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Autore: Alkimia    28/07/2015    9 recensioni
E poi la donna ride, e ha la risata leggera di sua moglie, il volto di Anne che riaffiora dalla maschera di Milady. E qualcosa dentro di lui graffia e morde, raschia contro le quattro mura in cui ha cercato di tenerlo confinato da quando l’ha rivista…
MissingMoment del nono episodio della seconda stagione.
[Milathos]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Athos, Milady De Winter
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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MissingMoment del nono episodio della seconda stagione. Nessuno mi toglierà mai dalla testa che Athos e Milady siano stati insieme dopo il bacio nello sgabuzzino di Rochefort e prima che lui andasse a raggiungere gli altri al convento (vi prego, ho bisogno di questa certezza nella mia vita!). 
La citazione iniziale è presa dal brano Spade di Marilyn Manson.
Buona lettura ^_^
 
STORIA DI ORTICHE E GIGLI
 
You drained my heart and made a spade
but there’s still traces of me in your veins…
 
 
“Dunque è questo che fate voi moschettieri quando il capitano è via? Portate le donne di nascosto nelle camerate?”.
Athos si solleva sui palmi delle mani che affondano nel materasso.
L’ironia scanzonata nelle parole della donna è un ricordo che odora di fiori e erba tagliata. Scherzava sempre così con lui, sua moglie, obbligandolo a rincorrerla per i campi tanto per mettere alla prova la caparbietà di un desiderio che non ha mai avuto bisogno di dimostrazioni.
Ma sua moglie è morta appesa a quell’albero e lui con lei. Athos lo sa e sa che non c’è una sola ragione valida per trovarsi nella sua stanza alla guarnigione con quella donna con cui è appena caduto sulla branda per nessun motivo preciso.
E poi la donna ride, e ha la risata leggera di sua moglie, il volto di Anne che riaffiora dalla maschera di Milady. E qualcosa dentro di lui graffia e morde, raschia contro le quattro mura in cui ha cercato di tenerlo confinato da quando l’ha rivista.
La convinzione che quella donna e quell’uomo siano morti cinque anni fa si sgretola come legno tarlato, perché il dubbio è un tarlo che tutto il vino del mondo non sarebbe capace di annegare.
Anne lo bacia, e sono proprio le sue labbra, il suo tocco leggero, la dolcezza che aveva sua moglie quando pensavano di avere davanti tutta una vita.
Ora i ricordi sono bianchi. Vestiva sempre di bianco, la contessa. Proprio come un giglio, diceva Chaterine con malcelato disappunto e un’ammirazione guastata dall’invidia.
Quando lei getta il capo sul materasso e interrompe il bacio, Athos apre gli occhi di colpo e lo sguardo della donna è uno sguardo di ortiche che pungono.
Ortiche e gigli, è di questo che è fatto il loro passato.
“Chissà perché quando ho immaginato questo momento, credevo che saresti stato un po’ più presente” mormora lei.
“Avevi immaginato questo momento?”
“Insomma… sai che voglio dire”
“No, non esattamente”.
O forse lo sa, sa che non sono solo i suoi di demoni ad essersi agitati dietro le mura dopo quel bacio nell’ufficio di Rochefort.
Si era detto che era stata solo la paura di non uscire vivi da lì e aveva finto di crederci il tempo necessario a riacquistare la lucidità di mettersi in salvo e decidere che tornare con lei alla guarnigione fosse l’unica cosa sensata da fare.   
“Beh, non siamo mai stati infelici io e te” osserva la donna. Non c’è malinconia nell’accenno di sorriso che le stira le labbra.  Lei ha la forza della rassegnazione, lui lo sguardo di chi ha lottato contro il dolore e ha perso. “Non prima che io…”.
Dal cortile, dietro la finestra chiusa arriva il suono di vetri rotti, schiamazzi che guastano il silenzio della sera. La guarnigione è nel caos, gli uomini si chiedono cosa stia succedendo, dove diavolo sia Treville, quale nuova nomina abbia ricevuto Rochefort perché le sue guardie rosse facciano tanto i prepotenti.
E Athos è in quella stanza, con ciò che resta di se stesso e della donna che amava.
Quando la sua coscienza gli presenterà il conto, potrà almeno dire di aver pensato una volta o due che fosse una pessima idea, che l’aveva portata lì solo per tenerla al sicuro, che non si era messo subito in viaggio per Bourbon-les-Eaux perché viaggiare di notte con il messaggio rubato per rovesciare Rochefort non era prudente.
Del resto, cinque anni a raccontarsi bugie su un amore sepolto vivo allenano all’ipocrisia anche il più onorabile degli uomini.
Non si può passare la vita a inciampare di continuo nelle proprie certezze crollate.
Certo è che deve prendere una decisione: cominciano a fargli male le braccia a stare sospeso sopra di lei, eppure ha la sensazione che si staccasse annegherebbe.
Se solo le decisioni non avessero conseguenze…
“Che sta succedendo là fuori?” chiede la donna. Recupera distanza, lo spazio perché i pensieri si trasformino in sensi di colpa.
“Se ci fosse Porthos, direi che si sta litigando per una partita a carte. Dato che Porthos non c’è…”
“… non hai nessun amico da andare a difendere”
“Sanno difendersi da soli, io sono solo quello che li sgrida”
“Quando Treville non vi sgrida tutti e quattro assieme?”.
Athos annuisce, per una frazione di secondo si ricorda anche come si fa a sorridere.
Lei gli poggia una mano sul petto, distoglie lo sguardo. “Mi sono impegnata a disprezzarti, ma la verità è che ti ho sempre invidiato: tu hai trovato qualcosa oltre te stesso per cui vale la pena”
“Perché pensavo che me stesso non valesse abbastanza”.
Una lacrima scintilla tra le ciglia della donna e c’è un intero oceano di rimorsi lì dentro.
Le braccia di Athos cedono - troppo peso, dentro e fuori - le cade addosso e forse le fa male. Quello che segue, più che un bacio è un incidente.
“Scusa…” sussurra lui, prova a spostarsi di lato con un agitarsi maldestro, come un pesce preso in trappola in quella rete di gonne e sottovesti.
“Scusa per cosa?”.
Perché ho reso il nostro amore un’occasione sprecata.
“Non ho mai imparato a stare al mondo senza di te, Anne”
“Io l’ho fatto, ma non mi è piaciuto”. La lacrima le scivola oltre le ciglia, non ci sono più maschere con cui travestire i rimorsi da rancori.
Il bacio è di nuovo disperato e famelico, come una corsa oltre i confini tracciati dalla razionalità che Athos ha già deciso di ignorare.
E poi tutto rallenta, meno il cuore che sembra voler fuggire dal petto.
Si guardano, si ritrovano da qualche parte che non è né passato né presente - e che, lo sanno, non è nemmeno futuro.
Le dita della donna gli sfiorano l’addome, Athos non sa se sono graffi o carezze. Non sa nemmeno quand’è successo che la giacca di cuoio abbia guadagnato il pavimento.
Non c’è niente dei giochi dei loro giorni felici, il desiderio non è un capriccio da mettere alla prova è solo un dato di fatto.
Cinque anni di lontananza sono un mare impossibile da solcare. Ma nei ricordi il mare è un prato coperto dal tappeto turchese dei nontiscordardimé, che bastava attraversarlo per gettare l’ancora nel porto sicuro di una casa, il grande letto a baldacchino come un’isola dove esistevano solo loro.
Adesso persino l’immobilità della sera gli è nemica. Il tempo è una morsa che stringe e non lascia spazio all’illusione di una serenità dimenticata, di un insieme che è come un vetro spezzato.
La consapevolezza si insinua dentro di lui e Athos prova una sferzata di paura, quella che fuori dal cerchio delle braccia di Anne ci sia di nuovo solo disperazione, il gorgo di imbuto dove lui non ha imparato a bastare a se stesso.
Se c’è una cosa che ha imparato, è che l’orgoglio serve agli sciocchi perché in fondo ognuno è codardo a modo suo.
Scansa strati di stoffa pesanti come i pezzi di quell’armatura di cui solo lei sa come spogliarlo.
Fa quello che fanno gli uomini disperati, la prende con la veemenza di un lottatore, ingoiando tra i respiri spezzati le ultime briciole di un senso di appartenenza su cui non può più accampare diritti.
E lei fa quello che fanno le donne che amano: lo accoglie e basta, gli regala l’illusione di poter tenere al sicuro una felicità che non esiste più.
A volte ritrovarsi è più difficile che perdersi.
È il primo pensiero che riaffiora quando si dissolve la nebbia carezzevole dell’orgasmo e il sangue e il respiro riprendono a circolare.
Athos affonda il viso tra i seni della donna e prova vergogna nel domandarsi se l’umido che sente sugli zigomi sia sudore o pianto. Non vuole saperlo, vuole solo che lei continui a passargli le dita tra i capelli per tenere lontano i pensieri, proprio come faceva sua moglie.
Il sonno li avvolge con delicatezza e l’unico pensiero che permette ad Athos di non cedere alla tentazione - un’altra - è l’immagine ora sempre più nitida dei suoi compagni che corrono al galoppo nel buio per portare in salvo la regina.
Si solleva piano, staccandosi da quell’abbraccio, dal calore dei ricordi migliori che ora sprofondano di nuovo nella polvere, confondendosi col grigio della cenere di quella casa data alle fiamme.
La sera è ancora un nascondiglio confortevole, con quel suo buio che li solleva dall’obbligo di guardarsi in faccia.   
“Devi raggiungere Treville e gli altri” dice la donna. La sua voce già somiglia di meno a quella di Anne, adesso. “Magari prima che ti prendano i sensi di colpa e ti prenda l’impellente necessità di metterti a bere”.
Di nuovo, pungente come l’ortica.
Sensi di colpa per cosa? Per non essere andato con i suoi compagni a Bourbon-les-Eaux? Per quello che è appena successo?
“Tu resta qui, però. Non è prudente lì fuori” le dice asciutto.
Avverte il fruscio della stoffa quando lei si alza e con pochi gesti si rassetta le vesti e lega i capelli in una coda.
Athos sente la vertigine. Il baratro su cui è stato in equilibrio precario per quegli anni è di nuovo lì, ha la forma della cicatrice sul collo di sua moglie.
“Questo posto mi mette a disagio” gli risponde la donna.
Quando il moschettiere si volta per protestare - pregare o forse solo dirle addio - lei è già sparita.
   
 
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