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Autore: past_zonk    24/07/2015    0 recensioni
Aurikku! / Commovente / imho una delle migliori fanfiction di Final Fantasy di s-e-m-p-r-e!
C'è un gioco a cui giocano i bambini di Spira. Due o tre, o quattro, o cinque e persino sei si tengono per mano e camminano in circolo cantando questa piccola canzone.
Besaid Djose Kilika,
Bevelle Macalania,
Trova Sin a Zanarkand
Combattilo come Ohalland.
Poi cadono a terra, ridendo. Sanno che stanno emulando le morti degli invocatori e i loro guardiani? Credo lo realizzino solo da grandi. I giochi dei bambini celebrano il sacrificio e il martirio. I loro eroi muoiono sempre.
Benvenuto a casa, Auron. A Spira sei mancato.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Auron, Rikku
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate
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Soldier of Spira.

 


 

 

Auron:

 

Cerco ancora di aprire entrambi gli occhi. Non so perché, e immagino non importi. Ma anche dopo tutti questi anni, quando mi sveglio, apro un occhio, e poi poco prima di ricordare cerco di aprire anche l’altro.

 

Non funziona mai.

 

Aprii il mio occhio. Ero in un letto scomodo in una camera piccola. Voltare la testa faceva male. Girai la testa, e mi guardai intorno. Il posto era semplice, con solo una porta e una finestra. C’era una sedia spoglia vicino al letto. Vi era steso il mio soprabito rosso sul dorso. La mia spada era in un angolo.

 

Guardai in basso verso me stesso. Le mie costole erano bendate strette, ma oltre quello sembravo star bene. Non ero stanco, ma mi sentivo un po’ debole. Pazienza, Auron. Mi alzai ed aspettai. Dopo circa un’ora un uomo entrò, mi vide, e sorrise, “Ah, sei sveglio.”

 

Era un prete di Yevon.

 


 

Non andare a Kilika.

 

 

Auron:

 

Eravamo seduti l’uno di fronte l’altro ad un tavolo, condividendo un pasto semplice ma soddisfacente. Fuori, potevo vedere le persone finire le faccende del giorno mentre la luce spariva dal cielo. Ero nella zona bassa, in uno dei piccoli villaggi sulla via Mi’ihen che corre da Luca a Djose. Com’ero arrivato qui a migliaia di miglia lontano dal monte Gagazet? Apparentemente, volando.

 

“Hai causato un gran scompiglio. Non è da ogni giorno vedere una leggenda sanguinante e morente discendere dal cielo portato da un eone. Almeno non qui. Forse a Bevelle,” sorrise.

 

Padre Mott aveva un buon sorriso, gentile e fermo, come il padre che chiunque dovrebbe avere. Era un curatore, con piccoli poteri. Aveva fatto quel che poteva per me quando l’eone – Valefor, suppongo – mi aveva lasciato nello spiazzo di fronte la sua piccola chiesa. Credo di aver capito di aver fatto una certa impressione. Dozzine di persone volevano il mio autografo, altri volevano semplicemente vedermi. Molti volevano sapere come mi fossi ferito. Ammetto che la caduta dalla montagna abbia causato più danni di quanto pensassi.

 

“Oh, sì, ci sono molte persone che vorrebbero vederti, o forse addirittura parlarti,  Sir Auron. C’è una donna nel villaggio, suo genero è di Ocean’s Point. Specialmente lei vorrebbe vederti e ringraziarti.”

 

Ocean’s point. Forse sapete che ho salvato Ocean’s Point e tutta la sua gente anni fa, da solo.

È parte della legenda. Non avete mai incontrato qualcuno dal villaggio Starfall, però. Nessuno sopravvisse a Starfall.

 

“Non voglio vedere nessuno,” gli dissi.

 

“Saranno delusi.”

 

Vivono a Spira. Sono abituati alla delusione.

 

Il prete era un uomo di facile e ragionevole conversazione. Mentre mangiavamo il nostro pasto, la discussione si trascinò su Yevon e la chiesa. Ovviamente, suppongo. Fu deluso, ma non sorpreso, di sentire della mia rottura con la chiesa. Era un uomo alquanto devoto, totalmente dedito al benessere del suo gregge. Aveva una fede assoluta in Yevon.

 

“Forse,” gli dissi “Forse conosco la chiesa meglio di te, Padre. Non è degna della tua devozione.”

 

I suoi occhi erano lucenti mentre si sporse sul tavolo e rispose. “La chiesa è un’illusione,” disse. “Solamente un insieme di edifici e tradizioni. Io non venero la Chiesa.”

 

“Conosco anche Yevon meglio di te.”

 

“Non venero neanche Yevon. Yevon è solo una parola. Non sappiamo neanche chi sia, Yevon, o chi fosse. Almeno, io non lo so. Yevon sarebbe potuto essere un uomo, un posto, un evento.” Mi guardò, occhi gentili, ma pieni di fede. “Io venero cosa Yevon significa per me – speranza, di fronte alla disperazione. Solo i folli venerano le parole.”

 

Annuii lentamente, e presi un paio di bocconi dal mio pasto. “Suppongo che Bevelle sia pieno di folli, allora,” dissi.

 

Lui mi fece una smorfia. “Lo sai meglio di me. A Bevelle venerano il potere, non parole. Potrebbero non essere uomini pii, ma non certamente folli.”

 

Aveva ragione. Lo guardai, e mi chiesi quanti semplici preti di villaggio come lui fossero lì fuori, in tutta Spira. Quanti di loro che vedevano la vera natura del credo Yevon di Bevelle, e trovavano il loro personale credo, invece? Era seduto, calmo e dignitoso delle sue vesti semplici. Sei una nuova speranza per Spira, mi chiesi, o una trappola sottile? Tu con la tua fede e i tuoi scopi, la tua compostezza e gravità, tu siedi qui di fronte a me e quasi rendi ai miei occhi la Chiesa qualcosa di reale e buono. Nei miei dieci anni a Zanarkand, avevo dimenticato degli uomini come te, gli uomini buoni della Chiesa. Le persone in questo villaggio hanno un uomo giusto e decente come prete. Sei parte del problema, Padre. Lo capisci? Tu vedi Yevon chiaramente. Vedi la Chiesa chiaramente. Ma non sai ancora quello che io so. Il mondo non è quello che tu pensi sia.

 

Forse ucciderti sarebbe il mio più gran regalo per Spira, pensai, per poi catturare tutti i buon’uomini nella Chiesa. Non ce ne saranno così tanti. Non lo farei mai, ovviamente. Erano i pensieri vani di uno come me, il cui mezzo giornaliero era la brutalità.

 

Parlammo fino a tardi quella notte, della natura della fede, di contrizione e redenzione. Ero pronto per partire, la mattina dopo. Mi sentivo molto meglio dopo aver parlato a Padre Mott, mi sentivo meglio riguardo Spira. Forse quando questa storia  si sarebbe conclusa e una nuova iniziata, ci sarebbe stato posto per i preti come lui e per una Chiesa enormemente riformata.

 

Non ho ancora fede in Yevon. Non so in cosa ho fede.


 

 

Auron:

 

Era presto quando camminai via dal villaggio, ma c’erano già delle persone intorno, e mi furono chiesti autografi. Semplicemente irritante. Quello che mi disturbava erano le madri che mi porgevano bambini per farli benedire. Mormorai qualcosa per soddisfarle e presi a camminare più veloce. Auron il santo folle.

 

Per mezzogiorno ero abbastanza lontano dal villaggio, e proseguivo a passo sostenuto. Il cielo era limpido e il sole era piacevolmente calmo. Pensai di poter arrivare a Luca in dodici giorni. C’erano altri pellegrini sulla strada. Stetti sulle mie, non mi fermai né rallentai mai, ma li potevo vedere guardarmi, fissarmi. Occasionalmente sentii qualcuno dire “Auron” o “guardiano” o “la morte che cammina”. Era stato Kinoc a inventarsi quell’ultimo, anni fa, a chiamarmi La morte che cammina fra gli uomini. Avrei voluto ucciderlo, ma avrei solo comprovato la sua tesi.

 

Dovetti combattere un paio di mostri sulla strada. Il peggiore fu un volatile che non riuscivo proprio a beccare. Finalmente un ragazzino con una fionda venne in mio soccorso. Aggiungete questo alla leggenda. In effetti, era bravo abbastanza. Lo protessi mentre colpiva alla cieca l’uccello. Quando il mostro eruttò in lunioli il ragazzo  aveva un sorriso sulla faccia che valeva per due. Aveva combattuto fianco a fianco con Auron. Gli avevo migliorato la giornata.

 

Era quasi buio quando incontrai un gruppo che non potetti evitare. Era un’invocatrice e i suoi guardiani. Capelli rossi, con un mucchio di lentiggini sul naso, aveva forse venticinque anni. Abbastanza grande da morire. C’erano tre uomini con lei, due erano ovviamente suoi guardiani, l’altro era un vecchio con il quale stavano parlando.

 

“Oh, oh! Siete…Sir Auron?” Lei iniziò ad arrossire e a balbettare. I giovani mi fissavano a bocca aperta.

 

Stetti lì in piedi, un braccio penzolante fuori dalla manica, il soprabito rosso che svolazzava al vento, la spada in bilico sulla spalla. Totalmente a mio agio, li ispezionavo da sopra gli occhiali. La leggenda. A volte ci penso. Non è che sono in cerca di attenzione.

 

“Lo sono, invocatrice.”

 

“Oh, Sir Auron! È un grande onore incontrarvi! Sono l’invocatrice Ingrid, e questi sono i miei guardiani.” Stava quasi per iniziare a saltellare. I suoi due guardiani erano un guerriero ben piazzato e un giovane mago nero. Tutti e tre vollero un autografo. Guardali negli occhi, Auron. Quello che in realtà cercano è la tua approvazione. Erano in pellegrinaggio, per ottenere gli eoni e sconfiggere Sin. Forse erano amici d’infanzia. Affrontavano insieme il loro ultimo probabile viaggio. Erano eccitati, pervasi dal sentimentalismo, sognavano di divenire eroi, campioni, martiri, folli, correvano verso la loro morte, mangiati dalla paura e dai ripensamenti, volendo disperatamente arrendersi, voltare le spalle, lasciare a qualcun altro il mostro da uccidere. Erano giovani e volevano vivere. Avevano bisogno che io gli dicessi che stavano facendo una cosa grande e giusta, che erano la luce e la speranza di Spira. Ero la prova vivente davanti a loro che si poteva fare. Erano lì, mi guardavano, volevano che gli dicessi che valeva la pena farlo.

 

Cosa potevo dire? Scappate! Urlavo nella mia mente. Abbandonate questa impresa, andate a casa, sposatevi, avete bambini! Abbiate speranza! Ecco come sconfiggi la disperazione.

 

Non potevo dire loro ciò.

 

Invocatori e guardiani. Guardiani e invocatori. Luce e speranza di Spira. In ogni momento ci sono circa dai venti ai quaranta invocatori in tutta Spira in diverse fasi di allenamento. Quando il Bonacciale finisce, fino a due dozzine partono immediatamente in pellegrinaggio per acquisire gli eoni e sconfiggere Sin. Alcuni saranno uccisi dai mostri, altri abbandoneranno la loro missione, pochi saranno rigettati dagli eoni per qualche ragione. Uno, due o forse tre raggiungeranno la città di Zanarkand per affrontare il giudizio della stronza. Se uno di questi sconfigge Sin, un nuovo Bonacciale inizia. Altrimenti, nuovi gruppi di invocatori partiranno quando il loro allenamento sarà completato fino a che uno di loro riuscirà nell’impresa. Il Bonacciale inizia. Dura per nove, o dieci, o dodici anni, e più invocatori iniziano ad allenarsi per il ritorno di Sin. E noi nutriamo questo meccanismo malato con le nostre persone migliori, come questa giovane donna e questi ragazzi qui di fronte a me, che mi fissano con occhi chiari e brillanti. Persone cieche, senza alcuna idea della realtà.

 

Come me.

 

Certo, Auron.

 

Cosa potevo dirgli?

 

“Una volta, un invocatore di nome Braska iniziò il pellegrinaggio per sconfiggere Sin,” iniziai.

 

“Una volta, un invocatore di nome Braska iniziò il pellegrinaggio per sconfiggere Sin. Lord Braska pensò spesso di tornare indietro. (Una sporca bugia. Braska non ha pensato neanche per un istante di ritirarsi). Aveva una figlia. Se fosse morto senza sconfiggere Sin, l’avrebbe lasciata sola per nessun motivo valido, con nessun vantaggio. E lei aveva già perso la madre. Ogni giorno, lui guardava nel suo cuore, cercando la verità – se avesse davvero una possibilità di sconfiggere Sin, o si stava semplicemente prendendo in giro. Molti invocatori muoiono senza mai raggiungere Zanarkand. Avrebbero potuto arrendersi e vivere. Sarebbero dovuti arrendersi e vivere. Braska non era mai sicuro (Braska era sempre sicuro). Ma ogni mattina quando si chiedeva perché si sarebbe dovuto ritirare, vedeva nel cuore che la cosa giusta era continuare. I suoi due guardiani l’avrebbero seguito ovunque, ma era lui l’invocatore. Se una mattina, o nel bel mezzo di qualsiasi notte, egli avesse deciso di tornare a casa, essi l’avrebbero seguito, perché sarebbe stata la cosa giusta da fare. Ma loro non s’arresero mai. Braska era colui destinato a sconfiggere Sin. E il suo cuore lo sapeva.”

 

Ecco. Guardai le loro facce splendenti. Forse avrei potuto fare di meglio, dire qualcosa in più, ma ecco lì. Quanti invocatori volevano tornare a casa, ma andavano verso la morte perché troppo imbarazzati, troppo umiliati, troppo spaventati di cosa le persone avrebbero pensato, di come li avrebbero guardati? Affrontavano la loro missione ed erano trattati come eroi, dove trovare la forza di voltarsi e dire ‘scusa, è troppo difficile, ho cambiato idea’?

 

Meglio morire.

 

Non lo è, in realtà.

 

Uomini e donne marciano indistintamente verso le loro tombe per evitare un paio di giorni di umiliazione.

 

Ci sono momenti in cui odio la razza umana.

 

Se questi tre erano destinati e determinati a continuare, allora la storia che ho raccontato probabilmente darà loro la forza di andare avanti. Ma se decideranno di voltare le spalle, allora forse la mia storia li aiuterà ad accettare la loro perdita di orgoglio: Non mi importa cosa pensate, era la cosa giusta da fare, Sir Auron l’ha detto!

 

Si stavano accampando. Sarei potuto rimanere. Sarebbero stati contentissimi se fossi rimasto e avessi raccontato loro storie di Braska e Zanarkand, di Klannathe e Ocean’s Point. Mi avrebbero detto delle loro vite, e da dove venivano, e cose divertenti gli uni degli altri, facendo a gara a chi m’avrebbe fatto ridere per primo. Dissi che dovevo continuare. Dissi che avevo promesse da mantenere.

 

Guardo alle loro facce, giovani e ridenti, e vedo morti.

 

Il vecchio uomo strisciò al mio fianco mentre camminavo via da loro. Aveva gli occhiali e una lunga barba bianca. Non disse nulla finché non fummo abbastanza lontani da non essere ascoltati. Poi parlò.

 

“Sono Maechen, uno scolaro. Studio antichi relitti e dati per cercare di scoprire il vero passato di Spira.”

 

“E cosa hai trovato?” gli chiesi dopo un momento.

 

“Oh, molte cose interessanti,” sorrise. “Ma di quelle possiamo parlare dopo. Io e te abbiamo amici in comune, ed ho delle notizie da parte loro.”

 

“Tutti i miei amici sono morti.”

 

“Beh, allora dovrei dire conoscenze,” la sua voce divenne più greve.

 

“Chi sono queste conoscenze, e cosa hanno da dirmi?”

 

“Il ragazzo e la ragazza stanno insieme, sono di strada verso l’isola Kilika. Quando avranno finito lì verranno a Luca.”

 

Mi accigliai, pensando. “Sono di marcia verso Kilika ora?” Pensai che lo scolaro stesse dicendo il vero. Ho il fiuto per scovare gli agenti di Bevelle, e non era il caso.

 

“In effetti, partiranno per Kilika in mattinata.”

 

Girai a sinistra e corsi verso la foresta.

 

“Aspetta! Dove stai andando?” urlò verso di me.

 

Kilika. Se è lì che sono Tidus e Yuna, allora è lì che dovevo essere, e il più veloce possibile. Dovevo riunirmi a loro se volevo proteggerli. Camminai verso ovest attraverso la foresta per la maggior parte del giorno. Incontrai pochi mostri, ed erano alquanto deboli. Più tardi nel pomeriggio spuntai fuori dalla foresta. Potevo vedere l’oceano, e un piccolo villaggio di pescatori non troppo lontano. Sono molto comuni da queste parti, vicino alla costa di Mi’ihen. C’era una donna ad aspettarmi quando uscii allo scoperto degli alberi.

 

“Auron,” mi disse, “Non andare a Kilika. Aspettali a Luca.” La sua voce suona familiare? L’avevo incontrata già in passato?

 

“Ho promesse da mantenere,” le dissi. “Stanno andando a Kilika ora, e lì è dove devo essere.”

 

“No, Auron. Non andare a Kilika.”

 

Camminai dritto, oltre la donna, e giù verso il villaggio.


 

Auron:

 

Mi piazzai nella parte più anteriore della nave, come se così la facessi andare più veloce. Avevo passato la notte al villaggio. Le persone erano state entusiaste di avermi lì. Balbettavano quando portavano i loro figli a vedermi. Ero una scusa per celebrare, con cibo e musica. Furono persino più felici quando gli dissi che volevo noleggiare una barca per andare a Kilika. Fruttava più che la pesca. Partimmo un po’ prima dell’alba il mattino dopo – per un problema della marea.

 

Era una nave carina, anche se puzzava di pesce. Sono abituato ad odori peggiori. (Dodici giorni condividendo una fossa con un chocobo morto mi viene in mente. Ha smesso di essere divertente al terzo giorno.) Il sole era chiaro e l’aria era affilata di sale. Il vento era dalla nostra e stavamo filando veloci sull’acqua. Avremmo raggiunto Kilika in un giorno, forse due dopo Tidus e Yuna.

 

Ma avevo una sensazione che non mi piaceva. C’era qualcosa. Lo fiutavo. Odorava di…Sin! Sin era dietro di noi, mi seguiva – lo stavo conducendo dritto verso Kilika!

 

“Gira!” urlai. Feci girare la nave di 90 gradi, per portarci lontano da Kilika. Dall’albero, qualcuno di loro vide Sin. Ci misero tutta la velocità che avevano. Sin non ci stava seguendo. Lo potevo sentire. Era sulle tracce di Kilika ora, delle persone vive che odiava e che desiderava. Sin non stava prestando più attenzione a me.

 

“Voltatevi!” dissi all’equipaggio. Dovevamo tagliare quell’angolo, avvicinarci abbastanza a Sin così da lasciarmelo attaccare mentre passavamo. Dovevamo distrarlo. Loro non capirono cosa volevo fare, all’inizio, e quando compresero, si rifiutarono. Non volevano voltarsi verso Sin. Mi infuriai. Dovevamo portare Sin lontano da Kilika. A loro non interessava di Kilika, però. A loro interessava delle loro vite e della loro nave. Tagliai il capitano in due, e urlai agli altri di voltare la nave, ma loro stavano lì a guardare me, la spada, il corpo. Uccisi qualcun altro e dissi loro di voltare la nave, ma non lo fecero.

Si dissolsero, si nascosero. Li cacciai, li feci uscire dai loro buchi, nascondigli, gli ordinai di voltare la nave, uccidendoli quando si rifiutavano. Quando solo in sei rimasero sulla nave – troppo tardi. Era troppo tardi. Avevamo perso troppo tempo, e ne erano troppi pochi ora, e troppo impacciati.

 

E ora cosa succede, mi dissi.

 

Potevo sentire Sin in lontananza, allontanarsi. Il destino di Kilika era fissato. La donna aveva avuto ragione. Non sarei dovuto andare a Kilika. Guardai Sin. Guardai verso Kilika. Potevo ancora andare. Sarei arrivato lì ben dopo l’attacco, troppo in ritardo per aiutare, o fare qualcosa di utile. Kilika aveva bisogno di guaritori ora, e invocatori, e carpentieri, e muratori. Non guerrieri. Ma potevo ancora andare.

 

Ogni guerriero, e ogni leader di uomini, deve sapere quando fermarsi, quando bloccare le proprie perdite, quando dire ‘ho perso brava gente cercando di fare questo, ma se continuassi a provare ne perderei solo di più.’

Era il momento di arrendersi, di andare avanti. Andare a Kilika ora non mi avrebbe fruttato nulla. Mi girai verso il rimanente equipaggio.

 

“Pulite tutto. Salpate per Luca.”
















 

   
 
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