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Autore: Lunaah    31/07/2015    0 recensioni
"Ognuno di noi è intrappolato nella stessa monotonia di ogni giorno. Ci si alza, si fanno più o meno le cose del giorno prima, e poi, alla sera si va a dormire per recuperare le forze perse durante tutta la giornata. Poi, tutto d'accapo.
Ed io purtroppo sono intrappolato, a mia volta, in questo maledettissimo circolo vizioso."
Genere: Commedia, Drammatico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~~Ognuno di noi è intrappolato nella stessa monotonia di ogni giorno. Ci si alza, si fanno più o meno le cose del giorno prima, e poi, alla sera si va a dormire per recuperare le forze perse durante tutta la giornata.
Poi, tutto d’accapo. Ed io purtroppo sono intrappolato, a mia volta, in questo maledettissimo circolo vizioso. Insomma, non mi ritengo una persona cinica, credo soltanto di essere una persona realista, tutto qua.

È una cosa abbastanza ambigua fare questi ragionamenti alle sei del mattino, ma se voglio affrontare con il piede sbagliato la giornata, e lo voglio, questo è il momento giusto.

“Buongiorno Evelin”. Dico entrando in cucina.
“Ehi, come va oggi?”
“Credo di essermi alzato dalla parte sbagliata del letto”
“lo prendo come “male””. Non mi guarda nemmeno, è troppo indaffarata a cercare qualche suo infuso mattutino nella credenza.
Più i giorni passano più mi chiedo dove trova la forza, la voglia di svegliarsi presto e di portare avanti tutta la fattoria da sola, per di più alla sua età. È l’unica persona che stimo davvero, una donna sola e forte. Com’è sola Evelin lo sono anch’io, e insieme, nei modi più semplici, ci teniamo compagnia.
“Ti preparo la colazione?”. Mi guarda e sorride.
“Nonna, lo sai benissimo che non faccio colazione”
“Si che lo so, ma ti farebbe bene, da adesso non te lo chiederò mai più. Arrangiati, sei grande ormai.”
Rido, perché so al cento per cento che, domani mattina, me lo richiederà per l’ennesima volta. Prendo la borsa già pronta con quei pochi libri di scuola all’interno, faccio il giro del tavolo, prendo una mela, dò un bacio ad Evelin ed esco.
È l’11 Ottobre credo, e fa freddo.
Appena varco la soglia della porta, il vento gelido mi investe tutto d’un tratto, facendomi rabbrividire dalla testa ai piedi. Il cappello. Corro dentro, lo recupero, e corro fuori. Ancora una volta rabbrividisco, ma questa volta le orecchie sono al caldo.
Ad Evelin non è mai piaciuto il mio cappello, lo definisce sempre “inutile”. Lei sostiene fermamente che non mi serve quando ho i capelli che mi tengono caldo.
Beh in effetti ha ragione, ho i capelli abbastanza lunghi per essere un maschio, ma io e il mio cappello abbiamo uno strano legame, io non esco senza di lui e lui non rimane a casa senza me.

Prendo la bici.
Alle 6:00 di mattina sembra che il mondo stia ancora dormendo, come se l’unico scemo in bicicletta fossi io. Ogni mattina, no anzi, se voglio uscire di casa, sono costretto a portare la bici a mano fino al bivio che immette la nostra piccola stradina al viale alberato che un tempo portava alla Villa.
Io la chiamo “stradina” perché è il primo nome che mi è venuto in mente, ma realmente non lo è. Praticamente si tratta di terra, buche e sassi, il tutto sparso in un sentiero largo solamente mezzo metro. Ecco perché non posso azzardarmi a salire in sella.

Il viale è lungo, molto lungo, sarà un chilometro circa. Ai lati della strada sterrata ci sono due file di pioppi, slanciati verso l’alto, scuri alla fievole luce del mattino. Credo che questi alberi mi conoscano ormai, passo ogni giorno in bicicletta, e ogni giorno li guardo e penso a quante persone abbiano visto passare per la loro strada. Anni e anni, carrozze che andavano e venivano, gente importante che andava alla Villa.
Un giorno, almeno così ho immaginato, arrivarono mio nonno ed Evelin, mano nella mano. I Cipressi videro questi due giovani innamorati, videro la luce nei loro occhi quando adocchiarono la vecchia casa che poi diventò la loro fattoria. Evidentemente, qualcosa aveva colpito mio nonno molto di più dell’idea di continuare a percorrere il viale, e quindi imboccarono una familiare “stradina” sulla sinistra.
Sono fermo in mezzo al viale, con lo sguardo perso nel vuoto.
Un brivido mi corre lungo la spina dorsale fino alla nuca risvegliandomi. Salgo in sella ed inizio a pedalare pensando se mi conviene di più respirare tramite la bocca o tramite il naso, per cercare di affievolire il freddo pungente che ad ogni respiro mi toglie il fiato.

   
 
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