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Autore: Eruanne    24/07/2015    6 recensioni
La prima volta che Thomas William Hiddleston scoprì che Adele Tesei – la coinquilina della sua fidanzata Susannah – portava gli occhiali, fu una mattina nuvolosa.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'La prima volta che...'
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MURO



Le mattine nuvolose, si sa, non sono per nulla collaborative. Non ti invogliano ad uscire, specie se sono quelle fredde mattine invernali che paiono dirti solamente “Rimani a letto, al calduccio. Tanto la giornata non può che peggiorare!” e Thomas William Hiddleston – altresì conosciuto solo come Tom – sentì l'ottimismo che lo contraddistingueva come un marchio di fabbrica vacillare, sotto la potenza delle nuvole grigie e blu. Ma non era mai stato uno portato alla pigrizia o al poltrire, perciò decise di alzarsi: inforcò gli occhiali, stese prima una gamba e poi l'altra oltre il bordo del letto e si tirò a sedere; dovette rallentare i movimenti quando Susan si girò sull'altro fianco, la schiena e la cascata di capelli castani a nasconderla. Non si svegliò e lui tirò un impercettibile sospiro di sollievo.

Indossò la maglietta grigia del pigiama mentre giungeva alla porta, l'aprì piano e la richiuse altrettanto delicatamente ritrovandosi nello stretto corridoio buio. Tese le orecchie nel tentativo di capire se effettivamente fosse solo e diede una veloce occhiata constatando che sotto ogni porta non filtrava luce; evidentemente anche lei era ancora nel mondo dei sogni, essendo domenica.

Dopo una capatina al bagno – l'acqua fresca lo aveva decisamente destato – e un forte brontolio allo stomaco affamato decise che la sua prossima tappa sarebbe stata la cucina, il luogo dell'appartamento che più adorava sia per il senso di calore che trasmetteva, sia perché era davvero deliziosa a vedersi, con quel tavolo bianco e i mobili in legno chiaro. Aprì le ante della dispensa trovando l'occorrente per la colazione e per il tè, e in poche mosse il tutto era sulla padella a sfrigolare o all'interno del tostapane o del bollitore. La mano sinistra corse a scompigliarsi i ricci mentre la destra si serrava attorno al manico della padella; con un leggero movimento del polso le uova e la pancetta scesero verso il piatto bianco e Tom, soddisfatto, ciabattò sul wooden floor schivando per un soffio l'angolo del bancone che, di norma, fungeva da sostituto del tavolo quando le ragazze erano sole, e finalmente raggiunse il suo obiettivo sedendosi pesantemente. Aveva da poco attaccato la porzione di uova, godendo della penombra, quando un rumore di passi in corridoio lo attirò.

Dalla soglia della cucina comparve la sua figura infagottata nella felpa di pile che Susan le aveva regalato il Natale precedente; trattenne una sonora risata quando si accorse dell'orlo dei pantaloni del pigiama accuratamente infilati in grossi calzettoni di lana e della massa di capelli disordinati nonostante fosse andata dalla parrucchiera il giorno prima per una spuntatina ed una messa in piega. Camminava a testa bassa, forse per evitare d'inciampare ovunque – di sicuro era ancora persa nel mondo dei sogni per far caso a qualsiasi cosa, compreso lui.

«Buongiorno» la salutò, amabile.

Dio, la sua espressione era così impagabile! Stavolta lasciò che le labbra si piegassero in un sorriso estremamente divertito mentre lei arrossiva e sgranava gli occhi coperti da – un momento! Quello era – un paio di occhiali – e da quando li portava?

«C- ciao!» balbettò con voce roca. Se la schiarì e riprese «Ti lascio mangiare in pace.»

«Non dire sciocchezze» la fermò, prima che potesse anche solo compiere un passo. Non avrebbe sopportato di doverla cacciare «Questa è casa tua, dopotutto.»

La vide in difficoltà, gli occhi sfrecciarono di qua e di là alla ricerca di una soluzione; era sempre così, costatò amareggiato: un'assurda pantomima in cui lui cercava di avvicinarla e di abbattere quei muri invisibili che lei si era ostinata alacremente a costruire pezzo per pezzo. Da quando lo aveva conosciuto e riconosciuto. Eppure per un periodo era stato così sicuro, e felice della loro sbocciata amicizia!

Quando iniziavano a chiacchierare era un timido studiarsi, capirsi; e finalmente, non appena superavano la prima fase, parlavano a cuore aperto alternando una confidenza ad una risata. Ma poi... poi un velo scendeva a spegnere la meravigliosa scintilla nei suoi occhi curiosi e sinceri, e tutto si cancellava per tornare al punto di partenza.

Una fitta al cuore lo rabbuiò appena mentre con una mano le faceva cenno di accomodarsi. La studiò con attenzione e si ripromise – per l'ennesima volta – di ritentare ancora e ancora finché non fosse riuscito nel suo intento. Non era questione di presunzione: a tutti capitava di trovare antipatica una persona, e quindi si cercava di evitarla come meglio si poteva; ma Tom era convinto non si trattasse del loro caso. Lei era una persona timida di natura – no, non c'entrava nemmeno questo, vi era un'ulteriore spiegazione a cui non era ancora giunto.

Un rumore lo strappò alle sue riflessioni in tempo per sentirla borbottare in italiano mentre riponeva al suo posto la confezione di fette biscottate, scivolata al suo tentativo di afferrarla; senza altri intoppi portò la scatola di cereali sul piano, mentre il latte si scaldava lentamente sul fuoco. Non appena fu alla giusta temperatura spense il gas e versò il liquido nella tazza, camminando attenta finché non la portò al sicuro e si sedette.

Lui aveva osservato ogni movimento con sguardo rasserenato; gli piaceva accantonare ogni pensiero per dedicarsi a contemplarla anche se sapeva che, così facendo, accresceva la soggezione che lei provava nei suoi confronti. Ma che poteva farci se respirava un'aria casalinga, in quella cucina?

«Da quanti anni porti gli occhiali?»

Una domanda che avrebbe voluto porle subito, ma aveva tardato perché era più importante che si sistemasse, che almeno iniziasse a mangiare.

Lei finì di masticare con calma, mentre assumeva un'espressione concentrata; scrollò il capo subito dopo e ingoiò.

«Ho troppo sonno per contare. Comunque da quando avevo sette, otto anni.»

Tom fischiò piano, sinceramente colpito «Eri davvero piccola.»

Un'alzata di spalle e una scompigliata ai capelli «Non più di altri, in effetti. Solo che col tempo sono peggiorata rapidamente, ma per fortuna da un paio d'anni sono stabile. Te invece? Neanche io sapevo li portassi.»

Incrociò le braccia al petto mentre lei condusse il cucchiaio con latte e cereali alle labbra «Da cinque anni, se non sbaglio; però si tratta di una leggera miopia, niente di grave.»

«Capisco. La mia è un po' più seria» spiegò, sfilandosi gli occhiali dalla montatura nera e porgendoglieli «Ereditaria insieme all'astigmatismo. Tieni.»

Il ragazzo chiuse le dita attorno all'asta scura e li studiò rigirandoli con cautela. Per un fugace momento immaginò una smilza bambina dai mossi capelli castani e dai grandi occhi del medesimo colore mentre col piccolo indice se li risistemava alla radice del naso perché continuavano a scivolarle, ed involontariamente il cuore si riempì di dolcezza.

Li appoggiò appena oltre le sue lenti, inorridendo di fronte a tutti quegli oggetti – e a lei – sfocati «Guarda qui, caspita.»

«Non sono mica cieca! Stai sorridendo? Non vedo niente, accidenti» protestò appena, il tono più leggero – quasi giocoso – dall'inizio della conversazione; strizzò gli occhi e si sporse in avanti, assumendo una tale espressione buffa da farlo ridere di gusto.

«Ecco, ecco, riprendili. Talpa.»

Lei strinse le labbra per trattenersi dallo scoppiare a ridere perché mai e poi mai gli avrebbe regalato quella soddisfazione! Scelse piuttosto di arricciare il naso e bere il latte rimanente che aveva perso il solito colore bianco per uno marrone, sporcato dal cioccolato di quei cereali a cui non poteva rinunciare.

È bella, si scoprì a pensare. C'era tutto un mondo espressivo in quei tratti che molti avrebbero giudicato comuni – per lui non era così –, in quegli occhi che con quella particolare penombra sembravano più scuri, invece contenenti del verde lungo il bordo esterno dell'iride. Lo sapeva. L'aveva osservata a lungo, di sottecchi, quando nessuno poteva sorprenderlo.

Incapace di tacere, volenteroso di conoscerla meglio, aprì bocca per parlarle ancora «Come te ne sei accorta?»

«Leggendo» confidò. Sorrise, mostrando una fossetta in entrambi i lati della bocca ora sottile, gli occhi scintillanti persi in un ricordo.

E di nuovo la figuretta della bambina, stavolta seduta e intenta a sfogliare un volume, fece capolino.

«I miei genitori capirono tutto quando dissi loro dei miei mal di testa, e l'oculista confermò i loro sospetti. Un paio di mesi dopo ero alle prese con gradini immaginari.»

«Avrei voluto vederti» ammise Tom, seguendola in una nuova risata.

Lei stavolta arrossì e abbassò lo sguardo, confondendolo; aveva detto qualcosa di male? Era stato scortese?

«Scusami» tentò di rimediare, risollevandosi quando una sua mano si agitò in aria a volergli dire “va tutto bene, non importa”.

«In effetti ero piuttosto ridicola.»

Ridicola? Come poteva esserlo? «No, Adele.»

Eccola lì, la dolcemente dolorosa stretta allo stomaco che si presentava puntualmente ogni qual volta pronunciava il suo nome. Adele. Adele. Adele.

Cosa c'è in un nome?, diceva Shakespeare. Per lui tutto un universo interamente da scoprire, racchiuso in cinque lettere.

Avrebbe voluto ripeterlo all'infinito, tenerlo al sicuro dentro la bocca per non lasciarlo scivolare fuori, sospinto dalla lingua, adagiato sulle medesime labbra desiderose di saggiare le sue. Di Adele.

No. Era impossibile, lo sapeva. Non poteva perché, glielo ricordò una voce remota nella testa – o nel petto, dov'era la coscienza – esisteva Susannah. La stessa che aveva dormito con lui poche ore prima, la stessa che lui considerava la sua ragazza, con la quale pianificava un futuro. Non Adele. Susannah.

E allora perché, perché in nome di Dio desiderava alzarsi dalla sedia, compiere quegli inesistenti passi e prenderle il volto imbarazzato tra le mani per vedere se sì, di sicuro lo avrebbero racchiuso? Perché quel bisogno, quella frenesia di sfiorarle la bocca e perdersi tra i suoi sospiri?

Tom aveva paura, una paura maledetta. Temeva di dover fare i conti con quel sentimento, identificarlo con un vocabolo spaventoso e al contempo liberatorio che, al momento, relegava in un angolo di cuore. Si crogiolava nelle sue certezze senza azzardarsi ad immaginare diversamente, maledicendosi della codardia in cui nuotava; forse, se avesse racimolato coraggio e avesse visto, avrebbe accettato il cambiamento alleggerendo il cuore. Non era giusto, infatti, ingannare Susan: con quale diritto considerarsi un fidanzato modello se la sua coinquilina lo attirava senza nemmeno rendersene conto? Adele non aveva alcuna idea dell'effetto che aveva su di lui, sul suo cuore, sulla sua anima stregata; non capiva che il rossore che spesso e volentieri le colorava le guance era adorabile ai suoi occhi, né che le risate lo colmavano di gioia accelerandogli il cuore o gli occhi adombrati lo rattristavano e lo rendevano furioso poiché avrebbe voluto farla pagare a chiunque l'avesse portata a non sorridere.

E quando lo chiamava per nome... cielo, poteva esistere maggiore felicità? Lui, ch'era stato chiamato da molti e da molti sarebbe stato in futuro chiamato non aveva trovato nessuno con quell'inflessione specifica, propria di lei. Né Susan né altre.

Il suo nome apparteneva ad Adele.

Alla constatazione quasi ruggì di un nuovo appagamento e gli fu impossibile fermare sul nascere quel sorriso spontaneo che parve illuminarlo; lei, rimasta in silenzio per quei lunghi – oppure pochi? Una manciata? Inesistenti? – momenti, persa in egual misura in riflessioni, lo imitò. Non seppero quantificare il tempo trascorso così, in una placida e pigra quiete dove entrambi non vollero preoccuparsi di riempirla con parole inopportune; capirono solo quanto li rigenerò. Ma l'incantesimo, si sa, è destinato a spezzarsi.

Passi affrettati e pimpanti precedettero l'arrivo di una persona – di Susan – e infransero qualunque contatto.

«Tom, ma sei già in piedi? Credevo dormissi di più stamattina! Adele, buongiorno!»

Il grigiore inondò la cucina, la penombra – loro inconsapevole rifugio in cui si erano nascosti, sicuri nei loro sentimenti – venne spazzata via.

Un sorriso meccanico piegò le labbra del giovane attore londinese mentre allungava il collo per ricevere il primo bacio della giornata e, attirato da una forza ben conosciuta, spostò gli occhi chiari davanti a sé, dove Adele aveva seguito in silenzio ogni minino gesto.

Gli bastò una sola occhiata per capire.

Il muro era di nuovo eretto.




CANTUCCINO DELL'ATTRICE


Salve! Approdo in questi bei lidi per la prima volta, e per sfuggire all'afa insopportabile di questi giorni. Per chi non mi conoscesse, piacere, sono Eruanne! Spero che questa breve one shot vi sia piaciuta e che vi abbia trasmesso qualcosa; era da tempo che volevo scrivere anche una pagina dedicata a questo attore talentuoso, e ho voluto iniziare con questo spaccato di vita quotidiana dove troviamo un Tom Hiddleston a casa della fidanzata Susannah Fielding (i due rimasero insieme fino al 2011) e della coinquilina di questa, Adele. Ecco, queste sarebbero le premesse per una long, che incrociando le dita non escludo, anche se ultimamente gli impegni e la scarsissima ispirazione non mi lasciano in pace :/. È davvero strano tornare a pubblicare!

Vi ringrazio già per essere arrivati a leggere fino in fondo e ringrazierò ancora chiunque vorrà lasciarmi un suo parere :).

Ah, un'ultima cosa: Tom non mi appartiene (sigh!) e nemmeno Susannah, e i fatti che racconto sono di pura invenzione.

Buona serata a tutti!



  
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