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Autore: TyshaLannister    30/07/2015    1 recensioni
Nella prima stesura, Lysandra era troppo Mary-Sue. Quindi si ricomincia, cambiando la storia. Il prologo rimarrà simile in alcune parti, ma gli altri capitoli saranno tutti nuovi.
Lysandra Payne è un'orfana, figlia di uno dei cavalieri di lord Tywin Lannister, cresciuta a Castel Granito. L'unica persona che le abbia mai dimostrato affetto e che si sia preoccupata per lei è Tyrion. Questo fino al giorno in cui la bambina diventa una donna: un matrimonio combinato che può cambiare le loro vite; una fuga dal dovere e dall'onore. Ma dove puoi scappare, quando quello che più temi è anche quello che può salvarti?
Dal Prologo:
“Volessero gli Dei” sembrava così mesto mentre mi parlava “Ma non temere. Sei solo una bambina. Il matrimonio non avverrà che fra molti anni e, se i Setti ci assisteranno, non avverrà mai”.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jaime Lannister, Nuovo personaggio, Tyrion Lannister, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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A differenza di quanto Tyrion aveva ipotizzato, mi annoiavo da morire a corte. Non conoscevo nessuno al di fuori della mia septa e di ser Jaime, le dame erano anche più stupide di quelle che riempivano le sale di Castel Granito e avevo scoperto che la regina mi detestava senza far nulla per nasconderlo. Le sue occhiate, le sue frecciatine, il suo ignorarmi appena ne aveva la possibilità… Nonostante le insistenze di septa Chelle, che continuava a ripetermi che come futura sposa di Tyrion era mio dovere stringere un buon rapporto con Cersei e cercare di diventare una delle sue noiosissime dame di compagnia, preferivo fare lunghe passeggiate per i giardini in fiore e chiudermi nella mia stanza a leggere.

Non sapevo da dove nascesse quell’antipatia nei miei confronti, ma perché comportarmi stupidamente e stare al suo cospetto, correndo il rischio che finisse con l’odiarmi? Molto meglio limitare i nostri incontri al minimo, fare un profondo inchino, pronunciare qualche frase di circostanza e poi eclissarmi, in modo da non urtare quella donna che sembrava in grado di strapparmi gli occhi solo perché quel giorno era di cattivo umore. Avevo uno spiccato senso di sopravvivenza che mi portava ad evitare di mettermi nei pasticci con le persone influenti.
Aggrottai le sopracciglia, imboccando un vialetto che sembrava poco frequentato. Quella poteva essere una virtù nella sposa di quello che si supponeva essere l’erede di Castel Granito. Jaime aveva prestato solenne giuramento come guardia reale e non poteva prendere moglie, quindi sembrava ovvio che tale importante titolo fosse destinato al terzogenito di lord Tywin. Come lady Lannister avrei dovuto prestare attenzione a queste cose: chi era meglio non irritare, cercare di comportarmi come si deve in società, non prestare il fianco a critiche che avrebbero potuto nuocere al buon nome dei Lannister. Un mucchio di doveri, farcito da quelli che molte dame avrebbero percepito come privilegi.
Privilegi… certo! Essere continuamente studiata, osservata, giudicata e criticata. Avrei fatto volentieri a meno di tutti quei privilegi. Sospirai, rendendomi conto che non facevo altro che compatire me stessa, pensando in quel modo. Non era qualcosa che potevo mutare, non era in mio potere decidere del mio futuro o di come mi sarebbe piaciuto vivere.
Ultimamente ero sempre più propensa a vedere solo i lati negativi del titolo che stavo per assumere. Forse era il normale nervosismo dovuto all’imminenti nozze, che si avvicinavano sempre di più. Il vestito, fatto cucire appositamente da uno dei migliori sarti di Approdo del Re, era quasi pronto. Ricche sete bianche, ricamate in oro e argento, con gli stemmi dei Lannister e dei Payne. Bellissimo, non c’erano altre parole per descriverlo, eppure quando l’avevo provato quella mattina avevo sentito di nuovo quella brutta sensazione alla bocca dello stomaco.
Giunsi alla fine del viale e mi appoggiai contro il muro che si affacciava a strapiombo sulla scogliera. Era un posto isolato, dove non si udivano le risatine e i commenti squisitamente stupidi degli altri membri della corte che amavano passeggiare per i giardini, con il solo scopo di essere visti e ammirati. Li consideravo un branco di sciocchi, che non si rendevano conto di essere solo abbellimenti umani. A nessuno interessava nulla di nessuno. Erano tutti lì per ingraziarsi i sovrani, nella speranza di un posto migliore, un titolo migliore, un incarico di risonanza. Praticamente erano il sunto di tutto ciò che odiavo.
Decisi di non pensare a loro e spostare la mente su cose più importanti, in quel momento. Tyrion stava per giungere a corte e i preparativi non erano ancora conclusi. Feci una smorfia, indispettita dal dover ritenere importante le pietanze che sarebbero state servite, il tipo di vino che avrebbe aiutato gli uomini a sbronzarsi, il tipo di decorazioni floreali per i tavoli… Non potevano decidere altri, visto che a me non interessava? No, secondo septa Chelle era un mio preciso compito occuparmi di quelle cose tediose.
Se solo Tyrion fosse stato presente! Avrebbe buttato tutto in burletta e mi avrebbe fatto sorridere con il suo pungente sarcasmo. Non riuscivo neanche più a vedere il lato comico delle cose, quel posto aveva risucchiato via tutto il mio buonumore. Mai avrei creduto di poter rimpiangere la mia gabbia dorata, dove, quantomeno, avrei potuto sentirmi a casa.
E poi c’era quel sogno. Il sogno che mi perseguitava dall’inizio del viaggio verso Approdo del RE. Mi sfiorai di nuovo le labbra con i polpastrelli della mano sinistra, un gesto che mi ritrovavo a fare più volte al giorno, di nascosto perché nessuno intuisse cosa mi si agitava dentro. Mi morsi il labbro inferiore, poggiando la mano sul muretto. Era bello, quel sogno, era dolcissimo. Il modo in cui lui mi guardava e sorrideva in quel modo ironico, poco prima di posare le sue labbra sulle mie. Mi ero ritrovata a desiderare che avvenisse anche nella realtà.
Era forse questo l’amore di cui tutti parlavano? Io non lo sapevo, non mi ero mai interessata a queste cose, certa che mai mi sarebbe capitato. In fin dei conti, Tyrion, che mi conosceva meglio di chiunque altro, mi aveva definito pragmatica. Per me era scontato lo sposare un uomo scelto da altri e vivergli accanto, dandogli dei figli, senza chiedere altro. Ora qualcosa era cambiato dentro di me, ma non capivo quando o perché.
Qualcuno poggiò una mano sul muro, alla mia destra, e mi ritrovai a sobbalzare, mentre piegavo il collo per guardare il nuovo arrivato negli occhi. Sorrisi, il primo sorriso sincero che facevo da molto tempo, mentre guardavo gli occhi verdi di Jaime, l’unico che riuscisse a strapparmi una risata in quel posto che aveva assunto i contorni di una prigione, ai miei occhi. Mi aspettavo che ricambiasse il mio sorriso e mi dicesse qualcosa di gentile, come faceva sempre, invece guardai perplessa il suo viso così serio e cupo.
“Mio signore?” ero sconcertata dal suo umore tetro. Lui non mi rispose, limitandosi a porgermi un messaggio che, dalla grandezza della pergamena, doveva essere stato portato da un corvo. Guardai quel foglio arrotolato e aggrottai la fronte, non mi piaceva quell’aria pesante che si respirava. Deglutii, allungando una mano e srotolando il colpevole di tutto quel mistero.
Appena lessi la prima frase, mi sembrò che il mondo perdesse di consistenza e lasciai andare la pergamena, portandomi una mano al petto, incapace di respirare. Alzai di nuovo gli occhi e scrutai quegli occhi verdi, mentre l’apprensione cresceva in me. “Perché lady Stark avrebbe fatto una cosa del genere?” quasi gridai, mentre mi affrettavo a recuperare il pezzo di carta.
“Sostiene che Tyrion abbia attentato alla vita di suo figlio Bran” mormorò Jaime, non staccandomi gli occhi di dosso “Almeno questo è quello che si evince dal messaggio che arrivato poco fa, ma non importa il perché”. Scossi la testa, non riuscendo a trattenere le lacrime: il mio brutto presentimento si era rivelato corretto, qualcosa di terribile stava succedendo a Tyrion e io non potevo aiutarlo in nessun modo.
“Lui non farebbe mai una cosa del genere” gridai fra le lacrime, abbassando la testa e asciugandomi gli occhi con la mano sinistra, accartocciando istintivamente la missiva che tenevo nella destra “Lo conosco, non ne sarebbe capace e, soprattutto, non avrebbe motivo per farlo!”.
Mi sentivo schiacciata da quella notizia, sopraffatta dal senso di impotenza. Poi, improvvisamente, alzai il viso verso l’uomo: io non potevo fare nulla, ma forse lui… “Mio signore” gli misi la mano destra sul braccio, guardandolo dritto negli occhi “Vi supplico, vi scongiuro. Voi… salvatelo” mi appoggia al suo petto, mentre i singhiozzi mi scuotevano il corpo “Salvate il mio migliore amico”.
Jaime mi abbracciò, solo per un momento e poi mi scostò da sé “Ho intenzione di affrontare Ned Stark” mi informò “Sarà meglio che convinca sua moglie a restituirci mio fratello, altrimenti…” non finì la frase, fece un passo indietro e mi onorò con un inchinò “Vado a salvare il vostro promesso, mia signora”.
Mi diede le spalle e cominciò a ripercorrere il vialetto. Di nuovo ebbi una brutta sensazione, come il giorno in cui Tyrion mi salutò per andare a vedere la Barriera. “Jaime!” era la prima volta che chiamavo un uomo per nome, che osavo prendermi tutta quella confidenza con qualcuno “fai attenzione”.
Si voltò per sorridermi “Devo dedurne che consideriate anche me un amico?” mi regalò il suo classico sorriso malandrino e mi ritrovai a contraccambiare, sperando di essermi sbagliata.
“Voglio vedervi tornare entrambi sani e salvi” gli dissi, cercando di farmi coraggio.
“Ci rivedremo prima del tramonto, mia signora” e con questo si congedo. Non credetti neanche per un momento a quelle parole, sentivo che non ci saremmo rivisti per molto tempo.




Stavo letteralmente impazzendo, chiuso in quella trappola mortale che chiamavano cella del cielo. Mi ero svegliato poco prima con un braccio che dondolava nel baratro e mi ero rifugiato contro il muro vicino alla porta, tremando al pensiero di cosa sarebbe successo se non mi fossi destato in tempo. Un bel volo, nulla da eccepire, peccato che io non fossi un uccello.
Aderii con tutta la schiena e la testa al muro, prendendo un profondo respiro, e guardai il cielo. Era di un azzurro mozzafiato e mi ricordò due occhi sorridenti che conoscevo fin troppo bene. “Occhi di mare” mormorai, chiamandola con quel nomignolo affettuoso che le avevo dato svariati anni orsono, quando non era che una bambina dai grandi occhi perennemente sgranati, come se il mondo fosse pieno di meraviglie pronte per essere scoperte e ammirate.
Cosa sarebbe successo se non fossi riuscito a cavarmi di impiccio? A chi l’avrebbe data mio padre? Jaime sarebbe stato l’uomo perfetto per lei: alto, bello, valoroso. Purtroppo il giuramento che aveva fatto come guardia reale gli impediva di prendere moglie. Lancel? Lei detestava Lancel e la sua intelligenza sarebbe stata sprecata con un marito così idiota. Non c’erano altri Lannister con la giusta età per sposarla. Mi ribolliva il sangue al pensiero di Lancel che osava anche solo sfiorarla, figurarsi se potevo accettare che ne divenisse lo sposo. Chiunque, ma non lui. Sorrisi, trovandomi estremamente ridicolo nella mia gelosia.
Non era il momento per quei pensieri, dovevo concentrarmi per tornare da lei e proteggerla. Non mi piaceva l’idea di morire, preferivo vivere e vedere come andava a finire. Così tante possibilità e avventure che aspettavano solo di essere vissute. No, sentenziai, io non sarei morto in quella cella e, sicuramente, non avrei permesso a quella pazza di Lysa Arrin di godere nel farmi uccidere.
Pensa, Tyrion, pensa! Me lo ripetevo senza sosta. Se era vero quello che avevo detto a Jon Snow, la mia mente era un’arma affilata quanto la spada di mio fratello ed ora era il momento che colpisse per liberarmi. L’immagine della spada mi si fissò nella mente, portando con sé tutto quello che sapevo della “giustizia del Re”. Era una mossa avventata, ma cosa avevo da perdere? Un’altra notte in quel posto e avrei finito per volare di sotto. Tentare la sorte era la mia unica via d’uscita e sperai che gli dei fossero con me.
   
 
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