferro. Sopra, un cartello giallo raffigurava un omino stilizzato intento a correre, il quale sembrava sbucare da un bizzarro cerchio a forma di obbiettivo. Un obbiettivo in fase di apertura. Lo fissò per qualche secondo, concentrandosi su quel simbolo, ma non riuscendo a ricavarne nulla dalla memoria, si limitò a spingere la maniglia e ad entrare. Fu nuovamente travolto dalla luce, e quindi “spense” gli occhi, regolando la sensibilità delle pupille a quella nuova luminosità. Un'altra stanza fatta di pannelli bianchi. Ebbe quasi paura che i pannelli iniziassero a muoversi, ma non successe nulla. Al centro della stanza, un piedistallo nero, simile ad una scatola, si ergeva in contrasto con tutta la stanza. Sopra di esso, tre pulsanti di colore diverso sembravano in attesa di essere premuti. Ognuno di essi era collegato, tramite ad un'ingegnosa “presa” interamente aderente con il piedistallo e il pavimento, alla parete opposta alla sua, dove tre cartelli blu, segnanti una grossa X, giacevano spenti in attesa di corrente. Accanto a quelli, una grossa porta circolare, evidentemente alimentata a elettricità. Studiò quei pulsanti da lontano, chiedendosi quale dei tre – perché in caso contrario sarebbe stato troppo facile – attivasse la porta. Temeva, per qualche motivo, che sbagliando a premere i bottoni potesse accadere qualcosa di molto spiacevole. Avanzò dei passi incerti, trattenendo le mani al grembo, allungando leggermente il collo verso quei tre lucidi pulsanti. Tutto quello era assurdo, pensò. Perché si trovava in una stanza con tre bottoni ed una porta?

-Premi il pulsante rosso-

Cacciò un mezzo urlo dallo spavento. Una voce, gelida e metallica, priva di qualsiasi inclinazione sentimentale, piuttosto acuta, era risuonata nella stanza, senza provenire da un punto preciso. Si guardò intorno in cerca di un megafono, o di una grata, o da qualsiasi parte quella voce potesse essere provenuta, ma nella stanza non si trovava altro che il piedistallo, i pulsanti e la porta. E lui stesso.

-Premi il pulsante rosso-

Ripeté con un leggerissimo, quasi impercettibile tono irritato. Lui fissò il soffitto, come se potesse ottenere informazioni solamente guardandolo. Rimase immobile, domandandosi sul da farsi. Quei bottoni – uno giallo, uno blu ed uno rosso – stavano ancora aspettando. Ma lui non voleva cedere sotto il comando di una voce robotica proveniente da chissà dove.

Poi la vide: un'altra, odiosa, piccola e raccapricciante telecamera, posta sopra la porta dalla quale era entrato, che lo stava fissando. Sentì ribollire la rabbia, contrasse la mascella dal nervosismo, ma facendosi forza riuscì a non crollare sotto quel senso di odio profondo.

Non puoi lasciare che i sentimenti abbiano il sopravvento. Sta' calmo... concentrati... scopri chi è quella voce”

«Hey!»

La sua voce tremolò, toccata dall'incertezza.

«Hey, tu!»

Riuscì comunque a ripetere, guardando dritto in quell'occhio nero, meschino, della telecamera.

«Devi darmi delle spiegazioni! Che ci faccio qua? Cosa mi è successo? Chi sei?»

La voce non rispose. Si chiese se fosse stata una voce registrata, eppure qualcosa lo convinse a scartare quell'ipotesi. Qualunque cosa avesse parlato, non sembrava volergli dare la soddisfazione di una risposta. Distolse lo sguardo dalla scatolina appesa al soffitto per avvicinarsi ai pulsanti. Li fissò uno per uno, chiedendosi quale fosse lo scopo di tutto ciò. Infine si decise a premere quel fatidico pulsante rosso. Un suono cristallino risuonò per un attimo nella stanza, e una dei tre cartelli blu appesi a fianco della porta si accese di un brillante arancio, cambiando simbolo in una spunta. La porta si aprì subito dopo. Lui, indugiando, avanzò, solo per ritrovarsi in una stanza identica alla precedente.

«Che scherzo è questo?»

Modulò la voce affinché apparisse irritata ma ferma, mentre in verità l'inquietudine aveva iniziato a roderlo dentro.

-Premi il pulsante blu-

Disse la voce, senza considerare le sue osservazioni. Concluse che doveva stare al gioco, almeno finché non avesse trovato un modo per mettersi in contatto con quella voce inflessibile. Appoggiò la mano sul bottone blu acceso, che fece scattare la seconda porta. Avanzò, sicuro di trovare una stanza identica. Ed infatti, il medesimo piedistallo scuro si ergeva in mezzo a quella stanza fatta di solo bianco.

«Fammi scommettere, “premi il pulsante giallo”, vero?»

Chiese con sarcasmo. La voce rispose, quasi divertita:

-Vedo che hai sale in zucca-

Lui non se l'aspettava, rimase sorpreso da quella risposta acida, ma questo confermò l'idea che non si trattasse di una registrazione ma di una qualche tipo di macchina che lo stava sorvegliando.

«Okay – disse più a sé stesso che a quella misteriosa presenza che lo stava monitorando – ora premo questo pulsante. È l'ultimo, giusto? Ho premuto quello rosso, quello blu... adesso potrò capire dove mi trovo?»

Con una leggera pressione premette anche il pulsante giallo, e la porta si aprì. Dall'altro lato, però, già riusciva a scorgere un altro piedistallo.

Ma come...!”

Si avviò a passo spedito verso l'altra stanza, innervosendosi non poco alla vista di altri tre bottoni: uno arancione, uno verde ed uno viola.




Commento

Ecco che aggiorno! Cosa? In anticipo? Vi aspettavate un ritardo spaventoso, vero? Questi giorni mi sono sentita piena di ispirazione, e quindi ho continuato :D Inizialmente il capitolo doveva essere molto, molto più lungo, ma ho deciso di dividerlo in due parti per non appesantirlo troppo. Come forse avrete capito, al momento si susseguirà un capitolo su Mike, Fred o altri personaggi umani ed uno sugli animatronics, che da ora potremmo benissimo iniziare a chiamare semplicemente“robot”. Quindi, prima di poter leggere la seconda parte di questo capitolo, dovrete aspettare che aggiorni altre due volte (eh sì, per il prossimo ho altri protagonisti da seguire). Comunque, spero di avervi incuriosito! Spero che la storia vi piaccia e che continuerete a seguirla! A presto (spero), ciao!

  
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