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Autore: Ragdoll_Cat    01/08/2015    10 recensioni
È passato poco più di un anno dal crollo dello S.H.I.E.L.D. e Steve ha deciso di ritornare a Washington.
Purtroppo non è riuscito a trovare Bucky, ma una nuova sfida lo attende.
In quest'avventura però non sarà da solo.
E ricordate che certe cose, per fortuna, non cambiano mai!
Attenzione: La mia storia non seguirà la storyline del MCU.
Quindi non ci saranno riferimenti ad AoU o altro.
Dal testo:
[...]-E tu non hai ancora finito di faticare?- gli domandò, voltandosi lentamente verso di lui e guardandolo per la prima volta in faccia.
-No...
Sei tu l'unica cosa buona che mi sia capitata da quando ho deciso di cercare Bucky, perciò non voglio che tu resti coinvolta in tutto questo, ma allo stesso tempo ti chiedo scusa per aver tentato di importi qualcosa contro la tua volontà- continuò lasciandole il polso -io accetterò qualsiasi tua scelta, sia che tu decida di rimanere o di andartene comunque, per via del mio comportamento di poco fa.-
Selene non disse nulla, ma si limitò ad annullare la distanza che li separava, tuffandosi letteralmente fra le braccia di Steven.

Vi auguro una buona lettura!
[CONCLUSA]
Genere: Avventura, Azione, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Nuovo personaggio, Sorpresa, Steve Rogers
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Accidere ex una scintilla incendia passim'
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In questo mondo quotidiano, / che somiglia tanto al libro delle Mille e Una Notte, / non c'è un solo gesto che non corra il rischio / di essere un'operazione di magia.
(Jorge Luis Borges)
 
 
*
 
Seduto comodamente sul sedile del taxi che dall'aeroporto lo stava conducendo a casa, Steve osservava senza interesse le strade di Washington D.C.
Era rimasto lontano da quella città per più di un anno mentre insieme a Sam aveva perlustrato il globo alla ricerca di Bucky.
Dopo mesi di ricerche, indizi, vicoli ciechi, imboscate, i due amici erano ad un punto morto.
Tentare di rintracciare un fantasma si era rivelato più difficile del previsto, quindi avevano deciso di dividersi per avere più possibilità.
 
All'aeroporto di L.A. si erano salutati, Sam diretto in Florida, dove un suo ex-commilitone dopo il congedo dal servizio effettivo, aveva deciso di trascorrere la sua vita da civile; quest'ultimo tuttavia era ancora in contatto con alcuni dei vecchi compagni e chissà, magari avrebbero avuto fortuna.
Sam era ben deciso a non demordere e quindi continuava a cercare un minuscolo appiglio per non arrendersi; lo doveva a Steve e a Riley.
Seguendo il suo istinto invece, Steve si era imbarcato per Washington.
Il perché di quella scelta non era chiaro nemmeno a lui; da una parte il ragazzino di Brooklyn anelava il ritorno a casa, però Steve in cuor suo sentiva di aver agito per il meglio.
 
Mentre pensava a queste cose, il taxi era finalmente giunto a destinazione, quindi pagò la corsa, afferrò il suo borsone e scese.
Erano le tre del pomeriggio e l'intera strada era illuminata dalla luce dorata del sole.
 
Steve entrò nel palazzo e dopo aver salito rapidamente le scale, estrasse da una tasca dei jeans le chiavi che avrebbero aperto la porta dell'appartamento numero quattro.
 
L'odore di polvere e stantio arrivò immediatamente alle sue narici, facendogli storcere il naso.
Abbandonò il borsone all'ingresso per andare ad aprire le finestre per far entrare aria fresca e luce.
L'ambiente era fastidiosamente caldo, del resto era fine giugno ormai e l'estate era appena iniziata.
 
Steve riprese in mano il bagaglio, con l'intento di svuotarlo e lavare gli abiti sporchi che esso conteneva, quindi si diresse verso il bagno e caricò la lavatrice. 
Ora sul fondo del borsone rimaneva solo una cosa: il lucente scudo circolare di Captain America.
 
Uscì dalla stanza da bagno e si fermò, sempre con la sua sacca in mano, di fronte al muro bianco.
 
Già, quel muro.
 
Quella parete era stata attraversata dai proiettili che avevano quasi ucciso Fury, sparati dal Soldato d'Inverno.
Non da Bucky, ma da quella macchina assassina creata dall'HYDRA.
Istintivamente serrò la mandibola, quella notte era impressa a fuoco nella sua memoria.
Da quella notte tutto era cambiato.
Lui stesso non era più quello di prima, infatti era aumentata in lui, la consapevolezza riguardo ad essere Captain America, di ciò che questo comportava.
Servire e proteggere.
 
Ora all'interno dell'appartamento non vi era nulla né disordine né qualche oggetto sistemato al posto sbagliato.
Subito dopo il ferimento di Fury, una squadra della scientifica dello S.H.I.E.L.D. era arrivata sul luogo dell'attentato e aveva raccolto prove e reperti; il giorno successivo un'altra squadra aveva ripulito tutto, tappando i fori nel muro e risistemato l'appartamento.
Sembrava che nulla vi fosse accaduto; sul giradischi c'era ancora l'ultimo disco che stava ascoltando, in attesa.
 
Si sedette sulla poltrona davanti al camino e per qualche istante fissò il vuoto, continuando a tormentare le maniglie del borsone; cosa stava facendo? 
Era inutile girarci intorno, lui era tornato a Washington perché a New York non c'era nulla o nessuno da cui tornare. Lo scudo che portava abitualmente sulle spalle era diventato più pesante e Steve Rogers, il ragazzo di Brooklyn stava impallidendo sempre più, rischiando così di scomparire per sempre.
Come avrebbe potuto trovare Bucky? Era ancora vivo? Più di una volta in quei lunghi mesi era stato tentato di mandare tutto al diavolo, per paura di perdere anche Sam.
Sam, il primo amico del ventunesimo secolo che non fosse un Avenger, che aveva conosciuto nel modo più normale possibile, mentre correva, che lo aveva aiutato senza chiedere nulla in cambio.
Un vero amico, proprio come Bucky.
Steve aveva pochi pilastri nella sua vita e non aveva di certo l'intenzione di rinunciarvi.
Lui era un soldato, non era abituato a restare fermo e a non far nulla o a compiangersi.
Doveva ricaricare le batterie e poi rimettersi in pista!
 
Animato da una nuova vitalità, si alzò e si diresse in camera sua e pescò dal primo cassetto del comodino le chiavi della Harley.
 
Uscì di casa richiudendo la porta alle sue spalle e scese fino al garage comune dell'edificio.
In un angolo sotto ad un telo impolverato la sua moto era lì ad attenderlo, pronta per accompagnarlo in quel nuovo viaggio.
Si fermò al primo distributore che trovò aperto, fece il pieno e poi partì verso la sua meta.
 
Dopo circa venti minuti era arrivato davanti ai cancelli della casa di riposo “Chesapeake Bay”.
Parcheggiò la motocicletta, spense il motore ed entrò.
 
Ignorò il cubicolo delle infermiere e percorse sicuro il lungo corridoio, memore delle visite passate e si arrestò davanti alla porta numero 215, la camera di Peggy.
Anche se la malattia aveva debilitato parecchio la sua memoria, quando era riposata Peggy era ancora fonte di conforto per lui e lo spirito indomabile che la contraddistingueva non era di certo venuto meno.
 
Bussò ed attese.
 
-Avanti!-
 
Con un po' d'emozione aprì la porta e fece per entrare ma si bloccò sull'uscio quando notò che la signora anziana che occupava la stanza non era Peggy.
 
-Mi scusi! Ho sbagliato stanza, non volevo disturbarla.-
 
-Si figuri giovanotto, nessun disturbo.-
 
-Arrivederci!-
 
-Arrivederci!-
 
Steve richiuse la porta perplesso; avevano spostato Peggy in un'altra stanza?
Fece dietrofront e camminò fino alla postazione delle infermiere.
 
All'interno del cubicolo c'era solo un'infermiera, china su delle cartelle, sul tesserino appuntato al taschino della divisa c'era scritto Susan.
 
-Mi scusi?-
 
-Sì?- gli rispose senza interrompere il suo lavoro.
 
-Stavo cercando Peggy Carter.-
 
-Peggy Carter? Non mi dice niente, sono nuova ma se ha un momento di pazienza, la mia collega Sheila sta per tornare, può chiedere a lei- disse in maniera un po' brusca.
 
-Grazie- rispose Steve, cortese come sempre.
 
Finalmente Susan alzò lo sguardo e si rese conto che Steve la stava fissando e cambiò subito tono.
 
-È una sua parente, per caso? Sua nonna?- domandò melliflua.
 
-Bé...- disse Steve un po' in imbarazzo, non era facile spiegare la situazione, stava temporeggiando quando l'arrivo provvidenziale di Sheila lo salvò.
 
-Signor Rogers! Da quanto tempo!-
 
L'infermiera era una vecchia amica di Steve, infatti l'aveva conosciuta l'anno prima quando era andato a trovare Peggy per la prima volta.
 
-Eh sì... il lavoro mi ha tenuto parecchio occupato, soprattutto all'estero...-
 
-Davvero?- riprese Susan -e di cosa si occupa?-
 
-Consulenze... logistiche- e questa da dove gli era uscita? Natasha aveva ragione, lui era un pessimo bugiardo, meno parlava meglio era; tuttavia nessuna delle due parve accorgersi della bugia mal raccontata.
 
-Signor Rogers, purtroppo devo darle una brutta notizia- continuò l'infermiera più anziana.
 
Cosa? Steve tornò a focalizzarsi su Sheila.
 
-Quale notizia?-
 
-La signora Carter... è venuta a mancare.-
 
Morta.
 
Peggy.
 
Peggy era morta.
 
La sua Peggy non c'era più.
Un altro pilastro era crollato e questa volta per sempre.
Steve Rogers aveva perso un altro pezzo del suo passato; era più solo che mai.
 
Chinò il capo e strinse i pugni, non avrebbe pianto, non ora almeno. Non doveva essere il solito melodrammatico.
 
-Quando?- riuscì a domandare con voce roca.
 
-A fine gennaio, mi dispiace...-
 
-Io... io...- non riusciva a formulare una frase completa -io... grazie... arrivederci.-
 
Salutò le due donne e si incamminò verso l'uscita.
Risalì sulla motocicletta, stava per ingranare la marcia, quando udì qualcuno.
Si voltò e vide Sheila che gli disse, tendendogli nel contempo un foglietto:
 
-Signor Rogers, in teoria non dovrei darle queste informazioni, poiché non è della famiglia...-
 
-Cos'è?-
 
-Il recapito della nipote di Peggy, non so se potrà esserle utile...-
 
-Grazie.-
 
-Si figuri, è stato un piacere, arrivederci!-
 
-Arrivederci!-
 
Sheila lo salutò con un gesto amichevole e rientrò.
 
Steve passò la mano sul viso stanco e diede uno sguardo al foglietto su cui c'era scritto:
S. Lowell  Ufficio 836 Dipartimento di storia Georgetown University.
37th & O Streets NW
Washington DC
 
“S”, Sharon forse?
Sharon, lui l'aveva conosciuta come Kate e mai si sarebbe aspettato che la giovane infermiera fosse in realtà un'agente dello S.H.I.E.L.D. né tanto meno che fosse la nipote di Peggy.  
Era in città?
L'avrebbe scoperto quanto prima, diede gas e partì.
 
In pochi minuti era arrivato a Midtown e all'università.
Dopo aver parcheggiato si diresse verso il dipartimento di storia.
Studiò il pannello informativo e dopo essersi orientato salì fino al terzo piano.
Un box informazioni lo accolse in cima alle scale, dove un giovane dall'aria piuttosto annoiata lo apostrofò:
 
-Serve aiuto?-
 
-Sì... stavo cercando la signorina Lowell, grazie-
 
-In fondo al corridoio, se non è nell'ufficio cerchi in biblioteca, al quinto piano.-
 
-Grazie.-
 
Steve percorse il corridoio per intero e una volta giunto davanti ad una porta con i vetri smerigliati, si fermò.
Una lista di cognomi elencati di fianco a quest'ultima indicava che l'ufficio non era privato, ma bensì comune.
Bussò ed attese, ma nessuno venne ad aprire.
Memore delle informazioni ricevute poco prima, cercò le scale che l'avrebbero condotto alla biblioteca.
 
Entrò e come da prassi firmò il registro al Security Desk.
Erano quasi le cinque del pomeriggio e l'enorme biblioteca era deserta e Steve per la prima volta temette di non riuscire a trovare nessuno.
 
C'era silenzio, non udiva nulla quindi si mise a perlustrare i vari corridoi.
La biblioteca era immensa, scaffali ricolmi di libri si estendevano a perdita d'occhio, rendendo difficile orientarsi.
Non sapeva nemmeno chi stesse cercando, non era sicuro che fosse Sharon e se fosse stata una trappola?
Era diventato estremamente paranoico, durante quei mesi.
Alla fine ne ebbe abbastanza e decise di agire.
 
-Signorina Lowell? È qui?-
 
Ripeté la domanda ad intervalli regolari, stava quasi per rinunciare quando udì un flebile “Sì” provenire dal settore che si trovava alla sua destra. 
Seguendo il suono di quella voce, svoltò nel corridoio laterale dove l'odore di vecchi libri si fece più forte, evidentemente lì erano conservati i libri più antichi e delicati.
 
-Signorina Lowell?-
 
-Quassù!-
 
Steve alzò la testa e finalmente la vide.
 
La voce apparteneva ad una ragazza dai capelli castani, che si trovava in cima ad una scala a pioli e stava riponendo un libro all'interno dello scaffale.
 
-Salve!- gli disse con un sorriso.
 
-Salve!-
 
-Cosa posso fare per lei?-
 
-Potrebbe scendere? Devo chiederle una cosa...-
 
-Un momento solo, signor...- continuò lei mentre iniziava a scendere.
 
-Steve. Steve Rogers.-
 
All'udire quel nome la giovane si fermò e abbassò nuovamente lo sguardo e domandò con curiosità mista ad aspettativa:
 
-Steve Rogers? Quel Steve Rogers?-
 
-Sì... ci conosciamo?-
 
-No, mi scusi che maleducata, sono Selene Lowell...-
 
La ragazza era quasi arrivata in fondo alla scala, mancavano appena sei pioli al pavimento, quando improvvisamente scivolò.
Si sarebbe di sicuro fatta male, cadendo a terra, ma Steve agì d'istinto e la afferrò al volo.
 
 
 
 
 
 
Angolo dell'autrice:
 
Salve a tutti quanti!
Finalmente mi sono decisa a pubblicare in questa sezione.
Era ora! 😊
E come prima cosa ho fatto morire Peggy. Che brava! *sarcasmo mode on*
 
Note tecniche:
Il nome della casa di riposo è un omaggio al primo insediamento dei coloni europei in Virginia.
Riguardo alla scena della scala, ho riflettuto a lungo e chiesto pareri e alla fine ho deciso che la storia doveva andare così.
Se avrete fiducia in me non ve ne pentirete!
Ora vi lascio, dandovi appuntamento al prossimo capitolo, se lo vorrete!
Ciao!
Ragdoll_Cat
 
  
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