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Autore: PinkBiatch    27/07/2015    1 recensioni
Non posso certo biasimarti perché non hai sentito quel tuono, in quel giorno di settembre, la prima volta che i nostri sguardi si sono incrociati. E non posso biasimarti se non hai mai sentito niente quando eri con me.
Però volevo che tu sapessi che quel tuono io l'ho sentito, e continuo a sentirlo sempre, ogni volta che ti vedo, anche solo di sfuggita.
[...]
Nemmeno adesso pretendo di conoscere l'amore, conoscerne i meccanismi e tutte le sensazioni. Ma conosco il colore dei tuoi occhi alla perfezione, e le espressioni che fai quando sei felice, triste, arrabbiato o preoccupato. So capire quando dormi o quando stai soltando riflettendo ad occhi chiusi, perché quando non dormi ti rimane una piccola ruga tra le sopracciglia. So riconoscere la tua risata in mezzo a milioni di risate, e la tua camminata. Ed ho anche capito qual è la tua maglia preferita, e so quali pantaloni ti stanno meglio di tutti.
Genere: Angst, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Zayn Malik
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Questo primo capitolo, come tutta la storia, è dedicato a Leo, che mi ha insegnato l'amore nella sua forma più pura, affinché perché potessi scriverne. 


 

Il primo temporale di settembre stava per arrivare e me ne ero accorto già da quella mattina, ancor prima di uscire di casa. Il sole che ci aveva riscaldati così tanto durante l'estate ci stava ormai abbandonando definitivamente, lasciandoci in balìa di ondate di pioggia continua.

Non ho mai capito come mi sentissi veramente nei confronti dei temporali, se mi rallegrassero o se mi innervossissero. Guardarli da dentro un qualsiasi edificio riscaldato è sempre stato bello, che fosse durante una lezione noiosa o di fronte ad una cioccolata calda, mentre dover correre sotto la pioggia senza ombrello mi ha sempre infastidito un sacco. Tutto qui.

L'imminente temporale di quella mattina riuscì ad innervosirmi più del solito ancor prima che arrivasse, mi bastò accorgermi della sua oscura presenza mentre giacevo ancora nelle lenzuola calde del sonno abbandonato.

Immagino che se i tempi fossero stati migliori, sarei riuscito ad apprezzare quel temporale. Eppure i tempi erano quel che erano, ed io ero così in carenza di vita che sarei potuto esplodere anche se fosse stata una perfetta giornata calda e soleggiata.

E' strano come da principio si odi una cosa, e poi un certo avvenimento ci porti ad amarla. O forse non è affatto così, perché dal momento in cui cominciamo ad amare una cosa che odiamo, essa cambia impercettibilmente e ciò fa sì che noi non amiamo la cosa odiata, ma solo una versione migliorata di quella.

Fatto sta che, in un modo o nell'altro, ho amato quel temporale.

Il cielo era ormai nero quando finalmente uscii da scuola, eppure nemmeno un singolo tuono aveva scosso il cielo e nemmeno un fulmine lo aveva squarciato, nemmeno una goccia di pioggia era scesa a dissetare quelle piante aride.

Avevo un libro in mano mentre salivo sull'autobus che mi avrebbe riportato a casa, era un libro che parlava della relazione tra Achille e Patroclo come una vera e propria storia d'amore. Mi aveva fatto sentire così... arido. Così vuoto. Ed allo stesso tempo pieno di vita, ma era sempre la vita altrui.

Era ancora troppo presto perché le relazioni squallide dell'estate, quei corti ed insulsi effetti collaterali di qualche sbornia in qualche locale sulla spiaggia, fossero terminati e tutti fossero di nuovo single ed a caccia di nuove prede con cui divertirsi un po' e poi lasciare andare. Vedevo tutti così pieni di vita, così spumeggianti, così desiderosi di raccontare della loro squallida storia di amore a tutti quelli che vedevano passare, anche agli sconosciuti, ed io ero lì, seduto da solo su quel sedile di plastica che mi faceva dolere il culo. E mi chiesi se fossi destinato a rimanere così per sempre, seduto da solo col culo dolorante. E mi risposi di sì.

Poi la porta si chiuse e l'ultimo passeggero salì ed era proprio davanti a me.

E' strano quanto certe cose non possano essere altro che coincidenze, eppure siano troppo azzeccate per esserlo davvero. Come quel primo tuono che fece tremare la terra nel momento esatto in cui i nostri sguardi si incrociarono per la prima, fatale volta.

Mi piace parlare di come l'intero mondo tremò nello stesso momento in cui la mia vita prese a vacillare.

Ho sempre avuto delle convinzioni, ma mai delle pretese. Non pretendevo di conoscere il mondo ma ero convinto di conoscere me stesso, almeno a grandi linee. Fino a quel momento sapevo di chiamarmi Harry Styles, di avere sedici anni, i capelli ricci, una certa passione per lo studio, una bella famiglia, dei buoni amici, una vita perlomeno mediocre. Ed un grande interesse per la cosa che sta in mezzo alle gambe delle ragazze. Solo quella. Niente arnese, verga, uccello e chi ne ha più ne metta.

Ma quando ho visto i suoi occhi non ho pensato a quello che potesse avere tra le gambe o chissà dove. L'ho guardato negli occhi ed ho visto il ragazzo più bello del mondo e mi è bastato, e solo dopo minuti e minuti, ripensandoci, mi sono ricordato di essere eterosessuale.

Forse era colpa degli occhi. Somigliavano un po' a quelli della mia ultima ex, Christina. No, già. Christina aveva gli occhi marroni, era Lydia quella con gli occhi azzurri.

Magari era solo carenza d'affetto, ero quasi certo che lo fosse. Doveva per forza essere quello.

Vedere tutti gli altri amarsi e sentirsi escluso da quella grande festa era stato troppo umiliante per me, troppo degradante. E così, beh, così ho creduto di provare qualcosa per qualcuno che, in realtà, mi era possibile amare.

Una spiegazione più che sufficiente.

Aveva la testa bassa, le cuffie negli orecchi, la testa altrove. Batteva il ritmo della musica che poteva sentire solo lui col piede, piano, come se temesse che qualcuno potesse accorgersene e ridere di lui, ed ogni tanto si lanciava intorno un'occhiata e solo quando era sicuro che nessuno lo stesse guardando sussurrava le parole della canzone che stava ascoltando.

L'aveva fatto già una decina di volte e non si era mai accorto che lo stessi guardando, né tantomeno che stesse sussurrando abbastanza forte perché io potessi sentirlo. Poi si voltò verso di me mentre ancora sussurrava le parole, attirato da qualcosa che non seppi mai cosa fosse.

Il nostro sguardo si incrociò di nuovo, e il cielo brontolò ancora.

Arrossì quando vide che lo stavo fissando, e immagino che abbia pensato che lo stessi facendo perché sussurrava le parole di una canzone come una ragazzina, ma in realtà lo guardavo perché, nonostante fossi eterosessuale, lo trovavo comunque bellissimo.

Scese presto. Troppo presto.

Mi aspettava un'altra ora di viaggio ed avevo troppi pensieri e troppo tempo per pensare ad ognuno di essi con troppa chiarezza. Era tutto decisamente troppo per me già allora.

Eppure c'era quel libro, c'era quel dannato libro che se ne stava lì tra le mie mani immobili e pesava ed un angolo si era conficcato nel mio ginocchio.

Presi a sfogliare quel libro, ora che l'oggetto del mio interesse era troppo lontano perché riuscissi a guardare lui invece di alcune vecchie pagine.

Rilessi l'incontro tra Patroclo ed Achille molte volte, con estrema attenzione, e cercai le analogie e le differenze tra il primo incontro col mio Achille. O forse era Patroclo, chi può saperlo.

Avrei dovuto scrivere un tema su questo libro da consegnare entro tre giorni alla professoressa di letteratura e cercai di concentrarmi su quello, cercai di cominciare una bozza di quel tema nella mia testa per poi arrivare a casa e scrivere qualcosa di abbastanza bello da stupire e farmi notare dalla nuova professoressa.

Il mio scopo si mostrò più irraggiungibile del previsto, troppo occupato a pensare a quel ragazzo con gli occhi blu.

Dovevo smetterla, dovevo decisamente smetterla.


 


 


 


 


 


 

Non riuscivo a scrivere niente. Io, così bravo a scrivere, così appassionato, io, che riesco ad esprimere i miei sentimenti soltanto scrivendo, stavo fissando per la prima volta nella mia vita quella pagina bianca senza sapere cosa scrivere.

Ci pensavo, ci ripensavo.

Avevo provato a scrivere un commento molto freddo, analizzare difetti e pregi di quel libro senza venire coinvolto, non inserire niente di me in ciò che stavo scrivendo. Eppure mi sentivo troppo coinvolto, e non sapevo nemmeno perché.

Forse erano i suoi occhi. Quegli occhi azzurri e freddi come il ghiaccio, accesi, splendenti, taglienti, che ferivano la mia anima ogni volta che chiudevo gli occhi e li vedevo ancora lì, davanti a me.

Che infinita tristezza, cercare di colmare il proprio vuoto interiore con degli occhi che fanno ancora più male.

Perché non era una ragazza? Non sarebbe stato più semplice se lo fosse stato? Avrei chiesto di lei ad altre persone, mi sarei informato e, a tempo debito, sarei scattato ed avrei azzannato la mia preda.

D'improvviso era semplice capire perché le coppie gay sembrassero sempre più belle delle altre, almeno a chi era abbastanza intelligente ed aperto da accettarle: sono le coppie che sicuramente hanno lottato di più. Anche solo il fatto di esporsi con una persona del proprio sesso senza poter essere completamente certi dei suoi interessi doveva richiedere una fatica immane.

Ma stavo viaggiando troppo, quelli erano solo degli occhi e col tempo, sì, col tempo mi sarei abituato a vederli e non avrebbero suscitato in me alcun tipo di reazione. Punto. Andava tutto bene così.

Il mio telefono squillò poco dopo, era Liam, che come sempre mi chiamava perché correggessi ciò che aveva scritto.

“Senti, è strano.” Mi disse dopo poco.

“Cos'è strano?”

“Questo libro.”

“E che ha di strano?”

“La storia.”

“Ma parla dell'Iliade!”

“No, parla di Achille e Patroclo.”

“E che c'è di strano?”

“Non... non pensavo che fosse così, ecco. Non ho mai avuto niente contro i gay, ma è strano. Ho visto questa storia da un punto di vista interno, l'ho vissuta. E non è stato strano per niente.”

“Ma avevi appena detto...”

“No, Styles, non capisci. E' proprio questo lo strano.”

“Cosa?”

“E' strano che sia così normale. Così vero. Così amore. E' la storia d'amore più bella che abbia mai letto ed ho anche frignato come un bambino alla morte di Patroclo, eppure è basata anche su qualcosa che ho sempre ritenuto più o meno strano.”

“Quindi adesso sei ancora meno omofobo di quanto tu lo sia mai stato?”

“No, non esattamente. Cioè, ci sono soltanto più vicino. E forse...”

“Stai per fare coming out con me?”

“No, non sto per farlo. Però penso che dentro di noi ci sia un po' di bisessualità. E per “noi” intendo l'intero genere umano.”

“Quindi se tu mi vedessi con un ragazzo ti sembrerebbe una cosa del tutto normale?”

“Immagino che dovrei abituarmi, ma sì. Perché me lo chiedi?”

“Niente, stavo solo cercando di capire come lavorasse la tua mente contorta.”

“Non sono contorto!”

“Okay, hai intenzione di leggermi ciò che hai scritto o no?”

“Già, l'avevo quasi dimenticato. Aspetta un attimo.”

Ciò che aveva scritto era molto bello. Era bello il modo in cui si era esposto, il modo in cui aveva detto di aver vissuto la storia d'amore più bella che avesse mai letto da un punto di vista così vicino che ogni volta che leggeva il nome di Achille gli batteva forte il cuore come se lui fosse Patroclo. Erano belli i suoi complimenti, le sue osservazioni su quel libro.

E sembrò così naturale aprirmi con lui, che mi sopportava già da così tanto tempo.

“Stamani sul mio pullman c'era un ragazzo, era piuttosto bassino, coi capelli castani tagliati a scodella e gli occhi azzurri. L'hai mai visto?”

“Non credo, perché me lo chiedi?”
“E' molto carino, tutto qui.”

“Okay. Vedrò di scoprire qualcosa di più. Sai altro su di lui, magari il nome, dove va a scuola..?”

“No, per adesso no. Magari un giorno di questi vieni a casa mia, così studiamo insieme e ti faccio vedere chi è.”

“Va bene, mi farebbe piacere!”

“Grazie, Liam.”

“E di cosa? Grazie a te.”

Mi ero forse esposto troppo? Avrebbe rivelato il mio segreto, se lo sarebbe lasciato scappare con qualcun altro? E se l'avesse fatto, che ne sarebbe stato di me? Cosa avrei potuto dire a mia discolpa? Come sarei potuto fuggire, come mi sarei giustificato?

Avrei detto che si era inventato tutto. Fine. Sarebbe stato semplicissimo dirlo, e nessuno poteva provare che non dicessi la verità.

Ma perché preoccuparsi, poi? Aveva mai tradito la mia fiducia?

Non si era neppure scomposto. Okay, aveva detto. E mi aveva anche ringraziato. Cosa potevo volere di più, cosa mi spaventava tanto?

Forse ciò che mi spaventava erano di nuovo quegli occhi, quel punto fisso nella mia mente, quegli occhi che erano riusciti a fare qualcosa che nessun altro era mai riuscito a farmi prima di allora.


 


 


 


 


 

L'indomani mattina mi alzai alle cinque. Mi ero svegliato di soprassalto, nel modo in cui ci si sveglia dai sogni in cui ci sembra di cadere. Di ciò che avessi sognato, però, non ne avevo idea. E forse era meglio così.

Mi sedetti alla scrivania senza nemmeno pensarci, presi carta e penna in mano e cominciai a scrivere di getto, a lasciare che le parole fluissero e giungessero sulla carta prima che potessi fermarle, censurarle.

Riempii esattamente dodici colonne di cose che, rileggendo, sembravano descrizioni di arcobaleni, unicorni e zucchero filato rosa. Ma lo lasciai così.

Riuscii a fare tardi nonostante fossi sveglio dalle cinque, non solo per il tema ma anche per il tempo che impiegai a prepararmi. Quel giorno seguivo il mio instinto, e lui mi diceva di prepararmi con più cura del solito, ché magari qualcuno mi avrebbe notato.

Chissà chi.

Tuttavia, l'insolita cura che avevo messo nel prepararmi sembrò sprecata quando corsi a perdifiato per non perdere l'ultimo autobus e vi salii con le guance ancora arrossate, sudato e col fiatone.

Trovai due posti vuoti, l'uno di fianco all'altro, e mi sedetti rumorosamente, svegliando di soprassalto la ragazza seduta dietro di me che si era assopita. La guardai imbarazzato, cercando di scusarmi, e lei mi lanciò un'occhiata languida. La vidi alzarsi poco dopo per avvicinarsi al sedile vuoto vicino al mio e chiedermi con uno sguardo se potesse sedersi vicino a me, ed io, senza nemmeno pensarci, scossi la testa.

“Scusa,” dissi scrollando le spalle, “sto aspettando un amico.”

Lei mi voltò immediatamente le spalle e tornò a sedersi al suo posto alzando gli occhi al cielo e farfugliando qualcosa che sembrava molto un “ma c'è ancora qualcuno che non sia frocio al mondo?”

Ciò mi fece voltare di scatto, e cominciai a parlare prima che potessi fermare la lingua.

“Primo di tutto, non sono affatto frocio, le ragazze mi piacciono! E anche tanto! Okay?!”

Lei scoppiò a ridere troppo sguaiatamente per non essere notata, visto che erano a malapena le sette e qualche minuto di mattina, guadagnandosi così l'attenzione di alcune persone che erano sedute vicino a noi.

“Sembra che tu lo dica più per convincere me che te, bello!”

“Non è affatto così!” Arrossii visibilmente, smentendo probabilmente le mie parole, “E' che mi infastidisce quando la parola “frocio” viene usata in modo dispregiativo. E in più, anche le persone omosessuali possono essere gentili e quindi, se anche io fossi gay -ma ripeto che non lo sono- ti avrei fatta sedere accanto a me se non stessi aspettando il mio amico -che ci tengo a precisare che è soltanto un amico.”

“Va bene, va bene, sta' calmo, sono pur sempre le sette di mattina, non posso essere troppo conscia di quel che faccio o quel che dico.” Disse lei continuando a ridere, sebbene in una maniera più composta, dandomi ragione per paura che scoppiassi di fronte a lei per la troppa pressione.

C'era un unico problema da affrontare: io non stavo aspettando nessun amico.

Liam veniva a scuola in macchina e nemmeno lui sarebbe riuscito a salvarmi, quindi la lista dei miei amici veniva ridotta a zero. Ero destinato a fare una colossale figura di merda.

Che potevo fare? Fingere di ricevere un messaggio e dire poi alla ragazza che se voleva sedersi poteva farlo dato che il mio amico mi aveva appena detto di essere in ritardo?

No, sarebbe stato troppo sospetto e troppo stupido anche per la parte più maldestra del mio essere.

Ma perché le avevo detto di non sedersi accanto a me? Perché l'avevo rifiutata?

Ripensandoci era anche carina, aveva dei bei capelli lunghi e castani, gli occhi marroni, forse tendenti al verde, erano belli, di un colore caldo, ma non erano niente in confronto ad altri occhi...

Altri occhi che mi stavano fissando, adesso, dalla cima del pullman.

Scacco matto.

Doveva per forza sedersi accanto a me.

Ci sarebbe voluta un'altra mezz'ora per arrivare a scuola, solo un malato di mente non si sarebbe seduto.

Lo vidi camminare sicuro verso il posto libero accanto al mio nonostante il pullman stesse prendendo velocità e stava per sedersi davvero accanto a me, quando un altro ragazzo spuntato dal niente gli soffiò il posto per un pelo.

Non riuscii a vedere la sua reazione, se fosse deluso, se mi guardasse speranzoso,o se fosse solo incazzato col ragazzo che si era appena seduto accanto a me e che adesso mi stava salutando calorosamente.

“Ciao, Niall” lo salutai io, sforzandomi di sorridergli quando gli avrei voluto strappare il cuore per mangiarglielo.

“Hey, Styles! Come va?”

Stavo per rispondere, quando la mia “nuova amica” dietro di me si sporse per dirmi:

“E così questo è il tuo famoso amico a cui stavi tanto gelosamente custodendo il posto? Non è male, e magari non è nemmeno frocio come te. Ciao” disse, sorridendo a Niall e porgendogli la mano, “mi chiamo Eleanor, ma puoi chiamarmi El, piacere di conoscerti. Ho fatto amicizia col tuo amico qua prima, ma mi è sembrato un po' scontroso. La crisi sulla propria identità sessuale deve averlo reso un po'.. così. Anche tu hai notato dei comportamenti strani, ultimamente?”

Niall la guardò senza capire molto di ciò che stava dicendo, si limitò a porgerle la mano per pura cortesia e mormorare:

“Sono Niall, piacere. A dir la verità non ho notato cambiamenti perché non lo vedevo da un sacco di tempo, ma non vedo come la cosa dovrebbe interessarti in ogni caso..”

“Quindi non siete buoni amici?” Scattò lei.

“Siamo amici, sì, abbiamo perso un po' i contatti durante l'estate, tutto qui. Ma continuo a non capire perché t'interessi tanto...”

“E' strano che abbia tenuto il posto per te rifiutando una bella ragazza come me se nemmeno vi parlate da mesi, non credi?” Disse rivolgendosi a Niall e tentando di mantenere un'espressione curiosa ma cortese, sebbene non lo fosse affatto; “Cosa ci stai nascondendo, giovane amico? Hai una cotta per il nostro Niall?” Riprese poi, rivolgendosi direttamente a me visto che Niall non le prestava più attenzione.

“El, adesso puoi smetterla.” Disse una voce tagliente a qualche passo da noi, ed io rabbrividii quando mi accorsi a chi appartenesse.

Ghiaccio. Puro ghiaccio. La sua voce era gelida come il colore degli occhi, eppure sentii qualcosa scaldarsi dentro di me, mi sentii vivo, come una ragazzina di tredici anni che arrossisce quando vede il ragazzo per cui ha una cotta guardare nella sua direzione.

Sentii la ragazza dietro di me rimettersi al suo posto e sbuffare vistosamente, mentre:

“Che ci fai qua, Lou?” diceva rivolta all'amico.

“Ero a dormire fuori, ma alla fine ce l'ho fatta a venire a scuola. Dillo a mia madre, magari, così non sta in pensiero. Di te ancora si fida.”

Mia madre?

Erano forse ottimi amici?

Lei era addirittura un'amica d'infanzia, e ci aveva provato con me?

Ed io l'avevo allontanata?

E lui le aveva detto di lasciarmi in pace?

Mi aveva forse difeso?

Cazzo.

“Va bene. In ogni caso, Lou, ti voglio presentare i miei nuovi amici, Niall e... come ti chiami, riccio?” Disse Eleanor rivolta all'amico ed in seguito direttamente a me, il tono di voce troppo squillanete perché non la sentissi nonostante fossi assorto nei miei pensieri.

“Sono Harry.” Dissi io, non sapendo se rivolgermi a “Lou” o ad Eleanor mentre mi presentavo.

Il ragazzo si sporse per stringermi la mano, immagino, ma l'autista frenò bruscamente e mi finì praticamente addosso mentre diceva “Ciao” ed io, istintivamente, rispondevo “Oops!” mentre mi urtava cadendo.

Si rialzò velocemente, un rossore imbarazzato che gli andava a dipingere il volto rendendolo ancora più bello ai miei occhi sgranati.

“Sono Louis”, disse poi, lo sguardo che fissava un punto imprecisato dietro di me per non incontrare il mio sguardo.

“Io sono Harry, come già sai. Piacere” Dissi sorridendo e porgendogli la mano.

Lui la strinse, ma durò pochi attimi perché si ritirò come se si stesse scottando, per poi voltarsi ed allontanarsi a passi più incerti rispetto a quelli sicuri di quando era salito.

Sentii Eleanor ridacchiare dietro di me, ma non ebbi il coraggio di chiederle il motivo, così mi abbandonai ai miei pensieri, la testa appoggiata al finestrino e le cuffie nelle orecchie.

La mia calma durò qualche secondo, perché Niall mi interruppe.

“Che stronzo” disse sottovoce.

“Cosa?” Chiesi io, non avendolo sentito.

“Che stronzo. Quel tipo, intendo.” Ripeté dopo avermi sfilato brutalmente una cuffietta dall'orecchio, sottovoce.

“Di chi stai parlando?”

“Di Louis!” Di colpo la conversazione si fece interessante, ed io mi tolsi subito la cuffietta rimasta dall'orecchio.

“Niall, non credo si pronunci così...”

“Che me ne frega! Hai visto come mi ha ignorato? Che cafone!”

“Non è un cafone, magari la frenata l'ha confuso e si è dimenticato di stringerti la mano, che male c'è.”

“No, l'ha fatto volutamente!”

“Eddai, Niall, che te ne frega se ti ha stretto la mano o no?” Alzai la voce in tono canzonatorio.

“Shh! Non urlare, imbecille, c'è la sua amichetta qua dietro!”

“Amichetta? Credi che stiano insieme?”

“Che t'importa?”

“Era per fare conversazione!”

“Non lo so, ma sarebbe strano se ci provasse con te così spudoratamente anche davanti alla persona con cui sta insieme.”

“Pensi che Louis ci stesse provando con me?” Cominciava a fare caldo su quel pullman.

“No, stupido, parlavo di Eleanor! Perché lui dovrebbe provarci con te?”

“E' l'ora di ampliare i propri orizzonti, Horan, mai dire mai.” Feci con fare risolutivo, rimettendomi ad ascoltare la musica.

Lo cercai nella mischia di persone accalcate nel centro dell'autobus, dove c'era più spazio per stare in piedi, e lo riconobbi facilmente. Guardava nella mia direzione, ma appena anch'io cominciai a guardare nella sua distolse lo sguardo.


 


 

Una volta sceso dall'autobus, mi affrettai per seguirlo e vedere dove andasse: volevo scoprire le materie che seguiva, i suoi corsi, il suo cognome, le sue amicizie. Volevo sapere tutto di lui, e non sapevo neppure perché. C'era qualcosa che mi intrigava, qualcosa che mi affascinava, qualcosa che mi spingeva a voler sapere qualcosa su quel misterioso ragazzo che emanava freddezza da tutti i pori, ma che sapeva anche chiedere ad una sua amica di smetterla quando infastidiva gratuitamente degli sconosciuti.

Possibile che non lo avessi mai visto prima di allora? Non era di certo il tipo di persona che passa inosservata, non ai miei occhi attenti, non per interi anni.

“Buongiorno, Haz!” Furono le parole che seguirono la pacca sulla spalla di Liam mentre mi riscuoteva dai miei pensieri e cercava di portarmi nel corridoio giusto, visto che l'aula in cui sarei dovuto essere entro due minuti era dalla parte opposta dell'edificio.

“Buongiorno, Liam. Puoi smettere di intralciare la mia missione?”

“Quale missione?”

“Io..” avevo parlato senza nemmeno pensare, ed ora avrei dovuto spiegargli tutto di quella mattina, di quel ragazzo, del mio interesse -sempre che si potesse definirlo tale- e della mia voglia di scoprire di più sul conto di quel Louis. “Non c'è tempo adesso. Tu seguimi e basta.”

“Ma faremo tardi a lezione!”

“Cinque minuti di letteratura in meno non rovineranno la mia intera carriera scolastica, Liam. Se vuoi andare, va' pure. Ci vediamo al cambio dell'ora, così ti aggiorno.”

“No, voglio venire anch'io!” Disse, allungando il passo e raggiungendomi mentre io stavo per perdere di vista Louis.

Lo vidi entrare nel laboratorio di chimica, la testa ancora china, abbastanza sulle nuvole da sbattere contro un compagno perché non l'aveva visto. Vidi il compagno indietreggiare, quasi intimorito, e così chiesi, senza tante cerimonie:

“Credi che avesse paura di lui?”

“Il ragazzino che è scappato da quel tipo?”

“Sì” dissi, tornando sui miei passi per cercare di arrivare a lezione in tempo.

“Immagino di sì. Faceva abbastanza paura, l'altro. Ma mi vuoi dire perché li stavamo seguen...” Si fermò di colpo rimanendo indietro e costringendo anche me a fermarmi, perché me lo immaginavo dietro di me che mi fissava, gli occhi spalancati per il lampo di genio. “Lui è quello dell'autobus?”

“Beh... sì.”

“E' un po' piccolino, lo immaginavo più grande.”

“Non quello che è scappato, idiota. L'altro!”

“Ah, quello che fa paura?”

“Non fa paura!”

“Okay, okay, ho capito. Comunque non l'ho mai visto prima, non posso aiutarti per adesso.”

“Si chiama Louis” dissi arrossendo vistosamente mentre mi affrettavo ad entrare in classe, intimorito da ciò che Liam avrebbe potuto dire.

“Styles, Payne, siete in ritardo.” Disse la professoressa di letteratura vedendoci entrare.

“Sì, signora, ci scusi. Harry ha fatto tardi stamattina, ed io sono andato a cercarlo.”

“Non preoccupatevi. Va tutto bene, Styles? Hai molto caldo?”

Io la fissai senza capire, cercando aiuto dai miei compagni che non accennavano a suggerirmi a cosa si stesse riferendo, sembrava un grande scherzo, e per un attimo pensai che mi avessero beccato ad inseguire Louis e ad arrossire dicendo il suo nome.

“C-cosa?”

“Hai le guance arrossate, mi chiedevo se stessi bene.”

“Oh, sì, sì, signora, sì. E' solo la corsa.”

“Okay, ragazzi, sedetevi pure. La lezione non era ancora cominciata comunque.”


 


 

La professoressa era la professoressa più brava che avessi mai avuto in tutta la mia vita. Sapeva farci appassionare, spiegarci, trovare analogie tra di noi ed i protagonisti delle opere che leggevamo in modo tale da farci immedesimare nelle storie, sapeva stuzzicare la nostra curiosità, sapeva farsi amare abbastanza da far sì che tutti noi ci sforzassimo per piacerle.

Eppure quella mattina proprio non riuscivo ad ascoltarla.

La testa era altrove, in un mondo lontano ai confini dell'impossibile, e tutto in quel mondo era fatto di ghiaccio.

C'era un principe, nella fortezza. Si chiamava Louis e risplendeva.

Noi tutti eravamo i suoi sudditi, e come tali dovevamo eseguire ogni suo ordine, che ci piacesse o meno. Riusciva a comandarci con uno sguardo, che ci avrebbe resi blocchi di ghiaccio se non avessimo eseguito i suoi ordini.

Io ero davanti a lui, sul suo trono maestoso, e mi sentivo così minuscolo al confronto, ma dovevo dirglielo, dovevo dirgli che, nonostante lui fosse fatto di ghiaccio, ogni volta che lo vedevo mi sentivo bruciare dentro. E così mi alzai in piedi e mi avvicinai a lui, lo guardai negli occhi, e gli dissi:

“Principe del Ghiaccio, devo dirvi una cosa.”

“Dimmi, Styles” Era seccato. Presto mi avrebbe guardato negli occhi e mi avrebbe ordinato di andarmene, ed io avrei dovuto scegliere cosa fare, se restare e congelarmi o se bruciare segretamente per lui. Dovevo sbrigarmi.

“Io so che lei è il Principe del Ghiaccio, Maestà, ma ogni volta che la vedo io mi sento bruciare dentro, anche quando mi guarda negli occhi. Io credo di essere innamorato di lei, Maestà.”

Il Principe mi guardò con occhi increduli, scontrando il suo sguardo di ghiaccio col mio, e per un attimo sembrò commosso. Ma poi sentii la sua voce risuonare nella mia testa, mentre mi comandava di andarmene.

“Io non voglio andarmene!” Protestai gridando.

“Harry, se non te ne andrai il tuo fuoco brucerà tutto e di me non ci sarà più niente!”
“No, Louis! No! Io non posso andarmene!”


 


 

Intorno a me, un silenzio innaturale.

Quando aprii gli occhi, però, cominciarono le risate.

“C-cosa? C-che è successo?” Balbettai, alzando la testa e stropicciandomi gli occhi.

Davanti a me c'era la mia professoressa che, nonostante cercasse di mantenere un cipiglio severo, alla mia ennesima espressione stordita scoppiò a ridere di gusto.

“Che è successo?” Ripetei, a voce più alta, ma nessuno mi rispose perché erano tutti troppo impegnati a ridere. Cercai l'aiuto di Liam, che per il nostro ritardo non era riuscito a sedersi accanto a me, ma anche lui rideva troppo per parlare.

“Styles, ti sei addormentato durante la lezione.” Mi disse la professoressa, cercando di ricomporsi.

“Oh mio dio, professoressa, mi scusi! Davvero, io non volevo, è che mi sono svegliato prestissimo stamattina perché mi era venuta l'ispirazione per il suo tema, e poi ho fatto comunque tardi e... la prego, non si faccia un'idea sbagliata di me, io adoro scrivere e adoro il modo in cui insegna! Mi punisca, se vuole, accetterò ogni punizione, ma non si faccia un'idea sbagliata di me!” Cominciai a strillare, in preda al panico. Non volevo che anche quest'insegnante di letteratura finisse ad odiarmi, come tutti gli altri.

“Sta' tranquillo, Styles, mi sono accorta quando sei entrato che c'era qualcosa che non andava. Per questa volta lascerò passare, ma alla prossima penserò ad un'adeguata punizione. Che ne dici se mi consegni il tuo tema, per adesso, e lo leggi di fronte all'intera classe?”

“Professoressa... non potrebbe mettermi una F?” Chiesi io, intimorito.

“No, Styles”, disse lei scoppiando a ridere di nuovo, “è solo un modo per vedere come sai esporti e perché riesca a capire al meglio le tue parole, visto che sarà la prima volta che vedrò qualcosa scritto da te. Potrebbe esserti d'aiuto, sai?”

“Ma professoressa, l'ho scritto stamattina e non l'ho nemmeno ricontrollato... non sono sicuro che sia una buona idea....”

“Avanti, leggilo. Non ti mangeremo, e di certo non sarà la figura peggiore che tu abbia fatto stamattina.”

“Che intende?”

“Niente, Styles, niente. Prendi il tuo tema adesso, avanti.”

Avevo paura. Una paura folle.

Non sapevo cosa avessi fatto poco prima -perché a quanto pare dovevo aver fatto qualcosa, in genere nessuno si stupisce o si diverte tanto alla visione di un ragazzo che dorme in classe.

E non sapevo cosa mi sarebbe aspettato adesso, a leggere una tema sull'amore omosessuale scritto alle cinque del mattino ancora assonnato ed in preda a stupide visioni di stupidi occhi azzurri ovunque.


 


 

Cominciai a leggere, dapprima con voce tremante, perdendo spesso il filo per incrociare lo sguardo di Liam perché mi desse la forza necessaria per andare avanti e non scappare dalle troppe figuracce di quella mattina; e guadagnando più confidenza a mano a mano che andavo avanti con la lettura. Alla fine non ero andato poi così male.


 

La forza di questo libro, il motivo che ha fatto sì che io lo apprezzassi così tanto, è la semplicità e la normalità con cui esso espone una tematica che da molti di noi è ancora definita inusuale o strana. Fa sì che molti adolescenti leggano e si immedesimino in una storia diversa, forse, dalla loro quotidianeità, e fa sì che capiscano quanto, alla fine, l'amore non sia diverso. Spesso non ce ne accorgiamo, spesso siamo noi a puntare il dito, anche senza rendercene conto. Ma alla fine l'amore è un sentimento troppo grande e troppo maestoso perché noi possiamo controllarlo.

Io non credo che ci sia anche solo una persona al mondo capace di gestire i propri sentimenti e selezionare le persone a cui donare parti di sé, grandi o piccole che siano.

Credo invece che sia l'amore a scegliere, ed è per questo che non possiamo definirci stupiti da alcuna forma di esso.

L'amore è il primo istinto che abbiamo: appena usciti dal grembo di nostra madre noi piangiamo perché ci manca il calore, l'acqua, perché ci sentiamo piccol ed indifesi fuori dalla protezione di colei che ci ha protetto per i precedenti nove mesi, e che ci proteggerà per il resto della nostra vita, anche se in quel momento non lo sappiamo.

Ci innamoreremo anche del papà, degli zii, dei nonni, di fratelli e sorelle; ci innamoreremo della vita, e talvolta delle persone sbagliate.

Esse però non saranno sbagliate perché con loro non potremo concepire dei figli, lo saranno perché con loro non potremo concepire del sano e semplice amore.

E' il nostro istinto che, fin dal primo attimo in cui veniamo al mondo, ci porta a seguire l'amore ovunque esso ci porti, a lasciare che esso ci inganni e ci culli, ci ferisca e ci guarisca, ci guidi e ci faccia perdere. Eppure lasciamo che altre leggi dettate da chi non trovava la propria vita abbastanza interessante ed ha così deciso di dedicarsi a quella degli altri abbiano il sopravvento sull'amore, facciamo sì che l'invidia e l'ignoranza, schiaccino l'amore.

E' una cosa che mi ha sempre spaventato, fin da bambino. Ho sempre temuto il giorno in cui nel mondo non ci sarebbe più stato amore, il giorno in cui esso sarebbe stato schiacciato e sopraffatto. Ma leggendo questo libro mi sono sentito protetto. Mi sono sentito libero di fare e dire ed amare qualunque cosa e chiunque io voglia. Perciò posso dire con estrema chiarezza di non aver più paura del giorno in cui l'amore verrà sopraffatto, perché ci credo, e dopo aver letto questo libro ci credo ancora più fermamente: io credo nell'amore, e nell'istinto che ci porta a sceglierlo sopra ad ogni altra cosa. E ci crederò sempre, anche quando sarò troppo cieco per vederne le tracce, anche quando sarò troppo sordo per sentirlo, anche quando non avrò più voce per raccontarlo; io crederò sempre nell'amore, anche quando si manifesta come farfalle nello stomaco alla vista di una persona di bell'aspetto, senza conoscerla. Io credo nell'amore e nelle forme più strane in cui si dimostra, che sia ghiaccio o fuoco, calma o tempesta; ho deciso che questo sarà ciò in cui crederò, perché è l'unica cosa di cui si abbiano prove tangibili, l'unica cosa che siamo certi ci manipoli e spesso scelga per noi, l'unica entità che possa assumere la forma che più desidera, che siano occhi di ghiaccio o una frenata brusca sull'autobus...”


 


 

La campanella suonò prima che potessi finire di aggiungere piccole parti al mio tema, e forse fu meglio così. Da alcuni compagni di classe si alzarono dei fischi di ammirazione, ed ovviamente il primo veniva dal mio migliore amico, che mi guardava ammirato come ogni volta che leggesse qualcosa scritto da me.

“Riuscirò mai a scrivere come te?” Piagnucolò venendo verso di me.

“No, ma tu hai più muscoli. Non lamentarti.” Dissi uscendo di classe, quando la professoressa mi richiamò.

“Styles, posso parlarti un attimo?”

“C-certo professoressa”, acconsentii con voce tremante, impaurito.

Aspettò che la classe si svuotasse degli ultimi alunni pigri, poi mi si avvicinò, coi miei fogli protocollo ancora in mano.

“Quello che hai scritto è molto bello.”

“Grazie, professoressa.”

“Sai, all'inizio dell'anno ho parlato col tuo vecchio professore e mi ha detto che tu eri il peggiore della classe, che potevi avere ottime capacità ma che, piuttosto che accrescerle, passavi il tempo a darti delle arie senza pensare a come migliorarti.”

“Non penso sia così.”

“Non lo penso neanche io. Che avevi fatto di male a quel professore? Non sembrava una cattiva persona, e gli altri alunni hanno un'alta considerazione di lui.”

“Immagino di essere spesso arrogante quando scrivo, esponendo le mie idee con troppa convinzione. E credo che questo gli abbia fatto credere una cosa non vera sul mio conto.”

“Probabilmente hai ragione, ma penso che lui abbia fatto un grave errore di valutazione. Non era arroganza, eri solo certo di ciò che stavi scrivendo. Come oggi, quando hai fatto quel discorso sull'amore, e tutti sono stati zitti ad ascoltarti, ammirati, anche se poco prima avevano riso di te. Penso che con la penna tu riesca ad esprimere la parte più aggraziata di te, è una cosa molto bella, Harry. Perché non ci lavori su?”

“Lo faccio, signora.” Dissi, reso più sicuro di me dalle sue lodi e dal fatto che avesse già cominciato a chiamarmi per nome.

“Come?”

“Ogni tanto, quando non riesco a riordinare i pensieri, comincio a scrivere per fare chiarezza nella mia testa. E funziona. Penso sia un ottimo esercizio, lei ha altri suggerimenti da darmi?”

“Credo che sia sufficiente per adesso. Come ti ho già detto, sono molto ammirata dalla tua relazione con la scrittura. Hai mai pensato di scrivere una lettera per qualcuno? Sono convinta che riusciresti a conquistare chiunque con le tue parole.”

“Io...” per poco non mi strozzai, “non ne ho avuta mai l'occasione.”

“Per parlare così bene dell'amore devi pure averlo provato, e non intendo solo quello materno.”

“A dir la verità...”

“Non hai una musa ispiratrice?”

“Non penso, signora, no.”

“Nemmeno qualcuno che abbia a che fare col ghiaccio?”

“Come, scusi?” Stavolta davvero stavo per strozzarmi con la mia stessa saliva e svenire davanti a lei.

“Immagino che tu non sappia cos'hai urlato in classe, prima.”

“Io... io ho urlato?!”

“Forte e chiaro, Harry, sì” Rise lei, “hai detto una cosa che era tipo “non lascerò che il tuo ghiaccio si sciolga, Louis, lascia che ti ami e risolveremo tutto insieme!” E' stato... esilarante.”

“Oddio, no. Non può essere vero. Lei sta scherzando, giusto? Non è divertente!”

Il mio panico poté solo farla ridere ancora di più, e quando si ricompose disse:

“E' una cosa molto romantica invece, sai? Ci sono dei problemi, con questo Louis? Penso davvero che tu debba scrivergli, cadrebbe ai tuoi piedi.”

“Io Louis non lo conosco, ci ho parlato per la prima volta stamattina, non l'avevo mai visto prima di ieri... penso che questo sia un problema, sì. Ma penso di dover andare adesso, mi scusi professoressa.” Dissi, affrettandomi ad uscire per vedere se tutti avessero già cominciato a parlare della mia cotta per il Principe di Ghiaccio.

“E' forse il ragazzo nuovo?” Disse lei, quasi rincorrendomi.

“Cosa?” Mi voltai di scatto.

“C'è un ragazzo nuovo, ripetente, si chiama Louis. E' forse lui?”

“Io... non lo so. Immagino di sì. Se scoprirò che è lui glielo farò sapere, grazie professoressa.” Stavolta davvero scappai.

E lei mi rincorse.

“Si chiama Tomlinson, di cognome” mi sussurrò all'orecchio prima di allontanarsi, “magari potresti scrivergli su Facebook, seguendo il mio consiglio. Non è romantico come una lettera, ma è qualcosa.”

Ma cosa voleva questa da me?


 


 


 

“Cos'è quella faccia?” Mi chiese Liam, rincorrendomi mentre uscivo nel cortile nei pochi minuti liberi che avevamo a disposizione.

“La mia, forse?”

“Che è successo?”

“Liam, senti, non c'è bisogno tu ti preoccupi. E' tutto apposto, sto benissimo, sono solo un po' tra le nuvole.”

“Che ti ha detto la professoressa?” Dio, quanto era assillante.

“Mi ha detto che dovrei cominciare a scrivere lettere alle persone per esercitare la mia scrittura, e perché tutti si innamorerebbero di ciò che scrivo. E mi ha detto che c'è un ragazzo all'ultimo anno che si è trasferito da poco e si chiama Louis. Louis Tomlinson.”

“Che cognome orribile.”

“Io lo trovo carino.”

“Tu sei cotto.”

“Senti, mettiamo i piedi per terra. L'ho visto ieri per la prima volta nella mia vita, stamattina ci ho quasi parlato, lo trovo molto carino ma è tutto lì. Non posso dire di provare qualcosa per una persona che non conosco, ha solo dei begli occhi. Okay? Finiamola qua.”

“Io ti direi che è okay se fosse quello che vuoi sentire, ma non penso sia così.”

“Dio, come sei irritante! Cosa pensi che voglia sentirmi dire, allora?”

“Che è dietro di te e sta venendo nella nostra direzione è qualcosa?”

“Fai il serio, Liam.”

“Sono serio.”

Cazzo.

Mi voltai di scatto e lui era lì, col suo alone di ghiaccio intorno.

Se ne andava in giro con un ragazzo che ero certo di aver già visto, la carnagione un po' scura, mi sembrava di ricordare che avesse una certa fama da cattivo ragazzo e una Z nel nome.

Le persone intorno a loro, quando si accorgevano della loro presenza, cercavano di mascherare le proprie fughe da quelli che sembravano due ragazzi molto minacciosi, e loro se ne accorgevano ma non se ne curavano minimamente.

Fino all'ultimo istante sperai che Louis mi guardasse, ma quando mi sorpassò senza degnarmi di uno sguardo decisi di voltarmi di nuovo verso Liam, che, dal canto suo, stava studiando ogni mia reazione.

“Che c'è?” Chiesi io, mentre lo vidi guardarmi con un sorrisetto compiaciuto sulle labbra.

“Ti piace.”

“E' solo un bel ragazzo. Tutto lì.”

“Okay, come vuoi.”

Passò un minuto buono senza che nessuno dicesse niente, io continuavo a ripensare a come non mi avesse degnato di uno sguardo e Liam osservava Louis, intento a scoprire altre cose su di lui.

“Oh. Oh oh oh.” Disse dopo poco, con un tono indecifrabile.

“Cosa? Cosa?” Chiesi subito io, voltandomi verso Louis e cercando di capire cosa intendesse Liam.

“Ti ha guardato, bello.”

“Certo.”

“Sì. Si è proprio voltato in qua e ti ha fissato per dieci secondi.”

“E perché non mi hai detto di voltarmi cosicché potessi incrociare il tuo sguardo?”

“Perché non devi passare da cretino maniaco. Ci vorrà un po' di tempo, ovviamente.”

“E quindi come suggerisci di procedere?”

“Intanto adesso potresti avvarti in classe, per esempio. E' una buona tabella di marcia.”

“Se aspettassi che lui rientrasse e mi avvicinassi?”

“Non lo so, Haz, secondo me non devi forzare le cose.”

“Quindi dovrei rientrare?”

“Decisamente.”

“Adesso?”

“Stai prendendo tempo per aspettare che lui rientri?” Chiese lui, lo sguardo ammiccante.

“Io?” Arrossii, “No! Forza, andiamo.”


 


 

“Liam” sussurrai al mio compagno di banco, ignorandolo quando mi disse di zittirmi e richiamandolo finché non fu costretto a rispondermi.

“Che c'è? Sto cercando di seguire la lezione!”

“Perché non ti sei stupito quando ti ho detto di quel ragazzo?”

“E' proprio il momento adatto per chiederlo, secondo te?” Mi sussurrò stizzito, lo sguardo rivolto verso il quaderno su cui prendeva appunti.

“No, ma pensavo che me lo sarei dimenticato se non te l'avessi chiesto subito.”

“Non mi sono stupito perché ho sempre pensato che tu fossi gay. Sei contento adesso?” Stavolta si voltò, ma era sempre scocciato.

“Sì!” Lui sembrò quasi rilassarsi, come se la questione fosse finita. Ma io continuai, “Cioè, no. Aspetta. Cosa?!”

“L'ho sempre pensato, tutto qui. Non vedo cosa ci sia di male.”

“E perché non me l'hai mai detto?”

“E come pensavi che dovessi dirtelo? “Ciao Harry, ti vedo un po' gay stamattina! Che ne pensi?”” Fece lui in tono canzonatorio, smettendo definitivamente di seguire la lezione.

“Forse hai ragione. Forse. Comunque, che credi che debba fare con Louis?”

“Non lo so, Haz. Dagli tempo e vedi se si avvicina, altrimenti troveremo un'altra strategia. E comunque ho scoperto delle cose interessanti. E' di Doncaster, ha 18 anni, è nato il 24 Dicembre ed ha tantissime sorelle.”

“Liam?”

“Sì?”

“Come hai scoperto queste cose?”

“Ho le mie fonti, bello. Non criticare e ringrazia.”

“E che mi dici di Eleanor? Sai chi sia?”

“Sono amici di famiglia, credo che i loro genitori siano amici di vecchia data o roba del genere. Lei ha sempre vissuto qui, comunque, e Louis vive da lei adesso.”

“Da lei? E perché?”

“Senti, ho avuto solo quattro ore per cercare e dovevo stare dietro a te per evitare che facessi una figura di merda, ed in più sono sempre stato a lezione.”

“Va bene, va bene. Sta' calmo. Puoi seguire la lezione adesso, non ti disturberò più.”

“No, ci rinuncio.” Disse, allontanandosi dal banco e cominciando a dondolarsi sulla sedia come un bambino di sei anni.


 

 

 


 

Lui era lì, di nuovo in piedi, relativamente vicino a dove ero seduto io. Stava battendo il tempo della musica, e ogni tanto si azzardava a sussurrare le parole della canzone che stava ascoltando.

Era bellissimo e lontano anni luce da me.

Chissà a cosa pensasse, guardando fuori dal finestrino col suo sguardo di ghiaccio assorto, chissà se il suo cuore fosse già stato preso da qualcun altro, o fosse pronto a farsi prendere.

Chissà che canzone stava ascoltando, ripetendone le parole come fosse una preghiera, battendone il tempo col piede e lasciando che esso decidesse anche il tempo del proprio cuore.

Chissà se gli piacesse la musica, se suonasse qualche strumento, se cantasse. Mi sarebbe piaciuto sentirlo cantare, quella voce così graffiante, così bella, particolare, fredda.

Chissà se ci fosse qualcosa, allora, al mondo, capace di scaldarlo un po'.

Senza preavviso, si voltò verso di me. Mi lanciò un'occhiataccia, forse accorgendosi che lo stavo fissando già da un po'. Non mi fece un cenno, non disse niente. Scese allora dal pullman e se ne andò a passo spedito senza mai guardarsi indietro.

Quanto avrei voluto essere capace di scaldarlo.


 

  
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