A volte mi chiedo se ci provo un certo piacere a fare storie così dolorose. Probabilmente sì. Probabilmente mi nutro di una tristezza immaginaria, tristezza che io stessa mi creo scrivendola, e impersonaficandola. Amen.
Ringrazio le recensioni, mi rendono molto felice. La sensazione di sentirsi gratificati per ciò che fai è particolarmente .. inebriante.
Ma ringrazio di cuore la mia nuova amica. Te, Doddie. Non so esprimerti la gioia che provo ogni volta che leggo ciò che mi scrivi. E, dannazione, le lacrime cadono sempre :3 Ti adoro. Grazie perchè con le tue magiche parole mi dai la forza di scrivere, davvero. Questa fanfiction è stata partorita grazie a te, per questo te la dedico con tutto l'affetto. Un bacione, tesoro mio.
Illuditi, fa troppo male.
Con la mano posata delicatamente sulla pancia,
disegnavo carezze d’amore al mio piccolo brontolone.
In così poco tempo si era già fatto desiderare più di qualunque altra cosa.
Eccetto una. Probabilmente solo l’altro brontolone poteva farsi largo in questa
lista privilegiata. Quel brontolone con i canini affilati. Quel piccolo Edward.
La persona, l’unica persona per cui avrei dato l’anima. E non è un modo di
dire.
Con la mano posata delicatamente sulla pancia, lasciavo libero il mio pensiero
di vagare fra i ricordi.
Ripensavo a quel sole bollente che picchiava quotidianamente come fosse fuoco
vivo, facendo uso dei suoi lunghi raggi come armi letali .. a quei granelli di
sabbia che venivano magicamente trasformati in diamanti, illuminati dalla luce
della Luna che, ladra, rubava la luminosità al Sole e la spacciava per sua. Ladra
ed ingannatrice. Ma anche se ingannatrice, le veniva perdonato tutto:
d’altronde faceva magnificamente risplendere la terra mostrandone le mille
sfaccettature perlacee.
Ripensavo a quella pallida casa dalle pareti bianche, alle vetrate che
riflettevano la luce come uno specchio, accecandomi e facendomi perdere tutta
la lucidità di cui ero dotata.
Ripensavo a Isola Esme.
Lottavo con forza contro i miei ricordi per trovare un periodo più splendente.
Non ne avevo. Le settimane, i minuti, i secondi passati a Isola Esme si
potevano classificare con tranquillità nell’estasi più assoluta, senza paura di
avversari.
Ripensavo alle sue mani gelide. Alle sue dita fredde che percorrevano con
dolcezza il mio corpo. Ripensavo ai suoi baci che lasciavano solchi lasciati
senza traccia sulla mia pelle, solchi testimoni del suo amore per me. Solchi
che facevano da spettatori invisibili, che sedevano sulle pareti del mio cuore,
quasi ad osservare e a far tesoro di quel che di magico c’era tra di noi.
Ripensavo a quelle soffici mani. Mani dure come il marmo incartate nella seta,
quasi a racchiudere un dono prezioso.
Ripensavo a quelle mani sul mio corpo. Quelle mani, bianche e luminose come la
perla.
Ripensavo a quell’inebriante sensazione di pacatezza miscelata ad estasi, la
mia pozione preferita. La pozione che mi aveva fatto trovare un equilibrio,
dove tutto era perfetto. Dove tutto aveva un senso. Un ragionevole, dannato
senso. Un senso dove io mi sentivo realmente appagata dalla vita, da ogni suo
istante, da ogni suo piccolo particolare. Appagata sì, ma mai sazia della
felicità che ogni singola cellula di Edward mi riusciva a dare.
Era come se io fossi stata la Luna, lui il Sole.
Cos’era la Luna in confronto al Sole?
Lui. Il mio splendente, straordinario Sole personale. Io, da ladra, incarnavo
perfettamente le sembianze perlacee della Luna. E gli succhiavo quanta più felicità
riusciva a riflettermi. Gli succhiavo la luce. E a mia volta risplendevo,
spacciando la luce come mia. Ladra ed ingannatrice.
Ma cos’era la Luna in confronto al Sole?
Cosa poteva lei?
Ripensavo ai suoi occhi dannati che osservavano con meraviglia il nostro amore,
lasciato a consumarsi sulla spiaggia in compagnia della Luna, in quella prima,
lunga notte.
Ai suoi sorrisi. Sorrisi che, dolcemente, accarezzavano la mia pelle, le mie
vene, i miei capelli. Che si incontravano con i miei occhi, li toccavano, li
abbracciavano, li ingannavano e li trattenevano rinchiusi nei suoi.
Ripensavo ai suoi gemiti di piacere, che uscivano dalle labbra fredde e
incantevoli, dolci ed irresistibili come un canto melodioso.
E scossa da un brivido al pensiero, ricordavo quelle inebrianti scosse di
piacere che scorrevano nelle mie vene, che mi accarezzavano i capelli e che mi
cullavano con una dolcezza estasiante. Furono come linfa vitale. E ormai sono
come una droga. Farne a meno è impossibile. Lo sente il mio caldo corpo, che
senza è privato dall’energia e dalla vitalità.
Ripensavo a quel momento di estasi più assoluta, quando null’altro al mondo
esisteva. Null’altro tranne noi. Tranne noi due.
Ricordavo quella doccia gelata. Avrebbe dovuto lasciar scivolare dal mio corpo
tutte quelle ansie .. tutte quelle paure .. ingiustificate.
Perché ricordavo, chiaro come la luce del sole, quell’inebriante sensazione di
sicurezza, appagamento e naturalezza che avevo provato quella notte.
Sfiorandolo. Toccandolo. Baciandolo. Sussurrandogli che l’amavo. Sussurrandogli
che era tutta la mia vita.
Quella sensazione che mai, mai e poi mai avrei voluto lasciar scappare. A costo
di trattenerla con le unghie e ferirmi, ferirmi nel profondo. E infatti non se
n’era andata. Mi aveva seguita fedelmente.
E mai mi avrebbe lasciata.
Perché mai Edward se ne sarebbe andato.
Perché mai io avrei potuto andarmene da lui. Dalla mia intera vita.
Perché mai le cose avrebbero potuto cambiare, con l’eternità davanti. Eternità
tutta nostra.
Perché mai qualcosa si sarebbe incrinato tra noi.
Perché mai io mi sarei spezzata, facendo sgorgare come lava bollente il mio
dolore per la sua terribile assenza.
Terribile tanto da far male. Terribile tanto da picchiare e colpire. In ogni
singolo istante. Terribile tanto da sanguinare. Terribile tanto da non essermi
più riuscita a riprendermi. Terribile perché la mia vita senza di lui è ..
nulla. Insignificante. Priva di senso. Terribile tanto da illudermi.
Perché la verità fa male, troppo male. Illudermi che lui ritornerà, che
mi tocchi di nuovo con quelle sue dita gelate, che mi parli di nuovo con quel
suo canto melodioso, che mi guardi di nuovo con quei suoi occhi perfetti.
Ma non tornerà.
Con la mano posata delicatamente sulla pancia, disegnavo carezze d’amore al mio
piccolo brontolone.
E piangevo.
D’altra parte, cosa poteva lei?
Cos’era la Luna in confronto al Sole?