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Autore: CallMeSana    02/08/2015    3 recensioni
Oggi festeggiano dieci anni insieme e questa è la loro storia.
Spero non vi sia dispiaciuto che abbia deciso di condividerla con voi.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Darcy Styles era l'unica gioia nella vita di Harry.
Sette anni, capelli ricci biondo cenere, occhi verde mare e fossette talmente profonde da far venir voglia a chiunque di affondarci le dita dentro.
Quando Caroline li aveva abbandonati perché non voleva responsabilità di un figlio non previsto, lui aveva deciso che avrebbe dato tutto se stesso, tutto quello che poteva a quella bambina che era praticamente lui in miniatura. 
Era sua figlia e l'unico motivo per cui sorrideva appena sveglio al mattino.

Cameron Tomlinson era il tormento di Louis.
Sei anni e mezzo, capelli neri come la pece e gli occhi azzurri, e un sorriso che avrebbe incantato anche le persone più aride.
Non è che Louis non amasse quel frugoletto, solo che gli ricordava continuamente il suo fallimento come marito e, per quanto provasse ad essere anche un buon padre, si rendeva conto sempre più spesso di non esserne in grado.
E si disperava, perché per Cameron avrebbe dato tutto, avrebbe fatto tutto, non gli importava se per colpa sua e del desiderio di Louis di avere a tutti i costi un figlio, aveva perso l'uomo che credeva di amare.
Era suo figlio e l'unico motivo che gli dava forza appena sveglio al mattino.

Darcy e Cameron frequentavano la stessa scuola elementare, eppure non si erano mai rivolti la parola. Forse perchè Cameron continuava a non capire perché le bambine dovessero indossare le gonne e i bambini no, e quella lì in particolare le avesse sempre larghe e dalle fantasie più assurde. Forse perché Darcy non riusciva a comprendere come fosse possibile che, anche quando indossava la tuta, Cameron avesse sempre i capelli ricoperti di gel.
O forse erano semplicemente troppo piccoli.

Se c'era qualcuno di per niente piccolo, in questa assurda storia, erano sicuramente i loro papà anche se, nel caso di Louis, si dovrebbe fare qualche particolare precisazione in termini di altezza.
Era domenica e, dopo tante settimane, Louis era di buonumore perché c'era il sole e suo figlio, quando c'era il sole, era fin troppo tranquillo, l'ideale per lui che voleva solo riposare e non pensare al lunedì.
Erano anni che diceva che stare dietro una scrivania non faceva proprio per lui, eppure erano anni, per la precisione quasi nove, che lavorava per la Styles Corporation come receptionist.
Era una enorme, nonché molto famosa, agenzia di fotografia, che aveva associati in ogni parte della Gran Bretagna e degli Stati Uniti e Louis, in quei quasi nove anni, non aveva mai incontrato nessuno della famiglia Styles, tanto da iniziare a credere che, in realtà, non fosse mai esistita.

Harry aveva smesso di provare piacere per il suo lavoro quel lontano giorno in cui era stato costretto a buttare nella spazzatura la sua reflex preferita che si era inesorabilmente rotta senza alcuna speranza di riparazione.
Era strano, perché lui si diceva sempre di essere nato per quel lavoro, che adorava catturare immagini, momenti, attimi fugaci che nella sua testa acquistavano un significato ben preciso, e si divertiva troppo coi lavori di post-produzione.
Era anche molto bravo, anche se stentava ad ammetterlo perché è sempre stata una persona modesta, eppure, da un paio d'anni a questa parte, l'unica parte del suo lavoro che gli dava ancora gioia era quando tornava a casa e fotografava sua figlia in ogni posa possibile.
Non entrava alla Styles Corporation dalla morte di suo padre otto anni prima, ma non gliene importava, sapeva che non ce ne fosse bisogno, avevano uno staff di professionisti in grado di gestire tutto anche per lui.
Non si poteva lamentare, alla fine, della sua vita.

Cameron era sempre stato un bambino molto precoce, talmente precoce che aveva imparato persino ad impastricciarsi i capelli di gel da solo. Suo padre ne andava fiero, soprattutto quando andava di fretta e non poteva impatricciarsi le mani anche lui.
"Stai attento con quella sedia, lo sai che non devi usare quelle alte, Cam" lo rimproverava Louis, mentre osservava il suo bambino che, con una fetta di pane in mano, dondolava su una delle sedie della cucina.
Era ora di pranzo e Louis, come al solito, aveva quasi bruciato tutto, facendo ridere Cameron che, ormai, era abituato a mangiare roba scotta o a tratti commestibile. Raramente Louis si affidava ai take away, con la scusa che suo figlio fosse troppo piccolo per quelle cose, ma poi finiva per ingozzarsi di cinese o pizza quando lui non c'era. Ci pensava spesso, a quanto fosse pessimo come padre, ma poi vedeva il sorriso felice del suo bambino e si diceva che forse non doveva buttarsi così giù.
Il pargoletto era sceso con un saltello dalla sedia, cosa che a suo padre spaventava tanto e, sempre con quella fetta di pane mangiucchiata in mano, era andato da lui ad abbracciargli una gamba. A Louis si scaldò il cuore e "finisci di mangiare quella cosa o buttala via, che è ora di fare un riposino. Hai fatto i compiti?"
Cameron era in seconda elementare e prendeva molto sul serio la questione dei compiti, infatti annuì fiero a suo padre che gli accarezzò la testa.
"Dopo li controlliamo, allora. E, se saranno fatti bene, ti porterò al parco."
Sapeva che l'avrebbe fatto felice, sapeva che era quello il motivo per cui gli stava ancora attaccato alla gamba, ma alla fine anche lui aveva bisogno di rilassarsi, e quale momento migliore di una delle rare giornate di sole di Londra?
"Sei il papà migliore del mondo!"
"E tu il mio principino preferito."
Si ripetevano questa frase quasi sempre, come un mantra, ma li faceva stare bene.
Cameron si staccò e si diresse nella sua cameretta piena di giocattoli sparsi ovunque e fotografie di calciatori che amava più suo padre che lui.
Louis, a sua volta, si alzò dalla sua sedia, e andò a sdraiarsi sul divano.

Harry, quel giorno, non riusciva a capire cosa passasse per la testa di sua figlia.
Normalmente condivideva con lui ogni minimo pensiero, trattandolo come un qualcosa di vitale importanza, e piangeva se suo padre non la ascoltava. Quella domenica, invece, Darcy era particolarmente taciturna, cosa che non passò di certo inosservata agli occhi di Harry che, a parte riuscire a farla mangiare, non aveva ottenuto altro da lei.
"Cosa è successo, principessa?" provò a chiedere, mentre la bimba, seduta sul tappetino colorato davanti alla tv, armeggiava col telecomando.
"Lo sai che papà è triste se non gli parli" continuava, ma niente, la bimba quel giorno voleva proprio mandare avanti il gioco del silenzio, e a Harry venne un'idea.
"Ok, se vuoi che sia triste allora niente parco questo pomeriggio." 
E, come se avesse detto una formula magica, ecco che finalmente la sua bambina si decise a degnarlo di un minimo della sua attenzione.
"Avevi promesso" disse imbronciandosi, e Harry dovette impedirsi di prenderla tra le braccia e riempirla di bacini, la adorava quando tirava fuori il labbrino.
"Sì, ma adesso sono triste e non ho più voglia di portarti, quindi... me lo dici che succede? Problemi a scuola?"
Darcy scosse il capo seria, e Harry non insistette molto, era evidente che era solo un capriccio senza alcun fondamento tipico dei bimbi di quella età.
Oppure era solo che quel Cameron la mattina precedente per poco non l'aveva fatta cadere a terra tanto correva per andare dalla sua maestra preferita.
Ma Darcy aveva preso da suo padre, non serbava rancore per nessuno, quindi memorizzò solo la sua faccia e decise che se c'era un brutto bambino nella sua scuola, quello era proprio Cameron Tomlinson.
Un bambino di cui non voleva parlare.
"No, papà, la maestra dice sempre che sono tanto brava." Harry sorrise, era così innocente mentre parlava, avrebbe potuto dire qualsiasi cosa e lui si sarebbe comunque sciolto.
"Va bene, se mi fai un sorrisino anche tu, allora, dopo ti ci porto davvero al parco" le annunciò.
"Non sei più triste?" E Darcy scosse la testa e allargò le braccine verso il suo papà per attaccarsi ai suoi capelli lunghi e ricci. Era il suo modo particolare per fargli capire che voleva la prendesse in braccio, anche se ormai lui le aveva fatto capire che era grande per quello.
Harry l'accontentò, le diede un bacio sulla fronte e la rimise giù, ordinandole, dandole una pacca sul sederino, di andare a lavarsi i dentini e a mettersi le scarpe che a breve sarebbero usciti.

Quel pomeriggio a Londra c'era uno stranissimo tepore per essere la fine di gennaio, e non centrava niente il fatto che a Londra bastasse uno spiraglio di sole per far andare tutti in strada in tenuta estiva. No, si stava proprio bene, e infatti sia Harry che Louis avevano deciso di non riempire troppo i loro figli di sciarpe e guanti perché non ce n'era bisogno. Tanto più che Cameron li odiava, quindi per Louis fu una specie di manna dal cielo il fatto di potersi risparmiare di convincerlo ad indossarli.

Chissà, forse fu questo il motivo per cui accadde quel che accadde.

"Ciao, piccolina, e tu chi sei?" chiese Louis ad una bimba riccioluta con lo sguardo spaventato, che continuava a fissare ogni punto secondo lei rilevante di quel parco alla ricerca di qualcosa.
Aveva un vestito di velluto verde scuro con i merlettini, le calze chiare e delle scarpette nere di vernice. Si chiese che razza di madre potesse vestire una bambina in un modo talmente assurdo.
"Il mio papà, dov'è il mio papà?" Louis le aveva preso la manina, notando quanto tremasse, cercando di attirare la sua attenzione perché, diamine, aveva perso il padre? Cosa avrebbe potuto fare? Gli venne in mente solo la polizia.
"Stai calma, piccola, come ti chiami? Ti aiuterò io a trovarlo."
La piccola cominciò a piangere e "Darcy" disse "mi chiamo Darcy Styles e ho sette anni."
Louis pensò che non poteva essere una coincidenza: dunque qualcuno con quel cognome esisteva davvero!
"Ok... Darcy... e i tuoi genitori..."
"Io ho solo il papà" lo interruppe lei tirando su col naso. A Louis si strinse il cuore.
"Va bene. Sei venuta qui col tuo papà?" chiese, e lei annuì.
"Perfetto, allora... li vedi quei due tipi vestiti uguali?" chiese nuovamente, indicando due poliziotti a pochi metri da loro. La bimba annuì di nuovo, singhiozzando leggermente.
"Brava. Ora andiamo da loro e ci aiuteranno a trovare il tuo papà, va bene?" 
Darcy annuì e gli strinse forte la mano. Louis la guardò e la trovò adorabile.
Quando si avvicinarono ai poliziotti, Louis spiegò loro la situazione. I due uomini lo ascoltarono attenti fino a quando una domanda sorse spontanea.
"E lei cosa ci faceva qui, tutto solo?" Louis fece finta di non cogliere la loro lieve allusione.
"Non sono solo, sono con mio figlio, l'ho lasciato sullo scivolo laggiù, vede..."
Nessuno.
Lo scivolo era deserto.
Questa cosa rasentava il ridicolo.
"...o almeno c'era fino a qualche minuto fa."
I due poliziotti alzarono gli occhi al cielo e commentarono con un "quindi adesso i dispersi sono due, ok, la bambina resta con noi e... a questo punto anche lei, signore."
La voce di Louis aveva iniziato a tremare. Come aveva fatto a distrarsi? Ok, Cameron era un bambino responsabile, il parco non era nemmeno così grande o colmo di gente, sapeva che l'avrebbe trovato, ma il padre di quella bimba? Doveva aiutarla, mentre qualcuno aiutava lui.
"Ti va di dirmi qualcosa sul tuo papà?" La bimba, che adesso stava mordicchiando un lecca lecca alla fragola che Louis le aveva comprato per calmarla, lo guardò sorpreso.
"Il mio papà si chiama Harry Styles e ha ventotto anni." Louis sorrise a sentire il tono in cui lo disse, e pensò anche che magari quell'Harry aveva a che fare coi suoi capi, cosa che lo fece sorridere ancora di più. Quando si dice 'il mondo è piccolo'.
"Mmh, ok. Io mi chiamo Louis, piccola, ma ho bisogno di altre informazioni, ad esempio... è alto?"
"Oh sì, un gigante! Dice sempre che è il mio armadio mobile e io mi arrampico sulle sue spalle tutti i giorni!" Louis era stato interrotto, ma aveva capito che era meglio lasciarla parlare, che, a quanto pare, le piaceva molto farlo.
"Ok, dunque è molto alto..." e lei, sempre col lecca lecca in mano, lo interruppe di nuovo.
"...sì, ti coprirebbe, tu sei basso."
I bambini, beata innocenza!
"Grazie, Darcy. Poi cos'altro, vediamo... occhi? Capelli?"
"E' uguale a me, ma i suoi sono più lunghi. Li tiene lunghi perché mi piacciono , ma la nonna gli ha detto tante volte che secondo lei dovrebbe tagliarli."
Louis la ascoltò col cuore pieno di tenerezza e si domandò chissà cosa direbbe Cameron se gli chiedessero di descrivere suo padre.

Cameron aveva deciso che giocare sullo scivolo con quegli altri bambini stupidi non era più così divertente. Il suo papà non sapeva quanto il bambino diventasse quasi bullo quando non poteva controllarlo e forse era per questo che a scuola si divertiva a prendere di mira le bambine timide che a stento lo guardavano.
Probabilmente Louis l'avrebbe messo in punizione perché di certo lui non gli aveva insegnato nulla di brutto, né tantomeno a dire le parolacce.
Non che Cameron le dicesse, certo, ma che quei bimbi fossero per lui stupidi, era un dato di fatto. Colpa del gel, gli aveva detto il figlio dei Calder, Jonathan, prima che decidesse di abbandonare lo scivolo e andare a cercare suo padre che... non trovava da nessuna parte.
Cominciò a guardarsi intorno sornione e, resosi conto di essere circondato solo da donne col passeggino o uomini troppo alti o eleganti per essere suo padre, decise di andare da quelli vestiti tutti uguali. 
Gliel'aveva sempre detto suo padre e lui suo padre lo ascoltava sempre.
"Ehi piccolo, che è successo, ti sei perso?" Cameron guardava l'uomo coi baffi che si era piegato verso di lui per guardarlo meglio e gli poneva domande ovvvie, e si limitò ad annuire, mentre continuava a tirargli il tessuto giallo della sua divisa con una mano paffuta.
Non voleva piangere, lui era un maschietto, i maschietti non piangono, ma in quel momento si sentiva talmente solo senza suo padre che non potè evitare di farlo, quindi pianse, cercando di asciugarsi velocemente gli occhi con entrambe le mani.
"Non piangere, tesoro, vuoi un lecca lecca?" Cameron alzò lo sguardo, resosi conto che la voce che gli stava parlando era diversa. Aveva infatti di fronte un ragazzo molto alto, coi capelli lunghi e ricci che gli sorrideva e teneva una scatola piena di lecca lecca in mano.
"Sono i preferiti di mia figlia, ma al momento non si offenderà se ne regalo uno. Allora, lo vuoi?"
Il bambino lo guardò sospettoso mentre una voce nella sua testa gli ripeteva di non accettare caramelle dagli sconosciuti, ma ehi, quello avrebbe dovuto comprarglielo suo padre, quindi accettò.
A Harry venne istintivo accarezzargli una guancia, ma Cameron si ritrasse quasi subito perché ok il lecca lecca, ma poi basta.
"Ci scusi, signore, volevamo informarla che ci siamo messi in contatto con gli altri agenti presenti nel parco, quindi appena avvisteranno la sua bambina gliela riporteranno." 
Harry li ringraziò velocemente con la voce tremante e dandosi continuamente dell'incosciente. Come avesse fatto a perdere di vista Darcy proprio non riusciva a spiegarselo.
"Adesso dobbiamo pensare a questo bambino, a quanto pare qui oggi pullula di genitori irresponsabili" fu il commento che l'agente senza baffi si lasciò sfuggire ad un Harry che si trovò, però, costretto a dargli ragione.
"Vorrei rendermi utile, se non vi dispiace" disse, e gli agenti, alzando le spalle, acconsentirono.

Cameron era ancora lì quasi attaccato alla gamba di Harry, perché aveva deciso che se quello sconosciuto gli aveva dato un lecca lecca e gliel'aveva anche lasciato mangiare in pace, allora non poteva essere un ladro di bambini.
Quando Harry si accorse di averlo lì a poca distanza, con la mano libera quasi tesa a mezz'aria e lo sguardo triste fisso su di lui, si sentì quasi mancare. Chissà se Darcy aveva trovato compagnia anche lei.
"Allora, piccolo..."
"Io mi chiamo Cameron!" lo interruppe il bambino, quasi fiero nel pronunciare il suo nome.
"Ok... Cameron... io sono Harry. Vuoi dirmi chi hai perso?" Il piccolo aveva adesso finalmente smesso di sfogarsi sul lecca lecca ormai quasi finito e, girando lo sguardo, disse semplicemente "papà."
Harry non sapeva se mettersi a ridere perché gli venne automatico chiedersi se, per caso, da qualche altra parte, sua figlia stesse avendo la stessa conversazione con qualcuno.
Non sapeva quanto poco lontano fosse dalla realtà.
"Ok, parlami un po' di lui, allora." Il bambino sbuffò, staccò dall'asticella l'ultimo pezzo di lecca lecca rimasto e lo ingoiò subito, prima di iniziare a parlare.
"Il mio papà si chiama Louis Tomlinson e ha trentanni, profuma di acqua di colonia e dice sempre che i vestiti firmati e i cappotti lunghi tipo il tuo sono cose inutili. Infatti io gli dico tutte le volte che voglio le scarpe da ginnastica uguali alle sue oppure a quelle di David Beckham. Vado molto d'accordo con il mio papà."
Harry sorrise.
"Quindi, se ti riportassi io da lui, dovrei togliermi questo cappotto?" lo esortò.
"No, se li mette qualcun altro non gliene importa." Sorrise. Di cuore. Sentiva di amare già quel bambino. E di voler conoscere quel suo papà così fiero delle sue idee.
"Sai descrivermelo?" Cameron lo guardò chiedendosi cosa volesse, quindi cominciò a toccarsi le labbra e guardare verso l'alto come in cerca di ispirazione.
"Ha i capelli castani, gli occhi azzurri ed è tanto magro, io non voglio essere magro come lui."
"Sono sicuro che, se glielo chiederai tu, mangerà di più." Non sapeva nemmeno perché l'avesse detto, stare coi bambini lo trasformava.
"No, non voglio un papà grasso, rivoglio quello che già ho" disse, sentendo di dover piangere di nuovo. Harry si inginocchiò per mettersi alla sua altezza e lo prese tra le sue braccia per calmarlo.
"Te lo riporto io, non devi preoccuparti di questo."
"Poi glielo dici tu di comprarmi il gelato, vero?" E a quella richiesta Harry non poté fare a meno di dargli un piccolo buffetto sulla fronte.
"Fa freddo, piccolo, magari una cioccolata sarebbe meglio, non ti farò essere magro come lui." Cameron sorrise a quella affermazione e gli prese la mano un po' titubante. Harry gliela strinse e decise di rimanere a fargli compagnia fintanto che gli agenti facevano il loro lavoro.

Sarà facile trovare un uomo alto coi capelli lunghi, non ce ne saranno poi così tanti qui.
Era questo che si ripeteva da ormai dieci minuti abbondanti Louis mentre la piccola Darcy gli si era aggrappata alla mano e continuava a descrivergli il suo strambo padre.
Un padre che aveva disseminato la casa di luci soffuse rosse.
Un padre al quale non aveva mai visto indossare una tuta ma che ogni tanto tornava a casa con le trecce perché gli piaceva cambiare.
Un padre che era in grado di cucinare qualsiasi cosa, e non aveva importanza come avesse fatto, a Darcy piaceva tutto.
Un padre che, se aveva lo stesso sorriso e le stesse fossette di quella bambina, Louis moriva dalla voglia di conoscere. Anche perché forse era pure il suo capo.
Il problema, comunque, era che di questo uomo alto coi capelli lunghi e ricci di cui la bambina continuava a parlargli sembrava non esserci traccia e Louis cominciava a preoccuparsi, perché più il tempo passava e più non aveva notizie nemmeno di Cameron.
"Mi porti in spalla?" chiese ad un certo punto la piccola, distogliendolo dalle sue ansie.
"Come, scusa? Non penso che..." balbettò guardandola imbronciarsi. Dio, aveva uno sguardo che parlava.
"Il mio papà mi porta sempre in spalla quando glielo chiedo. Mi porti?"
Doveva essere parecchio viziata questa bambina, si trovò a pensare, ma poi si disse che, in fondo, non lo era un po' anche Cameron?
Annuì e la prese in spalla. Era pesante per essere una bambina così piccola, ma non se ne fece un gran problema quando la vide sistemarsi, come se fosse abituata a star lì e allungare le gambine. Louis sorrise, le piaceva troppo quella bambina, talmente tanto che quasi gli dispiaceva doverla riconsegnare al suo papà.

"Io volevo che giocasse lui con me, ma dice sempre che è troppo grande e sullo scivolo non ci sta, quindi mi manda sempre solo e io non voglio stare coi bambini stupidi."
Cameron era da almeno due minuti che parlava a raffica e Harry, che continuava a stringergli la manina, si stava chiedendo che assurdo padre potesse averlo cresciuto, gli sembrava la controfigura di Danny Zucco con quei capelli gellati e quel ghigno supponente stampato in faccia. Si vedeva che non era un cattivo bambino, ma si vedeva anche che tutto ruotava attorno a suo padre per lui, e questo lo incuriosiva parecchio.
"Neanche io entrerei sullo scivolo" provò a dire, cercando di calmarlo.
"Certo che no, tu sei molto più alto di lui" esclamò alzando lo sguardo. Harry poté notare per un attimo un cipiglio di maturità sul suo viso, e lo spaventò.
"Anche l'altro mio papà non era alto, non voglio essere poco alto come loro."
Quante cose che non voleva questo bambino. Harry si chiese se ci fosse qualcosa che volesse, a parte i lecca lecca che aveva fatto fuori mentre camminavano.
"Dov'è andato l'altro tuo papà?" Non sapeva perché glielo avesse chiesto, ma pensava che, semmai avesse avuto una conversazione con questo Louis, tanto valeva non fare gaffe.
"Papà dice che è andato in un'altra città a lavorare, ma io penso che i suoi capi l'abbiano rapito, lavora per persone strane."
Harry corrugò la fronte, stai a vedere che adesso scopro che ho il figlio di un agente della CIA, pensò.
"Per chi lavora?" chiese curioso.
"Styles" fu l'unica cosa che rispose, come se per lui fosse chiaro. E beh, lo era anche per Harry, che adesso stava avendo anche un rapido flash di una scenata a cui sua sorella aveva assistito qualche anno prima tra due persone all'ingresso dell'azienda e della quale si era parlato per giorni.
"Non penso sia stato rapito, credo che tuo padre non ti abbia detto una bugia."
"Hai ragione, al mio papà non piacciono le bugie, nemmeno i dolci, preferisce le patatine e il cibo cinese." Harry trattenne a stento una risata perché che diamine di associazione di idee aveva fatto quel piccolo terremoto?
"Mi fa piacere, nemmeno a me piacciono le bugie" disse, decidendo di sedersi su una panchina.
Fu questione di minuti quando videro due agenti che accompagnavano un uomo che teneva per mano una bambina.

Quando Harry e Louis si strinsero la mano, fecero passare qualche secondo durante il quale si studiarono con sospetto prima del contatto vero e proprio.
Entrambi, molto stupidamente, pensarono, solo per un attimo, "lui ha preso mio figlio" o "la mia bambina è ingenua, chissà cosa le avrà offerto" prima di capire che se davvero fossero stati dei rapitori, si sarebbero ritrovati una richiesta di riscatto. Di certo un rapitore non ti riporta indietro tuo figlio con un lecca lecca in mano dopo nemmeno un'ora. E senza nemmeno un graffio.

"Papà..." sussurrò dolcemente Darcy mentre tirava il cappotto di suo padre. Harry stava ancora analizzando ogni parte del corpo dell'uomo che aveva di fronte, trattenendo a stento un sorriso. La descrizione che gli aveva fatto Cameron era stata abbastanza accurata: occhi azzurri, capelli castani e... sì, era bassino e molto magro nei suoi skinny jeans neri e quel felpone rosso. Osservarlo lo mise a disagio, stava davvero pensando di far sparire il suo cappotto?
"Cosa c'è, principessa?" chiese di rimando, abbassando lo sguardo verso il frugoletto che lo fissava con espressione imbronciata.
"Sei arrabbiato?" Harry sorrise, ampiamente questa volta, e si piegò per prenderla in braccio e darle un grosso bacio su una guancia.
"No, tesoro mio, a meno che questo signore non ti abbia trattata male." L'aveva detto dosando bene le parole, perché inconsapevolmente voleva conoscere anche la voce di quell'uomo che, a quanto pare, lavorava per lui.
"Ehi" si limitò a dire Louis, sentendosi chiamato in causa. Finalmente proferiva parola, troppo occupato a sincerarsi che Cameron stesse bene, dopo aver superato a fatica il disagio degli occhi di Harry Styles puntati addosso.
"No, papà, il signor Lou è stato bravo, mi ha dato anche i lecca lecca" esclamò la piccola tutta orgogliosa. Harry le diede un altro bacino, stavolta sulla fronte.
"Papà" si introdusse improvvisamente Cameron, che si era messo davanti a suo padre con espressione palesemente offesa. "Io volevo il gelato, papà."
I due uomini si guardarono e risero.
I due bambini un po' meno.
"Quello ha detto che fa freddo per il gelato, ma..."
"Cameron! Quante volte ti ho detto di non rivolgerti in questo modo alle persone più grandi!" Il bimbo si ammutolì, rendendosi conto che, in fondo, neanche lo voleva più il gelato.
"Scusa... scusa Harry."
"Ehi... non c'era bisogno di sgridarlo, è ok. Adesso io porto a casa questa principessa e..."
"Vorrei sdebitarmi per... per mio figlio. Grazie per avermelo riportato."
Harry lo guardò e qualcosa nel suo petto sussultò. Forse anche in quello di Louis.
"Sono io a dover ringraziare te, mi hai riportato questa principessina, probabilmente sarei impazzito se non l'avessi ritrovata."
Louis sorrise, incurante di suo figlio attaccato alla sua gamba che non vedeva l'ora di fuggire da lì, soprattutto da quella bambina che continuava a guardarlo come fosse un mostro.
"Signor Lou... Cameron è un bambino cattivo, lo sai?" 
Probabilmente queste parole, se pronunciate da qualcuno di adulto, sarebbero state prese molto sul serio. Pronunciate da Darcy fecero imporporare la guance di Cameron e un po' impietrire i due uomini lì presenti.
"Non dire queste cose, Darcy, lo sai che non mi piace quando dici bugie" provò a rimproverarla suo padre.
"Io non dico bugie, a scuola mi tratta sempre male, una volta mi ha anche tirato i capelli" sbuffò mettendosi le manine sugli occhi. Non stava piangendo, era solo un po' di scena.
Molto teatrale, come suo padre, si ritrovò a pensare Louis.
"Cameron, cos'hai da dirmi a riguardo? Chiedi subito scusa."
"Ma..."
Cameron!"
Il bimbo sbuffò e guardò a terra prima di rivolgersi verso Darcy e mormorare un "scusa" poco convinto.
"Bene... posso offrirle un caffé, signor Styles?"
"Ti prego, chiamami Harry e... no, non bevo caffè, ma un tè potrebbe andare bene."
Era giusto offrire da bere al proprio capo? Louis non lo sapeva, in quel momento gli importava solo essere gentile. Solo?
"Oh, va bene. Allora... Harry... possiamo andarci a sedere al bar che c'è vicino all'ingresso del parco. Così queste piccole pesti potranno prendere qualcosa anche loro. Che ne dite, bambini?"
I piccoli esultarono ed entrambi andarono dal proprio papà per abbracciarlo e dargli un bacino.
Quando Cameron si avvicinò a Harry, spinto da suo padre, l'uomo sentì subito l'odore di acqua di colonia di cui gli aveva parlato. Probabilmente gli era rimasto addosso dai continui abbracci con Louis.
Quando, invece, Darcy andò da Louis, l'odore che quest'ultimo sentì fu indecifrabile.
Strambo, come tutto quel poco di famiglia Styles che aveva finalmente conosciuto.
Harry annuì semplicemente, stringendo la mano della sua bambina, alla quale stava chiedendo perché non gli avesse detto delle brutte cose che le succedevano a scuola.
Darcy sbuffò e volse lo sguardo altrove, quindi il papà si arrese.
"Non è facile stargli dietro quando sono così piccoli, vero?" disse Louis cercando di sembrare naturale.
"Affatto" rispose Harry rilassato.

Impulsività. Era questa una delle principali qualità di Louis... o forse un difetto, non l'aveva ancora capito. 
Era stato impulsivo ad invitare Harry e la sua piccola che aveva già mezza faccia sporca di gelato alla vaniglia? Probabilmente sì, ma aveva finalmente di fronte degli esemplari degli Styles, quelle persone che, per quasi un decennio, era stato convinto non esistessero, non poteva farsi sfuggire l'occasione.
Osservava l'uomo dai capelli ricci pulire continuamente il viso della sua principessa, e lo guardava farlo con una delicatezza che, forse, lui con Cameron non aveva mai avuto.
"Dunque sei tu" disse all'improvviso, gli occhi ancora concentrati su sua figlia. Louis non capì.
"Il ragazzo della reception. Sei tu, ho ragione?" Louis si limitò ad annuire, quando finalmente Harry si voltò a fissarlo. Dio, avevo lo stesso sguardo che parlava di sua figlia e lo stesso colore degli occhi. Lo trovava quasi inquietante nella sua immensa bellezza.
"Ti chiedo scusa ma, come avrai notato, non vengo mai alla Styles Corporation."
"Sì, l'ho notato" rispose Louis, buttando un occhio a suo figlio che stava osservando con un ghigno strano Darcy seduta esattamente di fronte a lui.
"Cam, attento con quel gelato" disse.
"Non ne voglio più, papà" lo informò il piccolo, saltando con non poca fatica dalla sedia e dirigendosi verso la bambina.
"Che vuoi?" chiese lei, mentre si sporcava di nuovo la punta del naso di vaniglia. Lo guardava spaventata, perché aveva le mani piene di gelato al pistacchio e pensava volesse spiaccicargliele addosso. 
Invece le diede un bacio sulla guancia e tornò da suo padre informandolo che voleva tornare a casa.
Non si era accorto che Darcy era arrossita e che Harry aveva sorriso, esattamente come Louis. Il suo papà annuì e, bevendo tutto d'un fiato quel poco di caffè che aveva ancora nella tazza, salutò Harry con una stretta di mano e diede una carezza veloce alla testa riccioluta della sua piccola.
"E' stato un piacere" disse.
"Anche per me" rispose Harry. Quest'ultimo tornò a sedersi per finire il suo tè e lasciare che fosse sua figlia a dirgli quando volesse tornare a casa. 
Cosa che accadde pochi minuti dopo.

"Papà" disse improvvisamente, dopo qualche minuto di insolito silenzio. La manina stretta in quella enorme di suo padre. Lui la guardò, in attesa che continuasse.
"Mi piace" continuò infatti.
"Cameron?"
"Che schifo, no, papà! Il signore... Lou... mi piace. A te piace?" Come avrebbe potuto rispondere, adesso? L'innocenza dei bambini lo spiazzava sempre.
"Sembra una persona simpatica" affermò.
"Come lo era la mamma?" Bum. Colpito e affondato. Dove voleva arrivare? Non ci voleva nemmeno pensare.
"Forse più della mamma" ammise, infine, abbassandosi per poter essere alla sua altezza e poterla guardare negli occhi.
"Speriamo" concluse infine la piccola, mentre suo padre apriva la porta di casa e la lasciava correre verso il bagnetto di servizio vicino al salotto.

Intanto, Cameron e Louis erano già arrivati a casa e il piccolo non aveva detto una parola, aveva solo passato tutto il tempo toccandosi i capelli o la faccia, come ad assicurarsi, chissà per quale strano motivo, che fossero ancora lì.
Quando Louis gli tolse le scarpette per permettergli di correre per casa scalzo come piaceva a lui, il piccolo finalmente parlò.
"Ti piace, papà."
"Chi."
"Harry. Lui ti piace, non è vero?"
Louis diceva tutto a suo figlio, sapeva che, poteva essere piccolo quanto volesse, ma non gli andava giù che suo padre fosse solo, lo capiva.
"Se ti dicessi di sì ti farebbe piacere?" chiese, quindi Louis timoroso.
"Sì, anche se ha rapito papà" rispose, confondendolo.
"Lui cosa?" Quasi sputò.
"Lui è quello strano per cui lavori tu, e papà era venuto da te l'ultima volta che mi ha dato un soldino di cioccolato."
Aiden lo faceva ogni mattina prima di uscire per andare a lavoro o quando sapeva che sarebbe stato fuori a lungo: dava a Cam un soldino di cioccolato che avrebbe dovuto mangiare solo quando avesse sentito la sua mancanza.
"Non lo ha rapito, è in un'altra città, te l'ho già detto."
"E perché mi ha dato solo un soldino prima di andarsene? Avrebbe dovuto darmi una scatola intera, non ho ragione papà?"
Louis sentì un leggero groppo in gola, non poteva credere di essersi messo a parlare di Aiden mentre nella sua testa riecheggiava solo il nome di Harry.
"Hai ragione, Cam, ed è il motivo per cui non torna." Il piccolo si imbronciò e si strinse a suo padre meglio che poté prima di annunciare di voler vedere la tv.
Intanto Louis avrebbe aspettato il momento opportuno per decidere cosa ordinare per cena, senza pensare più a nessuno, tanto meno ad Aiden.

Il mattino dopo, come ogni lunedì, Louis doveva essere a lavoro un'ora prima del solito. Era strano, ma era già in piedi molto prima che la sveglia suonasse.
Come ogni lunedì, doveva svegliare suo figlio prima del tempo e, come ogni lunedì, il bambino sbuffava e ci metteva un sacco prima di riprendersi. Louis si sentiva in colpa ogni volta, ma era il problema di vivere da soli.
Lo caricò in auto ancora mezzo addormentato, sapendo che, all'odore della ciambella che gli avrebbe portato dal bar dell'azienda, si sarebbe ripreso subito.
Era ormai una routine: ogni lunedì mattina Louis entrava alla Styles Corporation con suo figlio o in braccio o per mano e diventava automaticamente la maggior fonte di intrattenimento di tutti i presenti.
Quella mattina, però, Louis non aveva previsto una cosa. In fondo perché avrebbe dovuto, faceva le stesse cose da sempre e, anche se doveva occuparsi di qualcosa per lungo tempo, riusciva a farlo dalla sua scrivania o, al massimo, spostandosi qualche minuto negli studi nelle vicinanze.
Quella mattina, invece, doveva esserci qualche seria riunione perché si ritrovò a rispondere a strane telefonate e a sentire svariati memorandum risuonare nella sua agenda elettronica. Era il giorno della riunione dei membri dello staff, dei fotografi, per quella mostra internazionale su cui tutta l'azienda stava lavorando da mesi.
Era il giorno in cui, forse, avrebbe iniziato a guadagnare di più.

Ecco perché Cameron restò solo più a lungo del previsto, perché non si alzò dalla sua seggiola preferita al bar e si ritrovò davanti un nuovo - vecchio - amico.

Andava di fretta, Harry, quella mattina. Non si era svegliato di buonumore sapendo di dover mettere piede in azienda, ma era un giorno importante, per quanto tutto ormai gli scivolasse addosso tanta era la noia per quella burocrazia.
Mentre si preparava, pensava solo che avrebbe ripreso in mano la sua reflex e avrebbe riempito Louis Tomlinson di foto.
Da ogni angolazione. Rise, perché sapeva che l'avrebbe incontrato.

Parcheggiò al suo posto privato sul retro dell'azienda e scese dall'auto guardandosi intorno disorientato. Ci mancava da talmente tanto tempo che non lo riconosceva più come un posto familiare.
"Buongiorno, signore" si sentì dire da una donna all'ingresso con un impeccabile completo blu scuro addosso e i capelli biondi raccolti in uno chignon. Non era Louis e questo lo disturbò.
"Buongiorno" si limitò a dire lui, guardandosi intorno per poi indicare il bar dove aveva intenzione di fare colazione.
Aveva lasciato Darcy a scuola di fretta e in anticipo, quella mattina e, per far mangiare lei, aveva dimenticato se stesso.
Quando giunse al bancone ordinò molto gentilmente un tè caldo e un muffin ai mirtilli. Da quel poco che ricordava, erano buonissimi.
Andò a sedersi quando si ritrovò davanti un bimbo che lo guardava insistentemente, come a volerlo ipnotizzare. Harry non poteva crederci.
"Cameron, ciao, non dirmi che ti sei perso di nuovo!"
"Ha dimenticato di portarmi a scuola, è tutta colpa tua!"
Harry balzò in piedi guardando l'orologio: non era ancora in ritardo, poteva farcela.
"Ci penso io, poi sgriderò tuo padre, va bene?" Cam annuì mettendosi un dito in bocca imbronciato e si lasciò prendere in braccio da quel gigante che aveva davanti.
Durante il tragitto in auto, Harry gli chiese scusa per tutto quello, e ciò che Cam gli rispose lo tormentò tutto il giorno.
"Non voglio dimenticare le cose come lui, a me Darcy non piace come a lui piaci tu."
"Ti piace mia figlia, Cam?"
"Non mi picchierai, vero? Per... per averle tirato i capelli."
Harry rise. Non avrebbe mai potuto alzare le mani su un bambino, figuriamoci uno non suo.
"Certo che no, Cam. Solo... tuo padre parla di me?" Era curioso e forse stava approfittando troppo dell'innocenza di quel bambino coi capelli gellati e lo sguardo supponente.
"No. Ma lui non parla mai nemmeno di papà, quindi gli piaci. Infatti mi ha detto che è così, e a te piace?"
"Sì, piccolo, ma tu non devi dirglielo, ok? Sarà il nostro piccolo segreto." Cameron non capì, cambiò espressione e si grattò la fronte.
"Perché? Non è una cosa bella?"
"E' bellissima, Cam."
"Ho capito, vuoi dirglielo tu! Chiamalo, così lo saluto, e diglielo!" Harry scoppiò a ridere. Da un lato voleva abbracciare quel bambino e dire che non poteva già più fare a meno di lui, dall'altro non vedeva l'ora di liberarsene.
"Non posso, poi ormai siamo arrivati e devi scendere."
"Uffa, sei cattivo!"
Cameron scese di volata ringraziando a malapena ed entrò a scuola sperando di non essere troppo in ritardo. Incontrò Darcy per caso durante l'intervallo e lei si limitò semplicemente a salutarlo con la manina facendolo arrossire.

Louis non aveva mai perso di vista suo figlio, in tutti gli innumerevoli lunedì in cui se l'era portato in azienda non aveva mai dimenticato di portarlo a scuola, eppure quel giorno era successo.
Pregò che nessuno vedesse male il suo fuggire verso la sua postazione con la speranza che Cameron fosse ancora lì, magari piangendo per aver saltato la scuola, ma non trovò nessuno.
Non poteva essere successo per la seconda volta in meno di ventiquattro ore.
Proprio quando stava cercando di riordinare le idee, si voltò e finì addosso a qualcuno che gli parve un armadio tanto era alto.
Darcy aveva ragione quando gli disse che era un gigante, se Louis avesse provato anche solo ad abbracciarlo, probabilmente Harry l'avrebbe soffocato con le sue spalle immense.
"Ehi, ho pensato io a Cameron, non preoccuparti. L'ho trovato solo al bar e l'ho portato a scuola" disse semplicemente, come se fossero cose che accadono ogni giorno.
"Ora scusami, ma sicuramente saprai che ho una riunione e sono di fretta." Louis era ancora lì impalato e, per quanto fosse piccolo, gli stava ostruendo il passaggio, così si spostò per lasciarlo andare.
"Benvenuto" gli disse, alzando leggermente la voce.
"Eh?" rispose Harry non capendo.
"Alla Styles Corporation. Benvenuto." 
Sorrisero nello stesso momento e forse il mondo si fermò, perché per entrambi sembrò di essere completamente soli in quello spazio immenso.
Harry alzò il pollice in alto nella sua direzione e Louis poté vedere Darcy nel sorriso che tirò fuori. Aveva amato subito quella bambina e, forse, si stava innamorando anche di suo padre.
Non che non lo fosse già, solo... se ne stava innamorando di più.

Un'ora dopo Louis era sempre annoiato, esattamente come un'ora prima.
Nessuno con cui parlare, nessuno che andava a disturbarlo, nemmeno una telefonata. 
Questa riunione doveva essere molto importante, perché pareva che nessuno fosse interessato ad altro se non a quella.
Passò un'altra ora e finalmente ci fu del trambusto: porte che si spalancarono, vociare entusiasta o leggero brusio, ma a Louis interessava solo trovare Harry.
Sapeva che l'avrebbe riconosciuto subito coi suoi lunghi capelli liberi al vento - se no Darcy si sarebbe arrabbiata - e quel cappotto che proprio non riusciva a concepire come capo d'abbigliamento.
Non che la camicia a pois che indossava sotto fosse meglio, comunque.
Si guardò intorno fingendo indifferenza fin quando non sentì "pausa pranzo insieme, ti va?" e annuì piano, tornando a lavoro entusiasta, ora sì che aveva da fare.

Tre ore dopo erano in pausa pranzo, ad un piccolo ristorantino poco distante. Louis andava sempre lì perché si mangiava bene, poi era affiliato all'azienda, quindi aveva lo sconto. 
Tutto il personale fu un po' imbarazzato dalla presenza di Harry, ma quest'ultimo li mise subito a proprio agio dicendo che non avrebbe accettato di mangiare gratis solo per il nome che portava. Loro annuirono. Louis moriva dalla voglia di baciarlo.
Un pensiero che condivideva inconsciamente con Harry, comunque.

"Dunque dove eravamo rimasti, ieri... ah sì, sei tu il tipo della reception. Il mondo è proprio piccolo."
"Non così tanto, io credevo che non ci fosse nessuna famiglia Styles!" Provò a tapparsi la bocca subito dopo aver parlato, ma ormai la frittata era fatta. Si imbarazzò e Harry lo trovò adorabile. Avrebbe voluto essere lui quello che lo costringeva a mangiare per non essere più così magro, come voleva Cameron.
Si fece, invece, spiegare cosa volesse dire e, alla fine, scoppiò a ridere. Una risata così genuina che Louis non potè evitare di commentare con un "tua figlia ti somiglia tantissimo, anche e soprattutto quando sorride" che fece tremare il cuore di Harry.
"Anche tuo figlio ti somiglia molto, soprattutto quando ha quel cipiglio serio."
"Non ho un cipiglio serio" brontolò.
"Ora ce l'hai." E cominciarono a ridere entrambi, di nuovo nello stesso momento, mentre il cameriere gli portava, finalmente, le pietanze che avevano ordinato.
"Devo andare a prendere Cameron" disse, a pranzo finito.
"Anche io, cioè... devo andare a prendere Darcy." Louis sorrise.
"Meno male, Styles, altrimenti avrei pensato che ti piacesse di più stare con mio figlio!"
Harry pensò che essere impulsivo in quel momento potesse essere un male, ma non riuscì a trattenersi dal dire "si sta bene con lui, poi credo gli piaccia tua figlia. Dovremmo combinare un altro appuntamento."
"Non penso che sarà d'accordo" disse Louis alzando un sopracciglio.
"Uh, abbiamo un padre protettivo, mi fa piacere."
A me fai piacere tu.
"Dai, voglio invitarvi a cena, io..." si bloccò un attimo, passando una mano tra i riccioli disordinati "...sto bene anche con te, Louis."
Anche io. Anche io, avrebbe voluto rispondere, ma non lo fece, stupido come al solito.
"Posso... posso pensarci, Harry? Insomma... sei il mio capo."
"Ma se fino a ieri credevi che non esistessi! E poi è una cena, l'appuntamento per i nostri figli, non per noi... anche se non nascondo che mi piacerebbe."
Anche a me.
"Ok" disse, semplicemente.
"Ok, cosa, Lou?" Come l'aveva chiamato?
"Ok per la cena, ma non questa sera, devo farmi già perdonare abbastanza cose da mio figlio." Harry annuì e lo salutò quando il suo cellulare cominciò a squillare.
Fino a ieri credeva che Harry Styles non esistesse. Forse per questo fino a ieri la sua vita era così monotona e fin troppo tranquilla.
Scusa Aiden.
Ma anche no.

Andò verso la sua auto, pensando a quanto poteva essere tremendamente piccolo Louis. Probabilmente l'avrebbe soffocato con un abbraccio, ma quanta voglia avesse di tenerselo addosso non riusciva a spiegarlo.
Lo conosceva appena e gli era già entrato nelle ossa.
Si diede un po' dello stupido, perché avrebbero potuto andare insieme a prendere i bimbi, ma poi sarebbe sembrato troppo invasivo e lui non voleva essere invasivo, voleva conquistarlo piano piano. In fondo, Darcy approvava già, quindi la parte difficile era fatta.

Di fronte alla scuola elementare c'era la classica calma che precedeva l'uscita delle classi, una per una, accompagnata dalle maestre. Era una cosa che Louis non aveva mai capito, nonostante affacciasse sulla strada e quindi fosse ovvio il timore di quelle donne.
Aspettò che la classe di suo figlio uscisse, ma prima vide Darcy. La bimba aveva già visto suo padre e lo stava salutando con la manina al vento e un sorriso che fece sciogliere anche Louis. Sentì per un attimo l'impulso di correre da lei, quando vide Harry inginocchiarsi e allargare le braccia nella sua direzione. La piccola ci saltò in mezzo e l'uomo cominciò a riempirle la testa di leggeri baci prima di portarla verso l'auto. 
Non si era accorto della presenza di Louis, e quest'ultimo ringraziò il cielo.
Cameron stava uscendo, intanto, sguardo serio stampato in faccia. Forse aveva ragione Harry, aveva preso da lui in quello.
Quando il bimbo lo vide non reagì come Darcy, non lo salutò, non sorrise. Arrivò davanti a lui e gli disse semplicemente "ciao" prima di aprire la portiera dell'auto da solo e salire.
Louis fece tutto il viaggio tentando di incamerare una conversazione con lui, indubbiamente offeso dal suo comportamento di quella mattina.
"Sei innamorato di nuovo" disse poi, freddandolo "fai sempre cose strane quando sei innamorato, me l'hai detto tu, e lo diceva anche papà."
Louis non disse niente.
Era così evidente?
"Spero che non ti faccia diventare grasso, non voglio che diventi grasso."
Louis lo guardò per un attimo senza capire cose stesse dicendo, ma non proferì parola. Sorrise e continuò a guidare.

La cena venne stabilita per quel venerdì. Louis aveva incontrato Harry due giorni prima in azienda e si erano scambiati i numeri "altrimenti come faremo a sentirci?"
Louis era un po' impacciato ma, allo stesso tempo, era sollevato dal fatto che la cena si sarebbe fatta a casa di Harry. Almeno non avrebbe dovuto fargli sapere subito che non era in grado di cucinare.
Cameron lo stava guardando mentre stava davanti all'armadio a decidere cosa mettere e teneva una mano in bocca.
"Papà, quella celeste" disse semplicemente, come se gli stesse leggendo nel pensiero.
Il bimbo era vestito con una tshirt blu scuro e i pantaloni bianchi su un paio di scarpette da tennis simili a quelle del suo adorato Beckham. Era impaziente di uscire perché aveva fame.
Louis decise di accontentarlo, prese la camicia celeste e la indossò su un paio di jeans chiari e le vans rosse. Mise una giacca pesante (nevicava ad intermittenza da ore), bardò bene il suo bambino e, finalmente, uscirono.

Harry era stranamente tranquillo mentre preparava la cena. Non c'era niente di male in quello che stava facendo, e nemmeno nei suoi pensieri. Stava cucinando perché aveva ospiti.
Punto.
"Papà..." Darcy richiamò la sua attenzione mentre giocherellava annoiata con una delle sue bambole preferite "quando viene Lou?"
"Non vuoi vedere Cameron?" La bimba si accigliò e cominciò a scuotere la testa.
"Voglio vedere Lou, quando viene?" Harry la accarezzò e "a momenti sarà qui" rispose, "ma ci sarà anche Cameron, quindi fai la brava" aggiunse.
"E' lui che non è bravo" sbuffò tornando a giocare.
La cena, intanto, era quasi pronta, quando il campanello suonò.
Quando Harry aprì la porta si sentì invaso di un calore che sapeva di casa, nonostante fuori ci fossero quasi 2 gradi sotto lo zero. Faceva freddissimo, eppure nè Louis nè Cameron parevano infreddoliti.
"Ciao Lou!" urlò saltellante la piccola Darcy correndogli incontro e attaccandosi alla sua gamba.
"Ciao principessa" disse lui di rimando accarezzandole la testa, "Cameron, saluta Darcy."
I due bimbi si guardarono un po' in cagnesco prima di salutarsi con la manina al vento e riprendere ad ignorarsi.
"Sarà una lunga serata" esclamò Harry, facendoli entrare.

Lunga.
Lunghissima serata.
La neve aveva pensato di metterci lo zampino e, quando erano ormai quasi al dolce, Louis realizzò che tornare a casa sarebbe stato un problema. Il suo stomaco che stava per scoppiare concordò con lui, Harry aveva cucinato per un esercito, ma era tutto buonissimo.
"Papà, guarda la neve" disse Darcy entusiasta con le manine attaccate al vetro della finestra della cucina. Il fatto che si fosse arrampicata sul mobile non sembrava preoccupare minimamente suo padre. 
"C'è la neve" disse Cameron a sua volta, saltellando un po' come se suo padre potesse capire da quel gesto cosa volesse. Ci mise un po', ma alla fine Louis lo prese in braccio e lo mise sul mobile, proprio di fianco a Darcy. I due cominciarono a ridere beandosi dello spettacolo che vedevano dalla finestra e, per la prima volta, non si guardarono in cagnesco.
"Finisco di pulire qui e andrò a sistemarvi la stanza degli ospiti" annunciò all'improvviso Harry cogliendolo di sorpresa "e non guardarmi a quel modo, Tomlinson, non posso permettervi di uscire con questo tempo."
Non disse niente, Louis, perché sapeva che Harry aveva ragione e mai e poi mai avrebbe messo in pericolo la vita di suo figlio.
"Ti aiuto" disse quindi, non senza buttare un occhio ogni due secondi a Cam su quel mobile un po' troppo alto per lui. Harry se ne accorse e gli prese una mano mentre gli diceva "tranquillo, non succederà nulla." Louis sussultò prima di ritrarla.

Non successe nulla, infatti, i due bambini, quando i due uomini avevano finito di pulire tutto, li stavano osservando, seduti sul mobile con le gambine dondolanti.
"Allora, quando glielo dirai che ti piace il mio papà?" chiese innocentemente Cameron, "lui ti ama, lo sai?"
"Cameron, che dici!" Ora sì che Louis avrebbe tanto voluto essere a casa.
"Infatti papà, quando glielo dirai che ti piace? Devo dirglielo io?" Ora ci si era messa anche Darcy, fantastico.
"E' ora di andare a dormire, per voi due, avanti. Darcy, tesoro, fai vedere a Cameron il suo lettino."
La bimba venne presa di peso da suo padre e portata a terra, cosa che fece anche Louis con suo figlio. Entrambi provarono a protestare, ma invano. Andarono via, i genitori li accompagnarono poi in bagno a lavarsi il viso e a cambiarsi e finalmente rimasero soli, nonostante le continue proteste di Cameron che si era trovato ad indossare una camicina da notte di Darcy, fortunatamente non rosa.
"Come hanno fatto a capirlo, mi chiedo, dev'essere davvero così evidente che quasi mi vien voglia di scavarmi la fossa da solo" disse improvvisamente tutto d'un fiato Harry, mentre Louis continuava a grattarsi la testa cercando senza successo di evitare il suo sguardo. 
"Allora dovremmo scavarcela in due perché sai, Harry, mi sei piaciuto dal primo momento in cui ti ho visto. Anzi, penso di essermi innamorato di te grazie allo sguardo di tua figlia. Avete entrambi degli occhi che parlano. E non penso di conoscerne di più belli."
"Tuo figlio mi ha parlato talmente tanto di te in quei pochi minuti che mi è venuto spontaneo immaginarti, poi quando ti ho visto e ho capito che lavoravi per me, beh... il mondo è davvero piccolo."
Harry se ne stava poggiato alla parete vicino alle scale, a pochi passi dalla stanza dove i due bambini stavano amorevolmente fingendo di dormire. Louis, invece, cercava un pretesto per non buttarsi di sotto, mentre lo guardava.
"Già, proprio piccolo..." disse in un sussurro.
"...come te" concluse Harry, allontanandosi finalmente da quella parete e prendendogli un braccio. Non sapeva come fare, quindi decise che sì, se lo sarebbe tirato addosso e lo avrebbe baciato, poco importavano gli applausi alle loro spalle dei bambini che erano magicamente apparsi a godersi la scena.
"Ma voi due non stavate dormendo?" chiese Louis cercando di fingere indifferenza a ciò che era appena accaduto, quando il suo unico desiderio era prendere residenza sulle labbra che aveva appena assaggiato.
"Rifatelo, papà, rifatelo, eravate bellissimi tutti attaccati" disse Darcy incurante del rimprovero.
"Papà, devi dirglielo, non devi solo baciarlo, però" accusò, invece, Cameron, molto più pretenzioso.
"Oh, beh, se proprio insistete..." disse Harry, sorridendo verso Louis che era talmente imbarazzato da non rendersi nemmeno conto di quanto i loro corpi fossero vicini.
"No, Harry n-no" si lamentò, ma il bacio, stavolta più approfondito, arrivò senza problemi e i bambini continuavano a ridacchiare e ad applaudire felici.
Louis si staccò, Harry rise guardandolo e poi entrambi ordinarono ai loro figli di andare a dormire. I bimbi obbedirono annuendo un generico "va bene, papà" che fece scaldare il cuore sia a Harry che a Louis.
"Buonanotte, Harry."
"Buonanotte Louis."
La più grande bugia che potessero dirsi.

Il mattino dopo si svegliarono tutti molto presto, persino i bimbi che, però, non avevano alcuna voglia di andare a scuola.
"Dov'è papà?" chiese Darcy mentre Harry l'aiutava a vestirsi.
"Sono qui di fronte a te, tesoro." Lei sbuffò.
"Non tu, papà Lou, dov'è?" A Harry si strinse il cuore a quella domanda. Avrebbe voluto dirle che era in bagno e si stava vestendo anche lui per accompagnarla a scuola, che stava con suo fratello Cameron e che lo avrebbe rivisto nel pomeriggio. 
Invece no, perché Louis non viveva lì e, soprattutto, non era suo padre.
"Non è tuo padre, tesoro, lo sai, questo, vero?" provò a dirle, Harry.
"Certo, mica sono una bambina, ma tu lo vuoi, perché non posso volerlo anche io?"

Nell'altra stanza, era in corso una conversazione simile.
"Papà... tu non hai dormito stanotte, è vero?" Louis si domandò come potesse, un bambino così piccolo, essere così maturo e perspicace. Aveva baciato Harry - due volte - come avrebbe potuto dormire? Scosse la testa.
"Possiamo venire a dormire sempre qui? Il letto è più comodo, però voglio il mio pigiama."
"Non possiamo, non è un albergo, una casa" provò a spiegargli, ben sapendo che Cameron non era mai stato in un albergo, quindi non avrebbe capito il riferimento.
"Casa nostra, con anche papà Harry, perché glielo hai detto che ti piace, non è vero, papà?"
"E Darcy? Lei non la vuoi?"
"Non mi piace lei, è più grande di me." Louis non potè fare a meno di sorridere, abbracciando il suo bambino e accarezzandogli la schiena. Gli diede un bacio sulla fronte staccandosi e gli intimò di fare in fretta che dovevano uscire.

Si incrociarono nel corridoio e l'imbarazzo si poteva tagliare col coltello.
"Darcy vuole che vieni a vivere qui."
"Cameron vuole che mi trasferisca qui."
Lo dissero quasi nello stesso momento, ancora, ed entrambi, alla fine scoppiarono a ridere mentre i bambini gli stringevano una mano e urlavano vari "sì, papà, ti prego!"
"Uhm, quindi stiamo lasciando decidere ai nostri figli delle nostre vite, interessante."
"Parecchio."
Louis ci stava pensando, aveva avuto pochi minuti per farlo ma poi si era detto che quella casa, in fondo, non era nemmeno sua, era di Aiden, e ogni angolo sapeva ancora di lui, per quanto con Cameron avesse provato a cancellarne ogni ricordo. Era lì che la sua vita apparentemente perfetta con lui era finita e Cameron era arrivato per riempirgliela.
Poteva gettarsela alle spalle, non gli serviva più.
Si avvicinarono e si diedero un bacio lieve a fiori di labbra, senza notare i bimbi che batterono il cinque facendosi l'occhiolino.

Era nata finalmente un'amicizia tra i piccoli Styles e Tomlinson.
Era nata una strana ma intensa storia d'amore tra i grandi Styles e Tomlinson.

Oggi festeggiano dieci anni insieme e questa è la loro storia.
Spero non vi sia dispiaciuto che abbia deciso di condividerla con voi.



***
Non scrivevo una storia a rating verde dai tempi di Night Changes, anzi... non ne scrivo praticamente mai, due in totale in tutta la mia lunga lista, quindi non so, chiamate un'ambulanza.
Non c'è angst, qui, non c'è smut, non c'è tensione, solo tanto fluff e due bambini bellissimi che fanno da cupido ai nostri due ragazzi preferiti.
Fatemi sapere che ne pensate, perché ancora non so come mi sia venuta in mente questa cosa, l'ho scritta probabilmente senza curarmi troppo di quei dettagli che avrebbero, invece, meritato cura, ma va bene così, sapete che non sono perfetta.
Buon proseguimento di serata! xxx


  
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